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Ecosistemi

di Gianluca D’Andrea

Imbrattamento

Sporcare per dare un ordine al caos
è già paradosso, sgorgare per dare
senso a una vita in comune
non è un dilemma. Sul versante
della dissacrazione l’azione non è riuscita,
più sobria sarebbe la candida
espressione del tutto si muove come l’autore
vuole o toccare altri tasti, da questo
(«questo» all’infinito) l’errore.
La finzione è già del bambino che gioca
e attraversa il suo tempo.

Il fatto poi che un’idea
debba violentare la primigenia carenza
è il modo di fare in modo
che un mondo s’inventi una speranza,
come vivere in comune un’emozione
o l’emozione di essere fuori di sé,
nell’estasi d’adorazione,
splendore che riluce dove oscuro è.

Cercare la clausura

Odio sentire vibrare gli steli,
chi reca erbe e parole?
un frutto acerbo fui
e forse sarò quest’incompleto
tempo atrofizzato, un rullio
di tempeste fasullo nella plastica
affinata di salvezze.

Ho sempre sentito l’errore
e la voglia lacrimevole di un rimorso,
la potenza malinconica
di ogni redenzione.

Fuori terra riccioli d’erbe,
borri fluidi prima di questa inettitudine.
Ora liberare l’odio,
fenditure slabbrate fruttificano
dove un tempo circolava il ronzio.

Sul libro (come ECOSISTEMA)

L’Autore:

“Non ha un centro tutto è il centro.
Il mio margine illumina il paese
che riposa sotto libere coltri”.

Ora il diritto è un peso.

Mi violento vecchie carte e luce
che vibri dallo schermo ti violento,
dissacro la tua superficie di pietra.
Per riaverti e amare quelle acque
e gli insetti per sempre perduti.

Parole incartate, nessun suono, un giornale,
graffiare la terra per portarla al suo tessuto.
Originare, fuori da te paese,
dentro te è la terra, un urlo,
la carezza dei residui sulle unghie.

Scavo per portare alla luce
nascite fuori luogo,
un canestro di foglie scadute,
raccolte per essere smostrate
come un taglio, uno sbudellamento.

Ecosistema d’esilio

Aurore di periferia urbana con nature,
ultimo nido astratto, un residuo
d’infanzia perseguita, come vita o stile, uno scarto
di contatti, di fioriture nelle terre,
humus da cui una volta era fuggito un verme
che ritrovai nella mia tasca.

Tendenza all’eroico leggendaria,
storia di antiche virtù,
le nostre piccole fibre vibravano d’aria.

Ma il degrado è morale
nelle stesse tessiture
senza entusiasmo.

Grigiore di colline
da cui un tempo scoprivo l’autunno.

UNA TECNICA CON GLI STRUMENTI

Non c’è una tecnica
c’è un’idea
qualche idea
che ci soddisfa al momento,
uno stordimento,
la morte luccica ed è neutra
come gli occhi di qualcuno che si espone –
è un taglio/
un quadro che si logora col tempo.
Nessuna scorciatoia
nessun restauro
nessun ostacolo
se non un falsario/
qualche falsario/
impiegato della sua finzione
che ama scuotere il nulla
incidendolo.

Cerca amore dove è solo
convenzione,
si sente l’attrazione
della pura fisicità con dei complessi –

un suono, ritmo, la tecnica
per dare una forma ma basta una scossa
per smuoverci, essere in balia
oscillare – puah! la forza.

Ho sentito inutile ogni costruzione,
dico a te!
come me
subisco il mondo
m’acquatto
aspetto
ci scrivo su
a futura memoria.

ECOSISTEMA [A] la famiglia

«Ta tête se détourne : le nouvel amour ! Ta tête se retourne, – le nouvel amour !»

Cattolicissimi [ancora?]
àncora i tuoi testicoli,
stai, stai!
mi sbaciucchio un maschietto
sa di essere donna/ anche!

Stolti al potere e storti e distorti,
chi li distoglie da se stessi?
Pervèrtiti! dicono di una classica famiglia
hanno rancori, si spremono
alla prima tentazione.

In questa merda pura [ancora?]
ritorna ritornello, storna
questi potenti vezzosi,
come circolo dei loro testicoli;
gameti sprizzati in un cesso d’ospedale,
chi mi ospita è vicino
me lo fanno lontano –
sotto gli occhi di uno schermo
che diventa schermo d’occhi.

È giù! Restaurano il giudizio.

[Come una croce amare la rovina]

Balbettio, canzone infantile,
ritornare all’infanzia giustifica ogni violenza,
impallidire come un uomo perbene
e arrossire per tutta la mia specie
cui resta solo una speranza:
l’invasione e in ultima istanza
l’auto-invasione.

Una moltitudine barbara
o tranciare una mano in strada,
la vita come scompenso,
la lingua è frantumazione;
slancio dell’origine
a violenza si risponde con violenza.
È veramente l’epoca dello Spirito
in bacheca, nascosto, braccato,
protetto da una superficie boccheggiante,
esterrefatta, sfaldata.
E nonostante l’immane sdegno
ancora amarla questa vita
e non cedere al disgusto
ma adagio senza fughe
lottare per il nido
violenza su violenza.

