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Ogni cosa è sempre qualcos’altro

foglie morte in autunno

di Chiara Valerio

Qual è l’uso di un relitto aereo, mi chiedo. Forse lo stesso di un corpo morto. E mi accorgo che nella loro concentrazione assorta i vigili del fuoco lavorano al più antico dei rituali della nostra era: la deposizione. Adagiare con cura pezzi dell’aereo di Ustica, amorevolmente ricomposti pezzo dopo pezzo come un collage, è pietà in atto. Beppe Sebaste ha nella penna qualcosa che sempre confina con la nostalgia, e alla nostalgia tende. La nostalgia è infatti per Sebaste una specie di madre patria narrativa. Manda avanti frammenti di memoria a colonizzarla, poi ci trasborda i personaggi e alla fine ci trasferisce le storie. È uno scrittore pieno di altrove. Da Lady Diana alle Panchine agli Oggetti smarriti e altre apparizioni (Laterza Contromano, 2009) non fa che muoversi in mezzo a escerti di vita passata, talvolta lacerti, saltare pozzanghere di vita potenziale, e seguire i sentieri delle vite perdute e ricomposte. E a raccoglierle.

Bisognerebbe prima di tutto dire lo spazio. Se io fossi stata la Woodman a Roma nel 1978, i canti di Maldoror mi sarebbero sembrate le sirene. Che Sebaste sia un raccoglitore di voci, uno che riesce a catalogare a memoria senza bisogno di teche di legno o acustiche è una sensazione che si ha immediatamente, dall’ufficio oggetti rinvenuti a Milano, in via Friuli fino a Comprai occhiali da sole fuori stagione e passai le ore a guardare il mare fuori stagione, la spiaggia vuota come nelle vecchie cartoline o nelle pagine di Scott Fitzgerald a Nizza. Usa le parole come il rabdomante un bastone e cerca l’acqua con la quale lavare e lavarsi. Ho scritto spesso degli anni Settanta sui giornali, ogni volta opponendomi con forza all’ostinato cliché che li vuole “anni di piombo”. Al contrario, erano anni di carne. Che gli anni di carne siano pure anni di sangue è una notazione immediata, che arriva però dopo, è una conseguenza muta ed evidente. Oggetti smarriti non commenta la Storia, e non la studia, la corregge con la lente dei ricordi, la chiude in una casa degli specchi. La storia è la storia è la storia è la storia e non c’è da voltare pagina e nemmeno da farcirla.

La prosa di Sebaste è in effetti scarna senza essere paratattica, è piana senza rinunciare agli aggettivi. È composta in un italiano broccato o in filigrana e la struttura delle frasi le si intravede sotto una lingua parlata. Non lo scrivo per significare che Oggetti smarriti e altre apparizioni sia scritto in un linguaggio di strada, ma per rivendicare la possibilità di un narratore a raccontare storie scritte quasi fossero parlate. Ora, dall’infanzia per me gli zingari erano i giostrai e quelli del circo. O anche. “Extracomunitari”: la formula è giusta se non si riferisce a coordinate geografiche, ma economiche ed esistenziali: la comunità è dei ricchi, i consumatori; gli “extra”, gli esclusi, sono i poveri, rom o rumeni che siano.

Tutti abbiamo amato più cose di quelle che siamo riusciti a portarci a casa o a letto, e di certo pure Sebaste, ciò nonostante, il tono dei suoi racconti liminali, personalissimi, impressionali (se esistesse in italiano e avesse proprio quel suono accentato sulla o) non lascia indietro niente, nemmeno un granello di polvere, o una cicca di sigaretta. Anzi, avvolge. Perché Sebaste evoca i fantasmi. Li chiama, li accarezza, li seduce, li mette in epigrafe insieme a Carmelo Bene. E alla fine li condivide. Nessuno è dentro, ma nessuno, nemmeno è fuori. Alcuni dei nomadi che vi risiedono (si noti l’ossimoro), senza residenza né permesso di soggiorno (i paradossi si sprecano), dimorano qui dal 1968. Quarant’anni senza essere riconosciuti, senza diritto di cittadinanza neppure per chi vi è nato e cresciuto.

