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L’ultima gita

di Franz Krauspenhaar

ravello1

Da Roma di nuovo al sud, Renata che guida con destrezza la sua Alfa Duetto, il tetto scoperto, io teso, che non so dove attaccarmi. La Costiera Amalfitana, raggiante: questa striscia di luce nel mare, contro spiagge di piccoli sassi e le montagne a costoni poco sopra, a fare la guardia. Immagini di bellezza struggente a volte, solo serena altre. Penso a quadri da fare, fotografo scorci, vicoli di Amalfi, salite e discese, mi allungo nella luce, mi restringo nell’ ombra. La Repubblica Marinara e il suo essere forse unica vera città sempre vissuta della Costiera. Pochi chilometri, abbandoniamo la strada ben asfaltata a ridosso del mare; l’auto sale agilmente, e raggiungiamo in poco tempo Ravello. Giriamo per quei giardini che furono di Wagner, di Forster, di Virginia Woolf, di tanti altri artisti, e dove anche da lontano si staglia nella roccia la grande villa che fu di Gore Vidal. Villa Cimbrone, di più. Nel profumo imperdibile, nell’essere accolti dalla veduta alta sul mare, che sembra infinito. I miei occhi spaziano in un’apertura alare senza quasi una fine, stringo la mano di Renata, la sento prendere spessore levigato a ogni secondo, come se il sangue e il battito del cuore la ingrossasse per me, come fosse il suo sesso gonfio per l’eccitazione. Quella mano fine, meravigliosa, che sembra sia stata fatta per toccare con amore il mio corpo, per indossarsi in me, per intrecciarsi nella mia; la sua mano delicata, e pronta a trasformarsi in altri incanti. Il mare è azzurro come gli occhi di un vecchio marinaio del nord, occhi di Jean Gabin, di stupore atlantico. Non mi sembra nemmeno di essere nel sud dell’Italia, ma in uno spazio di mondo mitico a picco liscio sul mare, un mare spaziale, fatto per appartenerci anche da lontano, anche da mille estremità. Mi sento coinvolto in quel mondo come se quello fosse diventato il mondo tutto, una guaina di spazio posto in una sintesi maestosa; quella bellezza è divina e diviene violenta, più la guardo, più me ne approprio abbracciandola. Diviene dolorosa a tratti. Vengo preso da un’emozione che dentro di me produce scaglie di piacere e insieme di dolore, come se veleno e contravveleno si stessero battendo duramente a tenzone nei cunicoli ingorgati delle mie vene, fino al cuore, e la lotta potesse ridurmi a un pianto sfrenato senza alcun senso, un pianto che diventa emozione pura e stupida, senza alcun segno, né positivo né negativo. Nemmeno di liberazione. Renata mi chiede che ho, non so cosa rispondere. Sapessi davvero piangere scoppierei nel dirotto, torcendomi dall’amore e al contempo dalla paura per la vita che in questi istanti forse sta avendo la meglio, come se mi stessi duplicando dentro me stesso. E’come con Renata: la amo ma ne ho paura, e dunque questa emozione rifratta, scagliata, duplice, paradossalmente si armonizza direi alla perfezione con quel che provo per questa donna; Ravello diventa l’immagine naturale di Renata, il suo simbolo divenuto immane ed eterno. Lei rappresenta il posto che sto visitando incarnandolo, come se la natura che ci avvolge si fosse risucchiata nel suo corpo, nella sua vita fatta di spazio e di tempo vissuto e da vivere.
Più tardi la spiaggia, il sole, il riposo. Una tensione sotterranea ci sta accanto, posata tra le sdraio accostate, come uno spirito guida che non si svela che per enigmi. Avverto il senso della fine, vorrei scappare prima che la fine io la possa leggere negli occhi di lei e di conseguenza nel tremito delle mie mani. Ora ricordo il momento: la spiaggia di Positano, lustra e architettata, è la piazza d’armi e d’amore di una disfatta privata, la mia ennesima. Nessun litigio, nessuna scenata. A sera facciamo l’amore, in un nero di lutto implicito, dunque a luci spente, con il mare fuori che lancia tenui bisbigli di luce raggiungendoci dalla finestra spalancata. E’ incredibilmente bello e terribilmente doloroso, come davanti alla Terrazza dell’Infinito a Ravello. Il nostro letto cade verso una specie di abisso, nell’oscurità il bianco del mio sperma è una luce naturale, che illumina una tristezza senza rimedio, piena di un senso naturale di abbandono a ogni sogno. E poi, all’ultimo, un punto interrogativo nelle pupille dei suoi occhi, e io che vi leggo dentro come in un fondo di caffè: forse c’è ancora tempo.

