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Sopra la mole pt. 1

falce_e_martello

di Dario Borso

I. Su Rinascita di dicembre 1956, dopo un’ampia cronaca dell’VIII Congresso nazionale del PCI che s’era chiuso a Roma il 14 del mese, comparve corsivato, su singola colonna e senza nota di accompagnamento, il seguente testo:

LA SCIMMIA GIACOBINA

La scimmia giacobina è l’ultimo prodotto delle differenziazioni che si stanno determinando nella mandria di bruti che riempie delle sue strida i mercati italiani. Differenziazione meccanica. La scimmia non ha anima; la sua vita è susseguirsi di gesti; i gesti sono diventati frenetici; ecco la differenziazione.

La vita italiana politica è stata sempre piú o meno in balia dei piccoli borghesi; mezze figure, mezzo letterati, mezzo uomini; il gesto è tutto in loro. Concepiscono la vita librescamente. Sono imbevuti di letteratura da bancherella. Non concepiscono la complessità delle leggi naturali e spirituali che regolano la storia. La storia è per loro uno schema. E lo schema è quello della Rivoluzione francese. Ma non della Rivoluzione francese che ha profondamente trasformato la Francia, e il mondo, che si è affermata nelle folle, che ha scosso e portato alla luce strati profondi di umanità sommersa, ma la Rivoluzione francese superficiale, che appare nei romanzi e nei libri di Michelet, i cui attori sono avvocati rabbiosi ed energumeni sanguinari. Questa superficie l’hanno presa per sostanza, il gesto di un individuo l’hanno preso per l’anima di un popolo. Ripetono il gesto, credono con ciò di riprodurre un fenomeno. Sono scimmie credono di essere uomini.

Non hanno il senso dell’universalità della legge, perciò sono scimmie. Non hanno una vita morale. Operano mossi da fini immediati, particolarissimi. Per raggiungerne uno solo, sacrificano tutto, la verità, la giustizia, le leggi piú profonde e piú intangibili dell’umanità. Per distruggere un avversario sacrificherebbero tutte le garanzie di difesa di tutti i cittadini, le loro stesse garanzie di difesa. Concepiscono la giustizia come una comare in collera col forcone brandito. La verità è una donna da marciapiede della quale si sono autonominati gargagnan. L’umanità è solo composta da chi la pensa come loro, cioè da chi non pensa affatto, ma sacrifica al dio di tutte le scimmie.

Sono italiani, in un certo senso. Sono gli ultimi relitti di una italianità decrepita, uscita dalle sette, dalle logge, dalle vendite di carbone. Una italianità piccina, pidocchiosa, che contrappone alla autorità dispotica dei principotti una nuova autorità demagogica non meno bestiale e deprimente. Sono i relitti di quella italianità che ha dato prefetti e questurini al giolittismo, e ora vuole imporsi con altri prefetti e altri questurini.

La loro affermazione ultima, questo loro esagitarsi goffamente è utile in fondo. Gli italiani nuovi, che si sono fondati una coscienza e un carattere in questo sanguinoso dramma della guerra, sentiranno maggiormente la loro personalità in confronto di queste scimmie. Le scimmie giacobine sono utili per questo: che gli uomini vorranno essere piú uomini, per differenziarsene per non essere confusi coi gaglioffi, che hanno un nido di scarafaggi per cervello e una stinta fotografia di Marat per anima.

Antonio Gramsci (dall’Avanti! di Torino, 22 ottobre 1917)

A essere precisi, il testo viene dalla rubrica fissa Sotto la Mole, che Gramsci teneva sul quotidiano del PSI (pagina torinese). E comunque, il guaio è che in Rinascita esso è funestato da vari refusi, di cui uno micidiale poiché obnubila interamente il senso. A “La verità è una donna da marciapiede della quale si sono autonominati gargagnan” corrisponde infatti sull’Avanti!: “La verità è una donna da marciapiede della quale si sono autonominati i d’Artagnan”.

Di chi la colpa? Dell’ultimo revisore parrebbe, che poi del mensile era anche fondatore e direttore. Sentiamo il suo medico personale: “Era di uno scrupolo straordinario: curava ogni articolo fino alle virgole, amava la sua rivista e la leggeva e rileggeva tutta, prima che venisse stampata. A Rinascita Togliatti dava un compito ben preciso, voleva che fosse uno strumento nuovo, di apertura delle idee e pochi altri suoi impegni considerò così importanti come quello di fare di questa rivista uno strumento di orientamento per un movimento marxista che andasse al di là del Partito e delle sue organizzazioni, per abbracciare un movimento di democrazia e di progresso ben più vasto. Togliatti condizionò molto con la sua personalità l’intera impostazione della rivista: non si limitava  a scrivere articoli, ma curava personalmente i riquadri con le citazioni, curava la rubrica A ciascuno il suo, rispondeva alle lettere, siglava recensioni. Rinascita è diventata così l’incarnazione di uno stile, di un metodo giornalistico; saper collocare il fatto del giorno in una particolare prospettiva storica, la battaglia delle idee nella lotta politica e di classe, sempre con grande rigore nelle analisi, senza superficialità od omissioni propagandistiche. […] Neppure nei periodi di vacanza Togliatti smetteva di interessarsi al Partito e a Rinascita. Veniva a raggiungerlo sempre Marcella Ferrara[1] con l’impaginazione […]. Togliatti era gelosissimo di Rinascita, quasi teneva più a Rinascita che all’Unità. Controllava la rivista accuratamente, pagina per pagina: quando arrivavano i compagni con le bozze, si metteva subito al lavoro, controllava, correggeva, tagliava e per quel giorno la passeggiata non si faceva. Alla fine di tanto lavoro, quasi soffriva di non poter subito vedere quel numero della rivista già stampato”[2].

