La cintura [Eracle #9]

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di Ginevra Bompiani

Ma Zeus dov’era mentre il suo figlio prediletto
deviava così dalla propria strada?

La storia si potrebbe anche raccontare così. La figlia di Euristeo voleva il cinto di Ippolita. L’amazzone acconsente a donarlo a Eracle, ma nel momento in cui glielo consegna legge nel suo sguardo che ha deciso di tenerlo per sé. Allora pone le sue condizioni.

In quel cinto Eracle aveva visto qualcosa di più di un ornamento regale: vide il recinto, e fu tentato di entrarvi. Ma Ippolita gli fece subito capire che andava conquistato, e provocò lui e i suoi compagni in combattimento, costringendolo a strapparlo alla sua agonia (o alla sua resa, se divenne la sposa di Teseo). I compagni non videro in quella faccenda altro che un segno della volubilità femminile e un’occasione per farsi un po’ di fama. Ma Eracle aveva già capito. E infatti in questa impresa – letta frammentariamente – vi sono troppi elementi femminili per non costituire un itinerario. Così Eracle si mescolò successivamente ad avventure che lo portarono a immergersi per tre giorni nel ventre di un serpente marino, per riuscirne come la farfalla dal bozzolo dov’è entrata baco.

Nato per la seconda volta, e in balia della natura come un lattante, gli dei s’incaricarono d’isolarlo dai suoi compagni, strapazzando e sparpagliando le sue navi e scagliandolo con pochi seguaci su una terra ostile; perché quella avventura era destinata a lui solo. La sua nuova nascita era ancora così fragile che una minuscola popolazione caparbia poté avere la meglio di quel novizio; Eracle per sfuggire e nascondere la sua nudità infantile, si veste. E indossa vesti femminili. Raggiunta così la seconda pubertà, si avvia verso le nozze e sposa il figlio del re.

Ma Zeus dov’era mentre il suo figlio prediletto deviava così dalla propria strada? Dormiva. Era lo aveva immerso in un sonno traditore; fosse per inimicizia maligna verso l’eroe, o per ambigue complicità alla tentazione di lui. Zeus preferisce crederla addirittura l’origine di quel capriccio perverso, e punirla appendendola a una corda d’oro fissata in cielo con due incudini ai piedi. Poi, pesca il suo rampollo in fuga nel femminile e lo rimette nel Peloponneso come un burattinaio la sua marionetta.

Per spiegare l’atteggiamento di Eracle si possono tentare due interpretazioni: Eracle, l’eroe maschio per eccellenza, dal viso largo e sanguigno, bendato da barba e baffi arruffati, anche incamiciato in vesti femminili come poteva trarre in inganno con il suo aspetto? Era dunque tentato non dal femminile, ma dalla contaminazione del femminile col maschile. Tanto è vero che la sua mascherata non si palesa alle donne, da cui è ispirata, ma agli uomini. In altre parole, egli non cercò la somiglianza con Ippolita, ma la diversità dal rivale, facendone uno sposo.

Entrò nel recinto per contemplare di là il suo mondo con occhi nuovi. Naturalmente quello sguardo era proibito soprattutto a lui che aveva bisogno di una vigilanza chiara e in equivoca per affrontare limpidamente i mostri che si affacciano sulla strada degli uomini. Se per un istante, penetrando nella tana del Leone Nemeo si fosse immedesimato nella bestia, non l’avrebbe più uccisa. Ma forse la sua colpa, cresciuta poco per volta nella processione delle fatiche, era ancora più grave. Egli non soltanto discendeva da Zeus, – colui che aveva rovesciato il regno dei Titani e delle Madri, – ma era il protetto di Atena, lo sguardo più nitido di tutto l’Olimpo. La non-sensuale che aveva abiurato il suo stampo femminile. Generata dal maschio e mai succube di esso, niente le era più estraneo e dispettoso di quel che è confuso, torbido, ambiguo: dell’eccitazione, dell’ebbrezza, della saturazione. A nulla era ostile come alla perdita dell’individualità.

