TORNA L’OCCHIO DI HUBBLE






 

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Torna l’occhio di Hubble. Il telescopio spaziale di Hubble è stato riparato in orbita dall’equipaggio dello Shuttle Atlantis il 19 maggio 2009. Sostituiti i giroscopi, che anche i giroscopi si rompono, e posizionata la nuovissima Wide Field Planetary Camera 3, dopo mesi di meticolosa messa a punto, da oggi, 9 settembre 2009, l’occhio di Hubble è di nuovo in grado di trasmettere le sue fascinose immagini di galassie, stelle, nebulose e impatti remoti fra comete e pianeti. Lo strumento invia matrici di conteggi che vengono trasformate in immagini a colori, combinando i filtri usati dagli astronomi per isolare le emissioni dei diversi elementi: rosso per l’idrogeno, blu per l’ossigeno, giallo per il sodio ecc… Se ne deduce, quindi, che conviene avere filtri, per ogni evenienza, sempre, e di più colori e che, mentre la legge morale dentro di noi si fa sempre più vaga e nebulosa, può consolare taluni, forse, o al contrario spaventare e infastidire talaltri, che il cielo stellato sopra di noi si possa osservare ad alta definizione e profondità di campo, Ultra Deep Field, e che, soprattutto, sia sempre là al suo posto, trascolorando notti, giorni, fasi, immoto e insensibile ai lai dei poeti d’ogni stile, calibro ed epoca. Dai nomi delicati e spiritosi, attribuiti dai fantasiosi astronomi ai fenomeni celesti, non si potrebbe trarre ispirazione speciale, a tema spaziale, senza tema di annoiare con la solita affliggente inflazione dei dolori e delle pene? Da Aurora su Saturno… Primavera su Nettuno… l’Hamburger di Gomez… Nane bianche della Via Lattea… L’aquila s’e levata in volo… Quel che resta di una Supernova… Fievole Stella Rossa… L’eco luminosa di Monocerotics…

[ o. p. ]


 

 
 

“Caro Calvino,
non c’è volta che sentendo parlare di lanci spaziali, di conquiste dello spazio, ecc., io non provi tristezza e fastidio; e nella tristezza c’è del timore, nel fastidio dell’irritazione, forse sgomento e ansia. Mi domando perché.
Anch’io, come altri esseri umani, sono spesso portata a considerare l’immensità dello spazio che si apre al di là di qualsiasi orizzonte, e a chiedermi cosa c’è veramente, cosa manifesta, da dove ebbe inizio e se mai avrà fine. Osservazioni, timori, incertezze del genere hanno accompagnato al mia vita, e devo riconoscere che per quanto nessuna risposta si presentasse mai alla mia esigua saggezza, gli stessi silenzi che scendevano di là erano consolatori e capaci di restituirmi ad un interiore equilibrio.
[…] Ora, questo spazio, non importa da chi, forse da tutti i paesi progrediti, è sottratto al desiderio di riposo, di ordine, di beltà, allo straziante desiderio di riposo di gente che mi somiglia. Diventerà fra breve, probabilmente, uno spazio edilizio. O un nuovo territorio di caccia, di meccanico progresso, di corsa alla supremazia, al terrore. Non posso farci nulla, naturalmente, ma questa nuova avanzata della libertà di alcuni, non mi piace. E’ un lusso pagato da moltitudini che vedono diminuire ogni giorno di più il proprio passo, la propria autonomia, la stessa intelligenza, l’autonomia, la speranza.