Ma… una lettera recentemente riesumata dalle Carte Togliatti depositate alla Fondazione Gramsci ribalta la faccenda. È del 25 marzo 1957, indirizzata a Giuseppe Berti, il quale a metà 1955 era stato chiamato a sostituire il defunto Felice Platone come curatore delle opere di Gramsci in via di pubblicazione presso Einaudi: “Caro Berti, ti restituisco la collezione di scritti per il nuovo volume di Gramsci. Chiedo grande scusa per il ritardo, dovuto a troppe cose, e troppo note. Il lavoro è tecnicamente fatto malissimo. Chi ha fatto le copie a macchina non dovrebbe essere retribuito, perché in realtà non ha lavorato. Le copie di scritti di tale natura, difficilissimi a trovarsi, dovrebbero essere fatte con uno scrupolo e una precisione totali […]. Queste copie sono invece fatte a c… di cane. Infiniti gli errori, moltissimi i punti incomprensibili, e non si sa se sono dovuti a lacune del testo, a sviste o ad altro. Una vera pena. Purtroppo, si rende necessario che una persona seria, ma dico davvero una persona seria, riveda tutto sugli originali”[3].

Il “nuovo volume di Gramsci”, stante la mole, verrà sdoppiato da Einaudi in: Scritti giovanili (1912-1918), che uscirà nel 1958, e Sotto la Mole (1916-1920), che uscirà nel 1960. Quest’ultimo comprende appunto La scimmia giacobina, di cui a fine 1956 Togliatti visiona dunque la copia taroccata. Davanti a “gargagnan” avrà sbottato: Chesaramai?, e pur di pubblicarla subito su Rinascita, ingoiò il rospo. Ma perché?

II. Marcello Flores e Nicola Gallerano, introducendo Sul PCI. Un’interpretazione storica (Il Mulino, Bologna 1992 – quanto di meglio la storiografia recente ha saputo offrire), affermano: “Non si vuole certamente negare l’importanza che l’utilizzo del patrimonio gramsciano ha avuto nella costruzione della cultura politica del Pci postbellico grazie, in primo luogo, allo stesso Togliatti. Ma si deve pure sottolineare che si trattò appunto di un ‘uso’, e che l’elaborazione di Gramsci venne aggiornata e piegata a supporto della strategia disegnata da Togliatti”.

L’indicazione è valida se riferita a due fasi ben definite: quella dal 1948 al 1951, che vide Togliatti in veste di editore dei gramsciani Quaderni dal carcere, e quella concentrata nel biennio 1957-58, quando Togliatti delineò la sua interpretazione di Gramsci sovrapponendola alla pubblicazione in corso degli scritti precomunisti dello stesso. Decisivo in questo senso è il numero di aprile 1957 di Rinascita, dove alla relazione tenuta il 17 aprile 1957 al Comitato Centrale del Pci, titolata per l’occasione Attualità del pensiero e dell’azione di Gramsci, Togliatti faceva seguire dieci articoli giovanili inediti di Gramsci[4]. Qui appunto è evidente l”uso’ di Gramsci “a supporto della strategia” togliattiana, e su esso dovremo tornare.

Ma che dire dell’inserzione a freddo e senza spiega de La scimmia giacobina sul numero di dicembre 1956 di Rinascita? Non si dovrà parlare al massimo di ‘uso’ “a supporto della tattica”? E se in più Togliatti avesse ignorato cosa stava maneggiando, si tratterebbe ancora di ‘uso’ o non piuttosto di abuso?

Nella silloge Sotto la mole, uscita nel 1960 con la supervisione di Togliatti, all’articolo in questione manca ogni nota esplicativa. Allorché esso uscì sull’Avanti!, il 22 ottobre 1917, Togliatti non era a Torino: partito volontario in guerra nel 1915, sarebbe tornato solo alla fine del 1918[5]. Assenti erano anche gli amici di Gramsci Umberto Terracini, Angelo Tasca e Ottavio Pastore, tutt’e tre richiamati alle armi, inabili quindi a chiarire alcunché a Togliatti nel 1956; e in carcere le intere redazioni dell’Avanti! e del Grido del popolo, accusate di sobillazione nei tumulti torinesi dell’agosto precedente. Gramsci era insomma assolutamente solo.

Né quasi quarant’anni dopo Togliatti poté esaminare il contesto in cui stava collocato l’articolo, poiché, come emerso dalla lettera a Giuseppe Berti del 25 marzo 1957, i numeri dell’Avanti! torinese a Roma erano introvabili[6]. Insomma, Togliatti ne sapeva all’incirca quanto noi – o quanto voi, poich’io ho cercato, e qualcosa ho trovato, a cominciare dal titolo.