Si noti l’ossimoro. Si notino le chiose. Essere viventi: essere di passaggio. “essere eterni: avere vissuto” (Max Frisch). E i titoli. Oggetti smarriti. Salvare in memoria. Simple twist of fate. Storia con fantasmi. Big Sur. Autostrada. The golden age. Il cane morto. Zero Killed. Fino all’ultimo respiro. La vita in pegno. Non ci piace scrivere sui muri. Strawberry fields. Stelle Filanti. La fabbrica dei palloncini. Il cantiere della memoria. La vita nuda dei rom. Oltretorrente. Il pasto nudo. La polvere di Samarcanda. Danza nel mare. Uomini e topi. Come se venissimo scacciati nei boschi. Guidando verso Bologna sulla via di Damasco. Lista degli oggetti personali appartenuti ai passeggeri del volo IH 870. Nota ai testi. E mia nota a margine. Contromano è una collana che dimostra che una idea di letteratura è possibile. E che le parole, dovunque si trovino, che siano piante di noci come Guerra e pace, o arabeschi alla Flaiano, vanno comunque lette una per una, senza generalizzare, senza chiuderle in etichette diverse da miscellanea. Contromano è una miscellanea.

9788842090373

B. Sebaste, Oggetti smarriti e altre apparizioni, Laterza, Contromano (2009)

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23 Commenti

  1. Saper riconoscere nel mandala più ampio della Vita il filo d’Arianna che intreccia memorie, luoghi, persone, emozioni è un dono raro che sicuramente Sebaste possiede. Perdendosi nel piccolo particolare di un’ampia vicenda, che confonde micro-storia e macro-storia, l’autore ci dona un lampo di assoluto, di infinito e ci ricorda che siamo umanamente divini ma soprattutto divinamente umani.
    Caterina

  2. bellissima recensione
    brava chiara, devo dire che recensire beppe sebaste è un piacere intellettuale e quindi fisico
    è talmente “come dici tu” che la riflessione è dotazione della scrittura di beppe, l’invito a continuarne il testo
    da melograno diventa pianta di noce (guerra e pace) quindi la possibilità di saltare dal raconto al romanzo
    hai ragione, beppe manda avanti i frammenti di memoria ma prima di trasbordare i personaggi ci trasferisce (feriscono?) le storie
    solo allora le colonizza
    ognuno trova un destino per poter essere coerente o disertarlo
    non mi pare poco, brava
    sono rimasto impressionato (questa volta ristabilisco l’accento giusto)
    sergio zuccaro

  3. grazie Chiara, davvero e di cuore (a ringraziare Gianni non ci penso nemmeno, non oso questo livello di presunzione né di innocenza… :-)).
    la tua recensione è una bellissima prosa – a proposito di grazia – e un attraversamento (tu, chiara, sei una fantastica scrittrice). anche il titolo mi piace molto, e lo sento davvero vicino (penso al finale di HP, a quel cartello illuminante, quasi un satori, che vidi sulla stazione di Lorient – ce ne sono in tutte le città di provincia della Francia – per avvertire de pericolo nell’attarversare i binari: “un treno può nasconderne un altro”. una volta ho scritto che non conosco metafore, solo metonimie. forse anche un po’ questo. insieme alla fascinazione, anche per me, per un’indecidibilità tra linguaggio scritto e linguaggio parlato (che, come sa chi scrive, è in realtà il lavoro di chi scrive, appunto).
    ancora grazie, con un abbraccio e a presto, beppe

  4. “Tutti abbiamo amato più cose di quelle che siamo riusciti a portarci a casa o a letto”.
    Mi basta solo questa frase della tua recensione per sentirmi un po’ meno povero.
    Non conosco Sebaste (mea culpa), benché ne abbia sentito parlare.
    In alternativa, mi piacciono i suoi titoli, che aprono (e chiudono) mondi.
    Ma ti ringrazio soprattutto per avermi fatto conoscere la collana “Contromano” di Laterza.
    Una possibilità altra per Letterature Centrali, ma periferiche, come le nostre (Siamo poeti postumi, come tutti gli assassini).
    Con un minimo di distribuzione.
    Rese alternative dalla contingenza e dall’inattualità delle scelte editoriali correnti (dove?).
    Il presente è sempre inattuale, specie per chi lo vive.
    A meno che non lo si storicizzi con “parole fatte ad arte”.
    Sembrerebbe questo il caso.
    Troverò il libro e ci metterò sopra qualche euro.
    Ma guai a te se mai dovesse deludermi.
    :-)
    P.S. Sbaglio o “Oggetti smarriti” è il titolo di un testo teatrale di Karl Valentin di parecchi decenni fa?

