La poesia nera di Alan D. Altieri

weegee

di Mauro Baldrati

Per parlare dell’ultimo libro di Alan D. Altieri, Hellgate (Tea, 2009), bisogna fare una riflessione sulla violenza e la sua rappresentazione. La violenza è ormai parte del nostro quotidiano, esce con enfasi e autocompiacimento dai telegiornali, che sono zeppi di cronaca nera che viaggia sui particolari macabri, sulla violenza verbale degli aggettivi (massacro, strage, sgozzato, ecc), e si basa su un presunto voyeurismo dark del pubblico al quale fornisce nutrimento. La violenza rappresentata dalla televisione, e con altri stili dai giornali, è brutta, volgare, perché deriva dal tentativo di spettacolarizzare il dolore che sta dietro gli atti criminali, spesso causati da un livello intollerabile di aggressività. Cerca di spettacolarizzarlo attraverso la sua riproduzione, la moltiplicazione, restando così dentro la violenza, senza neutralizzarla né superarla.

Molti film noir, e molti romanzi appartenenti allo stesso genere, rappresentano la violenza invece con uno stile patinato, dove persino i criminali sono stilisti, sono glamour. Per arrivare a questo risultato si opera uno svuotamento del dolore reale, che non è mai elegante, lo si pulisce dalle lentezze, dalle goffaggini, dai brutti colori, dai brutti ambienti. L’ha detto il regista Takeshi Kitano: “la violenza nei miei film di yakuza è una violenza che fa molto male. In un film questo dolore permette di neutralizzare la violenza. Voi invece non fate che film privi di dolore”.
Film privi di dolore: con la patina ciò che è brutto, rappresentato anche con scene orrende, scene splatter, in immagini o sulla pagina scritta, diventa bello, diventa cool. La violenza viene filtrata e riconvertita in oggetto di consumo e di evasione.

La neutralizzazione della violenza di cui parla Kitano è dunque il suo superamento, è la sua denuncia. E’ il processo contrario di quello televisivo. Attraverso il racconto noi prendiamo coscienza, passando per forme diverse di identificazione, dei meccanismi della violenza del potere. E del nostro dolore. Forse l’antico enunciato lucarelliano del giallo come genere di denuncia sociale non è del tutto privo di fondamento.

Alan Altieri, coi suoi romanzi e racconti più duri (Hellgate è una raccolta di racconti), sembra spingersi oltre: opera una serie apparentemente infinita di filtrature della violenza, fino a portarla a una forma per così dire essenziale, una super-forma. Non vi è più bruttezza né bellezza, non vi è compiacimento, né “contaminazione” di generi, perché il mondo della città oscura, la “città nera” dove opera il protagonista Andrea Calarno, poliziotto-assassino (“cosa sono io? Un assassino”) che combatte una guerra senza quartiere contro altri assassini, criminali terminali che non sembrano avere nulla di umano, demoni di un inferno che ha preso il potere sulla Terra, è il mondo della violenza pura, mistica. Sono spacciatori, killer, psicopatici, ma anche avvocati del crimine, politici senza scrupoli, gli esseri post-umani che vediamo spesso in televisione mimetizzati da persone perbene e invece vivono per rubare, per corrompere e mentire. Calarno li combatte con ogni mezzo, legale e non legale, ammazzandoli a sangue freddo, quando è necessario, o con l’aiuto di uno specialista delle squadre d’assalto, un cecchino con la faccia di pietra, una maschera di durezza. E’ spinto da una forza oscura, è a suo modo un “puro” come lo è Philip Marlowe, l’eroe letterario più amato da Altieri; è un essere perduto, che non può vedere la sua famiglia, per non esporre i suoi cari alle rappresaglie del crimine che combatte. Quella di Hellgate è una società del futuro, oppure del presente, una società già esistente, ripulita da ogni retorica, da ogni mimetismo. Perché, come disse una volta William Gibson, la fantascienza “parla sempre del presente, del momento in cui è stata scritta”. Altieri stesso lo scrive nel corsivo di introduzione di Tutti al rogo, il racconto più lungo del libro – in realtà un romanzo breve – un testo che si sviluppa lungo una border-line di fantascienza sociale: “il vettore tematico è la società del suicidio, la società della depravazione. Al lettore interpretare, ipotizzare, inferire quali tra i troppi, e troppo fragili, aspetti del reale contemporaneo ho cercato di distorcere, deviare, disgregare. Benvenuti quindi nel non-luogo del binario morto di Tutti al rogo! Dove la politica è un manicomio criminale, la religione è un delirio perverso, l’etica è un reality tossico.”