Grazie a Galante Garrone[7], si sa che il lemma “scimmia giacobina” nel primo anteguerra era entrato nel lessico della propaganda nazionalista, accessibile dunque al giovane Gramsci forse più della sua origine, la quale risaliva a un articolo di Giuseppe Antonio Borghese apparso a metà 1904 sul neonato settimanale Il Regno[8]. Eccone i passi fondamentali:

IL CADAVERE DI BABEUF

Questo è il grido italiano d’oggi: viva l’Ottantanove! Poi, come varie son le opinioni, v’è chi giunge ad acclamare il Novantuno, v’è chi con maggior baldanza grida osanna nel cuor suo al glorioso Novantatre […]. Ci diverte la pantomima; e sia pure continuata. Da più di un secolo la democrazia italiana fa la scimmia alla Rivoluzione francese. […] Il nostro popolo ama gli spettacoli; come volete che dimentichi la Rivoluzione francese, lo spettacolo più fantastico, più variato, la commedia più commovente che la storia abbia offerta agli uomini? La mannaia di Termidoro non uccise Robespierre solamente, l’amico delle rose e del sangue; uccise anche Saint-Just, uccise la sinistra di Robespierre, il partito che già vagheggiava la creazione del comunismo e la morte del capitale. Ripullulò nell’ombra, ma l’infame Direttorio spezzò la volontà di Babeuf, il Marat dell’avvenire.

Non importa; nulla muore: la materia si corrompe, e, nel corrompersi, crea. Dal cadavere di Babeuf, germogliarono i comunisti. Uno dei primi – gloria a noi – fu un italiiano, ed aveva un grande nome: si chiamava Filippo Buonarroti. Poi divennero legioni; dilagarono per la Francia. La Germania non diede al comunismo che una vernice scientifica; esso, nella sua essenza, non è germanico, è francese; non è teorico, è sentimentale.

I socialisti sono i vermi del cadavere di Babeuf. E credon d’essere gli uomini nuovi; credon di dire la parola di domani. Ma qual è il loro gesto, qual è la loro volontà? Sono i superstiti di Termidoro; sono i fuggiaschi di Vendemmiaio. La nostalgia della barricata e dell’urlo li punge, e perciò tollerano a denti stretti la marcia reale pur d’ascoltare la Marsigliese. Tutti, socialisti e non socialisti; ché da noi anche i borghesi – quante volte s’è ripetuto! – son socialisti moderati, riformisti, turatiani […]. Questa è l’unica religione dell’Italia contemporanea, questa è l’unica sua Chiesa. V’è chi preferisce un santo e chi un altro. V’è chi adora Mirabeau, chi si spinge a Condorcet, chi prosegue a Desmoulins, chi alle reliquie di Babeuf. Ma nel dogma son concordi. E concordi sono nel rito: la pantomima storica. […] Son truccati a meraviglia, ed agiscono al naturale. Si scindono prima d’essere arrivati al potere e fan la reazione prima d’aver tentato la rivoluzione. Lo spettacolo è assai bene organizzato; dura già da qualche lustro, ma non è ancora molto per una commedia storica. Finirà, a suo tempo; quando gli spettatori saranno stanchi. Non ci saranno né cannonate, né colpi di stato. Ci sarà… una calata di sipario. Sarebbe un po’ troppo, per finale di commedia, il 18 di brumaio.


[1] Redattrice all’epoca, e mamma di G. Tusaichi.

[2] M. Spallone, Vent’anni con Togliatti, Teti ed., Roma 1976, pp. 155-6. A conferma, cfr. P. Spriano, Le passioni di un decennio. 1946-1956, Garzanti, Milano 1986, p. 67. Sul clima che si respirava, cfr. l’allora caporedattore di Rinascita (e papà di P. Nonsisa) R. Mieli, Deserto rosso. Un decennio da comunista, Il Mulino, Bologna 1996, passim.

[3] Cfr. C. Daniele (a cura di), Togliatti editore di Gramsci, Carocci, Roma 2005, p. 69.

[4] Bisserà poi l’11 gennaio 1958 al convegno romano su Gramsci con la relazione Il leninismo nel pensiero e nell’azione di Antonio Gramsci, riportata in Aa.Vv., Studi gramsciani, Editori Riuniti, Roma 1958, pp. 112-143.

[5] Godé di rare licenze, e secondo Ernesto Ragionieri (cfr. Introduzione a P. Togliatti, Opere, vol. I, Editori Riuniti, Roma 1967, p. xxxiv) durante una di queste avrebbe consegnato a Gramsci l’articolo Lotta economica e guerra per il numero speciale sul liberismo del 20 ottobre 1917 del Grido del popolo, contenente testi del liberale Umberto Cosmo e del riformista Ugo Guido Mondolfo (Togliatti stesso si sarebbe iscritto al PSI nel 1919). Ma io penso che l’abbia solo spedito: fosse stato presente allora, non avrebbe mancato infatti poi nel 1958 di assegnare a Gramsci l’articolo anonimo di apertura di quel numero speciale e d’inserirlo dunque negli Scritti giovanili.

[6] Pressoché tutti gli articoli del periodo erano anonimi: dal 20 luglio 1917, giorno di Abbruciamenti, al 3 novembre 1917, giorno di Guadagni di guerra, su settantuno articoli assegnati a Gramsci da Sergio Caprioglio in A. Gramsci, La città futura (Einaudi, Torino 1982), solo diciassette erano stati raccolti da Togliatti, compreso La scimmia giacobina.

[7] Cfr. F. Galante Garrone, I radicali in Italia (1849-1925), Garzanti, Milano1973, p. 248 ss.

