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Il Leone Zodiacale [Eracle #1]

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di Ginevra Bompiani

Quando Eracle affrontò la sua prima fatica era già stanco. E molte circostanze legate al Leone erano fonte di perplessità. Il Leone era un leone per tutto tranne che per la nascita e le abitudini. La sua nascita veniva dalla congiuntura di una madre e di un figlio di razze opposte: una serpe e un cane; abitualmente viveva in fondo a una caverna con una doppia uscita. Eracle bloccò una delle due uscite, chiudendosi così la tentazione alla rinuncia; poi impiegò parecchi giorni a percorrere il cunicolo profondo dove il Leone, che non poteva essere ucciso da altri che da lui, lo aspettava senza muovergli incontro. Come lo affrontò è un mistero che quell’oscurità e quella profondità coprirono. Ma fu una faccenda secondaria perché la vittoria era già scritta.

O piuttosto era già scritta la sua qualità d’eroe. Tanto è vero che all’ultimo uomo cui parlò prima di arrivare a Nemea, Eracle chiese di sacrificargli il trentesimo giorno un ariete come a un Eroe, se non fosse tornato. Ma se fosse tornato avrebbe sacrificato il Leone a Zeus, per suggellare il suo vassallaggio con la prima offerta.

La stanchezza di Eracle dopo l’uccisione non è perciò da attribuire tanto alla fatica, quanto ai suoi pensieri. E anzi, man mano che le fatiche si accalcarono dietro le sue spalle, queste divennero più leggere e la stanchezza si dissipò, come una notte che si avvicina all’alba perde peso. Eracle fu forse il solo in Grecia a non avere la vocazione ma il destino da Eroe.

Quel che dovette affrontare nel Leone Nemeo, continuò poi ad affrontarlo per tutta la vita. Di qui la sua precoce stanchezza. Il leone, infatti, che aveva l’aspetto di leone e la genealogia del mostro, portava già il carattere di tutte le sue battaglie: l’agguato soprannaturale teso dal consueto, il quotidiano. Eracle era un eroe voluto, sospinto dagli uomini, e guardato con pazienza dagli dei. Doveva battersi contro tutte le loro paure, in numero di dodici, – numero sacro, perciò illimitato, – annidate nel loro ambiente, intorno a loro.

Questo fu il segno che caratterizzò tutta la sua esistenza: dietro ogni gesto comune, ogni slancio umano, ogni animale da caccia, o da lavoro, o da traino, Eracle doveva snidare e uccidere il residuo divino, per ridare all’ovvio il suo volto antico.

E che tutto ciò fosse destino e non vocazione lo dimostra la sua morte: per meglio sorprenderlo si nascose in un dono amoroso, (il mantello che la moglie gli mandava per riaverlo caldo a sé) e lo uccise con la tenerezza. Quello fu l’ultimo inganno, a cui Eracle non sopravvisse, ma che fin dall’inizio aspettava perché egli per primo, come campione di una umanità credula, doveva sospettare la sacra malizia del profano.

Perciò Eracle impiegò trenta giorni non a uccidere il Leone, ma a scendere nella terra e poi a dormire nel suo fondo, come nella tomba. Non è detto se quel sonno fosse pesante, remoto o visitato da immagini; se figurasse la sua supina acquiescenza alla sorte che lo chiamava, o un estremo tentativo di sfuggirla. Comunque quello fu il suo primo, provvisorio, incontro con la morte.

La ripercorse molte volte in seguito. Ma quella prima volta fu la più amara perché gl’insegnava come tutte quelle diverse paure, nascoste nei cervi, nei cinghiali, nei tori e nei cani, fossero sempre la stessa, contro cui lui non poteva nulla se non ingannarla, una, due, dodici volte come si fa coi bambini che piangono nel buio accendendogli la luce per mostrargli che il buio non c’è, non esiste, o non è per loro. Sapendo bene che il buio c’è, esiste, ed è per loro anche se rimandato di poco.

Della consapevolezza di quanto fosse inutile ogni sua fatica era stanco Eracle. E quel segno in più dello Zodiaco non poteva che ricordargli, durante la sua prima pausa, che tutta questa era faccenda del destino, e non sua.

[Questo è il primo di tredici racconti sulle dodici fatiche di Eracle e resto. E per dare altri numeri Il Leone Zodiacale è incluso in una raccolta intitolata Le specie del sonno uscita nel millenovecentosettantacinque per i tipi di Franco Maria Ricci e riedita da Quodlibet nel millenovecentonovantotto. Nella prefazione Italo Calvino ha scritto Per i miti una prima volta non c’è mai stata; a ogni geroglifico si sovrappone la storia delle sue decifrazioni; è così che nel nostro confronto col mito, sia la sua immagine che la nostra immagine si moltiplicano come in una stanza foderata di specchi. E specchio sia, anche NI.]

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14 Commenti

  1. senza limiti è lo specchio NI, come inquietantemente senza limiti sono le stanze foderate di specchi. Ho sempre pensato che il destino di Eracle fosse inquietante, e anche triste.

  2. per anni, nella mia testa adolescente, ho attribuito a Eracle una delle osservazioni che la Yourcenar di Fuochi regala al suo Achille di Fuochi… Achille veniva qui a correre il rischio unico di essere altro da sè… e quando poi, anni dopo, ho letto questo racconto di Bompiani ho pensato che la mia testa li aveva avvicinati perché entrambi erano eroi ed erano stanchi. e questo. grazie sparz.

  3. ….e viene in mente come tutte le storie siano già state scritte, eppure ci sia un incessante bisogno umano di riscriverle, così da poter sentire nuovamente fluire il loro significato, che si aggira nel profondo del nostro animo. tutte le storie, quelle con la S maiuscola, tutte come la storia delle dodici fatiche di eracle…
    cosa pensate?

  4. (…) tutte le storie siano già state “ascoltate”, eppure ci sia un incessante bisogno umano di riascoltarle.
    effeffe

  5. Il mito è merce così preziosa e rara che si rovina ogni volta nell’attacco che gli muovono i nostri pensieri. Mi piace pensare che siano i frammenti rovinati di insegmenti sconosciuti, ma fondamentali( non certo utili o inutili). il racconto è breve e delizioso, e ha nell’andamento una sorta di ineluttabilità borgesiana.

  6. Splendido. C’è dentro tutta la perfezione e la profondità di una scrittura che è come un archetipo senza tempo, ed ha la capacità di trovare significati ulteriori. Fa venir voglia di leggere altro e ancora.

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