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15 Commenti

  1. bisogna che diano a franz une residence d’ecrivain a Ravello!!! subito
    Grandi momenti (direbbe lui e anch’io lo dico)
    effeffe

  2. La mia amica T.S., direbbe :
    “ Nella notte senza fine
    Ti indosso senza spogliarti
    E di te mai mi sazio nel silenzio
    Evanescente….. “

    e l’altro, il parafrastico, direbbe :
    “io
    è il mio seme perduto nel tuo vago sorriso/
    nella luce di quest’amore zoppo , non spento /
    nello slancio del desiderio che resiste ,
    timido e tra mille paure…/ma
    alla fine…congiunto col tuo ?…”

    e il mistico chioserebbe :

    “Dio non guarda
    i vostri corpi o
    il vostro aspetto..
    Egli guarda
    i vostri cuori.

    ( MUSLIM, Nawawi I 7 )

    Io invece dico “Non male, Franz, davvero non male. Bellissima prosa. ”
    Curioso di sapere se fa parte di un volume.Quanto alla Casa delle Arti, se me ne daranno l’opportunità, di sicuro t’nviterò ( e per opportunità intendo le garanzie circa le cose di cui parla Forlani nel suo post succedaneo.)
    Comunque ci terremo in contatto via mail.

  3. “Mi sento coinvolto in quel mondo come se quello fosse diventato il mondo tutto, una guaina di spazio posto in una sintesi maestosa; quella bellezza è divina e diviene violenta, più la guardo, più me ne approprio abbracciandola. Diviene dolorosa a tratti. Vengo preso da un’emozione che dentro di me produce scaglie di piacere e insieme di dolore, come se veleno e contravveleno si stessero battendo duramente a tenzone nei cunicoli ingorgati delle mie vene, fino al cuore, e la lotta potesse ridurmi a un pianto sfrenato senza alcun senso, un pianto che diventa emozione pura e stupida, senza alcun segno, né positivo né negativo. Nemmeno di liberazione.”
    ecco le parole giuste per descrivere quello che si prova

  4. mille grazie a tutti. questo è un pezzo del romanzo che sto scrivendo (sono quasi al termine) e che non so quando uscirà, ovviamente. come pezzo può stare anche da solo come racconto. la costiera induce secondo me a una specie di allucinazione realistica. il pezzo credo dia l’impronta di questa sensazione – per me cittadino avventurarmi in quei luoghi è stata un’emozione di duplice valenza, come il protagonista godevo e soffrivo al contempo intensamente; i colori, l’aria, il paesaggio, quasi soffocavano me, abituato al soffocamento dello smog, di una cappa di bellezza inaudita, sfavillante, allucinatoria, appunto. grazie anche a salvatore, da te posso portare “franzwolf”, il libro di poesie appena uscito per “Torino poesia”.

  5. una meraviglia leggerti. conosco lo stupore dell’infinito di quella terrazza a Ravello, caso vuole che lì, proprio lì finì la mia prima storia d’amore.
    come leggere un fondo di caffè dentro ad uno sguardo nella nudità post eiaculazione: non ci sono nubi, tutto è terso e la verità dolce e cruda si rivela.
    grande Franz. (come sempre)

  6. grazie beppe, grazie nàt-la-dolce.

    caro/a amalfi, lei l’ho vista di striscio, mi perdoni; il racconto si concentra su ravello e positano, per il sesso soprattutto. prossima volta la immergo in una nebbia a 180 gradi.

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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