[8] Fondato l’anno prima da Enrico Corradini, venne affiancato tosto da Hermes, rivista diretta dal Corradini e dal Borgese stessi e recante a clausola del manifesto programmtatico: “Siamo discepoli del D’Annunzio […]. Ma se dannunziano significa scimmia del D’Annunzio, disprezziamo l’ingiuria e passiamo oltre”.

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43 Commenti

  1. “Togliatti visiona dunque la copia taroccata. Davanti a “gargagnan” avrà sbottato: Chesaramai?, e pur di pubblicarla subito su Rinascita, ingoiò il rospo. Ma perché?”

    Forse perché, al di là dell’uso e dell’abuso, ( e fin qui ci arrivo) punti molto su questo refuso. Tu hai capito subito che era D’Artagnan, e anch’io ho capito subito (ho pensato a un refuso tuo, sulle prime) e poi ho solo pensato che il correttore fosse un tipo ipercorrettivo, il cui occhio-cervello corregge i refusi in automatico e perciò non li vede.
    E così penso anche gli altri lettori, I tre moschettieri erano un libro popolare.
    Vedi un’intenzione? e cosa ne avrebbe guadagnato?
    Punti su questo per sottolineare la sciatteria dovuta all’uso e abuso?
    Magari al bersaglio si arriva, ma la freccetta fa molte giravoltole, prima.

  2. mettiamo che sia un thriller (ci vorrebbe il morto, ma non è detto…). sarai d’accordo con me (e con uomini che odiano le donne) che più l’indizio è piccolo e meglio è. tu però banalizzi l’indizio: lo capiscono tutti che è D’Artagnan (il testo giusto, pubblicato da Einaudi, scrive *d’Artagnan*), Togliatti compreso. Ma qui c’è un vizio logico. Se Togliatti avesse capito, avrebbe maledetto il trascrittore e subito corretto il gargagnan. Invece non ha capito, come del resto non ho capito io – ché certo, I 3 moschettieri erano popolari (un feuilleton appunto, uscito a puntate su “Le siècle”), ma che c’entra D’Artagnan con la donna da marciapiede?

  3. Sull’indizio che più piccolo è meglio è sono d’accordo.

    Ma in questo caso Togliatti potrebbe essere stato ipercorrettivo, proprio perché d’Artagnan era patrimonio comune, anche di chi I tre moschettieri non lo aveva letto. L’occhio dell’ipercorrettivo vede l’errore e lo corregge mentalmente prima che arrivi alla consapevolezza. Sono pessimi correttori di bozze.

    E’ vero però che la donna da marciapiede non c’entra con d’Artagnan. A meno di non fare una giravoltola esagerata sulla verità umiliata o la donna da marciapiede come vittima sociale. Boh, non saprei.

  4. Però questo fa saltare tutta la tua analisi, anche il correttore dell’Avanti aveva letto troppi romanzi popolari stranieri e conosceva poco la vita vera.
    C’è poco da fare è sempre il Migliore:-)

  5. evvai!

    http://docs.google.com/gview?a=v&q=cache:DkK-ZpYwVWQJ:www.priulieverlucca.it/Libri/14/547/Immagini/1301.pdf+gargagnan&hl=it

    una differenza tra l’editoria italiana e la cinese è che qui prima fanno i libri e poi li buttano parzialmente in rete, lì il contrario. il vantaggio nel secondo caso è che i libri escono più giusti, grazie ai blog.
    Però, c’è un però: allo stato attuale non so cosa ci sia scritto veramente sull’Avanti! del 22.10.1917. Ho invece davanti la raccolta “Sotto la mole”, Einaudi 1960 che mi dà *i d’Artagnan*. È curata da Togliatti, e se lui davvero è il Migliore… (entro sera lo saprò).

  6. Canzone ancipite (= vale anche per Belpoliti)

    Quand Milan l’era Milan,
    Milanin pastrugnin,
    col moletta e l’ortolan,
    scigollin, patanin,
    l’offellee col ciappacan,
    sciabalin, patuscin,
    che bellissima Milan!
    Quand Milan l’era Milan
    gh’era sì on quaj maraman.
    Gh’era el gratta e l’imbrojon,
    el ligera e el gargagnan,
    ma eren tutti de Milan!

  7. L’ipotesi più plausibile sembra, anche a me, quella di un’azione ingiustificata del correttore dell’Avanti, ché d’Artagnan non c’azzecca, mentre c’azzecca il gargagnan.

  8. Quel che comunque non capisco è cosa c’entrino eventualmente i d’Artagnan con le donne da marciapiede.

  9. Ma su Rinascita, che tu posti e sulla quale fondi il tuo discorso c’è i gargagnan.

    E tu stesso citi, del Migliore, una lettera:

    “Queste copie sono invece fatte a c… di cane. Infiniti gli errori, moltissimi i punti incomprensibili, e non si sa se sono dovuti a lacune del testo, a sviste o ad altro. Una vera pena. Purtroppo, si rende necessario che una persona seria, ma dico davvero una persona seria, riveda tutto sugli originali”

    Mi pare chiaro che in questo caso la lavorazione non poteva farla e non l’ha fatta lui, perciò: promosso, è sempre il Migliore:-)

  10. Io avevo capito che sull’Avanti ci stesse *i d’Artagnan*, mentre su Rinascita *gargagnan*:

    *in Rinascita esso è funestato da vari refusi, di cui uno micidiale poiché obnubila interamente il senso. A “La verità è una donna da marciapiede della quale si sono autonominati gargagnan” corrisponde infatti sull’Avanti!: “La verità è una donna da marciapiede della quale si sono autonominati i d’Artagnan”.*

    In questo modo mi veniva da supporre che Gramsci avesse scritto *gargagnan*, che il correttore dell’Avanti avesse variato in *i d’Artagnan*, e che Togliatti avesse infine rispristinato il primigenio *gargagnan*. Ripristinato in Rinascita, ma non sull’edizione Einaudi 1960, che passò in altre mani (dopo quelle di Palmiro): quelle di Giuseppe Berti, o chi per lui. Lo deduco da qui: *si rende necessario che una persona seria, ma dico davvero una persona seria, riveda tutto sugli originali*.

