Diario dell’angoscia elettorale

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di Andrea Inglese

Ho notato che in periodi di miseria politica, come questo, coloro che hanno una vita sentimentale scadente, esibiscono atteggiamenti di scoramento violento, di condanna onnicomprensiva e totale. Riescono così bene a spiegarti l’orrore in cui viviamo, che l’autoimpiccagione domestica pare un’alternativa più degna della semplice astensione. Chi gode di una decente vita familiare, o addirittura di un’amore passionale, per non parlare di chi scopa scientemente per alleggerirsi la coscienza, dandoci dentro apposta nei periodi elettorali, ebbene costoro hanno una percezione del disastro più sfumata.

Ora che devo votare, e addirittura per l’Europa, io mi sento dentro un gran turbine di sentimenti; a volte, però, anche solo un gran vuoto. Potrà l’Europa salvarmi? Allungare un braccio legislativo, e imporre sobrietà e ragione, rendendo gli italiani moderni, capaci di tenere assieme le molte dimensioni del mondo attuale? O dai suoi palazzoni alti, con tutte le bandiere ammucchiate, spunteranno gli insidiosi gemelli polacchi, i Kaczynski temibili, inventando un modo ancora più efficace di rendermi superfluo, di mortificarmi, sotto parole d’ordine irresistibilmente schifose?

Mi dico che sono un cittadino pensante, non un semplice suddito. L’appuntamento elettorale, seppure in una forma vagamente di scherno, mi richiama ad una sorta di responsabilità: sono un individuo autonomo, con una sua testa, in grado di agire liberamente. Non sono del tutto sottoposto al destino, non dipendo interamente dal ciclone dei subprime, dalle decisioni della Banca Mondiale, dalle ugge dei Poteri Forti Italiani, dagli avvocati del Presidente del Consiglio, dalle insofferenze di Ligresti nei confronti del piano regolatore, mentre cementifica sotto la mia finestra, nel quartiere Isola di Milano.

No, io posso decidere, poco, pochissimo: ma dentro quell’infima oncia di sovranità, io sono libero di scegliere: mi strappo alla contingenza: salto sulla sedia: come uno che si è ingoiato Sartre, e mi autodetermino, in scorno a tutti quanti i burattinai.

Posso anche non votare. Il dolce gas dell’astensione promana da giorni da tutte le teste che mi circondano, si mescola ai fiati pesanti nei locali e mezzi pubblici.

Il due giugno di sera – festa della repubblica che segue la pentecoste – Milano era vuota. Io ho idee sempre più confuse sia sulla pentecoste che sulla repubblica. Si tratta di cose sacre, ma come tutto quanto è sacro, son cose anche un po’ artefatte, taroccate, come le tube dei prestidigitatori.

E pedalando in bicicletta su un lastricato irregolare e pericoloso, mentre mi sfrecciavano a lato fuoristrada dalla carrozzeria nera con i vetri oscurati, mi sentivo come un cingalese, tagliato fuori dai grandi giri della globalizzazione. Qui a Milano si acquistano merci, per avere un’aria da gangster: anche un dentista deve dare a credere di essere un trafficante d’armi internazionale. Orologi, camicie, occhiali da sole e automobili conferiscono quel look giovanilmente malavitoso. I modelli sociali imperanti, si sa, nell’avanguardista nord sopratutto, sono il boss e la troia. Con una bicicletta malconcia, si può al massimo far la figura di un elettore di Nichi Vendola. Un mezzo frocio, insomma.

Mentre sfuggivo alle manovre rabbiose e inutili dei fuoristrada, sui rettangoli verticali di metallo posti sul marciapiede come tanti scudi allineati, ho visto i loro volti: tutti punteggiati da simboli politici diversi, tutti ridanciani, grandi faccioni ridenti, tutte bocche spalancate, ghignanti. Dai manifesti, i candidati italiani al Parlamento europeo sospendevano un istante le loro controversie politiche, l’aspra competizione, mettevano tra parentesi le divergenze ideologiche, spesso insanabili, per dedicarsi tutti assieme ad una terribile, oscena, risata. Tutti giù a ridere. E mi sentivo sempre più un coglione del mondo, se non l’ultimo, il penultimo.

