BERLINO 9 novembre 1989

 


 
 

 

Print Friendly, PDF & Email

12 Commenti

  1.  
     
    Sta una pietra presso il gelsomino.

    Un tesoro c’è sotto la pietra.

    Mio padre è sul sentiero.

    È una bianca, bianca giornata.
     
     
    Il pioppo d’argento è in fiore,

    la centifoglia e dietro a lei

    le rose rampicanti,

    l’erba lattescente.

    Non sono mai stato

    piú felice di allora.
     
     

    Là non si può ritornare

    e neppure raccontare

    com’era colmo di beatitudine

    quel giardino di paradiso.
     
     
    [ Arsenij Tarkovskij ]

    ,\\’

  2. Mi secca quasi dirlo ma tutta questa retorica sulla caduta del muro di Berlino mi infastidice alquanto. E’ finita un’epoca di poetico squallore ed è iniziata un’epoca di squallore e basta.

  3. Orsola, non posso ascoltare alla scuola la musica che tu hai dato come dono, ma domani mi faccio questo piacere.

    Malinconia dunque… Quando ero ragazza, i paesi dietro il muro era per me un regno immaginario, vedevo neve, solo neve.
    Oggi come dice Massimo il capitalismo re non dà niente da sognare.
    I muri sono nella mente.

    Ma chi ha letto scrittori dissidenti, non puo dimenticare il loro grido per la libertà.

  4. È ancora più irritante la retorica di questi giorni se si considera che lo stesso concertino di Rostropovic – dispiace dirlo ma è così, basta documentarsi sulla stampa tedesca – fu una sorta di messinscena ad opera di giornalisti della casa editrice Springer, quelli della Bild Zeitung e di tutta la stampa spazzatura, non troppo diversa dai media berlusconiani, che governa di fatto la Germania, le menti e le opinioni della stragrande maggioranza degli abitanti di questo paese.

    Non ho nulla contro l’artista Rostropovic e non escludo che fosse anche sincero nel suo gesto, ma occorre fare anche chiarezza sulle strumentalizzazioni, lui si trovava là, la sede di Springer era ed è in un grattacielo costruito dimostrativamente a ridosso del Muro e i fotografi di Springer hanno colto l’opportunità, gli hanno portato anche la sedia perchè potesse accomodarsi e suonare.
    Se non si capisce che cosa c’è dietro ci si accontenta solo di icone, ma le icone di per sé non dicono il senso delle cose. Concludo aggiungendo solo che qui a Berlino c’è grande stanchezza e grande logoramento, come del resto ovunque, e che per chiunque avesse un poco di sale in zucca ieri è stata solo una delle tante uggiose giornate

  5. Berlino. Ci sono stato molte volte. Lì dove hanno distrutto il primo pezzo di muro…Tutto sembra ancora scisso. Guardi ad ovest e regna l’edilizia occidentale. Guardi ad est e regna l’edilizia sovietica. Ancora. Ma sì…si è raggiunta l’unità! Tanto i palazzi capitalisti e quelli ex sovietici adesso sono fratelli: tutti adesso possono esibire le pubblicità della vodafone e della cocacola. Unità è fatta. Non è un problema di amare più il “ferro che la plastica”…o “qualità più che quantità”…quel mondo però non andava e forse non è mai stato migliore di questo nostro…forse per questo siamo tutti un pò colpevoli: nostalgici, estimatori o cultori di souvenir! “Lasciateci la nostra verità \imperfetta, umiliata\ tra la rivoluzione che è passata\ e quella che verrà” per dirla alla Fortini

  6. veramente non vedo retorica in delle immagini vere (spezzoni di telegiornali dell’epoca) di un momento indelebile della storia del 900 e poi con un sottofondo di musica di uno dei musicisti meno retorici che esistano:
    Bach, matematica della forma intersecata in contrappunto a vox umana distilillata in tinture madri di sentimenti

    non mi interessa neppure chi abbia fornito la sedia (da ufficio) al grande Slava che la stessa Sarabanda di Bach suona sotto il muro di Berlino e nemmeno le intenzioni di chi l’abbia filmato e diffuso i filmati

    e non credo lui sia per arte &vita icona di alcunché di negativo

    anzi

    esiliato da anni, da Parigi, dove era in quei giorni, è corso là

    e, là, penso che abbia suonato, davanti al graffito di Mickey Mouse, con uno spirito che sbaraglia qualsiasi cinismo e dietrologia, prima in do maggiore, la tonalità della gioia e della vittoria e poi in tonalità minore, tendre obscure e plainitive, per ricordare quelli che erano morti tentando di attraversarlo quel muro: estrema propaggine di una cortina dietro alla quale era nato e aveva suonato e a lungo lottato contro lo strapotere estetico e poliziesco del realismo socialista delle arti, combattendo dall’interno contro una dittatura che i poeti, gli scrittori, gli artisti e i registi teatrali e di cinema li censurava, torturava e vessava fino a seppellirli e sparirli nelle prigioni e nei gulag solo per il sospetto che la loro fosse la famigerata arte borghese.

    rimetto questo link che non fa mai male ricordare

    non dimentichiamo poi di quando Rostropovich ospitandò Solgenitzin nella sua dacia per quattro anni e poi difendendolo in una lettera a Breznev si guadagnò il lungo esilio.

    alcune cose restano e resistono.
    alcune

    [ ah… non so che sfumatura di libertà sia la nostra oggi – quella di Berlino est oggi – di certo – non quella di prima della caduta del muro – a Berlino est – oggi ]

    ,\\’

