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Fernanda dorme sulla collina

pivano

di Chiara Valerio

Ho incontrato Fernanda Pivano la prima volta nel millenovecentottantantotto. Stava su una pagina interna di un libro Einaudi. Ci ho messo un po’ a capire, nonostante tutte le parole che finivano per consonanti, che Spoon River non fosse scritto da un italiano. Non fosse scritto in italiano. E non fosse qualcosa di casa mia, come le maioliche azzurre rettangolari.

Perché c’erano dentro moltissimi personaggi che facevano parte dei giochi tra me e mia madre, che stavano nelle favole che mi raccontava e in certe canzoni che mi cantava. Il ragazzo spartano che non si strappa il lupo da sotto il mantello e quello strappato al male a venire, la barca che anela al mare eppure la teme, l’anima che d’improvviso fuggiva, il vortice di polvere, questi gerani che qualcuno ha piantato su di me, tutti, tutti dormono sulla collina, provate a rubare una mela e il modo come la gente considera il furto che poi rende ladro il ragazzo.

Nel millenovecentottantantotto a Scauri, Fernanda Pivano c’era, anche se non capivo bene che cosa significava tradurre e perché ci fossero altre lingue e come avessero fatto a intrecciarsi alle parole di casa mia.

E invece, ieri sera a Roma, Fernanda non c’era più. E mi sono detta che le parole sono una cosa molto stupida, molto inadatta e approssimativa. Sono molto ingannevoli le parole che un po’ muoiono quasi avessero respirato. E un po’ si decompongono. E bisognerebbe sempre cremarle e tenersele in un portacenere sul comodino.

Io a Fernanda Pivano non ho mai stretto la mano, né ne ho mai incrociato lo sguardo, né prima di ieri sera ho mai voluto o cercato di farlo. E invece ieri sera ho abbracciato la prima persona che ho incontrato per strada. Che fortunatamente non mi ha tirato un gancio. Perché traducesse il mio gesto in qualcosa che potesse arrivarle in qualche dove. Fernanda Pivano muore e tutto il mio essere laica diventa chiacchiera.

E questo. Il mio abbraccio a Fernanda che oltre ad avermi fatto compagnia e ad avermi fatto leggere che i morti si raccontano come i vivi, mi ha pure insegnato, ma era già pensiero e interpretazione, che gli scrittori devono sempre stare dietro quello che scrivono. Come traduttori tra la lingua del sé e quella del mondo.

L’unica collina di Scauri è il Monte d’oro. Fernanda dorme sul Monte d’oro. E questo.

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41 Commenti

  1. grazie Chiara
    molto

    Di Fernanda Pivano io, che le ho stretto le mani e incrociato il sorriso, gli occhi arguti e dolci, non saprei dire di meglio e di più.

    Sua fu la traduzione, bellissima, del testo di uno spettacolo di mio padre, La Tempesta di Shakespeare, spettacolo che mi vide anche, adolescente, partecipare fra gli spiriti dell’aria al serivizio di Ariel e Prospero.

    Ricordi bellissimi:

    Giù nel fondo a cinque tese
    sta tuo padre e le sue ossa
    son corallo diventate,
    ora perle sono gli occhi,
    non svanisce di lui nulla
    ma subisce un mutamento.

    cantavano gli spiriti e Ariel
    al figlio Ferdinando,
    del re Alonso suo padre
    nel momento, dopo il naugragio,
    quando tutti si credono annegati

    io che laica
    per fortuna
    non sono
    credo a questo mutamento

    penso che i morti vadano lassù

    che ci guardino da loro nuvole speciali
    con cannocchiali d’ottone

    che si ritrovino fra di loro

    Ricordo soprattutto la sua disponibilità dichiarata a consegnare la traduzione al regista e agli attori.

    Io ho tradotto, voi fatene quello che vi serve.