    C’è una cosa che non capisco. Se nel post – db – scrivi *A “La verità è una donna da marciapiede della quale si sono autonominati gargagnan” corrisponde infatti sull’Avanti!: “La verità è una donna da marciapiede della quale si sono autonominati i d’Artagnan”.*, perché poi scrivi *allo stato attuale non so cosa ci sia scritto veramente sull’Avanti! del 22.10.1917.* e poi addirittura il contrario, ovvero: *sull’Avanti! ci sta “gargagnan”*?

  11. Alcor, la logica please! Nel ’56-’57 Togliatti aveva sottomano le trascrizioni alla cazzo di c…, di cui non si fidava. Poi, tra il ’57 e il ’60, anno di pubblicazione Einaudi, avrà avuto modo di controllare sull’originale. E ne esce *i d’Artagnan* (che rimane nelle altre 3 edizioni successive). Non in odio al migliore, ma fidandomi del migliore ho dato per scontato che sull’Avanti! fosse scritto *i d’Artagnan*, e che *gargagnan* fosse un refuso del trascrittore. Ma dunque: nel ’56 Palmiro legge gargagnan, capisce che si tratta del pappone, e lascia conseguentemente su Rinascita gargagnan. Cosa sarà cambiato allora dal ’57 al ’60 per fargli correggere pesantemente il testo gramsciano?

  12. @isak
    -sapevo dalla lettera a Berti del ’57 che Palmiro non aveva l’originale e si lamentava degli errori del trascrittore. La scimmia di Rinascita veniva dalla trascrizione, e presentava gargagnan.
    – l’edizione Einaudi 1960, di cui Palmiro era il supercuratore e Berti il curatore (entrambi anonimi comunque), dava i d’Artagnan.
    – come avrei potuto presumere che i d’Artagnan sono una fola, un parto di…?
    – morale: ovvia

  13. Scusa, db, ma vista l’incongruenza D’Artagnan/donne di strada (povera madame Bonacieux!) che tu stesso avevi segnalata, potevi fare come ho fatto io e scoprire in cinque minuti che gargagnan voleva dire pappone e la torta si sarebbe smontata.
    Mica toccava a P.T. correggere le bozze, ideato il libro e verificato che tutti i pezzi ecc. fossero a posto è evidente che non se lo sarebbe riletto daccapo.

    Non lo hai fatto spinto da feroce pregiudizio anti-migliorista, questa è la verità:-)

  14. Alcor, prima devi metterti d’accordo con te stessa: dicevi che avevi capito subito che gargagnan stava per D’Artagnan…
    per quanto riguarda me, confesso di avere a suo tempo cercato gargagnan su google, e stupidamente di non aver trovato niente. forse non conosci bene la psicologia del ricercatore quanto la tua: sono contentissimo di questo passaggio in rete (grazie all’ottimo Rovelli), che mi ha permesso di scoprire una cosa/rimediare un errore. Sulla logica: quando ieri pomeriggio passai alla Feltrinelli per controllare La scimmia sull’Avanti!, ero già matematicamente sicuro che ci fosse scritto gargagnan: ognuno usando la testa può capire perché, e quindi nessuno svenimento (che in ogni caso sarebbe stato causato da amor proprio, e non di verità).
    mo però c’è da indagare chi come perché i d’Artagnan…

  15. *ideato il libro e verificato che tutti i pezzi ecc. fossero a posto è evidente che non se lo sarebbe riletto daccapo.*
    evidente se avesse letto prima un testo normale, e invece: “Queste copie sono fatte a c… di cane. Infiniti gli errori, moltissimi i punti incomprensibili, e non si sa se sono dovuti a lacune del testo, a sviste o ad altro”. Serietà e amore per Gramsci avrebbero richiesto dunque una rilettura: se Palmiro non l’ha fatto, è perché si fidava ciecamente di…

  16. “moltissimi i punti incomprensibili”. Palmiro non aveva compreso moltiSSIMI punti del testo, e poi non lo rilesse. Ergo Palmiro non comprese MAI moltissimo del giovane Gramsci…

  17. Lo avevo capito perché sono ignorante:-)
    Il mio è il tipico caso di quello che crede di essere furbo e per essere troppo furbo fa la parte dello scemo.