Tra i più coglioni di me, c’era una famiglia di sudamericani che correva invano dietro un tram. Padre e figlio davanti agli altri, a perdifiato. Il tram se ne andava sferragliando, tutto ben illuminato e vuoto. Se non ci fossero gli immigrati a salire sui mezzi pubblici, se non si mettessero loro con le gambe allungate, gli occhi socchiusi, alcuni con le teste ciondolanti di stanchezza, i mezzi pubblici rimarrebbero vuoti, perché tutti i milanesi viaggiano sulle automobili dai vetri oscurati, con le grosse ruote motrici per trascinarsi oltre le dune di sabbia o le ripide salite di fango nella giungla.

Per non pensare troppo alle elezioni, all’enorme ghigno che sale dai manifesti appiccicati per le strade, potrei iscrivermi ad una palestra o farmi un tatuaggio. Un maschio, oggi, nel nostro paese, ha ancora qualche margine di manovra prima della vecchiaia. Se non si è arricchito e ha avuto successo professionale, ossia non riesce a schiacciare e umiliare un certo numero di gente, che lo ringrazia e ride alle sue battute, allora questo maschio deve cercare di scopare più donne che può. Privo di successo professionale com’è, deve almeno tentare di scopare tutte le donne che incontra, sposate o no, fidanzate o no, possibilmente carine, con un taglio di capelli aggiornato. Per fare questo deve andare in giro, e nelle pause tra un giretto e l’altro per bar e locali, deve presentarsi in palestra. Se poi andando in giro senza successo professionale, non scopa così facilmente con tutte le donne che incontra, un maschio deve fare almeno molta palestra. Ci spenda gli ultimi soldi che ha, ma si faccia molti pesi, controlli il proprio corpo, lo osservi mutare con gioia e sorpresa, paragoni i propri pettorali a quelli di Corona, sfogliando una rivista esposta in edicola. Se ha cominciato ad andare in palestra, e ha degli occhiali da sole, ora può anche farsi un tatuaggio sul braccio. Quando sarà vecchio e malato di prostata, e avrà una paura martellante di morire, e l’angoscia di essere solo e inutile al mondo, sarà troppo tardi per farsi un tatuaggio. O guadagnare molto, lavorando sempre, e umiliando tutti quanti è possibile umiliare, perché si è tra l’altro stanchi di tutte queste responsabilità, di questi stipendi così ragguardevoli, oppure fare i salti mortali per l’auto con i vetri oscurati, oppure darci dentro di palestra e almeno un bel tatuaggio, tutto questo cercando di scopare il maggior numero possibile di donne. Un maschio che riesce a far questo, può non lasciarsi stordire dalla grande risata proveniente dai manifesti elettorali.

I programmi politici sono poco chiari e poco diversificati, ma prima del tumore alla prostata, un maschio italiano ha una o due idee precise di cosa si deve fare nella vita, nel periodo più consapevole di essa, tra i magnifici trenta e i magnifici sessanta. Poi se tutto va bene subentra il viagra.

Io ricordo di aver letto Debord. Penso che sarebbe ora che dedicassi un po’ di tempo a un’analisi politica di quelle serie. Di quelle che uno se ne esce dal fango dei sintomi e approda nella radura luminosa delle cause. Sarebbe ora che io la smettessi di girarmi esterrefatto tutte le volte che un gruppo di miei compaesani tenta di linciare qualche immigrato, qualche negro, qualche barbone, per dei motivi che non hanno nulla a che fare con il razzismo.

