Cercatori d’oro in Lombardia

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Gruppetti di pensionati che si incontrano, nei fine settimana, sul Ticino, sull’Elvo, sull’Orco. Anni di fatica per raccogliere i pochi grammi di materiale rimasto. E il sogno di una grande alluvione. Ecco cosa rimane, oggi, della prima (e unica) corsa all’oro italiana.

testo di Thomas Pololi, foto di Giovanni Hänninen

Li incontro al Bar Centrale di Bereguardo, a pochi chilometri dal centro di Pavia, davanti a un bicchiere di Crodino. Sono Armando Pasqualini e suo figlio, cercatori d’oro, il padre nel 2001 è stato Campione del Mondo di Ricerca dell’Oro. “Come ha fatto?”, gli chiedo. “Ho vinto una gara”, dice Pasqualini, e mi spiega come funziona una gara di ricerca dell’oro. Anzi, mi porta direttamente sul luogo dove, domani, si svolgerà un’altra gara, questa organizzata da lui. Non siamo in mezzo a una foresta, e nemmeno sul bordo di un fiume: l’erba, ben tagliata, è quella del prato interno del Castello di Bereguardo, l’acqua arriva da un tubo attaccato a un rubinetto. E l’oro dov’è? E’ in delle provette, diviso in gruppi di pagliuzze numerate. Domani i giurati lo “semineranno” in dei secchi di sabbia. E’ da quelli che i partecipanti dovranno estrarlo. Intanto, il pubblico potrà mangiare salsicce alla brace e bere tè freddo sotto l’ombrellone.

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cercatori dell’associazione Oro in Natura durante la gara sociale sul fiume Elvo

E’ in posti come questo che si riuniscono i cercatori d’oro, oggi. A volte, solo quelli della zona. Altre, come durante il Campionato Italiano dei Cercatori d’Oro, anche tedeschi, belgi, francesi. Con la partecipazione speciale di qualche gruppo locale di cover di musica country.

L’età dei cercatori supera, in media, i 50 anni. Sono tutti pensionati, la maggior parte ex- pescatori che un giorno hanno scoperto che nei fiumi italiani non ci sono solo pesci. Tutto è iniziato negli anni ’80, con Pipino, un geologo napoletano laureato con vent’anni di ritardo. E’ stata sua l’idea di far ritornare la gente sui fiumi a cercare l’oro, non con l’illusione di potersi arricchire, ma come semplice passatempo. Il vero oro stava nei soldi versati dai partecipanti alla sua associazione, la Federazione Italiana Cercatori d’Oro. Non c’è voluto molto, però, prima che qualcuno iniziasse a lamentarsi. Bastano pochi grammi d’oro per accendere l’avidità delle persone, e subito sono cominciati i litigi, la battaglia per la conquista e il mantenimento di una “punta”, il pezzetto di sponda su cui il fiume ha depositato il suo oro. I “falchi” sempre all’erta, per individuare le macchine dei migliori cercatori, e depredare, alle prime luci dell’alba, la zona aurifera. I piccoli gruppi in combutta. Fino al giorno in cui l’associazione s’è divisa in due, poi in quattro, poi in otto, l’oro forse ha questo potere di dividere le persone. Ora esistono associazioni di sole due persone, padre e figlio, moglie e marito, basta appendere una targa di legno sulla porta di casa e provare a contattare qualche scolaresca o gruppo di boyscout, per poi richiedere dei fondi al Comune. La ricerca dell’oro è nella storia del Ticino, nella storia della Bessa, poco distante da Biella, i Comuni a volte pagano, a volte no. Ma i veri soldi se li fanno in pochi, in pochissimi, i più furbi. Quelli che, fin dall’inizio, hanno puntato alle cave. Estrarre industrialmente oro dai fiumi italiani è vietato, ma non c’è nessun divieto sulla ghiaia. E tra le tonnellate di ghiaia si nascondono chili d’oro: basta mettere un “tappetino” nel punto giusto, dove passa il materiale estratto, e quello farà tutto da solo. Al “cercatore” basterà andare a ritirare il malloppo, una volta la settimana o al mese, e caricarlo su un furgoncino. Niente tasse, nessuna dichiarazione. Solo un accordo a voce con i proprietari della cava, che vogliono la loro parte. La favola del Klondike, della California, delle slitte trainati dagli husky e delle pepite è davvero una favola. Lo era anche ai tempi, perché l’oro nel Klondike era esaurito molto prima che arrivassero le cordate dei cercatori. E in California ce n’era davvero poco. Il fiume più ricco d’oro del mondo? Il Ticino.

