Giallo di China

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di Simone Pieranni e Lavinia Benedetti

[direttamente dalla Cina i due autori ci propongono un testo sulla storia e le classificazioni di genere nella letteratura cinese e un’intervista a Qiu Xiaolong, forse il più famoso scrittore di gialli cinesi contemporaneo, e noi volentieri pubblichiamo. G.B.]

Definizioni
Dopo il compasso, la polvere da sparo, perfino gli ombrelli, la millenaria cultura cinese non poteva che sostenere di avere anche inventato un genere letterario, ovvero il giallo. Fin da tempi antichissimi il popolo cinese ha mostrato un fervido interesse per vicende a carattere legale-poliziesco. Già sotto il governo dei Qin, dinastia che unificò per prima il territorio cinese nel 221 a.C., compaiono i primi scritti che descrivono procedure legali; si tratta però ancora solo di elementi isolati, scarne descrizioni di carattere più che altro compilativo, forse a sostegno della politica legista perpetuata dai regnanti di questa dinastia. Le prime vere raccolte compaiono in epoche successive e diventeranno fonte inesauribile per novelle vere e proprie raccontate dai cantastorie di epoca Song (960-1279).
Oggi, sul motore di ricerca Baidu, il più usato dai cinesi di tutte l’età della neo sessantenne Repubblica Popolare si legge: “Il romanzo poliziesco più antico al mondo è il Bao gong’an, novelle di casi criminali raccolte in epoca Ming.” Conforme al crescente messaggio di incitamento nazionalista a sostegno della politica del partito, questa affermazione non ci stupisce. Bisogna però precisare cosa si intenda in cinese per romanzo poliziesco, poiché la mente cinese, così come la lingua, è sempre stata di natura pratica e schematica, non permettendo fraintendimenti di alcun genere.
Il genere definito come “poliziesco”, in cinese “侦探小说” (zhentan xiao shuo), significa letteralmente “romanzo investigativo”. In teoria, quindi, tutte quelle trame che prevedono un certo tipo di investigazione, dovrebbero essere racchiuse in questa categoria. Ma la parola zhentan, se intesa come nome anziché come aggettivo, significa anche “investigatore”. È per questo che la categoria zhentan xiaoshuo racchiude esclusivamente quei romanzi che vedono come protagonista un detective, privato o pubblico che sia.
Con il termine 推理小说 (tuili xiaoshuo), dove tuili significa “dedurre” si intendono invece quei romanzi dove il protagonista o chicchessia fa un’opera di deduzione. Ragionevolmente questo genere dovrebbe prevedere almeno un processo logico, dove da effetto se ne deduce una causa. I tuili xiaoshuo includerebbero, quindi, non solo i romanzi di Sir Arthur Conan Doyle o Agatha Christie, ma anche tesi accademiche, libri teorici.
Abbiamo poi il termine 悬疑小说, letteralmente “romanzi di suspence”, che così intesi potrebbero definire anche il ben noto capolavoro classico cinese, Sogno della camera rossa. Chi sarà la sposa del contesissimo Jia Baoyu? A questa rosa di termini si aggiungono anche quelli tradotti dalle lingue straniere come 黑色小说 (heise xiaoshuo), “noir”, 间谍小说 (jiandie xiaoshuo), “spy story”, 犯罪小说 (fanzui xiaoshuo), “crime story” o addirittura冷硬派小说 (lengying pai xiaoshuo), letteralmente “romanzi Hard-boiled”.
A onor del vero, anche se i cinesi non si possono propriamente definire gli scopritori del poliziesco, sono comunque i primi a mostrare interesse per questo genere di letteratura. Essendo di natura curiosa, la popolazione cinese si riversava già quasi mille anni fa nelle aule di tribunale per assistere alle sentenze giudiziarie. Ciò ha permesso la nascita di un genere letterario, novelle e poi romanzi, che descrivevano vicende giuridiche. Queste anche se povere di suspence, di deduzioni, di spie e di super-detective alla 007, abbondavano di criminali e magistrati che si annoverano di diritto il titolo di primi investigatori al mondo.

La saggezza e la censura
«Ci sono cose che un uomo farà e cose che un uomo non farà». La frase di Confucio, utilizzata nel suo ultimo romanzo, descrive più di una caratteristica di Qiu Xiaolong, uno dei pochi giallisti cinesi che scrive in inglese, è pubblicato anche in Cina e vive negli Usa. «Una giusta distanza – ha detto tempo fa – come fossi dentro e fuori allo stesso tempo. Un poeta della dinastia Tang diceva che non puoi vedere il vero volto della montagna Lu, perché tu sei nella montagna».
Nato a Shanghai nel 1953, Qiu ha studiato a Pechino e negli Stati Uniti. Durante le proteste di Tian’anmen nel 1989 si trovava negli Usa. Come volontario aiutò gli studenti cinesi cucinando e vendendo involtini primavera fuori dall’università. Il governo lo scoprì, la polizia andò a casa della sua famiglia e la minacciò. «Quando sentii una radio cinese fare il mio nome come fiancheggiatore degli studenti rimasi sconvolto e non tornai in Cina fino al 1995». Tornato a Shanghai ha trovato un paese diverso e ha deciso di raccontarlo: in inglese e attraverso dei gialli ambientati tra passato non troppo remoto e presente sfavillante cinese. Qiu Xiaolong vive a St Louis, la città di T.S. Eliot, la sua grande passione. Perché come il protagonista dei suoi romanzi anche Qiu Xiaolong è traduttore. Oltre al poeta di St. Louis ha tradotto anche Montale, che a sua volta tradusse Eliot in italiano, in cinese.
La Cina raccontata da Qiu Xiaolong che leggiamo in Occidente è diversa da quella che leggono i suoi lettori cinesi: per pubblicare in madrepatria ha accettato, anche per non mettere a repentaglio il suo editore, cambiamenti piuttosto profondi nei suoi libri. E il suo ultimo romanzo, Ratti Rossi, edito da Marsilio, è tutto incentrato sul tema della corruzione.
Nei suoi gialli il protagonista è l’ispettore Chen: un poeta piazzato dal Partito a fare lo sbirro. Chen ha la passione per la buona cucina del Montalbano di Camilleri, la flemma del Duca Lamberti di Scerbanenco e il romanticismo poetico di nessun altro. Una sorta di Prufrock moderno, tra volontà di cambiare dall’interno il sistema, recuperare ed esplorare il passato e la domanda di Eliot sempre con sé: «posso osare?». Qiu Xiaolong racconta la Cina, tra materialismo capitalista e perdita del passato, distici di epoca Tang e massime di Confucio, per esplorare e capire la Cina moderna, anche quella olimpica.