Anche perché ci sono bei sintomi dappertutto: in Belgio, in Danimarca, in Austria, in Slovacchia, e così via. E come diceva un mio studente, c’è del razzismo nel gruppo di parcheggiatori abusivi nigeriani che tirano sassi ai fotografi italiani che si sono avvicinati per immortalarli. Forse non è proprio razzismo, ma sono sassi che volano.

Il problema è che anche se faccio una bella analisi politica, di quelle radicali, dai sintomi dritti alle cause, comunque non faccio politica. Dov’è il tesoro delle rivoluzioni, si chiedeva la Arendt? Basterebbe anche il piccolo gruzzolo della contestazione. Una contestazione condivisa, per associati, gente che si sta davvero vicino. E non solo per scopare o mostrare i propri tatuaggi.

Solo che avvicinarsi è intollerabile. A chi potrei avvicinarmi? Posto che tutti siamo vagamente d’accordo sui diritti umani, cosa ci resta da fare noi quattro assieme, noi del quartiere, noi sul luogo di lavoro? Forse mi è passato il gusto di avvicinarmi. Ci vuole un certo gusto, una certa curiosità. Se ci fossero storie, magari. Se qualcuno avesse delle storie da raccontare, delle sue storie, forse sarebbe più facile. Non lo so, forse per questo uno ripone speranze negli immigrati, in questi Dantès che vengono qui dopo giri complicati, pieni di straordinarie avventure alla Dumas e tenebrosi intrighi alla Balzac. Cosa volete che vi racconti un maschio altamente concentrato sulla palestra e sulle quattro ruote motrici? A meno che non abbia appena perso il lavoro. Cosa volete che vi racconti una femmina, altamente concentrata sulla chirurgia plastica, per rimettere in asse le tette prima della menopausa? A meno che non riesca mai a trovare lavoro. Ma necessariamente per tali buie traversie devono nascere delle storie, capaci di avvicinarci davvero l’uno all’altro? Davvero ci vuole quella durezza del mondo, quella sua mole tagliente, a far di noi degli esseri più attraenti, come ci vorrebbero convincere i cristiani? O neppure questo basta, se non siamo in grado d’inventarci un vocabolario adatto, degli intrecci più precisi ed efficaci?

I manifesti con i faccioni ridono, ma forse ridono amaro. Ognuno arraffa quanto più riesce. Ognuno, nel migliore dei casi, tampona e ritarda danni finché può. Poi si ride, si ridacchia. Ci si fa allegri di fronte agli elettori: mai così perfettamente cupi e depressi, questi ultimi.

Come ci si può avvicinare, quando il vicino ha in serbo non storie sue, ma nenie ipnotiche, che lasciano libere le sue paure, il suo odio? Il grezzo sentire animale non consente politica. Docili e umili dirimpettai, colleghi gentili ed eleganti, appena interpellati emettono ululati ringhi barriti. Sono tutti intenti a gestire un odio grezzo, una paura radicale, che non sanno più rendere propria attraverso una parola comune. Io tra di loro mi aggiro, con il mio schifo allo stato puro, inarticolato. Inservibile.

Tutti ci aggiriamo, mentre le grandi risate afone ci piovono addosso. Andremo a votare o non voteremo. Non succederà nulla. Anzi, qualcosa succederà di certo, ma lo capiremo molto in ritardo, troppo in ritardo. Intanto l’Europa raccoglie dovunque le sue paure e il suo odio. Senza storia, senza storie, indifferenziato. Tutti ci aggiriamo, ci giriamo intorno, ci stiamo alla larga, abbiamo paura di quanto uscirà dalle bocche, non ci avviciniamo troppo, giusto per mostrare un tatuaggio, una carrozzeria, un seno rifatto. Non sappiamo come cominciare, con quali parole allestire lo spazio dentro cui essere cittadini dai destini intrecciati, e quindi reciprocamente responsabili. Nessuno vuole mettere in mezzo la propria storia, nessuno vuole iniziare a raccontare da sé. Ci si aggira muti, o grugnendo, oppure facendo prediche altisonanti, che non riguardano nessuno.

