Biondo ferro

di Franz Krauspenhaar
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Alici, e spaghetti con le vongole, veraci. Soleado al cartoccio, mele d’ordinanza, scampate al diluvio universale. Il suo culo è una mela originaria. Filetti scoscesi di roccia, sorpassata da una spider, nel cucciolo cuore cremoso del pomeriggio addormentato. Mineralwasser. Un timballo di speranza di essere amati, una lasagna al forno nel caldo della passione sfrenata. L’accensione libidinosa delle trofie al pesto, la menta fredda nella gola come fosse uno scaricare l’orgasmo da lui a lei. Il sole che dà illusione ottica di solarità, Ostia nel caldo torrenziale, gli anni Sessanta in melamina, cupole di spaghetti al sugo controvento, in una sola folata, nel sudore di canottiere traforate, stavo guardando cent’anni dopo un film del ‘67, Colpo di sole. Bambini che ascoltano Luglio, e uno di questi sono io. La mamma mi deterge il sudore, dolce madre mia che guarda da sotto lo statuario mio padre, l’omone. Io biondo come il grano maturato, sorrido d’azzurro sulla pineta ammantata di cielo. Come un piccolo morto vago per le nuvole basse e tese in una versione stralunata della mia vita, un’alternativa di paradiso. Oso pensare alla sensibilità della pelle, scatola dei sentimenti e del profondo, incavato da inverni e primavere grigie e nere. L’ingegner Kunz ci porta sul motoscafo: mia madre, radiosa, aspetta in pancia mio fratello, io sono contro l’aria, mio padre ha i capelli scompigliati e muove il volante. Spaghetti all’arrabbiata, birra Spluegen, ne bevve quattro litri, salì sull’auto e guidò fino a casa come se niente fosse. Ora scrivo le memorie di un bambino. Spaghetti aglio olio e peperoncino, mille anni dopo, in una terrazza estiva, assieme a spinterogeni umani a cavaolio di cervella stantie, mugolano il piacere del normale, a rucola dessertati, spumanti volitivi, modaioli, crassi. Sono sopravvissuto a tutto questo. E poi a tragedie, e ad assedi del mio cuore. E a battaglie quasi perse in partenza. Ma io sono biondo ferro battuto e mai vinto.

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17 Commenti

  1. come già ti dissi lì (per intenderci “fb”), un bel pezzo d’infanzia e ricordi, di cui fai vivere odori e sapori in ogni parola intrisa di Calabria, affetti e sensazioni che si sovrappongono come immagini una sull’altra e dietro l’altra come fossero sequenze e spezzoni di vecchi filmati fissati su pellicola e nel tempo.
    come tu stesso suggerisci, ma già è chiaro a chi ti abbia letto, è come un prolungamento infinito di “Era mio padre”.
    grande Franz, sempre.

    p.s.: molto bella l’immagine della gita in motoscafo con tua madre, radiosa, “in attesa” …

    p.s.2: Franz è anche un grande poeta che non si prende troppo sul serio come poeta, eppure !!! … consiglio la lettura di “Come sono”.

  2. …e che sia poeta lo si sente dalla forza e dal ritmo di questo bel pezzo.
    Ha fatto bene ad omaggiare – altrove- Henry Miller (Era mio padre), ma ora lo dimentichi al più presto, cammini sulle sue gambe che sono forti e solide.

  3. Sembra anche a me, come dice Natàlia, il prolungamento di uno dei libri che ho amato di più nell’ultimo periodo, per la sua sincerità spietata e la sua profondità.
    Come quando nei cd trovi la bonus track, e ormai non te la aspettavi più.
    Una bella sorpresa.

    Francesco t.

  4. Bellissimo Franz, con la tua lingua poetica, dolce, cruda, cucinata;
    sempre tra la crepa interiore; il ricordo dei sensi, la risposta giusta,
    l’estiva crudeltà, l’erotica significazione della vita, la sensualità dolce, le due ombre girasoli ( il padre/ la madre), la lingua straniera, intima, il vigore, la parola raggiante, l’energia vitale.

    Una magnifica esplorazione della lingua
    poetica e vitale.

  5. Franz,benchè per motivi non del tutto chiari tu mi intimorisca un po,non posso fare a meno di dirti che hai cucinato un bel pezzo saltando le parole in padella e non scolandole come fanno molti

  6. Ogni volta che lo rileggo dice qualcosa di nuovo, come i vini di grande pregio e sfumature. Bello, Franz.

  7. non leggo rimandi, espliciti, al romanzo “Era mio Padre”, il sostrato biografico dello scrittore è noto, e suppongo attraverserà, più o meno fortemente, tutta la sua incandescente materia narrativa. e questo non deve essere la principale prospettiva di lettura del racconto. a mio avviso, questo scritto possiede vita propria: come un bozzetto, un affresco, in cui, però, i personaggi, una volta messi su tela, non restano fissi ma avanzano, ciechi, verso mete sconosciute. e non sarà la polarità evolutiva o involutiva a segnarne il risultato: ma lo spostamento. “Io biondo come il grano maturato, sorrido d’azzurro” — “Come un piccolo morto vago per le nuvole basse” — “Sono sopravvissuto” — “io sono biondo ferro battuto e mai vinto.” lo spostamento di un IO disarmato che ha trovato, sulla propria pelle, i punti cardinali, a lui, più conformi: le sue eclissi.

  8. Stile che colpisce fin dalle primissime parole, vedi le mele “scampate al diluvio universale”. Evocatività materica di spazio, paesaggio, corpi scolpiti come in un dipinto rinascimentale; ma tempo stesso un’aura spettrale, quella del ricordo ove anche i contorni più netti sfumano. Scultura sognante, insomma. E’ questo contrasto soprattutto che mi è piaciuto, oltre al lirismo del brano, davvero notevole. Complimenti.

  9. In una serata confusa e sfumata come questa, di emozioni e spirito traballanti, è pazzesco leggere un pezzo come il tuo, dove il tutto viene sentito con una passione decisa e nostalgica, ma proprio perchè nostalgica, anche più passionale, ed erotica, e sensuale…come solo il sentimento della malinconia e del ricordo a volte possono suscitare.
    Vedo come diapositive colorate da tinte intense le immagini di ciò che racconti, quasi si sentono gli odori, i profumi, i rumori, nonostante l’aspetto volutamente convulsivo e a tratti surreale della composizione linguistica.
    E poi….una chicca che mi ha colpito in particolare.”Gli anni sessanta in melamina”. Fantastica sintesi materica (stilistica??forse no…) di quegli anni.
    Un vero piacere leggerti.

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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