 
Anna Maria Ortese
dicembre del 1967
dal Corriere della Sera

 
 

Cara Anna Maria Ortese,
guardare il cielo stellato per consolarci delle brutture terrestri? Ma non le sembra una soluzione troppo comoda? Se si volesse portare il suo discorso alle estreme conseguenze, si finirebbe per dire: continui pure la terra ad andare di male in peggio, tanto io guardo il firmamento e ritrovo il mio equilibrio e la mia pace interiore. Non le pare di “strumentalizzarlo” malamente, questo cielo?
[…] Quel che mi interessa … è tutto ciò che è appropriazione vera dello spazio e degli oggetti celesti, cioè conoscenza: uscita dal nostro quadro limitato e certamente ingannevole, definizione d’un rapporto tra noi e l’universo extraumano. la luna, fin dall’ antichità, ha significato per gli uomini questo desiderio, e la devozione lunare dei poeti così si spiega. Ma la luna dei poeti ha qualcosa a che vedere con le immagini lattiginose e bucherellate che i razzi trasmettono? Forse non ancora; ma il fatto che siamo obbligati a ripensare la luna in un modo nuovo ci porterà a ripensare in un modo nuovo tante cose.
Gli exploits spaziali sono diretti da persone a cui certo questo aspetto non importa, ma esse sono obbligate a valersi del lavoro di altre persone che invece si interessano allo spazio e alla luna perché davvero vogliono sapere qualcosa di più sullo spazio e sulla luna. Questo qualcosa che l’uomo acquista riguarda non solo le conoscenze specializzate degli scienziati ma anche il posto che queste cose hanno nell’immaginazione e nel linguaggio di tutti: e qui entriamo nei territori che la letteratura esplora e coltiva.
Chi ama la luna davvero non si accontenta di contemplarla come un’immagine convenzionale, vuole entrare in un rapporto più stretto con lei, vuole vedere di più nella luna, vuole che la luna dica di più. Il più grande scrittore della letteratura italiana di ogni secolo, Galileo, appena si mette a parlare della luna innalza la sua prosa ad un grado di precisione e di evidenza ed insieme di rarefazione lirica prodigiose. E la lingua di Galileo fu uno dei modelli della lingua di Leopardi, gran poeta lunare…

 
Italo Calvino
dicembre del 1967
dal Corriere della Sera

 
 

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18 Commenti

  1. non sto a dire della solita perfezione dei tuoi post, cara Orsola. Trovo qui Calvino un po’ arrogantino e dissento fortemente dalla sua supervalutazione di Galileo, anche come scrittore, ben inteso. Suggerisco ai cultori di fantascienza il raccontino di Asimov Ideas die hard, compreso nella raccolta The winds of change, non so se e dove tradotti.

  2. Ma, a proposito dei “territori che la letteratura esplora e coltiva”, nelle parole “verità/illusione”, “immaginario/tangibile” e dicotomie analoghe elencando: il cosmo e l’universo mondo dove rientrano? E da un lato soltanto o da entrambi? Sono più “vere” le stelle o le città invisibili? E quali ci muovono (commuovono) davvero?

  3. Orsola, è un dono sublime.

    Le immagini con i colori di strana bellezza,
    sembrano venute in un sogno.
    Ho una preferenza per light echo e cats’eye nebula
    la stella verdissima, la pianeta blu e verde.

    Si sente l’anima in consolazione, tranquilla.

    Le due lettere che si rispondono come due stelle scambiando
    luce e colori parlano del vincolo tra la contemplazione poetica
    e la risorsa della scienza. Se pensare l’universo in linguaggio scientifico
    mi è angosciante, sono riconoscente alla scienza di imbellire i miei sogni.

  4. Domenica 31 dicembre 1967, Carlo Cassola:

    “Domenica scorsa, su questo giornale, Italo Calvino ha affermato che Galilei è il più grande scrittore italiano di ogni secolo. Io credevo che Galilei fosse il più grande scienziato, ma che la palma di massimo scrittore spettasse a Dante. E che oltre Dante, in otto secoli, la letteratura italiana avesse dato alcuni altri poeti, come tali più importanti di Galilei.
    Ma mentirei se dicessi che l’affermazione di Calvino mi ha scandalizzato. Lo spirito di dimissioni di molti miei colleghi è giunto a un punto tale che non mi scandalizzo più di niente. L’augurio che rivolgo loro è di liberarsi del complesso di inferiorità nei confronti della cultura scientifica e della tecnologia. E se no, che cambino mestiere”.