Cittadini chiamati a votare. C’è da ridere. Chissà cosa vuole dire “cittadini”?

Qualcosa succederà di certo, anche stavolta, anche mentre ci aggiriamo stralunati. Anche se l’appuntamento elettorale non fa che scatenare angosce d’impotenza, d’inettitudine, di viltà. Ma il voto rimane una promessa d’appartenenza, anche il voto è un avvicinarsi, un togliersi da questo isolamento d’individui schifati che galleggiano nel nulla. Non è un invito al voto, questo. È una constatazione. Le sinistre balbettano una possibile storia. Quella storia che le destre negano radicalmente, sostituendo ad essa grugniti ululati ringhi, appena coperti da qualche soave coro di chiesa o marcetta patriottica.

*

[Foto dell’autore: Vota Piratone per svaligiare il treno dell’europarlamentone!, 2009]

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43 Commenti

  1. E’ sempre questione di modelli. Negli anni ’70 andavano l’eskimo e i capelli sporchi, oggi il lifting e il SUV. La politica è completamente nascosta nelle pieghe dei trends. Altrimenti come spiegare la vittoria di Obama? Il prossimo che guiderà l’Italia sarà un geek, almeno credo, uno magari alto con gli occhiali spessi e le spalle piangenti. Ma cambia qualcosa in fondo?

  2. Sì, rileggere Debord non fa male, caro Andrea, ma io ancora non riesco a non votare, dev’essere un virus antico che me lo impedisce; dopodiché la scelta è ancora più lancinante.

  3. Chiunque vinca non cambierà niente: faranno tutti le stesse cose, ovvero società multicriminale e femminismo ! Distinguere fra destra e sinistra è fuorviante perchè la destra non esiste nemmeno, le marcette patriottiche le suona Napolitano, cane da guardia dell’unità nazionale di un paese senza sovranità, e i soavi cori di chiesa servono ad accogliere le orde di immigrati (magari musulmani) !
    Comunque se volete capire qualcosa di quel che sta accadendo, piuttosto che leggere Debord è meglio leggere Evola…

  4. (che carino: secondo me qui, con questa storia travagliata qui, dico questa dimess’odissea del maschio italiano in bici tra i bicipit-ati suv, tu volente o tu nolente, tu fffai strage:)
    (siccome la storia dell’avvicinarsi con le storie m’acchiappa di mio, approfitto dell’improviso e inaspettato varco elettorale (di visibilità) che mi si apre d’incanto tra le tette rifatte per acciuffare finalmente la scheda, e prima che il suddetto varco d’incanto come per incanto si richiud’accecandomi, voto per uno che ha delle bellissime scarpe:gadjo dilo (lo straniero pazzo sottotitolato nelle parti in lingua altrui)

  5. Solo una cosa. La mia non è una dichirazione di non-voto. Sono sparzano e spartano in questo.

  6. Ma merita l’imminente scadenza elettorale tutto questo rovello?

    Da un lato: http://www.gennarocarotenuto.it/8139-consociativismo-europa/

    Dall’altro: mai, finora, in Italia ( e forse sempre sarà così) le elezioni europeee sono state veramente europee. Trattasi in realtà di elezioni italiane cammuffate da europee, ché il giorno dopo tutti gli schieramenti si affanneranno a spenderle sul mercato elettorale italiota

  7. scoperò nell’urna…tanto per non sbagliare le direttive
    ma Inglese mi sembri più longobardo. cosa ti succede?

