La Vie en Rose

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di
Francesca Bellino

La pratica dell’aborto selettivo tra indiani, cinesi e pakistani elimina milioni di bambine l’anno, secondo l’Onu. La tecnologia favorisce crudeli tradizioni si eliminazione sistematica: le ecografie sono un mercato prospero in India. Come si posiziona, in questo contesto, la libertà di scelta? Le opinioni di Matha Nussbaum, Amartya Sen, Remo Bodei e Roberto Esposito

Il tradizionale modo di dire diffuso in tutto il mondo “Auguri e figli maschi”, in India acquista un senso concreto e tragico che rispecchia uno dei paradossi più grandi incarnati oggi dal Paese. Lo sviluppo tecnologico e il miracolo economico non hanno cancellato valori culturali e usanze dell’antica tradizione tra cui quella di desiderare un figlio maschio, preferenza che rientra nella più ampia attitudine indiana delle discriminazioni di genere a danno delle donne. Nell’“Incredibile India”, nonostante dal 1994 viga una legge che proibisce la pratica degli aborti selettivi di feti femminili e consideri illegali le ecografie prenatali che permettono di conoscere il sesso del nascituro, si registra un aumento del fenomeno con cifre allarmanti che hanno causato uno squilibrio demografico tra maschi e femmine quasi superiore a quello cinese dove vige la “politica del figlio unico”. Negli ultimi vent’anni “le donne mancanti”, così definite dall’economista Amartya Sen, sono state oltre 20 milioni.

Ma se in passato molte bambine morivano nei primi anni di vita perché la famiglie, in particolare quelle più povere, concentravano lo scarso cibo sull’alimentazione dei figli maschi lasciando le piccole in denutrizione, in epoca moderna la causa maggiore della disuguaglianza di natalità è stata la diffusione dell’aborto, reso legale nel 1972 e facilitato dall’espansione delle innovazioni tecnologiche. Oggi addirittura nelle campagne rurali sono arrivati apparecchi portatili per le iconografie “fai-da-te” che agevolano le famiglie nel praticare il “feticidio femminile” appoggiate spesso da medici disposti a ignorare la legge, anche perché raramente viene comminata una pena ai trasgressori. In una serie di reportage mandati in onda della televisione indiana “Sahara Samay” sono stati presentati dati scioccanti: almeno cento medici, sia del settore pubblico sia privato, si sono dichiarati disposti a praticare aborti selettivi. “La tariffa media è di 44 euro, ma può crescere a seconda dell’avanzamento della gravidanza. Per i resti? Basta prendere un risciò e farsi portare al fiume” ha detto uno di loro. Questa attitudine dei medici indiani è confermata dai numeri delle vendite di apparecchi ecografici in India. In un’inchiesta del “Wall Street Journal”, V. Raja, responsabile del settore sanitario della General Electric per l’Asia meridionale, ha dichiarato che “la società vende 15 modelli diversi il cui costo varia dai 100 mila dollari (70.700 euro) per gli apparecchi più sofisticati a colori, ai 7.500 (5.300 euro) per quelli in bianco e nero, e che spesso vengono strette intese con le banche per aiutare i medici a finanziare l’acquisto di tali apparecchiature, specificando però non devono essere utilizzate per la determinazione del sesso degli embrioni”. I risultati di queste vendite sono: un giro d’affari di 77 milioni di dollari (54,5 milioni di euro) nel 2006, con un aumento del 10% rispetto all’anno precedente, e la circolazione in India di circa 16 milioni di apparecchi ecografici illegali venduti anche a persone prive di formazione medica. Il tema dell’aborto, dunque, smaschera le contraddizioni dell’India globalizzata e permette di aprire un dibattito sulla coesistenza nella legge indiana tra legalità dell’aborto in generale e illegalità di quello di feti femminili.

