Riscavi

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di Giorgio Mascitelli

Perché come dice giustamente il prospetto allegato alla comunicazione di possibile visibilità del plastico sinottico e prospettico dell’edificando quartiere “il falansterio della bella gente” situato nel prospiciente comune di Cazzulonia e già dotato di tutti i permessi di legge previi i quali sono già cominciati i primi scavi per le fondamenta e anche degli allacciamenti a tutte le dorsali, e uno prenotando subito avrà i suoi bei vantaggi in termini di consegna e di prezzo, noi lavoriamo acciocché i nostri piccoli possano godere di tutti gli agi, di tutte le protezioni e di tutte le gioie che l’infanzia a buon diritto pretende per sé. E anche noi adulti dopo una vita di sacrifici in cui ci siamo spezzati la schiena, è giusto che possiamo riposarci la sera dal lungo e proficuo lavoro in un ambiente sano e nutriente e i nostri vecchi si possano ritemprare in un ambiente sereno e giovale in attesa della visita della signora a cui nessuno ha mai detto di no (ma questo il prospetto non lo dice).
–  Dio buono, ferma ferma, chiama l’architetto
– Non è meglio il capocantiere?
–   Merda, merda, merda, l’architetto ho detto, l’architetto ha detto di voler essere chiamato.
–   Ma cos’è successo?
–   Si è aperta una voragine nel terreno, proprio la dove si volevano mettere le palazzine dei girasoli.
–   Minchia, che colpo che m’hai fatto prendere, Cecere, credevo che ci fosse restato qualcuno, tipo l’albanese lì che non si mette mai il casco protettivo. Facciamo così: chiamo l’architetto e il capocantiere.
In effetti Cecere ha l’abitudine di gridare come una collegiale imbizzarrita per qualsiasi difficoltà, sormontabile o insormontabile, si presenti nel corso dei lavori del cantiere a cui è assegnato, sicchè i colleghi, sottoposti o sovraordinati, faticano a comprendere l’entità del problema sorto dal tono sovraeccitato e perennemente alto della sua voce. Il capocantiere arrivò prima dell’architetto e disse che era un pozzo artesiano, Cecere gli fece rilevare che era troppo largo e poco fondo per essere un pozzo, il capocantiere gli rispose che se era così, allora probabilmente si trattava della prugna di sua moglie, di Cecere per capirci. In effetti le parole di Cecere ricordavano nella descrizione i caratteri della porta del piacere, ma non così alla vista. Quando arrivò l’architetto, disse che si trattava di un ipogeo, sebbene sprofondato e singolarmente isolato dalle necropoli. Chiaramente si trattava di un ipogeo, come non averci pensato prima!
Non mi va di scherzare sul fatto che Cecere non sapeva che cos’è un ipogeo, uno perché tanto glielo spiegò subito l’architetto, due perché anche il capocantiere né i colleghi lo sapevano, ma si guardarono bene dal domandarlo per non fare brutte figure, anzi il capocantiere prima che Cecere  lo chiedesse, disse con tono infingardamente professionale ” Certo un ipogeo di questa stagione non s’era mai sentito” e il capocantiere,quando Cecere lo chiese, lo guardò sussiegoso mormorando “Cazzo, sei peggio di pulcinella”. L’architetto si fece dare una torcia elettrica perché voleva fare un giro sotto e allora Cecere gli disse di stare attento e l’architetto, un ragazzotto spocchioso di Milano o Roma, che poi non era il vero architetto ma l’aiutoarchitetto, gli rispose “Che c’hai paura dei fantasmi?” e Cecere “Dei fantasmi no, degli smottamenti sì”. E c’è questo di buono in Cecere, che nonostante il mondo vada come vada e non starò lì a spiegarlo come vada perché è sotto gli occhi di tutti, sicché una volta io volevo perfino cambiarlo, adesso mi accontento di dire con il poeta io speriamo che me la cavo, restava fedele a questo suo materialismo un po’ grezzo a trecentosessanta gradi. L¢architetto scrollò le spalle come se la cosa riguardasse un altro, ma in realtá chiese un caschetto e disse a Cecere di accompagnarlo. Il cunicolo che portava alla camera vera e propria era bello lungo e Cecere non vedeva nulla a causa delle gambe e del sedere dell’architetto, ma quando arrivarono non trovarono nessun morto e nessun vaso prezioso e comunque anche lí non si poteva alzare la testa piú di tanto perché era un piccolo ipogeo. A Cecere tuttavia sembrò di percepire qualcosa di dipinto su un lato della camera, ma l’architetto lo zittí affermando che gli ipogei non erano mai decorati alle pareti. Infine sembrò loro, ma soprattutto all’architetto, che mancasse l’aria e uscirono quanto prima.
Il capocantiere e gli altri li attendevano ansanti e all’unisono dissero:
–  E allora?
–  Come sospettavo, é un ipogeo, ma non ci sono resti umani né suppellettili pregiate, quindi si tratta di un ipogeo giá visitato dai ladri non di particolare valore artistico.
–  Beh però c’é quel pezzo di dipinto alla parete.