  8. le elezioni europee per noi sono come un grande sondaggio elettorale di massa. Il bello è che noi italiani siamo quelli che piu’ di tutti in Europa vanno a votare. Ci diciamo sempre che siamo poco avulsi alla democrazia però non ce la facciamo a non andare a votare. Tutti i partiti a rincorrere quello strano popolo di “indecisi” come li chiamano i sondaggisti. Ovvero gente che non sa chi andrà a votare ma nel frattempo si avvia verso la cabina elettorale. Gli indecisi sono coloro che decidono veramente per tutti (o così ci raccontano) ma io non ricordo di persone che non sanno che cosa scrivere sulla scheda elettorale ma intanto si avviano in un week end di giugno invece che al mare in cabina elettorale. Ricordo piu’ facilmente di “negazionisti” ovvero di persone che votano per un certo partito politico e per un certo personaggio per poi negare di averlo mai fatto. Poi ricommettono il “delitto” e continuano a negare. Perché il voto deve essere segreto? Lo so che sopratutto in molte parti d’Italia potrebbe essere pericoloso togliere la segretezza del voto ma è vero anche il contrario. Che senso ha prendere una decisione che riguarda tutti (ciò che vota tizio piuttosto che caio riguarda anche me visto che ha deciso pure per me) ma non renderla pubblica? Deresponsabilizzarsi anche dell’unica responsabilità visibile di un cittadino…
    Io rincorro i negazionisti del proprio voto piu’ che gli indecisi che secondo me sono la stessa persona.
    Detto ciò vado a votare e addirittura mi son messa a dare una mano in campagna elettorale. Ho avuto tanto schifo della politica che ho deciso che tanto vale farsela da soli in prima persona.

  9. @ Jvan,
    tengo a precisare che io nei ’70 la mia neonata folta chioma la tenevo sempre pulita
    @ magda,
    in quale urna vai? :-)
    @ sparz,
    non sai che bel mare ti perdi…

  10. inglese, bel racconto

    si capisce subito che andrai a votare

    ma

    le ragioni per cui mi considero un avversario del Pdl, non sono più gravi di quelle per cui mi considero un avversario dell’attuale Pd

    serenamente non andrò a votare

    se poi aumentasse l’astensionismo, questo sarebbe veramente l’unico risultato “utile”

  11. Papi, pipi, pupe e pipe… El Paìs di oggi.

    http://www.elpais.com/articulo/internacional/Le/immagini/proibite/da/Berlusconi/elpepuint/20090605elpepuint_2/Tes

    Da notare che una delle cinque foto è stata ulteriormente censurata, qui in Italia (v. siti de la Repubblica e del Corriere della Sera). Indovina, indovinello…

    http://www.elpais.com/fotogaleria/imagenes/censuradas/Berlusconi/6527-1/elpgal/

    Che ne dite? Ci possono essere fraintendimenti?

    [Argomento di riflessione. Lo ius primae noctis non è mai stato abolito, nei fatti. Colpa di chi si sottomette.]

    E adesso, se vi regge il cuoricino, andate a votare…

    N.B. – L’opposizione a questo stato di cose, sempre nei fatti, non esiste. Cara Sinistra, all’epoca, non sarebbe stato il caso di fare, ad esempio, una legge sul conflitto d’interessi? Troppo “estremista”?…

  12. Papi berlusconi e Topolanek potrebbero organizzare insieme un nuovo “family day” per i cattolici italiani. C’è bisogno di gente così a difendere i sacri valori della famiglia

    Amen.

  13. sempre esattamente spassoso, inglese. gli contesto solo che purtroppo non ci autodeterminiamo affatto, anche se una volta ci avevo pure pensato a fondare uno stato autonomo (ho rinunciato anche perchè non avrei saputo come pagare le sigarette). per cui io sono per un ritorno a quella forma protogiuridica di controllo sociale che è l’insulto, politico innanzitutto, e a quella visione apocalittica che inglese attribuisce ai cattivi scopatori (che io penso scoperebbero assai meglio in un altro stato e condizione politica)

  14. Io l’ebbrezza del non voto l’ho provata per la prima volta, a cinquantun anni, alle ultime politiche. Il ragionamento era più o meno quello che ha fatto sopra soldato blu. Nessuna ragione per votare il PD, oltre a un rifiuto biologico per votare Berlusconi. Non mi sono pentito, ma non lo rifarò. Esiste un patrimonio di civiltà e di cultura che la pseudosinistra di oggi non riesce a usare, ma bisogna assolutamente impedire ad altri di trasformarlo in immondizia. Però che il boss e la troia siano il modello sociale dominante, è una stronzata. C’è un sacco di brava gente ingannata, e poi non fate mai l’errore di pensare che l’Italia sia quella della TV. E’ esattamente quello che il nano malefico vuole che si creda.