  18. A essere precisi, il testo viene dalla rubrica fissa Sotto la Mole, che Gramsci teneva sul quotidiano del PSI (pagina torinese) senza peraltro firmare, secondo un costume imposto dal direttore Serrati.
    Una lettera recentemente riesumata dalle Carte Palmiro Togliatti giacenti alla Fondazione Gramsci aiuta assai a ricostruire il contesto della “mossa” togliattana[1] : è del 25 marzo 1957, ed è indirizzata a Giuseppe Berti, il quale a metà 1955 era stato chiamato a sostituire il defunto Felice Platone come curatore delle opere di Gramsci in via di pubblicazione presso Einaudi. “Caro Berti, / ti restituisco la collezione di scritti per il nuovo volume di Gramsci. Chiedo grande scusa per il ritardo, dovuto a troppe cose, e troppo note. Il lavoro è tecnicamente fatto malissimo. Chi ha fatto le copie a macchina non dovrebbe essere retribuito, perché in realtà non ha lavorato. Le copie di scritti di tale natura, difficilissimi a trovarsi, dovrebbero essere fatte con uno scrupolo e una precisione totali […]. Queste copie sono invece fatte a c… di cane. Infiniti gli errori, moltissimi i punti incomprensibili, e non si sa se sono dovuti a lacune del testo, a sviste o ad altro. Una vera pena. Purtroppo, si rende necessario che una persona seria, ma dico davvero una persona seria, riveda tutto sugli originali. / La seconda osservazione riguarda il sospetto che la scelta non sia completa, cioè che vi sia qualche scritto lasciato fuori per sbadataggine. La cosa sarebbe grave, perché, se si tratta di scritto importante, la lacuna può dar luogo a polemiche incresciose. Desta dubbio la interruzione della scelta all’inizio del 1919. È vero che allora cessò la pubblicazione il Grido; ma Gramsci non scrisse nulla tra il gennaio e il I° maggio, quando uscì L’Ordine Nuovo? Vedi e rifletti alla questione. Bisognerà, ad ogni modo, spiegare bene perché ci si ferma a quella data e se mai dire che vi sarà un altro volume. / Io ho posto un sì agli scritti che secondo me sono di Antonio. […] Quando ho posto il sì, non vuol dire, però, che ritenga senz’altro che lo scritto sia da pubblicare. Ho quindi indicato, in alcuni casi, gli scritti che mi sembrano potersi (e doversi) escludere perché di scarso valore, o perché non comprensibili senza lunghe spiegazioni, o perché incerti. Escluderei le due note sul Repaci (Francesco) perché troppo violente e personali. / Infine, bisogna che il volume abbia una buona prefazione, e questa deve avere, a differenza delle altre, un certo contenuto critico, perché vi sono parecchie cose non giuste o non esattamente formulate, e questo si deve dire subito. Pensaci e proponi”[2] .
    Come noto, il “nuovo volume di Gramsci”, stante la mole, verrà sdoppiato da Einaudi in: Scritti giovanili (1912-1918), che uscirà nel 1958, e Sotto la Mole (1916-1920), che uscirà nel 1960 con appunto La scimmia giacobina. Di nuovo (oltre allo svelamento dei criteri piuttosto spicci di edizione e di Berti quale autore delle prefazioni anonime ai due volumi), dalla lettera emerge che Togliatti al momento di pubblicare il testo su Rinascita ha sottomano, e da poco, una trascrizione secondo lui stesso fatta alla cazzo di c… Perché rischiare allora? Ovvero: donde mai l’urgenza?

    Noterella filologica. Da un riscontro sull’originale dell’Avanti! sono emersi parecchie variazioni d’interpunzione e un “fondati” invece di “formati” all’inizio dell’ultimo capoverso. Curioso invece che nell’edizione einaudiana del 1960 (come poi nelle tre ristampe del 1971, 1972 e 1975) al terzo capoverso invece dell’originario “gargagnan” compaia “i d’Artagnan”. Trattandosi evidentemente non di un refuso ma di una corposa emendazione, è giocoforza cercare il colpevole. Togliatti no di certo, e non solo perché già su Rinascita riportava la lezione esatta, ma anche perché, torinese d’adozione, conosceva con tutta probabilità il significato del gergale gargagnan: protettore di “donne da marciapiede”, come coerentemente recita il testo (mentre nel romanzo di Dumas D’Artagnan non ha nulla a che fare con esse). Conviene riandare a una lettera di Berti del 24 febbraio 1956 a Luciano Foà, conservata all’Archivio di Stato di Torino nel Fondo Giulio Einaudi: “Gli scritti giovanili che vanno pubblicati con gli stessi criteri con cui sono stati pubblicati tutti gli altri scritti, sono già pronti e mi pare che la cosa fondamentale che noi dovremmo sapere è se è proprio necessario per noi inviare a Torino Maria Teresa Lanza per fare un severo controllo sui giornali torinesi (i dattiloscritti qua e là appaiono dubbi) oppure se la casa editrice Einaudi non abbia lì una persona delle cui scrupolosità ed esattezza filologica ci si possa fidare in maniera che faccia essa stessa questo controllo”. Risponde per Foà, una settimana dopo, Daniele Ponchiroli una settimana dopo: “siamo in grado noi stessi di compiere il necessario lavoro con ogni garanzia di scrupolosità ed esattezza, e col massimo risparmio di tempo. Lo stesso lavoro, del resto, è stato da noi fatto per L’Ordine Nuovo [uscito alla fine del 1954]”. Guido Davico Bonino, nel suo Alfabeto Einaudi (Garzanti, Milano 2003), alla voce Ponchiroli (Viadana 1924-Viadana 1976) riporta: “È stato il caporedattore della nostra casa editrice. C’era entrato su invito di Bollati, che era stato suo compagno di studi alla Normale di Pisa e che, prima di lui, nel ’54, aveva ricoperto la stessa carica. […] Ponchiroli aveva come compito di coordinare la redazione e quella parte di redazione ‘in seconda’, che era l’ufficio correttori. Allora l’Einaudi ne contava sino a una dozzina; un lusso, certo non uno spreco: era assai raro che un nostro libro contenesse un errore tipografico. Alla guida dei correttori c’era un uomo dolce e buono, Nino Colombo, che si esemplava – fatte salve le proporzioni – su Ponchiroli a perfetta immagine e somiglianza. Aveva assorbito il gene di Ponchiroli e lo aveva inoculato nella sua magnifica squadra di ragazzi e ragazze. E questo era il gene della precisione”. Ora, Ponchiroli era letterato onnivoro e filologo finissimo (sua la curatela del Canzoniere petrarchesco, su suggerimento di Contini); Colombo era piemontesissimo (di Beinasco, cintura torinese); Berti invece era napoletano, e sapeva benissimo il russo (lustri trascorsi a Mosca – “il più stalinista di tutti” nella definizione di Amendola, secondo Donini che giusto nel 1956 era direttore dell’Istituto Gramsci, terzo…).