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ricerca delle pagliuzze ‘seminate’ nella sabbia

E’ sulla sua sponda che Pasqualini, per la prima volta, mi mostra l’atto dell’estrazione. E’ semplicissimo: basta centrifugare del materiale aurifero con un piatto, la “batea”. Una volta si usavano semplici padelle, oggi ce ne sono diversi tipi: la olandese, la conica, e l’ultimo ritrovato, quella piatta, da gara, tra i 200 e i 300 euro, che se manovrata bene in pochi secondi può liberare chili di sabbia di tutto il materiale in eccesso. E’ solo questione di pratica, non serve essere avventurieri, né camminare per ore nella neve. Volendo, basterebbe una vasca da bagno. I cercatori d’oro non amano la fatica inutile, con la macchina arrivano a pochi metri dal fiume e possono subito iniziare a lavorare. I posti li conoscono, sono battuti da tutti: il Ticino, l’Elvo, l’Orco, il Sesia. La maggior parte si accontenta di questi, vanno più che bene per passare una giornata tra amici o quasi amici, e raccogliere un paio di grammi, anche cinque o sei quando va bene. Si parla di cibo, di montagne, di distillati, e soprattutto di oro, che ormai sta finendo, non vale più la pena fare tanta fatica a meno che non arrivi una vera piena, un’alluvione che faccia rivoltare le sponde del fiume e rimetta in gioco l’oro sepolto da anni. Tutti ci sperano, e si preparano per quando verrà l’occasione. Intanto, invecchiano.

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ricerca dell’oro con la batea

Ex tramvieri, ex insegnanti di educazione fisica, ex orefici, ex geologi, non esiste un modello ideale di cercatore d’oro. L’unico denominatore comune è la pensione. Lo sanno anche loro, mentre qualcuno sogna di ravvivare l’interesse per un hobby faticoso e che non frutta niente con dimostrazioni nelle scuole e nelle piazze, qualcun altro gli ricorda che “Siamo solo dei pensionati”. Insomma, è inutile darsi troppo da fare, la cultura della ricerca dell’oro tanto non interessa più a nessuno: anche l’entusiasmo dei bambini svanisce quando, aspettando di vedere una pepita d’oro uscire dal fiume, riescono a riconoscere a fatica dei puntini gialli sul fondo di una batea. Qualcuno, come il signor Giannino Rambaldelli, ha capito che per conquistare i bambini l’oro non era sufficiente, così ha lasciato perdere le associazioni e ha iniziato a costruire barchette fatte con gusci di noce e trottole di legno, e ha fondato, insieme ad altri pensionati di Milano, l’associazione “Arrivano i nonni”. I bambini delle scuole elementari lo conoscono come Nonno Giannino, ex cercatore d’oro e grande raccontastorie. “Sono loro il mio oro”, dice Nonno Giannino, “Il Comune invece non mi offre nemmeno un caffé”. Del mondo dei cercatori d’oro ha conservato trofei e campioni raccolti nei cantieri della città: ha trovato pagliuzze sotto via Sarpi e davanti alla sede della Rai in corso Sempione, proprio dietro casa sua, perché l’oro è di origine alluvionale, e Milano si trova nel bel mezzo di una pianura scesa proprio dalle montagne dell’oro. Il Monte Rosa, soprattutto. E’ sotto le sue rocce, a una profondità che nemmeno i più moderni macchinari possono raggiungere (almeno non con un discreto rapporto costi/benefici), che si annida un filone d’oro che forse è il più ricco del mondo. Una ricchezza che non vedrà mai la luce.