    Ho trovato un’analisi approfondita della polemica e dell’argomento nel capitolo VI (pag. 107- 127) di “Italio Calvino e la scienza” di Massimo Bucciantini. Copio un passaggio (a pag. 121):

    “Ma anche rispetto a Queneau, tutt’altro è l’ambito entro il quale Calvino lavora e affronta il tema scienza-letteratura. Per lui non si tratta tanto di allargare il campo dell’invenzione letteraria costruendo quello che Queneau chiama una “nuova retorica”, bensì di affrontare ciò che in più occasioni egli definisce il problema della conoscenza della contemporaneità. È da questa prospettiva che egli guarda con attenzione alla scienza e, in particolare, a Galileo: “Quel che posso dire è che nella direzione in cui lavoro adesso, trovo maggior nutrimento in Galileo, come precisione di linguaggio, come immaginazione scientifico-poetica, come costruzione di congetture” [I. Calvino, “Due interviste su scienza e letteratura”, in id. “Una pietra sopra”, p. 232]. Per questa ragione la dicotomia avanzata da Cassola tra scienziato e scrittore è destituita di ogni fondamento. Calvino preferisce parlare di “vocazione profonda della letteratura italiana”, che considera “l’opera letteraria come mappa del mondo e dello scibile” e cerca attraverso “la parola letteraria di costruire un’immagine dell’universo”.
    All’interno di questo quadro di riferimento nessuno deve dunque scandalizzarsi dell’idea di porre Dante e Galileo l’uno accanto all’altro, in un’ideale catena letteraria, perché ambedue sono scrittori mossi da una medesima vocazione e tensione conoscitiva: [….]”
    ecc. ecc.

    Lunga vita ad Hubble!!! (e a Orsola :-) )

    fem

  5. grazie a Hubble, ovviamente

    la pulce de l’ispirazione speciale, a tema spaziale, senza tema di annoiare era rivolta ad alcuni/e dei miei poeti e poeta (non -esse che sennò Franti s’inquieta) e scrittori/trici e scienziati/e preferiti che infatti si son fatti vivi

    a niky lismo che mi chiede

    il cosmo e l’universo mondo dove rientrano? E da un lato soltanto o da entrambi? Sono più “vere” le stelle o le città invisibili? E quali ci muovono (commuovono) davvero?

    direi che cosmo e mondo sono talmente magneticamente legati nel loro orbitare, che un problema di verità o illusione non si pone e che le parole della scrittura letteraria orbitano anche loro fra verità e illusione, sempre, essendo rappresentazione, sempre, e che per ogni stella e per ogni città invisibile c’è un tipo di commozione particolare, diversa nei momenti diversi delle vite e diversa nella diversità delle persone.

    Trovo qui Calvino un po’ arrogantino è un esametro di quelli simpatici con rima interna…

    ,\\’

  6. “Cupio dissolvi”, sospirava Paolo in una lingua d’altri tempi, non sua, quella imperiale.
    Non vedeva l’ora di ricondursi all’Unità e finalmente capire tutto “in diretta”, non soltanto “per specula” (Hubble).
    “I can’t wait to die”, direbbe Paolo oggi, “se si trovasse ancora” (esistesse), nella lingua dominante attuale.
    Anch’io non vedo l’ora di morire.
    Nel mio piccolo (paulus).
    Non soltanto per l’omonimia.
    Non soltanto per le infauste (?) previsioni attribuibili all’oroscopo personale (radix):
    Popolarità dopo la morte.
    Bene.
    Sperando non si tratti, come pavento, di qualche misfatto finale che mi elevi fatalmente al disonore delle cronache.
    Ma anche, e soprattutto, per poter fare un giro nella giostra infinita dell’universo.
    Per sapere finalmente.
    Avendo già pagato il biglietto (non basta questo inferno?).
    Per conoscere i vicini.
    Alla velocità della luce.
    Anzi: alla maggior velocità possibile.
    Quella del pensiero.
    Ecco, abbiamo questo razzo interno, noi umani, che ci proietta in un istante in mondi disparati.
    L’immaginazione.
    Il sogno.
    Il desiderio.
    La poesia.