La Cina corre verso il futuro. Nei tuoi libri e nelle tue interviste hai detto che non c’è l’attenzione al passato. Cosa pensi della recente pubblicazione su un magazine cinese di una foto di feriti di Tian’anmen che, secondo la rivista, sono state pubblicate per sbaglio? Più in generale si dice che i giovani non sappiano cosa successe nel 1989.
Ho letto di questo incidente. Non mi sorprende che molti dei giovani cinesi, i nati negli anni 80, non sappiano nulla di quanto è accaduto nel 1989. La ragione è molto semplice: il Governo non ha mai parlato di quei fatti, li ha cancellati. Così come la rivoluzione culturale. D’altro canto la società materialistica che sta affermandosi in Cina non ha tempo di guardarsi indietro: deve guardare avanti per fare sempre più soldi. Semplicemente alla censura del Governo c’è una mancanza di interesse per quei fatti. Fare soldi è la priorità. E’ un’illusione pensare che prima o poi si possano affrontare davvero questi due buchi neri nella storia cinese.

Molti scrittori cinesi però indagano proprio quel periodo storico.
Si ma l’argomento in Cina è fuori discussione. Ne parlano in pochi, anche perché i media, che dovrebbero portare alla luce questo genere di cose, sono controllati, completamente. Se ne parli, nessuno riporta le tue parole. Anche alcuni miei amici a volte mi chiedono spiegazioni su quei fatti perché un’informazione vera non c’è.

Nel tuo ultimo libro parli di corruzione. Pensi che questo fenomeno sia una novità o sia invece insito nel sistema sociale e politico cinese da molto tempo?
E’ molto complicato. Nei miei libri parlo di cose realmente successe. A Shanghai quando arrestarono i boss del partito per corruzione chiamai l’editore e gli dissi che finalmente potevano pubblicare il libro in cinese. La risposta mi sorprese: nessuno si può permettere di dire che qualcuno è corrotto. Solo il partito può farlo. I miei libri sono stati pubblicati in cinese con cambiamenti rilevanti. Shanghai è diventata la Città di H. e tutti i riferimenti a luoghi ed eventi sono stati cambiati. Oppure il romanzo dal titolo Quando il rosso è il nero con chiari riferimenti politici ai due colori, in Cina è stato tradotto come Elegia per una casa Shikumen. In Cina un sistema legale non c’è mai stato, siamo sempre stati dipendenti dall’attesa di una persona onesta capace di risolvere tutti i problemi e annientare la corruzione. Il sistema non può garantire questo, perché è immerso nelle logiche di potere.

Qualcuno come l’ispettore Chen, anche se hai dichiarato che non ti è particolarmente simpatico, sarebbe utile nella Cina moderna?
L’ispettore Chen non so se potrebbe essere utile oggi. Ho alcuni amici a cui piace. Sono cinesi: non sono poliziotti, ma hanno la stessa storia. Loro sono persone che hanno deciso di rimanere nel sistema e combattere dall’interno, accettando però di starci. Compromessi. Non sono felici, ma hanno scelto di provarci. Loro vogliono cambiare questo paese. Chen è come loro. Non lo definirei un eroe, piuttosto è un anti eroe. Accetta compromessi, nella speranza di poter cambiare qualcosa. Quando mi sono posto la domanda se restare o no in Cina una volta che sono tornato, mi sono risposto negativamente: ho pensato che sarebbero stati troppi i limiti per uno scrittore. E ho deciso di restare negli Stati Uniti, anche se non ho problemi quando torno in Cina.

Cosa consiglieresti ad un occidentale in Cina, per capire al meglio la vostra cultura?
A parte leggere i miei libri, suggerire una cosa sola è impossibile. Direi però di non preoccuparsi delle differenze, di non essere timorosi. Direi di buttarsi, informarsi, guardare anche la televisione e soprattutto parlare con i cinesi, senza avere timore di incomprensioni. I giovani non ricordano il passato, ma sembrano avere voglia di condividere con gli occidentali le proprie speranze e le proprie esperienze. Non conoscono la propria storia, ma parlano inglese, navigano sul web, leggono e soprattutto conoscono molto bene la cultura e la mentalità occidentale. Quest’ultima caratteristica è un’ottima cosa. Consiglierei di non avere paura della Cina.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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