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campioni di oro ritrovati nel sottosuolo milanese: via Procaccini, via Novara, corso sempione, corso di portaTicinese…

Nonno Giannino a ottant’anni ha trovato il suo oro. Uber, ovvero il signor Uberti di Rozzano, a settant’anni è morto cercandolo. Era agosto, il sole picchiava sulla sponda dell’Elvo, lui continuava a scavare. “Non c’è bisogno di andare così a fondo”, m’hanno detto i cercatori, “Ma Uber non poteva farne a meno”. Quel giorno, mentre tornava dal sentiero, s’è steso al suolo e non s’è più rialzato. Mimmo, il cercatore che era con lui, ha potuto solo chiamare i soccorsi e raccogliere le poche cose che Uber aveva con sé: un paio di grammi d’oro, la batea. Due mesi dopo, la batea l’ha data a me. “Uber sarebbe contento di sapere che l’ha avuta un giovane”, ha detto. Anch’io sono contento di averla. Ho chiesto in giro di Uber: per alcuni era un uomo terribile, un egoista. Secondo altri era un grande cercatore e una brava persona. Sulla rivista annuale dell’Associazione Oro in Natura, dei fogli A4 stampati in bianco e nero e rilegati in una cartoleria, tutti gli hanno dedicato una pagina di addio. [su richiesta dell’autore, è stato rimosso un paragrafo – NdR] Di solito andava sull’Elvo: lo raggiungeva anche da solo, in treno, passando per Santhià, poi un pezzo a piedi a lato di una superstrada. Ho provato a ripercorrere lo stesso tragitto: pure io mi sono sentito in pace.

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nonno Giannino alla ricerca dell’oro

Passiamo accanto all’ex centrale nucleare di Trino Vercellese. E’ sera, ma la centrale è illuminata a giorno. “Sai quanto sono alte quelle ciminiere?”, mi mette alla prova Giuseppe Carenzi. “Cinquanta metri?”, azzardo. “Centotre”, dice lui, quasi con orgoglio. La sua cascina è a poche centinaia di metri dal colosso, nascosta nel buio dei prati. Carenzi mi fa sedere e apparecchia davanti a me una tavola costata vent’anni di lavoro. La prima portata, la più ricca: una scatola contenente tre provettoni, un chilo d’oro in tutto, 16.000 euro, raccolti negli anni ’80 e ’90 sul Ticino e sull’Elvo. Poi vengono i piatti più ricercati: pagliuzze di forme strane, oro nativo su quarzo, pepitine: ogni pezzo è chiuso in una scatolina munita di lente ed etichettata con nome del luogo e data del ritrovamento. C’è dell’altro: posate d’argento, rulli di pistola, monete antiche. Sul fondo della batea può rimanere di tutto: Carenzi cerca di piazzare i pezzi di valore da qualche conoscente, ma raramente ci riesce. Il fiume corrode troppo.

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un cercatore d’oro mostra la propria collezione

Dopo l’oro e l’argento, vengono i libri: i Tesori sotterranei d’Italia, ovvero la Bibbia dei cercatori d’oro, autore Guglielmo Jervis, geologo regio della fine dell’ottocento; poi riviste, vecchi documenti, manuali inglesi, francesi, tedeschi, rarità che forse valgono anche più dell’oro. Sì, perché Giuseppe Carenzi l’oro lo cerca in biblioteca: all’Archivio di Stato di Torino, in un sotterraneo dove migliaia di documenti dell’antica Zecca sono ancora chiusi in dei sacchi di iuta. Nessuno li ha mai catalogati, nessuno li catalogherà mai. E’ in mezzo a questa spazzatura burocratica che si trovano le indicazioni che portano ai luoghi dell’oro, alcuni sconosciuti persino a Jervis. Carenzi ha imparato a setacciare anche le vecchie mappe, a selezionare solo le più interessanti. Poi, le confronta con quelle di Google, e con una scaricata da un suo compagno esperto di computer da Emule, scala 1:20000. In cent’anni anche le pietre più pesanti possono spostarsi di chilometri, figuriamoci le piccole pepite d’oro. Comunque, vale la pena tentare.