Un’ultima, doverosa nota sullo stile di scrittura: è lo stesso del trittico di Magdeburg (L’eretico, La furia, Il demone), periodi brevissimi, con a-capo ripetuti e frasi secche, dialoghi duri, sarcastici, uno stile che a tratti sembra poetico, come se scrivesse in versi. E certi capitoli contengono pagine di poesia nera, poesia della follia, poesia militare, poesia della balistica, un genere di cui Altieri forse è uno degli inventori.

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4 Commenti

  1. ….siamo circondati da una perenne “alta marea” di violenza reale e artificiale da cui diventa difficile uscire con la testa per respirare per non soffocare. La violenza reale si commenta da sè: è realtà, e innanzi alla realtà non si fanno sconti: possono raccontartela in modi diversi, ma “quella” resta.
    Ma perchè non fare mai nulla contro la violenza artificiale? Mai si leva una “virgola” contro collezioni di telefilm e filmetti malfatti infarciti di violenza elevata al cubo. Siamo assuefatti a baracconate alla wolker texas ranger (…buon Dio facci rinsavire!) da sghignazzarci sopra, neppure ci facciamo più caso che certi spettacolini vanno in onda dopo il “tiggì”, alle tre del pomeriggio. Poi ci stupiamo per fenomeni come il “bullismo” fra i giovanissimi, le bande di gradassetti che infieriscono sui più deboli nelle scuole per un telefonino….
    Cosa un po diversa è la violenza romanzata, perchè chi legge è, per forza, più “attrezzato” per valutare certi “pesi specifici”

    Fabio “crazy horse”

  2. A mio parere Altieri sta oltrepassando il limite invisibile tra narrativa e letteratura per approdare all’area ritenuta più “alta” dello scrivere. L’evoluzione costante del suo stile, l’approccio tanto gelido quanto coinvolgente ai temi trattati, la stessa evoluzione dei suoi personaggi principali indicano un percorso netto, distinto, verso un tipo di narrazione di grande peso specifico. Come dichiara il Sig. Biondillo, in un mondo senza pregiudizi questo scrittore avrebbe un posto d’onore. In questo mondo, l’onore glielo tributa chi lo segue.

  3. Andrebbe anche osservato, parzialmente OT, che Altieri è una delle persone più deliziose che si possano incontrare nel mondo dell’editoria. Non conosco nessuno che abbia una ratio potere:gentilezza (vera) paragonabile alla sua.
    Tutto sommato, scrivere libri e pubblicare quelli degli altri è anche qualcosa che ha a che fare con la natura e il carattere degli uomini.

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Helena Janeczek è nata na Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca, vive in Italia da trentacinque anni. Dopo aver esordito con un libro di poesie edito da Suhrkamp, ha scelto l’italiano come lingua letteraria per opere di narrativa che spesso indagano il rapporto con la memoria storica del secolo passato. È autrice di Lezioni di tenebra (Mondadori, 1997, Guanda, 2011), Cibo (Mondadori, 2002), Le rondini di Montecassino (Guanda, 2010), che hanno vinto numerosi premi come il Premio Bagutta Opera Prima e il Premio Napoli. Co-organizza il festival letterario “SI-Scrittrici Insieme” a Somma Lombardo (VA). Il suo ultimo romanzo, La ragazza con la Leica (2017, Guanda) è stato finalista al Premio Campiello e ha vinto il Premio Bagutta e il Premio Strega 2018. Sin dalla nascita del blog, fa parte di Nazione Indiana.
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