  15. Secondo me il boss e la troia non sono solo il modello dominante, ma il modello unico: il naturale punto d’arrivo della democrazia…
    L’unica alternativa possibile sarebbe un sistema fondato sulla gerarchia, ma ormai il lavaggio del cervello egualitario ha raggiunto un punto di non ritorno !

  16. una delle caratteristiche della germania pre hitler era che i giovani intellettuali erano tutti contro la politica e del tutto aristocraticamente disinteressati alla democrazia …. poi hanno dovuto ricredersi ma era troppo tardi
    geo

  17. Più che un fatto di autodeterminazione sartriana, per me lo scegliere chi va in Europa, a sedersi nelle istituzioni europee è un puro fatto di istinto alla sopravvivenza. Direi un istinto quasi animale. Spero solo che i Borghezio e i personaggi che non hanno idea di chi fosse Spinelli e che cosa è passato tra il 1957 ed oggi diventino dei fantasmi della nostra memoria. Saran precari pure loro!

  18. @Satana
    Quando dici il boss e la troia intendi questi?

    Silvio Berlusconi
    “Mio padre diceva una cosa: se uno nasce col piacere di fare del male ha tre scelte: può fare il delinquente, il pm o il dentista. I dentisti si sono emancipati e adesso esiste l’anestesia”
    (da Il Messaggero, 18 aprile 2009)

    Gabriella Carlucci:
    [Rivolgendosi al giornalista Alessandro Gilioli]
    “Le auguro che appena suo figlio avrà accesso a Facebook venga intercettato dai pedofili e che lo incontrino sotto scuola”
    (dall’intervento al convegno sulla libertà in rete organizzato da Altroconsumo a Roma il 23 aprile 2009)

  19. C’è da ringraziarlo davvero (sic!) il signor satana (sic!!!), e magari è proprio per questo che viene lasciato scorazzare liberamente per la riserva: infatti, se avessi avuto anche un solo dubbio sull’andare a votare o meno, la sua presenza qui, col carico di monnezza & chiavica nazista, xenofoba e omofoba che da mesi riversa in questo blog a ogni commento (sic!!!), l’avrebbe già dissolto prima ancora del suo manifestarsi. Mi fa orrore solo l’idea di viaggiare, fosse pure per sbaglio e per ragioni diametralmente opposte alle sue, sulla stessa lunghezza d’onda, anche per una frazione infinitesima di secondo.

    p.s.

    Qualcuno dei tolleranti membri della nazione, residenti o transeunti che siano, ha mai provato a commentare e ad esporre il proprio pensiero in uno dei tanti covili fascisti e leghisti della rete? Con quali risultati, nel caso?

    ……………

  20. intanto continuo a pedalare su strade sconnesse, mentre suv dai vetri oscurati mi tagliano la strada, inbestialiti per quella frazione di secondo che gli faccio perdere..iene ridenti mi minacciano dall’alto dei 6×3…che cazzo c’avete da ridere?
    intanto pedalo e penso se andare a votare o no
    sono anni che va avanti così
    forse voterò claudio fava, fosse almeno per quanto ho amato suo padre
    forse andrò a nuotare
    bracciate di rabbia inseguendo la scia del sole al tramonto
    …no…come al solito andrò a votare incazzata come non mai
    o forse no…
    benedetto maledetto istinto….