    Diceva allegramente, quando le si telefonava per chiederle se si potessero apportare certe modifiche.
    Le parole che devono essere davvero tra-duzione. Condurre. Trasportare.
    Capita in corso d’opera in teatro di render più recitabili certe battute e non tutti i traduttori hanno questa disponibilità, senza gridare al tradimento.

    ,\\’

  2. Caspita, che bel ricordo. “…le parole sono una cosa molto stupida, molto inadatta e approssimativa. Sono molto ingannevoli le parole che un po’ muoiono quasi avessero respirato. E un po’ si decompongono. E bisognerebbe sempre cremarle e tenersele in un portacenere sul comodino.”. Il nostro portacenere, forse, sono i tanti libri che Nanda ha scritto, ho tradotto, no? Io non l’ho mai conosciuta di persona, ma da quando ero ragazzino (13-14 anni) a oggi che ne ho quasi 50 l’ho seguita quasi dappertutto (dal punto di vista “scrittorio”). Una volta, compiva 80 anni, riuscii a sapere in che via abitasse, forse senza neanche il numero civico. Le spedii una cartolina con i miei auguri, che credo non abbia mai ricevuto perché mi sa che la spedii a Genova e lei stava a Milano, o viceversa…
    Oggi ho smesso di essere il ragazzino che leggeva “Poesia degli ultimi americani”.

  3. Ho conosciuto Ettore Sottsass e parlato con lui di Fernanda Pivano, parole tenere e rispettose, già lontani e avanti con gli anni, il mio editore “esiste” forse grazie a Fernanda Pivano, la letteratura americana, il senso del “viaggio”…molti doni si devono alla sua intelligenza

  4. Libreria Arcana, Via di San Giacomo 23, (tra Via del Corso e Via del Babuino), in quel di Roma.
    Pomeriggio assolato di maggio.
    C’era un distinto signore all’ingresso, vestito con un completo grigio, a dispetto dei tempi. Camicia & cravatta. Si chiamava Raimondo Biffi Scala.
    Di fronte a lui, sul lato sinistro, un poster di Alan Aldridge. Nonostante le mie preghiere, non me l’ha mai voluto vendere. Faceva parte dell’arredamento. Sul bancone, in fondo al piccolo locale, una copia originale del libro di Richard Neville, PLAY POWER. Qualcuno aveva rubato il piccolo poster (Headopoly game), dalla tasca della terza di copertina. Un vero peccato.
    Accanto al libraio, seduta alla piccola scrivania, Fernanda Pivano. Abito chiarissimo.
    Aveva tra le mani della carta da lettere, colorata (un colore per ogni foglio): “Su queste pagine scriverei parole d’amore e le spedirei a tutto il mondo!”.
    E fu così che conobbi Nanda Pivano.
    Avrò avuto nemmeno vent’anni. (Son nato nel 1952).
    Il nostro è stato un inseguirci discreto.
    Lei, anima candida, sempre cordiale.
    Io sempre timido e schivo. Tanto.
    Una volta mi invitò a cena. Serata tra amici, nella casa di Via della Lungara, accanto all’orto botanico. Dove viveva in affitto.
    Non ci sono andato.
    Intimidito.
    Eppure c’è chi, in quella casa, accolto, ne ha combinate tante e tante ancora… Anche a dispetto della circostanza. E del buon gusto.
    Benedisse le mie composizioni poetiche, ma non guadagnai per questo il privilegio di un editore.
    Ci univano anche le disgrazie nella vita privata.