  5. leggere entrambi ovvero sentirvi parlare, chiara e beppe, mi trasmette immediatamente un’idea di letteratura come vorrei che fosse: alta, fragile.
    effeffe

  6. il titolo è Orlando.
    è Virginia Woolf.
    Ogni cosa è sempre qualcos’altro.
    e pure. Il giorno era breve, il giorno era tutto.
    a vous
    chi

  7. (che per me è ormai inseparabile dalla meravigliosa Tilda Swnton del film di Sally Potter. sì, evviva la scrittura trans, attraverso. che attraversando si attraversa)

  8. Bella recensione Chiara.

    Ho letto il libro questa estate mentre giravo da un posto all’altro in Toscana in cerca forse di ricordi e di presente. Molte delle storie che racconta Sebaste si imprimono, questo suo sguardo sulle cose…
    Bel libro.

    Un saluto

  9. il libro lo ignoravo ma me ne è venuto gran desiderio. Grazie Chiara,e grazie della tua bellissima scrittura

  10. Chiara, grazie per aver voluto condividere la lettura del nuovo libro di Beppe, che non ho ancora letto. Capisco dalla tua bella recensione come sia connesso ai due precedenti. A qualche anno dalla pubblicazione “H.P.” resta davvero un libro fondamentale (e bene ha fatto Einaudi ha riproporlo recentemente). Resta perché per me ha reso evidente nulla meno che il compito che (tuttora) ha la narrativa. Si resiste a parlare con enfasi di ciò che scrive Beppe. L’“indecidibilità tra linguaggio scritto e linguaggio parlato” è ciò che dona alle sue pagine il tono della conversazione garbata. Eppure c’è sempre anche una determinazione dolce di volersi e volerti spiegare (ha scritto un saggio sui maestri contemporanei e non credo si spaventi se qualcuno legge nei suoi libri anche un intento “didattico”). Il suo gesto, per quanto – questo sì – decisivo, è stato semplice: guardare le cose in controcampo, spostare l’attenzione dal sedile posteriore dell’auto schiantatasi nel tunnel de l’Alma (occupato da personaggi di cui sappiamo e abbiamo visto se non tutto, certamente troppo) a quello anteriore. Provare a raccontare una persona rispettando il suo irriducibile volersi sottrarre e restare nel buio. Lo sguardo del narratore di “H.P.” è l’esatto contrario dell’obiettivo del paparazzo, non ha bisogno di flash.

  11. Beppe tu questa ( gare st lazare) la conosci no?

    salle des pas-perdus féminin

    Large vestibule communiquant aux divers bureaux et autres salles d’un hôtel de ville, d’un bâtiment administratif.
    Dans un hôtel de ville, il faut en même temps de grands espaces et des bureaux, des salles de réunion vastes, des accès faciles et des pièces retirées ; de l’air, de la lumière partout. Au rez-de-chaussée, une salle des pas-perdus, large vestibule communiquant aux divers bureaux, aux salles de conseil, s’ouvrant sur un degré relativement ample et facile, conduisant au premier étage, à la grande salle, destinée aux fêtes, aux réunions publiques. — (Eugène Viollet-le-Duc, Entretiens sur l’architecture, 1872, page 122)

    effeffe

  12. a parte Viollet-le-Duc (di cui in HP cito la lapide della casa natale, tra la casa di HP stesso e il bar dove andava a bere e passare il tempo), c’è che la lingua francese sogna e racconta storia già nelle parole, ha un’epica intrinseca. La salle des pas-perdus per dire la hall e la sala d’attesa è pari solo alla rue du Cherche Midi nella toponomastica. Intanto ci siamo vist a torino, caro effeffe. a presto

  13. Beppe Sebaste ha la grazia rustica del cantastorie e il tocco elegante del filosofo. Le sue pagine, soprattutto quelle di “Oggetti Smarriti”, sono più poesie che racconti. O forse sono trattati di etica spiccia. In tempi come questi, ce ne vorrebbero, anzi ce ne vogliono, a migliaia. Per ora accontentiamoci delle gemme che ci regalano le sue pagine.

  14. non sapevo dell’esistenza di beppe sebaste e fino a qualche giorno fa neppure di chiara, quindi grazie a entrambi, e a questo posto (a parte un vago senso di inquietudine per il tempo perso).

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