DENTRO CASA/ DIVERSITÀ ASTRALE

Getta ciò che resta di questi sentimenti,
vendevano armi africane
sulle pance spappolate dei figli,
e tu ne abbracci i resti
parlando di fuochi e spine sedentarie/
le clausure non sono fughe
ma supplizi, autoflagellazioni
perché nel mondo tutto non fila liscio
carne arrendevole agli schemi,
chi mi dice di leggere altre culture
non sa che inutile curiosità
se il tuo sistema ti violenta.
Nessuna fuga è la clausura,
mettersi da un’altra parte
dentro il dolore, un riscatto/
anche lui –
il nostro amore –
una diversità astrale.

FARE FIGURA

Apprendere dal proprio la finzione,
attenersi a una norma d’apparenza
o esplodere fluide marne, lance
che puntellino il vuoto, argine al

caos. Impostare all’apertura argille
e licheni, gli umidi sottoboschi,
le forcelle, il procedere elettronico,
i tasti, cliccare nei testi i terzi

di un mondo libero di rovinare,
cadere senza agganci-paratie.
Sostenere non te o gonfiare me
ma sentire come un urto nelle ossa
possa tenere nella forma esplosa.

Al modo di REGGERE

Focalizzare il nucleo imperativo
nella terra o sullo sbilanciamento
di fattori terrigni, al fondo al margine
il lento, terreo attendere catastrofe.

Cada e rovisti nel magma e bollisca(?)
in errori e ricadute, ma voglia
la vita la purezza di accettare.
Accettato ringrazi la sua forma.

Poca la lotta, disappaia, formi
la sua libertà di durare, reggere
il mondo in continuità e comunione/
ecco la forzatura nello strappo,
la decenza e il contegno nell’amore.

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8 Commenti

  1. E’ una poesia musicale nel ritmo regolare
    unito all’idea dellla terra,
    terra presenza dentro i versi.

    Mi paice molto ecosistema d’esilio
    per la demistificazione del luogo
    d’infanzia e dell’eroe sognato
    con lettere di nobiltà.

  2. in effetti véronique ecosistema d’esilio è la trasposizione di un sogno d’infanzia e dei cambiamenti avvenuti nella mia terra, nella terra, una favola,
    grazie.

  3. Ci sono segni inequivocabili della fine.

    Non della fine del mondo, quello è finito da un pezzo.

    Segni della fine dei blog letterari.

    Tutti, nessuno escluso.

    L’esempio è nel vuoto di commenti di questo post.

    Una proposta articolata, testi dietro i quali si intravede un pensiero poetico in atto, un tentativo di disossare la lingua letteraria e utilizzare quello che ne resta come strumento di lettura di un reale stravolto.

    Un corpo a corpo devastante con la tradizione, all’interno del quale si bruciano senza rimpianti tanto le asfittiche iconologie consolatorie del verso, quanto la pura, sterile e innocua rappresentatività del dato utilizzato.

    E il risultato? Zero commenti, o quasi.

    Nessuno ha niente da dire. Perché nessuno sa cosa dire.

    Altrove, bastano le frìttole del/la primo/a avventore, spesso sponsorizzato, per dare il via a thread chilometrici sprizzanti melassa, vinsanto, cantuccini, rosolio e noccioline.

    E la ricetta è semplice, alla portata di tutti: basta mettere assieme un po’ di parole, interrompere il flusso mestruale, femminile e soprattutto maschile, prima della fine del rigo, ed il gioco è fatto.

    Manca solo il rituale giro di mail agli amici e ai famigli per invitarli a lasciare il solito messaggino di aria fritta nel blog in questione.

    A gloria imperitura del nulla che incombe. E acclama.

    Vostradamus

  4. Dubito addirittura che i testi vengano letti, la dinamica ormai ricalca quella dei newsgroup anni 90: si guarda chi scrive, si interviene quando tocca a un amico, ci si mette in fila e infine si lascia mezza riga per marcare il territorio. Forse in poesia la sola eccezione e’ stata -e si spera sara’ di nuovo- il blog liberinversi dell’ ing. Massimo Orgiazzi, vero signore di umilta’, apertura e tenacia.

  5. Credo che sia una lettura silenziosa,
    lenta come un cibo
    per una poesia sulla linea della metamorfosi,
    come è quale di Gianluca d’Andrea
    di adorazione
    senza una parola uscita di commento
    in una parola segreta da sé a sé
    come una croce amare la rovina
    che ha un eco particolare
    in me…

    véronique

  6. Credo inutile parlarne, i blog sono vetrine ma solo in pochi casi creano spunti… hanno un grande pregio: consentiranno di collazionare; un grande difetto: sono passeggeri, non danno il tempo di ragionare – per altro si possono invertire i termini e ottenere un risultato simile e diverso

  7. Una poesia emette raggi diversi,
    in un paesaggio dove fermano gli occhi

    per esempio

    ecosistema dell’esilio
    come una croce amare la rovina

    un paesaggio di parola in dolore
    che porta alla luce il mio propio affondamento nella terra,

    o questi versi che hanno una musica sacra per me

    “Ho sempre sentito l’errore
    e la voglia lacrimevole di un rimorso
    la potenza malinconica
    di ogni ridenzione.”

    Passeggeri… Ma in fuga bella quando sei in macchina in un paese sconosciuto, l’immagine prende il volo, ma c’è un ultima visione per chi ha visto la bellezza nello specchio retrovisivo.

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domenico pinto
domenico pintohttps://www.nazioneindiana.com/
Domenico Pinto (1976). È traduttore. Collabora alle pagine di «Alias» e «L'Indice». Si occupa di letteratura tedesca contemporanea. Cura questa collana.
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