“L’aborto è praticabile legalmente quando la donna è gravemente malata e il proseguimento della gravidanza può essere pericoloso per lei e per il bambino e quando le cattive condizioni economiche in cui vive la donna le impediscono il regolare svolgimento della gravidanza e il mantenimento del figlio” spiega l’avvocato Prem Murti Shandiyla. Secondo un rapporto pubblicato l’anno scorso dall’Uniceff su “La condizione dell’infanzia nel mondo” in India si registrano ogni giorno 7 mila nascite femminili in meno rispetto alla media mondiale e le cause sono socio-economiche. Un figlio maschio è preferito perché perpetua il nome della famiglia ed è considerato “forza-lavoro”, soprattutto nelle campagne, mentre una donna con il matrimonio deve abbandonare la propria casa per diventare “proprietà” di un’altra famiglia ed considerata “un cattivo investimento” perchè richiede una dote elevata per conseguire un buon matrimonio. “E’ ormai evidente che il modello della disuguaglianza di genere in India si è spostata da quella nella mortalità a quella nella natalità – spiega Amartya Sen, Premio Nobel per l’Economia nel 1998 – ma peggio ancora, esistono prove evidenti che i sistemi tradizionali per combattere la disuguaglianza di genere come l’adozione di politiche per aumentare l’istruzione femminile e la partecipazione economica delle donne, non sono sufficienti a sradicare questa tendenza”. “L’incidenza degli aborti basati sul sesso inoltre – aggiunge Sen – non si può spiegare solo con la maggiore disponibilità di strumenti medici per accertare il sesso del feto: il Kerala e il Bengala Occidentale, che non sono stati deficitari, possono contare almeno sulle stesse strutture mediche di Stati deficitari come il Madhaya Pradesh, l’Haryana o il Rajastahan. Se in Kerala e in Bengala Occidentale il ricorso agli aborti basati sul sesso non è frequente, vuol dire che la domanda è bassa, non che esistono gravi ostacoli nell’offerta di questo particolare servizio. Il fenomeno, quindi, va al di là delle risorse economiche, della prosperità materiale e della crescita del Pil, ma affonda le radici nelle influenze culturali e sociali”. Il Premio Nobel che lega l’Economia all’Etica, per il quale lo sviluppo di un Paese si misura con il benessere delle persone e la giustizia sociale e non con il Pil, sottolinea che in India “prevalgono ancora valori maschilisti da cui le stesse madri possono non essere immuni. Per loro occorre, quindi, non solo la libertà di azione, ma anche quella di pensiero: libertà di mettere in discussione e analizzare le convinzioni ereditate e le priorità tradizionali”.

La filosofa Martha Nussbaum, docente di Legge ed Etica all’Università di Chicago, fa sua l’idea di Sen per il quale la libertà non è solo mancanza di coercizioni, ma anche messa in opera di risorse e apporti istituzionali tali da dare a tutti le stesse “capacità” (“quel che ciascuna persona può davvero essere e fare”), peculiarità che per Nussbaum corrisponde ai diritti. Nel suo libro “Giustizia sociale e dignità umana” la filosofa cita lo Human Development Report del 1999 redatto dal Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite che dichiara che nessun Paese tratta le donne bene quanto gli uomini e punta l’accento su come le minori opportunità date alle donne di vivere libere e godere dei propri diritti influisca sul loro benessere emotivo. Per Nussbaum, quindi, è “accettabile la posizione di essere contro l’aborto selettivo e a favore di quello in generale perché bisogna tener presente che il feticidio femminile è una conseguenza della discriminazione di genere ed è quindi l’espressione di una disuguaglianza. Scegliere di abortire in generale, invece, ha a che fare con la libertà della donna di pianificare il corso della sua vita e di conseguenza è un aspetto legato all’uguaglianza di genere. Se si considera che la tutela della libertà di scelta non richiede soltanto la difesa formale delle libertà fondamentali, ma anche dei presupposti materiali per metterle in pratica, è naturale che se una donna scopre di essere incinta di una femmina e sa che vivrebbe male o potrebbe morire di fame perché non ha i soldi per prendesi cura della figlia e darle una dote, potrà provare il desiderio di non trovarsi in questa situazione e sceglierà di abortire”.