    [1] Che l’inserzione del testo sia opera del direttore, non ci sono dubbi: “Togliatti condizionò molto con la sua personalità l’intera impostazione della rivista: non si limitava a scrivere articoli, ma curava personalmente i riquadri con le citazioni, curava la rubrica A ciascuno il suo, rispondeva alle lettere, siglava recensioni. Rinascita è diventata così l’incarnazione di uno stile, di un metodo giornalistico; saper collocare il fatto del giorno in una particolare prospettiva storica, la battaglia delle idee nella lotta politica e di classe, sempre con grande rigore nelle analisi, senza superficialità od omissioni propagandistiche. […] Togliatti era gelosissimo di Rinascita, quasi teneva più a Rinascita che all’Unità. Controllava la rivista accuratamente, pagina per pagina: quando arrivavano i compagni con le bozze, si metteva subito al lavoro, controllava, correggeva, tagliava e per quel giorno la passeggiata non si faceva.”, in M. Spallone, Vent’anni con Togliatti, Teti ed., Roma 1976, pp. 155-6. A conferma, cfr. P. Spriano, Le passioni di un decennio. 1946-1956, Garzanti, Milano 1986, p. 67. Sul clima che si respirava, cfr. l’allora caporedattore di Rinascita R. Mieli, Deserto rosso. Un decennio da comunista, Il Mulino, Bologna 1996, passim.
    [2] Cfr. C. Daniele (a cura di), Togliatti editore di Gramsci, Carocci, Roma 2005, pp. 141-2.

  19. @marco

    questo è il testo riveduto del post I, subito sotto La scimmia giacobina, dove faccio tesoro del gargagnan. se vuoi, puoi sostituirlo.

    @lcor
    *Magari al bersaglio si arriva, ma la freccetta fa molte giravoltole, prima.*
    mi ricordi un’amica che si è rifiutata di leggere un romanzo autobiografico perché dall’indice aveva capito che l’autore arrivava solo a quarto anno d’età…

  20. @marco

    sono in un veicolo cieco. mi spiego. sono contentissimo del passaggio su NI dove ho trovato gargagnan. ma ho notato che gli unici due commentatori (il PiDuista non lo considero tale) sono alcor e isak. ora, alcor (una mia conoscente) ha chiuso il suo blog per vacanza, e isak (un mio studente) è appena partito per berlino. ha senso dunque continuare? e soprattutto continuare con 2 energumeni come kipling e benito?
    fammi sapere (io, come sempre, sono disponibile a tutto).

  21. Questo post s’intitola “Sopra la mole pt. 1”: ecco, se posso (mi sembra un po’ d’intromettermi da estraneo in un dialogo privato), vorrei esortare Dario Borso a pubblicare anche la parte seconda, perché ho trovato assai interessante questa pt. 1 e (banalmente) vorrei sapere “come va a finire”. In generale penso che sui testi di Gramsci, specie sugli scritti giovanili, non si sia ancora fatta abbastanza filologia, e ogni contributo al riguardo mi sembra utile e da incoraggiare. P.S. Non so se la cosa abbia una qualche rilevanza, comunque il lemma *gargagnan* in Gramsci ricorre almeno un’altra volta: nei Quaderni del carcere, in una brevissima nota del q. 8, la n. 152 secondo la numerazione di Gerratana.

  22. *Si potrebbe dire che la borghesia francese è il “gargagnan della civiltà europea”*.
    Grazie Salve. Sarebbe bello consultare il Dizionario etimologico del dialetto piemontese / Attilio Levi. – Torino /etc.] : G. B. Paravia, 1927. – XIX, 301 p. ; 21 cm.. È alla Ricottiana di Voghera: faccio appello alla casalinga che qui è di casa perché, tra un ottone e un ottano, faccia un salto (so però che non c’è l’aria condizionata). Quanto a me, devi sapere che al liceo, in osteria, mi chiamavano il Dottor Divago, per un certo qual vizio a… Stringere o allentare il filo? l’afa consiglierebbe di tagliarlo, e riprenderlo al primo temporale. intanto, per non fare il gargagnan e mantenere la parola, potrei spedire a NI la parte (esile) del carteggio Cantimori-Timpanaro su un passo del Manifesto. Ma qui sono esigenti, e già un lapsus l’ho fatto al via…