–  Uei Cecere, fino a due minuti fa non sapevi neanche che cazzo fosse un ipogeo, adesso ti metti a fare l’archeologo, per di piú per una cosa che hai visto solo tu.
E tutti scoppiarono a ridere. Poi l’architetto prese sotto braccio il capocantiere, che non aveva studiato però era un uomo intelligente e aveva capito  qual era la rogna. Infatti l’architetto sospirava come fanno le persone innamorate:
–  Ecco se la sopraintendenza sente solo odore di ipogeo, qui il cantiere é bello che bloccato per chissá quanti mesi se non anni. Ciao contratti
–  Architetto a me me lo dice? Bisogna trovare una soluzione in tempi rapidi.
–  Giá anche perché spesso gli ipogei sono inseriti in vere e proprie necropoli.
–  Giá, poi le necropoli di questa stagione non si sono mai viste, bisogna agire in fretta.
–  E quelli della sovraintendenza questa gente che si occupa dei morti non sanno cos’é la vera vita, che non si sta mai con le mani in mano. Si occupano di scartoffie e di pittori e forse non furono mai vivi.
–   E architetto se lo dice lei, é cosí, ma qua il problema maggiore é che quel Cecere si stia zitto che c’ha l’abitudine di parlare come una gazza in calore.
–   Perché gli altri?
–   Gli altri sono brave persone, padri di famiglia, credono a chi li paga.
–   E Cecere?
Allora il capocantiere fece un gesto come a dire che anche Cecere era cosí, ma non del tutto, che bisognava pensarci bene alle cose e anche a Cecere bisognava pensarci, ma il capocantiere garantí che ci avrebbe pensato lui; intanto l’architetto avrebbe svolto con del personale di sua fiducia i rilievi atti ad evidenziare se e in quale misura avessero scoperto un’intera necropoli, ma fortunamente non era cosí.
Cecere aveva finito di dire ai colleghi di lavoro che lui non lo capiva l’architetto che c’era voluto entrare nell’ipogeo e poi dopo tutta quella fatica, non si era fermato che pochi istanti. E gli altri gli dicevano di non farsi tante menate che bastava che li pagavano.
–  Ecco il problema!
Cosí disse il capocantiere, quando udí questa conversazione e a tutti corse un filo gelato di brivido lunga la schiena e tutti istinitvamente guardarono male Cecere che non aveva fatto nulla, però era il nero corvo portatore della cattiva notizia, cioé in sé il ritrovamento dell’ipogeo non era una cattiva notizia, ma poi era finito con il diventarlo ed era come se i morti si mettessero di mezzo agli affari dei vivi, a rompere le scatole, ecco perché Gesú aveva detto lasciate che i morti seppelliscano i morti. Che poi anche con le parole é cosí, te le rigiri come vuoi peggio dei morti neanche fossero delle frittelle.
Comunque gli scavi perlomeno in quel settore del “Falansterio della bella gente” erano sospesi e misero perfino una striscia di plastica bianca e rossa per segnalarlo a mo’ di transenna.Quando era mezzogiorno e il sole era alto in cielo, anche se per via dell’ora legale in realtá era le undici e dunque il sole non era poi cosí alto in cielo, smisero di lavorare e andarono a desinare, ma prima il capocantiere parlò cosí a Cecere:
–  Cecere, in questi giorni finché la situazione non é chiara bisogna fare la guardia all’ipogeo durante la pausa del pranzo e oggi cominci tu.
Cecere assentí, anche se vi sentí dentro l’acre sapore della discriminazione. Ma sapeva che il capocantiere era un pezzo di pane, bastava non nominargli la parola sindacato, e dunque non protestava. Cecere si mise davanti alla cavitá e si mise all’attenti ricordandosi di quando a militare faceva la guardia alla polveriera e quel giorno tirava un bel venticello, un ponentino,  che ti faceva venire piú appetito ancora e Cecere tiro fuori la sua schiscietta e comincio a mangiare, perché quel giorno sua moglie gli aveva preparato la frittata. Poi avrebbe voluto bersi il caffé, ma era di guardia e non poteva, sicché ad un certo punto udí un ululato che non era il vento, ma egli lo attrribuí allo stomaco che brontolava perché non aveva ancora ricevuto il delicato fomento del caffé, ma questo ululato continuava e non proveniva dalla sua pancia, ma dal buco che portava all’ipogeo. A un certo punto  questo sibilo ululante prese forma di parola:
–   Perché ci turbate? Perché non lasciate in pace i morti? Cecere lascia stare i morti. Uuuuuuuh. Cecere lascia che i morti seppelliscano i morti!
–   Ma tu chi sei che mi parli cosí e mi conosci?
–   Come chi sono? So’ Amedeo il fantasma dell’ipogeo.
A queste parole di Amedeo Cecere cominciò a dubitare che si trattasse veramente di un fantasma, uno perché abbiamo giá detto del suo ruvido materialismo leopardesco, due perché si accorse di una contraddizione nel discorso di Amedeo e cioé precisamente che Amedeo diceva di lasciare che i morti seppellissero i morti e nel contempo implicitamente sembrava chiedere da lui la sepoltura. Quando Cecere gli fece rilevare questa contraddizione, il fantasma semplicemente non rispose. Allora Cecere per guadagnare tempo disse che in ogni caso lui avrebbe eseguito le indicazioni provenienti dal capocantiere e dall’architetto. Amedeo parlo un’ultima volta prima di svanire evanescente come l’effluvio della violetta tra le acque lustrali, quando qualcuno, che ha magari dianzi ingollato copiosamente legumi, si produce in fenomeni di meteorismo.