Il filosofo italiano Remo Bodei analizza, invece, il fenomeno dell’aborto selettivo all’interno del più ampio tema dello sviluppo delle biotecnologie e del mutamento dei parametri tradizionali dell’esistenza. “Quel che appariva legato alle dure e imperscrutabili necessità del mondo si trasforma in oggetto di scelta, in un “antidestino” scrive in “Una scintilla di fuoco”. Sul tema delle “donne mancanti” concorda con Nussbaum: “si può essere in favore dell’aborto per gravi ragioni ed essere contro la selezione basata sul sesso, sia perchè tale discriminazione è semplicemente odiosa, sia perchè altera la cosiddetta “sex ratio”, per cui nascono 105 maschi su 100 femmine in modo che a venticinque anni d’età siano 100 a 100, poi il numero dei maschi diminuisce e muoiono in media circa sei anni prima delle donne, e provoca squilibri nella popolazione”. “Ricordo – aggiunge Bodei – che anni fa, in Inghilterra, si concesse alle donne indiane e pachistane di abortire oltre il terzo mese. I risultati furono che su seimila feti, la quasi totalità erano di sesso femminile e gli altri, si potrebbe malignamente aggiungere, erano il risultato di una cattiva lettura dell’ecografia”.

Della stessa opinione è Rita Bernardini, segretaria del Partito Radicale in Italia, fazione politica che dagli Anni 70 ha combattuto l’aborto clandestino ed è stata fautrice dell’attuale regolamentazione della cessazione di gravidanza. “E’ vero che l’India è una democrazia e vive un periodo di grande vitalità, ma fin quando la donna sarà sottomessa e vittima di disuguaglianze, fenomeni come l’aborto selettivo continueranno a verificarsi, ed è atroce. La strada per superare il problema può essere quella di dare voce a queste donne. L’aborto è sempre un dramma, ma se molte lo scelgono sono da comprendere per le forti discriminazioni che subiscono, la presenza di una cultura tradizionalista ancora forte e le difficili condizioni in cui spesso sono costrette a vivere. Basta pensare che in India 700 milioni di persone non hanno neanche accesso ai servizi igienici”. Per il filosofo italiano Roberto Esposito “il feticidio femminile rientra nella pratica “tanatopolitica”, di politica della morte, che ha toccato il suo apice mortifero nel nazismo, ma che si riproduce in tutti i casi in cui l’aborto diventa collettivo, ossia viene esteso a gruppi umani in base a questioni di razza, di genere, o a convenienze economiche e demografiche”. “L’aborto (tema che ha trattato nel libro “Bios. Biopolitica e filosofia”, Einaudi, tradotto in Argentina da Amorrortu) – aggiunge – è sempre un atto doloroso, ma quando assume un carattere di massa diventa una forma di steriminio legalizzato da parte dello Stato. Che ciò sia stato vietato in India costituisce un indice importante della svolta democratica di questo Paese e un’indicazione positiva per tutta l’area geopolitica asiatica”. “Per una donna indiana non è facile scegliere di abortire: è come rifiutare un dono prezioso”. Lo sottolinea la dottoressa indiana Nancy Myladoor. “Per cultura – dice – In India ogni donna sogna una famiglia e dei bambini. Molte di loro, infatti, per sfuggire all’ignoranza e al maschilismo decidono di tenere il loro bambino anche senza il supporto della famiglia e del marito. Per aiutarle nel momento in cui vengono rifiutate dalla famiglia e dalla società sono nati nel Paese molti orfanotrofi e centri di accoglienza. Dal ’97 io, insieme a mio marito Thomas, ne gestiamo uno a Thodupuzha in Kerala dove attualmente ospitiamo 50 mamme e 180 bambini, dando loro un tetto dove vivere e la possibilità di imparare un mestiere che le rende autosufficienti nel momento in cui decideranno di andar via”.

Sono tante anche le iniziative nel Paese per reagire al problema dello squilibrio delle nascite e per sensibilizzare e incentivare le donne a non scegliere la strada del feticidio femminile. La città di New Delhi ha lanciato il “Girl Child Protection Scheme”, un piano per la protezione delle bambine che consiste nell’offerta di 5 mila rupie (100 euro) per ogni bambina che nasce. La somma viene depositata su un libretto di risparmio, vincolato in banca fino al compimento del 18esimo anno. La ragazza potrà rilevare la sua dote, compresa di interessi maturati nel tempo, a patto che abbia frequentato la scuola fino alla maggiore età. Lo Stato settentrionale del Punjab, invece, offre ogni anno un premio di 5 mila euro al villaggio agricolo che avrà la più alta percentuale di bambine fra i neonati. Il Governo indiano, insieme al Plan International, ha addirittura prodotto una soap-opera sul tema. Si intitola “Nata dall’anima” e narra la storia di una madre impossibilitata a scegliere per sé, costretta dalla famiglia del marito a un parto cesareo prematuro per liberarsi del feto indesiderato. Situazione ancora troppo ricorrente in India nonostante la legge lo vieti!

pubblicato su “N”, inserto culturale del “CLARIN” (quotidiano di Buenos Aires) e tradotto dall’autrice per NI.