  23. Al di là del fatto che il concetto (se non il termine) di “gargagnan” è ridiventato d’attualità politica grazie alle ultime vicende di cui è stato protagonista il nostro Capo del Governo, sarebbe affascinante chiedersi a chi volesse alludere Togliatti ripescando quel corsivo di Gramsci all’indomani del Congresso del PCI del 1956… ipotizzerei che in quel caso Togliatti fosse motivato da una precisa intenzione di offendere (chi?), mentre forse in sede di riedizione degli scritti gramsciani nel 1960 prevalse la “pruderie”, per cui Togliatti lasciò correre e fece pubblicare la versione emendata. Da lunedì sarò senza accesso ad Internet, ma per settembre attendo con ansia gli ultimi sviluppi delle indagini :-) Buone vacanze

  24. a stare a Alfred, i gialli si dividono in 2 categorie: quella in cui non si sa il colpevole, e quella in cui si sa il colpevole ma non come lo si becca. cercherò qui di produrmi in una sintesi acrobatica:
    Antonio nel ’17 ce l’aveva con B1 e con S; Palmiro nel ’56 ce l’aveva con B2 e con S. Ora, mentre B1 ≠ B2, invece S = S. curioso, nevvero?

  25. *Gian Giacomo Feltrinelli venne a conoscenza dell’ esistenza dell’ archivio di Angelo Tasca nel 1958 da Eugenio Reale. Spedì a Parigi Sergio Del Bo, il quale, al suo ritorno, definì le carte «dinamite». Feltrinelli decise di acquistare l’intero archivio Tasca senza chiedere alcun parere al Pci e men che meno a Togliatti. Sottopose poi una parte delle carte al giudizio di Renato Mieli che, dopo averle attentamente esaminate, gli comunicò che non c’ erano elementi di novità rispetto a quanto già si sapeva sul patto Ribbentrop-Molotov dell’agosto 1939. Di questa notizia Feltrinelli si dispiacque e decise perciò unilateralmente di rinegoziare i termini del contratto di cessione che prevedeva, tra l’ altro, che l’ archivio fosse consultabile da tutti meno che da Togliatti. Tuttavia, in violazione dell’ accordo, fu in seguito permesso a Togliatti di esaminare le carte e di farne una «cernita»; e analoga procedura fu eseguita anche da Giuseppe Berti. Cosicché dall’ archivio vennero «espunte» parti che testimoniavano le nefandezze politiche di Togliatti. Di questi fatti sono a conoscenza per diretta testimonianza di mio marito Renato e di Berti che confidò a entrambi quello che aveva fatto. Quindi Togliatti non si oppose in alcun modo all’ operazione «archivio Tasca», ma procurò che le notizie imbarazzanti sul suo operato fossero mutilate e sparissero per sempre*. Bianca Dalle Nogare Mieli, Corriere del 29.3.2002.

    NB. Sull’operato della coppia Togliatti-Berti a Parigi nel’39, Del Bo mi raccontò cose che vidi poi, lui morto, confermate/documentate da Bertelli (nel ’56 segretario dell’Istituto Gramsci) nel suo “Storia dimenticata del PCI”.

  26. nel ’37 (non nel ’39).

    il quarto: “Non si può comprendere a fondo Gramsci senza Stalin e senza Zdanov” (Emilio Sereni, Scienza marxismo cultura, s. l. 1949, p. 9).

  27. *Si potrebbe dire che la borghesia francese è il “gargagnan della civiltà europea”*.

    Nell’ed. 1975 a cura di Gerratana, la frase di Gramsci è nel vol. II, p. 1032. Ma era già comparsa in A. Gramsci, Passato e presente, Einaudi 1951, p. 133. Siccome di quest’ultimo volume i curatori erano stati Palmiro e Platone, se c’è scritto gargagnan significa che i d’Artagnan di Sotto la Mole è opera di Berti, se c’è scritto i d’Artagnan che è opera di Palmiro.

    cartellino giallo≠rosso
    sono in moderazione≠
    mi danno il metadone.

  28. Interessante (è la prima volta che vengo in questo sito, e me lo sto leggendo tutto). Ma dove va a finire?

  29. “In Italia l’amore per le mignotte non è una novità. Loro sono povere diavole, a volte furbe, che cercano di sfruttare l’occasione. Non sono certo le puttane ad essere pericolose, sono gli uomini politici. E in più Berlusconi è il capo del governo, non può circondarsi di gente di malaffare. Non intendo queste ragazze ma i loro gargagnan.” (_Ormai si sente più Dio di Dio_, intervista di Daniela Preziosi a Giorgio Bocca, in “il manifesto”, anno XXXIX, n. 212, domenica 6 settembre 2009).

  30. *Si potrebbe dire che la borghesia francese è il gargagnan della civiltà europea*. L’aforisma compare così in A. Gramsci, Passato e presente, Einaudi 1951, p. 133, con la nota:

    *Gargagnan, nel gergo della malavita torinese, sfruttatore di donne [N.d.R.]*.

    Dunque il redattore Platone aveva fatto il suo dovere, riconosciutogli da Togliatti. Poi arriva nel ’55 Berti, ed emenda. Un lapsus staliniano insomma.
    Grazie salve x Bocca.

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Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.
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