    *

    Addii.
    Franco Lattanzi (le cui scelte non approvavo), Marco Melotti, Carlo Melis professore d’arte, Fabio Iacopucci di Libertaria, Angelo Quattrocchi pessimo carattere. Ed ora anche Fernanda.
    Sta finendo un’epoca forse irripetibile.
    Raimondo Biffi mi disse di vendere l’archivio e di fare un viaggio intorno al mondo: “Gli anni ’70? Non torneranno mai più”.
    Tutto farei, o quasi. Fuorché separarmi dai miei sogni. Sogni che acquistavo con i pochissimi soldi che avevo.
    Ora li vedo nelle librerie che fanno modernariato, a prezzi che sono un’offesa. Alla miseria, al buon senso e al messaggio che veicolavano.
    Ma tant’è.
    Il mondo è rimasto quel che era. E la gente è peggiorata.
    Spesso priva di cuore. E di quelle emozioni che erano la vita, per Fernanda Pivano. E per tutti gli spiriti liberi.
    Qualche tempo fa, ho scansionato, pagina dopo pagina, la sua straordinaria rivista underground, PIANETA FRESCO. Ne son passati di giorni da allora. E, come prevedibile, mi hanno cercato in 4. Per ringraziarmi. Non uno in più.

    *

    http://sergiofalcone.blogspot.com/2007/09/p-i-n-e-t-f-r-e-s-c-o.html

    http://www.pianetafresco.blogspot.com/

    *

    Sono lieto di aver vissuto quegli anni. E quelle speranze. Che non moriranno mai.
    Finché esisterà l’ingiustizia sul pianeta. E la volgarità. E la logica della merce. E la violenza. Violenza di casta. Violenza di presunzione. Violenza di modi. Violenza di provincialismo. Violenza di ignoranza.

    *

    Ieri sera, ho acceso un bastoncino di incenso tibetano e la lampada ad olio che riproduce fedelmente quella che i monaci hanno messo sulla tomba di san Francesco d’Assisi.
    In silenzio.

  5. Grazie Chiara.
    condivido lo stupore di capire che quelle colline non erano le nostre eppure le riconoscevamo…”gli scrittori devono sempre stare dietro quello che scrivono”, come lei dietro la collina…

  6. Grazie Chiara di questo bel testo-ricordo. Le parole preferisco immaginarle immateriali, anche quelle che appaiono stupide e inadatte. Una musica ritmata che va oltre i decadimenti delle esistenze umane. Un abbraccio

  7. Il giusto omaggio a una persona d’eccezione. Le sue traduzioni e le sue biografie sono esemplari. Il suo amore per la letteratura americana è trascinante, contagioso. Ha aperto mondi.

  8. ho sempre pensato che fernanda avesse nello sguardo la stessa dolcezza e purezza di mia nonna. Era limpida e unica. le ho stretto la mano infinite volte, senza averla mai incontrata, per dirle grazie.

    e grazie per questo post bellissimo

  9. E’ un omaggio magnifico per una scrittrice tradutrice che passa la parola
    di un mondo all’altro. Questa donna prende la forma viva di un pensiero.

    Ha il sorriso delle anziane che sanno tutto della malicizia e della bellezza della vita.

  10. “E’ un omaggio magnifico per una scrittrice tradutrice che passa la parola
    di un mondo all’altro. Questa donna prende la forma viva di un pensiero.

    Ha il sorriso delle anziane che sanno tutto della malicizia e della bellezza della vita.”

    Veronique, questo è uno dei tuoi post più belli.

    Grazie a te e a Chiara Valerio

  11. … e non dimentichiamo che era soprattutto un personaggio contro. Interrogata dai nazisti, non fece mai nomi.
    E si salvò per puro miracolo.
    Condivise i sogni d’una generazione. Li fece suoi.
    Come scrivevo stamattina ad un’amica, se volete sapere chi era veramente Fernanda Pivano, vi consiglio di comperare le prime edizioni dei suoi libri. Le primissime e non altre.
    In quella pagine si respira l’aria di un’epoca.
    La sua radicalità.

  12. 2003
    Sulla Strada illuminava meglio di qualsiasi abatjour ogni volta che restava poggiato sul comodino. Il suo finale era in sospeso e noi lettori, dopo aver fatto un patto appena aperta la prima pagina, avremmo dovuto scriverne le sorti sulla nostra pelle. Guarda caso la sorte del libro fu perderlo da qualche parte. Spero che qualcuno ne faccia tesoro.