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13 Commenti

  1. Mia figlia adottiva indiana fu abbandonata in un convento di suore. Fortunatamente gli indiani non sono tutti macellai. Naturalmente, non basta.

  2. le donne mancate, le proteste abortite, le rivoluzioni retroattive, le nascite selezionate a partire da quarantaquattro euro. mi viene voglia di desiderare una bambina e di vestirla di rosa. altro che questioni di genere neutro.
    chi

  3. Un ringrazio immenso a effeffe che pubblica un articolo rilevante e che mi tocca molto. India tra modernismo e tradizione. Come fare per cambiare la manera di considerare le donne? Essere nata bambina, come offrire un mondo a questa bambina, una vita? La scuola è la sola manera di cambiare la mentalità, di fare un posto al genio femminile.

    L’immagine è magnifica, dolce e crudele.
    La dolcezza del fiocco rosa è ammazzata con il bucco nella pancia della cicogna. Le bambine sono inghiottite dal vuoto. Sesso femminile tornato all’invisibile, al niente.

    Come Chi mi viene la voglia di proteggere la bambina nata, di accoglierla nelle mie braccia, di dare una rosa per celebrare la sua nascita.

  4. Pezzo tristissimo…

    Se si accetta che l’aborto come diritto, qual’e’ il passaggio mentale che impedisce di accettare l’aborto selettivo?, tra l’altro e’ ampiamente accettato quando a volere un aborto selettivo e’ una ricca famiglia occidentale che desidera un maschio invece che una femmina grazie all’inseminazione assistita. Quotidianamente centinaia di embrioni o feti vengono soppressi in nome della selezione. Come mai il concetto di autodeterminazione non e’ applicabile anche in India?

  5. @ Ares
    ma cosa sta dicendo???? si rende conto che non è proprio facile e senza conseguenze scegliere di non far nascere un embrione che è già nella propria pancia? Come può semplificare in questo modo assurdo una tale dolorosissima scelta? Il passaggio mentale è dato dalla scelta direi impossibile in modo futile, scelta dolorosissima è. E delle volte è da adulti sceglierla e avere il diritto di sceglierla senza anche l’accumulo di rischio che la clandestinità comporta.

  6. Eh si, si faticosamente ma ci arrivo anch’io a capirlo.. non si scandalizzi sono provocatorio per indole.. sto’ cercando di migliorare ma e’ difficile raggiungere un certo equilibrio in questi anni di merda..

    .. Si, pero’ com’e’ che non si parla della selezione embrionale che viene quotidianamente fatta in occidente, per le stesse ragioni “culturali”?

    .. va bè non stia li a rispondermi.. .

  7. L’aborto non selettivo in molti casi è casualmente selettivo se si parte dal presupposto che una donna ha il diritto di abortire. Ma quando una donna ha un rapporto sessuale senza uso dei contraccettivi non sa forse, non sceglie forse la possibilità di rimanere incinta? Bisognerebbe insegnare, se si può la responsabilità senza la quale la libertà è un feticcio. Altro discorso è il caso delle violenze sessuali, delle gravidanze assolutamente forzate, per cui la scelta di abortire mi sembra sacrosanta e comprensibile.

  8. @ Ares

    per selezione embrionale intende l’accertare che quell’embrione non abbia malattie gravi? Perché se è quello non lo trovo scandaloso in alcun modo, essendo poi assolutamente convinta che ogni vita abbia il diritto e la dignità di essere riconosciuta come tale, ma capisco il voler evitare se si può sapere prima di condizioni difficilissime o addirittura aberranti (per certe malattie si può abortire in stato avanzato e lo si fa ed è aggiungere dolore al dolore in modo gratuito e irrispettoso).