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ricerca dell’oro sul fiume Elvo

Siamo a dicembre, ma che importa? Giuseppe Carenzi l’oro lo cerca tutto l’anno, insieme a pochissimi altri disposti a indossare due paia di calzettoni di lana, guanti antitermici, e scavare per ore in una pozza coperta di ghiaccio. Spesso non c’è nessuno con lui. Io l’ho seguito sul San Giovanni, sul Cervo, ai piedi della cascata di Isollaz, in Val d’Aosta. Qualcosa l’abbiamo trovato, a volte il pezzo buono è capitato a me, e quando mi sono quasi scusato dicendo che la mia era solo fortuna Giuseppe ha detto che la fortuna non c’entra. “Chi trova l’oro è perché se lo merita”. Ma il merito è tutto suo. Il modo di cercare, si vedeva, non era lo stesso dei cercatori del Ticino e dell’Elvo. Sui torrenti non esistono punte, l’oro si nasconde sotto grandi massi o in piccole fessure nella roccia. Bisogna scassinare il fiume con il piede di porco, e di solito non si trova nulla: ma quando c’è qualcosa, può essere una piccola, bellissima pepita. Carenzi parla di loro quasi come di cose vive: le descrive come annusatrici d’aria, quando la loro forma schiacciata le fa scappare sulla superficie dell’acqua. L’oro annusa l’aria, Carenzi annusa l’oro. Anzi, il “giallo”. Ad alcuni pezzi, i più impressionanti, ha dato persino dei nomi: Il mostro ed E.T. sono pepite da quasi dieci grammi, cose che in Italia non si trovavano da quasi cent’anni, se si escludono le miniere. Ancora una volta, non c’è da arricchirsi: ma un pezzetto di metallo giallo che salta fuori dal fiume dopo settimane di ricerche in biblioteca e tra le rocce per un attimo riesce a far brillare gli occhi di Giuseppe. L’attimo, però, finisce in fretta, e i preziosi ritrovamenti finiscono quasi subito nell’archivio della memoria. Quelle scatole piene di provette che Carenzi porta sempre con sé, da mostrare agli altri cercatori. Il suo pubblico.

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provette di ‘giallo’ in mostra

Per l’associazione Oro in Natura è tempo di assemblea. Si fa una volta l’anno, a metà gennaio, in una sala del Museo di Scienze Naturali di Milano. Io mi presento un quarto d’ora prima, l’unico modo per essere puntuale. E infatti ecco arrivare i primi cercatori insieme alle loro mogli, le signore che nei fine settimana li seguono sui fiumi: alcune di loro sono esperte cercatrici, ma dopo un po’ preferiscono sedersi all’ombra e preparare il picnic. Questa sera hanno portato dolci fatti in casa, torte salate, bibite e forse un paio di bottiglie di liquore prodotto dai mariti. Prima però viene il dovere. Gli ordini del giorno sono pochi e condivisi da tutti: in pochi minuti si nomina il nuovo presidente e si approvano i conti dell’associazione. In cassa ci sono 2000 euro, serviranno per finanziare le gare del prossimo anno. La discussione si accende solo su un punto, il più importante: come fare a tramandare la cultura dell’oro? Il Museo non finanzia più la manifestazione di Milano, gli sponsor non si trovano, i Comuni non danno più fondi. E nessuno vuole pagare di tasca propria. Mimmo ricorda un’uscita con i ragazzi di una scuola elementare: i loro occhi brillanti l’avevano fatto commuovere. “Se non facciamo più queste cose”, dice, “Qual è il senso dell’associazione?”. “Sì, è bello, ma tanto nessuno si iscrive. Spendiamo solo soldi”, dice qualcun’altro. “Perché non organizziamo una dimostrazione a Gardaland? Lì passa un sacco di gente, sicuramente arriverebbero nuovi iscritti!”. “Non siamo mica il circo”, dicono i due più giovani, ragazzi di trent’anni. Il presidente, Franco, è anche lui contro. “Guardiamo le cose come stanno… Siamo tutti vecchi… Siamo un’associazione di pensionati”. E’ vero, e tutti scoppiano a ridere, “Altro che gita a Gardaland”, scherzano, “Tra un po’ andiamo all’ospizio!”. Giuseppe Carenzi è seduto accanto a me. “Visto, siamo tutti un po’ matti noi cercatori. Se vuoi essere dei nostri, prendere o lasciare…”.

Questi matti spariranno presto. Quanti cercatori rimarranno tra trent’anni? Forse nemmeno cinquanta solitari in tutta Italia. Allora davvero non ne sentiremo più parlare.