    Le strade sono tutte uguali e tutte diverse
    Macinando le stesse strade e raccogliendo i frammenti della statale rimasti incastrati nelle gomme, infilandoceli nelle tasche come se si trattasse di monete preziose raccolte da terra, si diventava ricchi senza avere un soldo.

    Stai bene sul bus
    E come mi diceva qualcuno, a volte si sta bene nel mezzo, mentre ti stai spostando, perchè vuoi scappare da dove sei partito ed anche nel luogo in cui sei arrivato. Nella breve sosta nella tua meta-rifugio non permetteresti di sentire la stessa sofferenza del luogo di partenza. Perciò si scappa anche da lì, giusto il tempo di goderne la novità, la diversità, la consapevolezza che un’altra casa, nel mondo, la trovi. Qualcuno poi torna nella propria vecchia abitazione perchè, forse, quel che serviva era solo capire quali possibilità ti saresti ritrovato di fronte e quali altre avrebbero definitivamente cambiato la tua vita. Io a casa mia ci torno solo per pochi giorni, per non impazzire.

    Sulla collina i morti vivono
    Ogni volta che entro in libreria sfoglio l’Antologia di Spoon River, aspetto di avere i soldi per comprarlo.
    Un frammento:
    “..mentre la baciavo con l’anima sulle labbra
    l’anima d’improvviso mi fuggì..”

    About Nanda
    da Wiki:

    La storia della pubblicazione in Italia dell’Antologia di Spoon River ha avuto uno sviluppo abbastanza difficile. Durante il ventennio fascista la letteratura americana era ovviamente osteggiata dal regime, in particolare se esprimeva idee libertarie come nel caso di Edgar Lee Masters. La seconda edizione italiana porta la data del 9 marzo 1943. Fernanda Pivano racconta: «Ero una ragazza quando ho letto per la prima volta Spoon River: me l’aveva portata Cesare Pavese, una mattina che gli avevo chiesto che differenza c’è tra la letteratura americana e quella inglese».

    I primi libri americani che Cesare Pavese portò alla Pivano, lei li guardò “con grande sospetto”. Ma con l’Antologia di Spoon River fu un colpo di fulmine: «L’aprii proprio alla metà, e trovai una poesia che finiva così: “mentre la baciavo con l’anima sulle labbra, l’anima d’improvviso mi fuggì[1]”. Chissà perché questi versi mi mozzarono il fiato: è così difficile spiegare le reazioni degli adolescenti[2]».

    Per un’adolescente cresciuta in un’epoca dominata dall'”epicità a tutti i costi” i versi di Masters e la loro “scarna semplicità” furono una rivelazione.

    Quasi per conoscere meglio i personaggi, Fernanda iniziò a tradurre in italiano le poesie senza dirlo a Pavese: temeva che la prendesse in giro. Ma un giorno quest’ultimo scoprì in un cassetto il manoscritto e convinse Einaudi a pubblicarlo. Incredibilmente riuscì a evitare la censura del ministero della cultura popolare cambiando il titolo in «Antologia di S. River» e spacciandolo per una raccolta di pensieri di un quanto mai improbabile San River. La Pivano, tuttavia, pagò questa sua traduzione con il carcere; a tal proposito ha dichiarato:
    « Era superproibito quel libro in italia. Parlava della pace, contro la guerra, contro il capitalismo, contro in generale tutta la carica del convenzionalismo. Era tutto quello che il governo non ci permetteva di pensare […], e mi hanno messo in prigione e sono molto contenta di averlo fatto.[3] »
    Restano tante cose
    . . .

  13. Quando nel 1971 in Italia si formò il primo movimento di liberazione omosessuale, il Fuori!, Fernanda Pivano ne fu, per affetto, amicizia, intelligenza, solidarietà, sostenitrice appassionata, collaborando ai primi numeri dell’omonimo periodico. Fu lei la prima, nella introduzione a “Jukeboxe all’idrogeno” di Allen Ginsberg, a capire e a rivelare quanto l’identità omosessuale fosse una componente di grande rilievo nella nuova cultura che arrivava dall’America. Le siamo tutti debitori.
    (da Gruppo Lambda).

  14. Grazie Carlo Capone… :-)

    E i commenti mi sono preziosi per conoscere meglio Fernanda Pivano.

  15. […] Per lei, ogni parola – scritta o cantata – era e doveva essere una forma di giustizia. Qui c’è un bellissimo pezzo di Chiara Valerio: vale tutti i tre minuti che ci vogliono per leggerlo. […]

  16. Io a Fernanda la mano l’ho stretta e l’ho ascoltata parlare quando pensavamo di cambiare il mondo e mamma mia quanto l’abbiamo cambiato! Purtroppo.

    Addio Fernanda, grazie.

  17. Di ghiaccio dopo aver appreso la notizia!
    Una creatura come Nanda è senza età e non ci si aspetta che debba fare le valigie.
    E’ stata la mia guida preziosa e dire che rimarrà per sempre in me suona quasi banale,come la musica dei suoi Cantautori che lei definiva “i Poeti del mondo che verrà.”
    Per lei scrittori e poeti erano e resteranno la salvezza dell’anima.Ciao bella Nanda,un bacio pieno di amore.Marlene

  18. Bellissimo Chiara.Credo che a Nanda sarebbe piaciuto molto, ogni tuo respiro, ogni lacrima di un dolore che provo anche io, pure se gli occhi sono asciutti.
    Ma ,come scrive un mio amico poeta “Sull’albero dei ricordi non ci sarà mai un ADDIO”.E così è. Un abbraccio, Chiara, da Marlene

  19. A Scauri ci sono due fortezze. La prima, Monte d’oro, e l’altra Monte d’argento.
    Quando al funerale di Cesare Pavese, Einaudi, Giolitti e Bobbio ” insistono ancora perché” Massimo Mila ” dica qualche cosa.”, lui dice:

    “molti vorrebbero che qui si dicesse qualcosa per ricordare l’amico che abbiamo perduto. Ma se Pavese ci vedesse in questo momento, disapproverebbe che qui si parli, e forse ghignerebbe un poco di noi. Lui era di opinione che i sentimenti veri non fa bisogno di dirli, e che quando si cerca di manifestarli con parole si sgualciscono sempre un poco.”

    Il silenzio è d’oro, Chiara, la parola argento. Con le tue parole hai tracciato un arco leggero tra quei due monti, e te ne ringrazio.

    effeffe

  20. Alla morte di Richler, Margaret Atwood ha scritto “…Mordecai seemed so permanent, so substantial, so on top of things, so much to be depended on when each new hot-air blimp loomed into view, that it’s difficult to believe in his mortality.”
    Gli Scrittori sanno sempre cosa dire. E come.
    Almeno quando sono grandi traduttori tra la lingua del sé e quella del mondo.