  21. @Anfrea Inglese
    “Le sinistre balbettano una possibile storia. Quella storia che le destre negano radicalmente”

    Me lo sono riletto il pezzo. E’ bello, finchè resta un vissuto e una narrazione. Poi c’è la politica. La politica è sintesi: non può nascere da una somma di storie, per quanto autentiche. E’ sintesi di culture, di fedi, di interessi. La sintesi non si trova, si fa. Arendt ti spiega le libertà e il confronto, Schmitt la decisione, piaccia o meno servono entrambi. Parlamentarismo e pluralità senza sintesi non è governo. De Gasperi, Moro, Berlinguer e Craxi a modo loro ne hanno fatta una, in un altro secolo. Poi basta. Berlusconi non ha fatto una sintesi politica, ha comprato una classe dirigente, e questo è lo schifo vero. Dall’altra parte, distinguo e posizionamenti fino all’estinzione. L’incapacità della storia socialista di integrarsi a quella democratica e cattolica è forse anche legata alla mancanza di un leader vero, ma diciamo pure che gli intellettuali non hanno contribuito. Si trattava di ripensare il presente, non di difendere monumenti. Una laicità che non sia maschera di una chiesa atea, una difesa dei diritti individuali che non sia alternativa alla protezione della famiglia, una difesa del lavoro e dello stato sociale che non escluda la libertà economica. Questi non sono concetti che si possono trovare belli e pronti nell’armamentario socialista, cattolico o liberale del XX secolo. Si tratta di elaborarli.

  22. non sottovalutate le storie
    c’è ad esempio un bel punto di partenza, che è la fuga dei piselli:) preconizzata dalla fine del commento di liviobo. una fuga di piselli naturalmente in bici (stalker + inglese è già un inizio di ….critical mass, che, en passant, è pure passibile d’intrecci proibiti con pratiche ludico tattiche salutar narrative del tipo “sgonfia anche tu un suv” , sgonfiare le tette invece è un po’ più difficile ma chissà, forse in un giorno lontano, il mito soffocante della doppia y gigantesca tetta cosmicogeneratrice che sorride allattante anche dagli e(di)pici manifesti, crollerà, sotto il peso del tempo che altrove, sempre altrove, ineluttabilmente trascorre). Però quella dei piselli in bici dev’essere una fuga costituente come dice bene il comunista dandy quissopra, e se un nuovo inizio ha da essere che sia di fuoco di fiamme di lingue di baci e di carezze, e qui prenderei una parte del commento di binaghi che ha ragione: l’avvicinamento non si costruisce con una somma di storie, ma poi ha torto, ihmo sui principi costituenti, che son da pisello stanziale: delimitazione a ripetere del, sempre Medesimo, territorio:)

  23. @Dottor G. Baudo
    sei sicuro che i membri di NI siano “tolleranti” ?
    Io penso che tra loro si annidino numerosi sostenitori di quegli infami reati d’opinione che tengono in piedi la società multicriminale. Tieni presente che quando si decide di vietare un’opinione si sa dove si comincia, ma non si sa dove si finisce…

  24. Ho letto con un sorriso amaro il testo di Andrea Inglese. Il testo ha bella verità. Credo che il simbolo del fuoristrada rappresenta il mondo: grande macchina schiaccia i fragili della vita.

  25. il problema del voto, è che siamo talmente in caduta libera, che sarà impossiile segnare una croce sulla scheda, verrà fuori una linea lunghissima verso l’abisso…comunque io ci provo…ma sarebbe meglio ricominciare dandogli fuoco e fiamme, come dice la gina

  26. @ andrea inglese,
    sii sereno, la compulsione al voto è malattia curabile. Terapia consigliata:
    1) azzeri tutte le fumarole e le querelles mediatiche e ti vai a vedere come hanno votato i vari schieramenti europei nel corso dell’ultimna legislatura
    2) vai a leggere le analisi politiche della realtà socio-economica effettuate negli ultimi 10 anni dai vari schieramenti parlamentari (questa operazione ti richiederà pochi secondi)
    3) fai una carrellata a occhi chiusi di tutte le facce ghignanti-sorridenti stampate nei cartelloni dei candidati europei (per farli sorridere anziché l’uccellino il fotografo ha mostrato loro gli emolumenti di parlamentare europeo che finiranno nelle loro tasche)
    4) riguardati una ventina almeno di puntate della trasmissione televisiva Blob (questo per riallietare l’animo)
    e… guarirai