Special thanks to Associazione Oro in Natura

Pubblicato su Rolling Stone numero 69 Luglio 2009

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10 Commenti

  1. Mi è piaciuto l’articolo, per la vista reale, tenera di questi pensionati alla ricerca dell’oro, affrontando il freddo del fiume; mi piace perché scintilla forse nella ricerca il sogno della favola. Forse questa passione ha da vedere con la capacità dell’infanzia a scavare meraviglia, un ritorno al mitico dell’infanzia, o nel gesto la possibilità di capire che in una vita entera brilla un po’ d’oro.
    Mi è piaciuto perché il Ticino è il fratello dei fiumi del mio paese natale tar l’Aude e l’Ariège: dentro le acque brillano oro.

  2. Ho letto l’articolo pubblicato sul vostro sito. Come Presidente di Oro in Natura mi DISSOCIO e trovo che l’articolo sia decisamente offensivo e sopratutto indelicato, scritto da un incompetente, consigliato evidentemente da qualcuno che ha interesse a far nascere rancori e seminare zizzania! Il riferimento ai rapporti famigliari della persona scomparsa nominata nell’articolo é sicuramente falso e quanto meno vigliacco, dato che la persona di cui si fa il nome non é più in grado di controbattere. Preferisco evitare ulteriori commenti……….
    Liliana Claut

    • Gentilissima Signora Liliana Claut / Spettabile Associazione Oro in Natura,
      devo fare alcune precisazioni: l’articolo di Thomas Pololi con foto di Giovanni Hanninen è stato pubblicato originariamente sulla rivista Rolling Stone e ripreso qui su Nazione Indiana con il consenso degli autori. Ho ritenuto di pubblicarlo per fare conoscere ai lettori di Nazione Indiana la realtà della ricerca amatoriale dell’oro in Lombardia attraverso lo strumento del reportage giornalistico, ed ho ritenuto elemento di pregio il fatto che l’Associazione da Lei presieduta fosse citata nell’articolo.
      Mi auguro che voglia riconsiderare le sue affermazioni di carattere personale sugli estensori dell’articolo, che trovo inappropriate, per farci conoscere meglio, se lo desidera, le Sue perplessità sul merito dell’articolo e sugli specifici contenuti, in modo da dare ai lettori l’opportunità di formarsi un’opinione equilibrata sugli argomenti trattati.
      Lo spazio dei commenti a questo articolo è a Sua disposizione e mi auguro che gli autori Le possano rispondere nel merito.
      Cordiali saluti,

      • Su richiesta dell’autore, ho rimosso dal testo un paragrafo che fa riferimento ai “rapporti famigliari della persona scomparsa nominata nell’articolo”. Mi auguro che ciò restituisca serenità alle parti coinvolte e rinnovo l’invito ad usare lo spazio dei commenti.