    @ luminamenti

    credo tutte le politiche di riconoscimento del diritto all’aborto legale hanno portato a una diminuzione degli stessi. Certo chje vanno fatte delle politiche di maggior consapevolezza contraccettiva (e credo anche prorpio socialmente incentivare l’uso del profilattico come assoluta necessità a nche cautelativa e responsabile della tutela della prorpia vita e credo che su questo andrebbe fatto un lavoro soprattutto sul genere maschile che a quanto ne so è ancora fortemente refrattario e contrario) Come diceva in una intervista Rodotà non è una questione di bene o male ma di male minore e delle volte abortire lo è, rimanendo sempre indiscutibilmente un male. Lo si può accompagnare e regolarizzare e rnderlo meno traumatico e frequente o si può continuare a dire assassine alle donne che lo praticano (ma mai agli uomini che ne sono concausa) e pensare che delle volte ci sono spiegazioni che lei o altri non capiranno e che sono sufficienti per la valutazione (che viene fatta nel caso della 194, non si va solo con appuntamento) per eseguire un IVG (interruzione volontaria di gravidanza).

  9. Le politiche di promozione dell’aborto legale, nonostante la chiassosità che in rapporto avrebbero dovuto ottenere molto di più, non hanno ridotto da sole il numero degli aborti, tantomeno quelli clandestini.
    Quel che molto ha fatto è un maggior benessere economico del paese dal dopoguerra in poi, la comparsa sul mercato della pillola, e in ultimo un uso più diffuso( ma mai abbastanza) del preservativo.

    Se oggi vi sono adolescenti che non usano il preservativo, è la dimostrazione che quelle politiche sono servite a poco: ottenuta la legge si doveva proseguire nei lavori e invece ci si è accontentati di una legge che attualmente, pergiunta, è mal applicata.
    Non stupiamoci poi che vi sia qualche scellerato che vuole metterla in discussione.

    @No, non mi riferivo alla selezione embrionale per accertare che quell’embrione non abbia malattie gravi. Pertroppo in Italia, e non solo, le tecniche per la gravidanza assistita prevedono l’impianto di piu’ embrioni per sperare che almeno uno di essi si radichi all’interno dell’utero materno, per questo motivo sono inevitabili, in molti casi, le gestazioni plurigemellari, ed è prassi medica sopprimere selettivamente i feti non desiderati. La pratica abortiva in questi casi e’ ampiamente documentata ma non contabilizzata nel calcolo degli aborti legalmente riconosciuti. Quando la prima volta ho sentito alla radio(radio 24) questo medico, del quale purtroppo non ricordo il nome, che in diffusione nazionale descriveva con minuzia di particolari questa pratica, mi e’ venuta la pelle d’oca. In questi centri è prassi decidere di sopprimere il feto del sesso non desiderato.. non e’ difficile intuirlo.. ed è ampiamente ammesso.

    Altro che India..

    *I miei refusi non li conto: srivo durante la mia attività lavorativa – invece di fare la pausa caffè – perdonate se non rileggo e correggo.

  10. @ Ares
    una cosa che ormai trovo consueta è che la mancanza di diritti civilmente riconosciuti senza doversi sempre scontrare con parole come assassini o lo scontro che diventa sempre primitivamente uno scontro tra bene e male porti a non poi discutere nella complessità quei diritti che ancora si fatica a vedere non a rischio di sopravvivenza. In questo senso trovo interessanti le cose che dici a proposito delle modalità di procreazione, a quella che secondo me è anche una arretratezza culturale di non discutere del senso di una vita di una donna che potrebbe non procreare ( e che potrebbe essere completa anche con questo limite senza dover per forza che le venga richiesto dalla società di essere madre anhce fisicamente per esserlo ed essere donna completa,p.e.). Intendo dire che non c’è la possibilità spesso di poi discutere e affrontare il tema con le sfumature e le scelte e i limiti delle scelte stesse perfezionandole e arricchendole. Ma siamo un paese in cui si discute dei diritti dei gay, delle lesbiche, delle donne, (interessantissimo in questo senso l’intervista a Franco Buffon nel post Gran Torino) e non dei diritti delle persone.

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francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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