    Siamo poeti postumi.
    Come tutti gli assassini.

  7. A proposito di Universo (Orsola, perdona l’appropriazione indebita spaziale), soprattutto quello più vicino a noi, che il più delle volte stentiamo a comprendere.

    Di Stelle nelle Case

    C’è una donna al mondo
    da qualche parte agli occhi
    di nessuno in vista nell’allerta
    con problemi nel centrare
    il fuoco
    nelle dita dove pulsa un po’
    di cuore
    e non fa male solo poco
    in punta di diamante un’incisione
    al petto pugno chiuso
    che difficile si espande di stralùne

    (siamo stati sempre insieme
    prima ancora
    di saperci)

    Hai un oroscopo terribile ti sei
    congiunta indifferente
    al tuo Assassino
    questo è quello che si può
    capire
    di Stelle nelle Case e dunque
    cosa sono io
    mi chiedo se non esco
    a deflagrare
    un giorno in una luce
    ch’è già stata emessa

    (uccidersi negli altri
    è sempre fare
    cattiva biografia di sé)

    Vorrei arrendermi bandiera non
    ancora bianca la coscienza
    pura
    nel rispetto nuovo vecchio
    dell’amore che ci induce
    diamine però
    sarà pur valso vivere
    la pena
    in poche ore di trasporto prima
    di posarci indifferenti alle giornate
    vili come sopra

    (la colpa sono gli altri
    che non hanno mai
    avuto più il nostro cuore)

  8. La posizione di Ortese è ancora attuale, nel senso che credo rifletta un liceal-sentire verso la scienza molto diffuso in tutti gli strati intellettuali, non scientifici, della nostra cara patria e forse pure in quelli scientifici.
    Come ripeto spesso, basta andare in una Feltrinelli qualsiasi e confrontare l’estensione degli scaffali SCIENZA con quella degli scaffali SCIENZE UMANE: si noterà un rapporto di uno a dieci, o più, a favore di queste ultime.
    Come poteva Ortese, scrittrice tutta ripiegata sull’ascolto un po’ piagnone dell’umano (Forlani mi ucciderà), cogliere la grandezza dell’andare nello spazio, non tanto come fonte ulteriore di poesia, ma proprio invece di conoscenza & di nuove cosmogonie?

    Tuttavia al di là di questo c’è qualche notazione (qualche?) ulteriore e fuori tema.
    Oggi lungo i corridoi di una scuola, Titti, maestra elementare, mi mostrava i lavori dei bambini sulla teoria del Big Bang e allora le chiedevo Come gliela metti giù? Li informi che è una teoria?
    Titti rispondeva. Ma no, ormai è assodato, è andata così. Ma no, Titti, bisogna dire ai ragazzini che la scienza non è definitiva, mai. Men che meno la cosmogonia del Big Bang. C’era un grosso foglio di carta appeso lungo il corridoio con su dipinto un BIG BANG, un’esplosione tutta rossa e fumigante. La scritta recitava: PRIMA NON C’ERA NULLA, CON IL BIG BANG NACQUERO LO SPAZIO E IL TEMPO. Mi domando: può proferirsi una frase di più alto contenuto metafisico? Mi domando: come possiamo, noi non scienziati, accettare queste affermazioni, prenderle come buone, senza che a tutt’oggi esista una sola spiegazione soddisfacente (per noi)? E soprattutto: è giusto trasmetterle ai bambini così, come fossero assiomi inspiegabili, equivalenti a frasi tipo IN PRINCIPIO ERA IL VERBO E IL VERBO ERA PRESSO DIO E IL VERBO ERA DIO?
    Se lo domanda uno scientista totale.

    (Lunga vita al telescopio Hubble)

  9. con un curioso errore della FNAC visto che il libro si intitolava, Il cielo stellato dentro di noi, ed Tartaruga a cura di Diotima ( Luisa Muraro tra le altre)
    effeffe

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