Non era la prima volta che Bacco si affacciava col suo sorriso arguto e segreto alle fatiche; e che Eracle ne afferrava la profonda e melmosa potenza; soggiogato dalla sua presenza nella bellezza felina, nella violenza del toro, nella furia dell’uomo, Dioniso lo attirava, non come il suo vero rovescio, ma come il rovescio del ruolo – la maschera – che gli era stata imposta. Come a teatro un attore troppo incarnito nella sua parte all’improvviso propone al compagno di scambiarsi le maschere e comincia a recitare dietro quella dell’interlocutore, così fece Eracle, portando nella matematica dei ruoli fissati dagli olimpici, la confusione che Dioniso aveva salvato in un’anfora preziosa del forte liquore che la precedente generazione degli dei versava sul suo popolo forte e spaventato, come una pioggia fangosa; quel liquore che i titanici Centauri avevano gustato per la prima volta come un dono, ma che in origine imbeveva il loro sangue.

Non c’è dubbio che Eracle questa volta fosse venuto alle prese col regno della Madri. Ma l’imprevedibile fu che egli per un momento decidesse di essere loro figlio. Si può aggiungere una terza possibilità: che Eracle sperasse di venirne a capo da solo: di entrare in quel corridoio oscuro come un cordone ombelicale e di uscirne illeso e trionfante.

Se fu così, si spiega come Zeus non lo punisse, ma lo salvasse con un gesto clemente. Anche se il suo furore dovette essere grande quando, svegliatosi, vide sul suo campione i segni irrecusabili dell’unione degli opposti che solo divisi possono mantenere un equilibrio accettabile nel mondo umano, e che la maschera invece tende continuamente a mescolare come dadi in una boccia di due colori che mani esperte capovolgono ora da una parte ora dall’altra dando l’illusione che il colore sia uno solo, sfumato ed effimero, percosso da un battito accelerato.

[Questo è il nono di tredici racconti sulle dodici fatiche di Eracle e resto. E per dare altri numeri La cintura è incluso in una raccolta intitolata Le specie del sonno uscita nel millenovecentosettantacinque per i tipi di Franco Maria Ricci e riedita da Quodlibet nel millenovecentonovantotto. Nella prefazione Italo Calvino ha scritto Per i miti una prima volta non c’è mai stata; o ogni geroglifico si sovrappone la storia delle sue decifrazioni; è così che nel nostro confronto col mito, sia la sua immagine che la nostra immagine si moltiplicano come in una stanza foderata di specchi. E specchio sia, anche NI.

In apice c’è una immagine dell’infanzia della mia generazione, è Lynda Carter che interpretava Wonder Woman nella serie televisiva prodotta dalla Warner Bros e trasmessa dal 1974 al 1976 da ABC e dal 1977 al 1979 da CBS. Io la guardavo negli anni ottanta. La prima fatica di Eracle è qui, la seconda qui, la terza qui, la quarta qui, la quinta qui, la sesta qui., la settima qui, l’ottava qui.

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3 Commenti

  1. ho letto solo ora questo post, bello e penetrante come anche altri di Ginevra. La sua scrittura è allusiva, talvolta impervia, sempre imprevedibile. Questo ciclo di storie sulle dodici fatiche è un bel contatto fra le antiche mitologie e il moderno Zeitgeist.

  2. hai ragione sparz,
    è veramente zeitgeist.
    se io penso alla contemporaneità di Wonder Woman (figlia di Ippolita regina delle amazzoni e comunque moderna amazzone) e a questo racconto mi viene veramente una grande allegrai. Che nel 1978 dai due lati dell’oceano si smontasse e declinasse lo stesso bizzarro soggetto è una cosa bella. e come diceva Mary Poppins… una cosa bella è una gioia sempiterna… ok, la smetto…

  3. ….sono in astinenza, già il caffè e niente Eracle; difficile sopravvivere e pensare che è sempre domenica…

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