  21. Donna caparbia e solare, Fernanda Pivano, che da trent’anni ha accompagnato le mie giornate su questa terra. Dai giorni del liceo giostrati fra Spoon River o On the Road, complici De André e il movement. Era naturale e rasserenante, come percorrere la terra che si srotola nell’ultima pagina benedetta dall’Orsa Maggiore, bere a giumella tutto Kerouac, tutto Ginsberg e Corso e Felinghetti e poi più tardi scoprire David Leavitt, McInerney, Easton Ellis, De Lillo. E intanto vagabondare sul suo Pianeta Fresco e seguirne le scorribande da un lato all’altro del piano padano.
    In lei trovavo finalmente la perfetta fusione della letteratura che amavo con la nonviolenza che corteggiavo. Nonviolenza come grimaldello della coscienza propria ed altrui. Nonviolenza come prassi di vita, arte e politica.
    Come a molti, anche a me la Pivano ha insegnato che la beat generation proponeva soprattutto un generalizzato, disperato e vitalistico anelito libertario: morale, spaziale, sessuale e ambientale.
    Come lei l’ha intesa, la nonviolenza diventava nobile e incruenta arma di comunicazione. “Chi comunica non configge” amava ripetere.
    E poi l’abolizione della schiavitù da denaro e ricchezze. Il rigore morale. L’etica del lavoro. L’antiaccademismo. E – su tutto – l’enorme intelligenza della sua fantasia.
    ”Senza di lei non” è il mantra tamburellato in queste ore da televisioni e giornali.
    Senza di lei, non io come sono. Senza quella donna paffuta e divertita che ha migliorato la mia giovinezza trasformando per sempre la mia esistenza. Senza la gioia dei suoi occhi narranti la vita ed il mondo da fare, nella sera d’estate fra i giardini di via dei Mille, senza la potenza delle sue braccia incrociate a salutarmi a Conegliano, rincorrendo uno strampalato Ginsberg, senza la lezione morale del suo candore canticchiante chissà quali canzoni fuori san Barnaba.
    Addio, Nanda. Con te finisce la mia vita così come l’ho sin qui conosciuta.

  22. Flavio,aggiungo alla tua tristezza una piccola nota e tu mi scuserai con dolcezza se mi servirò di uno dei poeti prediletti da Nanda:-Il pregiudizio naufragato balzòa lacerare tutto l’odio..gridai /menzogne che la vita e’
    bianca e nera/ parlai del cranio..sognai / fatti romantici di moschettieri /posai nel profondo / ah, ma ero molto più vecchio allora /
    ora sono più giovane”.da My back pages – Bob Dylan.
    era una creatura complessa ma solare Lei,la Nanda.Ci siamo imbevuti e nutriti delle sue delizie.Ricordiamolo,grati e sempre memori.Un modo per tenerla in vita.Sempre. Good night baby..Marlene

  23. ps.Non sempre riesco a correggere il testo dei commenti.
    E’ per via della connessione.Non volermene…Marle

  24. Bellissimo. Ci sono cose che non capisco se non con molto ritardo e per caso. ho sempre amato Fernanda Pivano, ora lo so. In maniera strana. La conosceco come traduttrice (Hemingway resta un faro per me) ma ad essere sicero non la seguivo da vicino, Era lei a seguire me. Saranno stati forse la sua dolcezza, i suoi occhi, la pacatezza, non so ma riconoscevo qualcosain lei di familiare, quasi materno. Per questo non la seguivo con attenzione ocme spesso non si segue la mamma. Intanto si sa che lei c’è. è li, sempre e comunque. PEr questo la sua morte per me è stato un dolore fortissimo acuito dalla confusione. Perchè mi manca la Pivano, che stimavo ma non seguivo come segua altre cose ocn attenzione?. La risposta l’ho trovata l’altro ieri sera guardando una sua intervista a Marzullo. tutto ciò che diceva, a volte in maniera quasi fedele, lo avevo già sentito sin dalla mia infanzia dalla bocca di mia madre. Il suo modo di vedere il mondo e di stare al mondo, come lei lo raccontava, così mi è stato raccontato. E’ straordinario come ci possa essere affinità tra persone distanti, apparentemente sconosciute le une alle altre, incosapevoli di tanta somiglianza. Sarà la terra, forse. La Pivano era genovese come lo sono io e mia madre ance se sradicati e radicati a Roma da una vita ormai. Forse è questo ceh ci lega, non so. Forse c’è davvero un tratto un anima tra le pietre del Golfo di Genova, forse davvero chi nasce in una città eternamente cosmopolita assorbe insieme al latte un carattere un modo di essere e stare al mondo. forse è davvero così.

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