  27. una raccolta di figurine, falsi d’auto-re che vorrebbero sfilare in una raccolta… privata della scelta. Una colletta per il collezionista,servita magari nella valletta oscura del grande faccendiere!
    Un racconto… appuntato! Un appunto che fa il punto, una bella parola che tira di fioretto ma. C’è una gomma appiccicosa dall’altra parte, una silicon-tetta e non se ne vede neanche un …forellino dopo l’ago-puntura. Grazie perchè scrivere su questo argomento mette a terra, è una vera fatica cavare oro da una conca di mine vaganti.f

  28. scusate se sembro naive (anche se vivo all’estero e ho trent’anni), ma l'”augurio” della carlucci al giornalista, citato da binaghi piu’ su’, e’ semplicemente agghiacciante e la carlucci avrebbe il dovere morale, dopo aver detto una cosa del genere, di dimettersi all’istante da qualunque carica pubblica. (ok, dovere morale, si’, certo, come no!)
    io, poi, i dubbi amletici sul voto semplicemente li bypasso: niente voto per gli italiani da queste parti. che bella la democrazia della vicinanza: piu’ sei vicino a roma-milano e piu’ possibilita’ di votare hai!

  29. Sortire dalla logica
    infinita distesa di paradossi
    assorbo pensieri già versati
    gli strati collaudati della mente

    Asciugarsi di vento
    scolorire svanire
    le tue mani su di me
    non potranno portar via la polvere

    Aspetta
    un guizzo emozione minima un attimo
    mi è sembrato che ero vivo
    te lo voglio raccontare
    stanotte
    mentre dormendo
    capirai per poi dimenticare
    perché dimenticare
    è l’unico modo di capire

    I tuoi vestiti sulla sedia
    aspettano un altro
    giorno di indizi

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andrea inglese
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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia e storia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ora insegna in scuole d’architettura a Parigi e Versailles. Poesia Prove d’inconsistenza, in VI Quaderno italiano, Marcos y Marcos, 1998. Inventari, Zona 2001; finalista Premio Delfini 2001. La distrazione, Luca Sossella, 2008; premio Montano 2009. Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, Italic Pequod, 2013. La grande anitra, Oèdipus, 2013. Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016, collana Autoriale, Dot.Com Press, 2017. Il rumore è il messaggio, Diaforia, 2023. Prose Prati, in Prosa in prosa, volume collettivo, Le Lettere, 2009; Tic edizioni, 2020. Quando Kubrick inventò la fantascienza. 4 capricci su 2001, Camera Verde, 2011. Commiato da Andromeda, Valigie Rosse, 2011 (Premio Ciampi, 2011). I miei pezzi, in Ex.it Materiali fuori contesto, volume collettivo, La Colornese – Tielleci, 2013. Ollivud, Prufrock spa, 2018. Stralunati, Italo Svevo, 2022. Romanzi Parigi è un desiderio, Ponte Alle Grazie, 2016; finalista Premio Napoli 2017, Premio Bridge 2017. La vita adulta, Ponte Alle Grazie, 2021. Saggistica L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo, Dipartimento di Linguistica e Letterature comparate, Università di Cassino, 2003. La confusione è ancella della menzogna, edizione digitale, Quintadicopertina, 2012. La civiltà idiota. Saggi militanti, Valigie Rosse, 2018. Con Paolo Giovannetti ha curato il volume collettivo Teoria & poesia, Biblion, 2018. Traduzioni Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008, Metauro, 2009. È stato redattore delle riviste “Manocometa”, “Allegoria”, del sito GAMMM, della rivista e del sito “Alfabeta2”. È uno dei membri fondatori del blog Nazione Indiana e il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.
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