  3. Cara Liliana,
    ci siamo già sentiti per telefono ma ti scrivo anche qui per chiarire (spero definitivamente) il mio punto di vista: come sai mi sono, in un certo modo, appassionato alla questione dei cercatori d’oro per quasi due anni, in cui ho incontrato e parlato con un buon numero di cercatori, tra cui soprattutto quelli dell’associazione Oro in Natura, ma non solo. Il mio scopo, fin dall’inizio, era raccontare il mondo dei cercatori d’oro per come l’ho vissuto e visto, dunque con tenerezza e simpatia ma evidenziando anche gli aspetti umani che nel tempo si creano all’interno di una comunità “specializzata” come la vostra. Insomma, queste poche righe sono frutto di un lavoro di ricerca durato diverso tempo, e non dell’incursione di un giornalista ad uno dei tanti incontri pubblici tra cercatori d’oro. Per scelta mia, e per il metodo di lavoro che ho seguito, era dunque per me ovvio e necessario che il racconto andasse a toccare alcuni aspetti personali delle vite dei cercatori, e non solo quello più superficiale del gesto tecnico della ricerca dell’oro e della curiosità legata alla vostra attività. Speravo, in questo modo, di poter accedere alle emozioni e alle motivazioni più autentiche di una persona che cerca oro nei fiumi, e di raccontarle nelle loro varie sfaccettature.
    Dopo aver parlato con te e riletto il reportage mi sono reso conto che nel punto che tu citi (i rapporti familiari di un certo cercatore) ho forse commesso l’errore di andare troppo a fondo nel raccontare le vicende di una persona che, in realtà, ho conosciuto solo attraverso le parole degli altri cercatori (vicende che, ad ogni modo, loro non hanno avuto problemi nel raccontare a me, nuovo arrivato nel mondo dell’oro). Di questo mi scuso, ed ho già provveduto ad eliminare la parte di testo a cui mi riferisco.
    Per quanto riguarda invece il reportage in generale, credo di aver fatto del mio meglio per riportare un ritratto umano e sincero del mondo dei cercatori d’oro, e per quanto questo, visto dall’interno dei gruppi di cui parlo, possa mettere in evidenza alcuni attriti nei rapporti tra certi cercatori, la mia opinione è che questi aspetti fanno parte della natura delle cose e che quindi non c’è nulla di male o di vergognoso nel raccontarli. Fare il contrario sarebbe fare uno spot pubblicitario per un’associazione di cercatori d’oro, cosa che non è mai stata nelle mie intenzioni.
    Oltretutto, credo che viste da un punto di vista esterno queste questioni appaiano decisamente di poca importanza nel contesto del reportage, e dubito che l’immagine dei cercatori e della vostra associazione in particolare ne venga in qualche modo intaccata. Anzi, leggendo i commenti qui sopra mi pare che l’effetto sia proprio quello opposto (tra l’altro l’articolo è stato linkato dal sito di un’associazione di cercatori d’oro sotto il titolo “Articolo da leggere!”, cosa che credo non avrebbero fatto con un pezzo che infanga in qualche modo la vostra attività e i suoi partecipanti).
    Spero che queste mie argomentazioni siano, se non condivise, almeno comprese anche da te e dagli altri membri della vostra associazione, nei cui confronti ho avuto e continuo ad avere grande stima e simpatia.

    Un abbraccio,
    Thomas Pololi

  4. Bravo Thomas. Hai trovato il tuo oro anche tu, conoscendo e facendo conoscere questi personaggi e le loro attività bizzarre per i più.

  5. Un viaggio fra storia, leggenda mistero, e tanto oro. E’ questo l’ultimo
    libro di Fabrizio Boschi, fucecchiese, 35 anni, giornalista de Il Giornale
    della Toscana dal titolo “L’oro della Maremma. Viaggio fra storia, mistero e leggenda” (Marco Del Bucchia Editore, 212 pagine, 14,50 euro) in uscita nelle librerie in questi giorni.
    Un libro che prende ispirazione dai meravigliosi romanzi di Jack London senza
    però assomigliarci per niente. Questa storia inizia sottoterra qualche milione
    di anni fa. E’ la storia dell’oro, questo metallo così bello e così prezioso
    che tanta attrazione ha suscitato nei secoli.Una storia fatta, di pionieri,
    avventurieri, cercatori, povera gente e schiavi. Fatta di pirati, di belle
    donne, di misteri e di morte. Perché dove c’è oro c’è sete di denaro, di
    potere, di vittoria. E l’Italia, sebbene non abbia mai avuto miniere importati,
    non è stata esente da questa corsa forsennata che ha lasciato dietro di sé
    lunghe scie di sangue e di sofferenze. La Toscana, e la Maremma anche, con i
    suoi rigagnoli, le piccole sorgenti d’oro che in qua e in là ogni tanto hanno
    fatto capolino ha avuto i suoi cercatori, piccoli e grandi che siano. Si inizia
    dagli etruschi e poi i romani, per arrivare ai giorni nostri con L’Eni, l’Agip
    e le grandi compagnie che hanno sfruttato lo sfruttabile finendo per non
    trovare nulla. Sono gli anni Settanta, Ottanta e Novanta del Novecento, gli
    anni dello sfruttamento, del monopolio statale, e delle grandi delusioni.
    Sprechi dettati dalla poca conoscenza che alla fine hanno portato all’
    abbandono. Poi sono arrivati i canadesi, la società Adroit, che adesso ha in
    mano le concessioni per le ricerche in tutto il sud della Toscana. Una storia
    che nasconde però anche un alone di mistero. I leggendari racconti dei pionieri
    che hanno lasciato la Toscana per raggiungere l’Alaska e il Nord America alla
    ricerca del prezioso metallo, e che non hanno fatto più ritorno.

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