–   Buon per te Cecere e per gli altri. Altrimenti si abbatterá la maledizione dell’etrusco su di voi. Uuuuuuuuuuhhhuuuu.  La maledizione di Obiuankenobi, quella che dice pantarei. Attenti a voi. Lasciate riposare i morti.
E sparí. Poco dopo tornarono i colleghi e il capocantiere dalla pausa pranzo e Cecere non seppe trattenersi e non raccontò soltanto del fantasma, ma disse che per lui era una stronzata bella e buona e lo disse perché supponeva che qualcuno dei colleghi gli avesse fatto uno scherzo e Cecere ci teneva a mostrare che non ci era cascato. I colleghi a loro volta cascarono dalle nuvole, dicendo di non capire di cosa Cecere parlasse, finché improvvisamente il capocantiere, che se ne era stato zitto ad ascoltare, fu colto da timor sacro e, come in preda ad un attacco epilettico, come se l’apparizione di Amedeo fosse capitata a lui, cominciò a gridare che dovevano fare come diceva il fantasma, che si prendeva lui la responsabilitá, che erano stati minacciati da una punizione divina, che se no finiva come nel cantiere di Cazzulonia a mare ( ma lí in realtá non avevano pagato il pizzo).  Cecere gli disse che non poteva credere che una persona come il capocantiere credesse come una femminuccia in queste cazzate di fantasmi, ma intanto il timor sacro serpeggiava nelle file dei colleghi che vedendo il loro capo cosí atterrito si atterrivano a loro volta ed erano terrei nei volti. Il timor sacro poi si mischiava al timor granico, perché nella sua folgorazione di timor sacro il capocantiere tra le varie espressioni di devozione e preghiera aveva anche detto che nel caso si diffondesse la voce relativa alle punizioni dei fantasmi  addio pagamenti per tutti. Il capocantiere urlava come un ossesso che bisognava subito coprire quella porta con  il mondo dei morti per non aprire la porta all’altra sorella, la povertá, sicché per calmarlo fu necessario mandare l’albanese e un altro a prendere della sambuca.  Ma Cecere non era uomo da perdere la calma delle proprie convinzioni a fronte dello spettacolo di una qualsiasi isteria. E quando il capocantiere dette ordine di riempire il buco e disperdere tutto, lo invitò ad andarci piano che l’ipotesi dello scherzo restava la piú probabile e che era meglio sentire l’architetto, il quale proprio in quel momento telefonò al telefonino del capocantiere e si fece passare Cecere e si fece raccontare la rava e la fava, come si dice dalle nostre parti. E Cecere, che aveva un’alta opinione degli uomini di cultura, si trovò a malincuore a dover ammettere che anche nell’architetto allignava una qualche indulgenza verso le manifestazioni superstiziose, che avevano luogo in quel momento nel cantiere.  Sicché quando Cecere cercò di indurre l’architetto a soprassedere, questi testualmente gli rispose:
–  A me risulta che hai detto al fantasma che avresti eseguito fedelmente, quanto ti avremmo ordinato io e il capocantiere, ora mantieni fede alle parola data al fantasma, se no lui si incazza. E bada bene che la vendetta soprannaturale non é fatta solo da pietre che piovono dal cielo o da cani fantasmi, ma anche da disgrazie apparentemente civili, come un padre di famiglia che perde il pane per i propri figli e lo fa perdere ad altri padri di famiglia che si arrabbiano con lui.
A quel punto Cecere ebbe un’illuminazione e rispose “obbedisco” come il nostro grande generale Garibaldi, quando doveva fare una cosa e gli altri lo fermarono.
Pertanto fu così che i vivi seppellirono i morti.
E nel prospetto definitivo del “falansterio della bella gente” non si menzionò questo fatto dell’ipogeo perché si sa che la gente è superstiziosa e non vuole saperne di abitare dove prima c’era una tomba, anche se migliaia di anni prima.

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3 Commenti

  1. Un racconto gustosissimo, sul filo dell’autoironia e del contrasto fra cronaca e fantastico

    Carlo Capone

  2. Eh già, una prova in bilico tra realismo magico e la tragica fatica di vivere del pasoliniano Stracci. Più che garbata denuncia sociale, sottolineatura di un malcostume a non credere a nulla, neanche alla nostra storia. E neanche alla nostra onestà, sennò l’ingranaggio s’inceppa e addio pane e companatico…

    mdp

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domenico pinto
domenico pintohttps://www.nazioneindiana.com/
Domenico Pinto (1976). È traduttore. Collabora alle pagine di «Alias» e «L'Indice». Si occupa di letteratura tedesca contemporanea. Cura questa collana.
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