  7. Non volevo fare dietrologia, ma ritengo importante, dato che siamo nel Novecento (ancora adesso, nonostante tutto, non siamo riusciti ad inventarci altre categorie che non siano quelle, continuiamo a dibatterci in quella storia, ad essere sostanziati di quella storia) non approvare un uso ingenuo, paradossalmente “realsocialista”, delle immagini. Se vogliamo, a quel “preludio” dell’89, restando nelle metafore musicali non è seguito nulla che fosse all’altezza delle speranze di allora, né di quelle “nostre” (occidentali), né di quelle “loro” (orientali). Si vada a domandare ai nostri vicini ignorati, agli jugoslavi, che cosa è accaduto a loro dall’89 in poi.
    Non è stato nemmeno trovato un linguaggio comune per quella realtà che oggi ci comprende e ci sovrasta tutti quanti. Rimangono le accuse reciproche di non capire gli uni la storia degli altri.
    Io non insulto le vittime del Muro di Berlino ma sono stanco di sentire l’accusa che essendo di sinistra, ad occidente, si avallavano tutte le ingiustizie dei regimi dell’est. Esiste anche un’altra storia, un’altra dissidenza, se vogliamo. Se gli uni contano i loro morti, noi possiamo anche contare i nostri: il numero delle croci (curiosa questa riduzione di tutto al martirio) che presso il Reichstag ricordano le vittime del Muro è inferiore al numero delle vittime della sola strage di piazza Fontana, per non parlare delle altre. E non fuggivano da nessun regime, non sapevano di rischiare la vita, erano persone che andando per fatti loro, in banca o alla stazione, sono state uccise. Perché ricordando la guerra fredda non si ricorda anche questo?

    Le arti furono oppresse ma oggi, trascorsa l’età eroica, nel mercato, che cosa rimane delle arti e degli artisti? Che cosa è stata arte e che cosa è stata semplice presa di posizione, dissidenza? Di quale Solzhenitsin si parla, il testimone dei gulag o il bardo della nuova Russia santa ortodossa, putiniana? Rostropovic lo ascolto su dischi sovietici o cecoslovacchi di allora, ancora così numerosi nei mercatini di qui, non era condannato alla clandestinità, esisteva come sono esistiti altri artisti sotto tutti i regimi, nonostante tutto.
    Mi scuso per la prolissità, ci sarebbero troppe altre cose da dire

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

“Vittime senza giustizia, almeno la memoria” di Anna Paola Moretti

di Orsola Puecher
Anna Paola Moretti, storica della memoria e della deportazione femminile, in questa nuova indagine ricostruisce con la consueta accuratezza, fra documenti, archivi e ricerca di testimonianze sul campo, la vicenda di due giovani donne martiri del nazifascismo nel pesarese...

Colfiorito

di Nadia Agustoni

Colfiorito
(qualcosa di bianco)
Sera a Colfiorito
nel garrire di rondini
in un’amnesia di cielo
e penombra
sull’ascia dei temporali
portammo radici di voci
e alveari.

V. Ė. Mejerchol’d UN BALLO IN MASCHERA

di Anna Tellini
«A noi, compagni, sia a me, che a Šostakovič, che a S. Ejzenštejn, è data la pie­na possibilità di continuare il nostro lavoro e solo nel lavoro correggere i nostri errori. (Applausi). Compagni, dite: dove, in quale altro paese dell’or­be terraqueo è possibile un simile fenomeno?» Queste parole precedono solo di poche ore la firma dell’ordine di arresto di Mejerchol’d.

Manuela Ormea IL BARONE RAMPANTE

di Manuela Ormea
Razionalità ed invenzione fantastica costituiscono il nucleo del romanzo. In quest’opera è richiesta la capacità di guardare la realtà contemporanea ponendosi ad una giusta distanza.

Ricominciamo dalle rose

di Nadia Agustoni
mastica duro il cane della ricchezza
le ossa bianche del paese
le nostre ossa
spolpate

in memoria – per Cristina Annino per dopo

di Nadia Agustoni
è un minuto l’universo sulla città dei vivi
ma cresce a ogni uomo la terra
l’osso si fa parola
non si abbassa la grandezza
della morte.
orsola puecher
orsola puecherhttps://www.nazioneindiana.com/author/orsola-puecher/
,\\' Nasce [ in un giorno di rose e bandiere ] Scrive. [ con molta calma ] Nulla ha maggior fascino dei documenti antichi sepolti per centinaia d’anni negli archivi. Nella corrispondenza epistolare, negli scritti vergati tanto tempo addietro, forse, sono le sole voci che da evi lontani possono tornare a farsi vive, a parlare, più di ogni altra cosa, più di ogni racconto. Perché ciò ch’era in loro, la sostanza segreta e cristallina dell’umano è anche e ancora profondamente sepolta in noi nell’oggi. E nulla più della verità agogna alla finzione dell’immaginazione, all’intuizione, che ne estragga frammenti di visioni. Il pensiero cammina a ritroso lungo le parole scritte nel momento in cui i fatti avvenivano, accendendosi di supposizioni, di scene probabilmente accadute. Le immagini traboccano di suggestioni sempre diverse, di particolari inquieti che accendono percorsi non lineari, come se nel passato ci fossero scordati sprazzi di futuro anteriore ancora da decodificare, ansiosi di essere narrati. Cosa avrà provato… che cosa avrà detto… avrà sofferto… pensato. Si affollano fatti ancora in cerca di un palcoscenico, di dialoghi, luoghi e personaggi che tornano in rilievo dalla carta muta, miracolosamente, per piccoli indizi e molliche di Pollicino nel bosco.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: