Samuel Beckett e la matematica

di Francesca E. Magni

Samuel Beckett
Samuel Beckett
«Per tutti gli anni ‘60 e ‘70 i lettori devoti di Beckett salutarono ogni opera sempre più breve del maestro con una mistura di reverenza e apprensione; era come vedere un grande matematico lavorare sull’analisi infinitesimale, con le sue equazioni che si avvicinavano via via di più al nulla.» John Banville, The New York Review of Books, 13/8/92.

L’opera di Samuel Beckett, premio Nobel per la letteratura nel 1969, è colma di matematica. Sia che si tratti di opera poetica, narrativa, teatrale, radiofonica o televisiva, l’elemento matematico vi compare in maniera chiara ed esplicita oppure più nascosta, ma è senza dubbio presente.

Samuel Beckett, irlandese di nascita e francese d’adozione, ha rivoluzionato la letteratura e la drammaturgia del Novecento, al pari di James Joyce, suo maestro e amico, anche se però in maniera del tutto differente.
Beckett è noto al largo pubblico soprattutto per l’opera teatrale Aspettando Godot, rappresentata per la prima volta a Parigi nel 1953. Lo spettacolo fu una «straordinaria rivelazione»: 1 la struttura drammatica non aveva più uno sviluppo logico nel tempo e tutta l’azione consisteva nell’attesa di un certo Godot da parte di due vagabondi, Vladimiro ed Estragone. Una battuta riassume bene la situazione narrata: «Non succede nulla, non viene nessuno, nessuno se ne va, è terribile».

Il critico Martin Esslin, in un suo famoso saggio del 1961 definì teatro dell’assurdo 2 la messa in scena dell’insensatezza della condizione umana, dell’assurdità del vivere, dello smarrimento di fronte allo svanire delle certezze, che accomunava autori quali Beckett, Ionesco, Adamov, Genet, Albee e Pinter. Nonostante nessuno degli autori si sia mai riconosciuto in questa definizione, essa è diventata una specie di “etichetta” che indica la rappresentazione teatrale di «qualcosa che è contrario alla razionalità, al senso comune e all’evidenza». 3

Samuel Beckett si rifiutò sempre di spiegare le proprie opere, perché affermava che esse andavano semplicemente “vissute”. A proposito di Aspettando Godot, dichiarò:

«c’è qualcosa di strano nell’opera, non so esattamente cosa, che si scava la sua strada nella gente, che lo vogliano o no […] ma io ho sempre torto, tranne, qualche volta, quando avere torto significa essere nel giusto».
Quest’ultima battuta fa capire come Beckett fosse attratto dai paradossi e amasse le situazioni contraddittorie da un punto di vista logico.

Un primo punto di partenza verso la matematica può essere infatti la presenza dell’elemento negazione-affermazione nelle opere di Beckett. In esse compare spesso l’uso ripetuto di due proposizioni antitetiche, come nel finale del racconto Dante e l’aragosta a proposito della morte del crostaceo nell’acqua bollente della pentola: «È una morte veloce / Non lo è». Numerosi personaggi – sia delle sue opere giovanili sia di quelle più tarde – negano quello che hanno appena affermato e, come fa notare Maurice Nadeau, 4 «dicono contemporaneamente sì e no». Nel romanzo Molloy si legge: «l’unico modo di andare avanti era quello di fermarsi» e, per fare un altro esempio, Vladimiro ed Estragone sospendono l’attesa dicendosi l’un l’altro: «Andiamo», però nel copione c’è la nota: «non si muovono».

Estragone e Vladimiro
Estragone e Vladimiro
L’impianto narrativo stesso sfrutta il paradosso e l’antinomia 5 come tecnica innovativa che sostituisce il tradizionale schema coerente della storia e della descrizione organica dei personaggi: la prosa è sconnessa, la struttura della narrazione è molto spesso contraddittoria. Si pensi ancora che Godot, il personaggio principale dell’opera, è assente, non compare mai in scena: alquanto paradossale per un protagonista!
L’attenzione di Beckett verso l’aspetto paradossale può essere giustificato dalla convinzione che la razionalità fosse un mezzo insufficiente per spiegare e dare un senso all’esistenza e alle azioni umane.
È nel romanzo Watt che, tramite una efferata parodia della logica deduttiva, il cosiddetto “attacco comico alla razionalità” si esprime in maniera eclatante. «Il romanzo descrive gli sforzi di un personaggio di nome Watt per condurre un’inchiesta razionale secondo le regole della logica: ci sono sempre obiezioni per ogni conclusione. La ragione non risolve nulla. […] L’autore impone al suo personaggio di applicare la causalità razionalistica a problemi che infine lo costringono al paradosso». 6 In Watt compaiono molti errori di calcolo, alcuni sottolineati dallo stesso autore («le cifre fin qui riportate sono inesatte. I calcoli seguenti sono dunque doppiamente errati»), come un conto della spesa sbagliato o quando il narratore annuncia l’elenco di tre momenti della giornata e poi ne descrive quattro! Beckett si serve dell’apparato razionale matematico stesso per riderne: è un attacco dall’interno, un uso della razionalità per colpire se stessa.
L’auto-referenzialità, alla base di molti paradossi, è un altro aspetto presente in Beckett in moltissimi livelli, si pensi anche ai personaggi che ascoltano la loro stessa voce 7 sia nel teatro: L’ultimo nastro di Krapp, Quella volta, Dondolo, Passi, sia nella narrativa: Compagnia, sia nella produzione televisiva: Nuvole.
«In Watt, Beckett cita esplicitamente la categoria aristotelica della dianoia ovvero la conoscenza intellettuale della propria ragione. […] Il riso dianoetico, ovvero il ridere di ciò che è tragico, è una delle caratteristiche più intime dell’opera di Beckett («Non esiste nulla di più comico dell’infelicità» proclama il personaggio Nell in Finale di partita)». 8
«Beckett rappresenta la nostra impossibilità di rappresentarci» 9 nonostante la necessità di farlo. Nell’opera radiofonica Cascando si ritrova «la tesi di fondo della poetica beckettiana: non c’è niente da esprimere se non che non c’è niente da esprimere e il doverlo esprimere a tutti i costi». 10
I personaggi beckettiani inoltre non riescono mai a narrarsi, ad autodefinirsi, ad avere un’identità precisa, o perché mentono o perché la memoria li abbandona o perché non riescono ad attribuire significato alle cose e alle parole. L’assoluta inconciliabilità fra l’esperienza e la sua espressione è un tema legato alla profonda meditazione sull’inadeguatezza del linguaggio, che Beckett affrontò lungo tutta la sua opera. La convinzione che «la scrittura serve a esplorare, non a risolvere» insieme all’impossibilità di comprendere l’esistenza umana si possono riassumere nelle ultime parole scritte da Beckett per il teatro in Che dove: «Il tempo passa. | E’ tutto. | Comprenda chi potrà. | Io spengo».

Un altro percorso per scoprire la matematica in Beckett è la semplice osservazione della notevole presenza nella sua opera di numeri, operazioni, figure geometriche, di descrizioni minuziose di combinazioni, disposizioni, permutazioni, insieme alla «descrizione non solo di ciò che accade, ma anche di tutte (o quasi) le possibili varianti». 11
Il numero tre ricorre in maniera quasi ossessiva in tutta la produzione beckettiana: il romanzo Molloy (facente parte di una trilogia) ha tre inizi, 12 moltissime opere sia teatrali sia di narrativa sono divise in tre parti e molte hanno tre personaggi. Nello spettacolo Quella volta vi sono tre voci fuori campo indicate sul copione come A, B e C: «le voci parlano sempre in sequenze di tre per volta (ad esempio: ACB, BAC, ecc. Mai però nell’ordine più logico e cioè ABC).», 13 l’azione si ripete per tre volte, per un totale di dodici triplette. Vi è inoltre un saggio di Antonio Borriello 14 che analizza lo spettacolo L’ultimo nastro di Krapp da questo punto di vista: vi sono tre donne importanti nella vita del protagonista, egli compie 33 azioni con 9 oggetti, mangia tre banane, ecc. Nell’opera televisiva in tre atti Trio degli spiriti, ispirata da un trio di Beethoven, vi sono tre punti statici di ripresa per la telecamera e il numero delle inquadrature cresce sempre di tre (da 35 nella prima parte, a 38 nella seconda e a 41 nella terza).

Dal numero 3 al 3,14: nel romanzo Molloy, il protagonista si diletta a trascrivere sulle pagine di un quaderno la lunga sequenza di cifre che si ottiene dalla divisione di 22 per 7, che coincide con un numero razionale che si avvicina al valore (irrazionale) di pi greco. Tramite questa metafora matematica «Molloy abbandona il rigore deduttivo per cedere al fascino dell’irrazionale». 15

L’atto del contare si ritrova spesso nelle azioni dei personaggi: «Due miliardi e mezzo di secondi. Incredibile così pochi», «Trentamila notti. Incredibile così poche» dice il Parlatore nella pièce Un pezzo di monologo. Nella prosa breve Basta, uno dei passatempi preferiti dai personaggi è l’aritmetica: «Quanti calcoli fatti a mente insieme piegati in due! Ci capitava di innalzare alla terza potenza dei numeri ternari interi. Certe volte sotto una pioggia torrenziale. Bene o male imprimendosi a poco a poco nella memoria i cubi si accumulavano». Così come, viceversa, in Nuvole, il protagonista per ingannare l’attesa della donna, estrae mentalmente radici cubiche (si noti anche qui la presenza del numero tre). La matematica è dunque anche uno dei tanti modi per passare il tempo, è un gioco.

immagine proposta da Beckett per la copertina del romanzo Murphy, ma che l’editore rifiutò.
immagine proposta da Beckett per la copertina del romanzo Murphy, ma che l’editore rifiutò.
Un gioco come gli scacchi, grande passione di Beckett, che utilizza la precisa notazione algebrica per descrivere una famosa partita 16 nel romanzo Murphy, nella quale nessuno vince e nessun pezzo viene mangiato.

Per quanto riguarda la geometria, nelle opere di narrativa degli anni ’60, come Quello che è strano, viaImmaginazione morte immaginateLo spopolatoreBing, gli ambienti nei quali si svolgono le azioni sono rispettivamente: un parallelepipedo a base quadrata di 5 piedi di lato e 6 di altezza – una rotonda a base circolare con un diametro di 80 centimetri e alta 80 centimetri di cui 40 costituiti dal muro circolare che sorregge una volta – un cilindro di 50 metri di circonferenza e di 16 metri di altezza – un parallelepipedo di m. 1 x 1 x 2. I personaggi sono posizionati all’interno di questi ambienti claustrofobici con precisione millimetrica e, ad esempio, i circa duecento esseri de Lo spopolatore si trovano dentro circa venti nicchie disposte seguendo la forma geometrica della quinconcia. 17
beckett_dama_quinconcia
L’ultima opera scritta per il teatro rimasta incompiuta comincia con la frase «Lunga osservazione del raggio» a testimoniare l’ossessione di Beckett per i cilindri e gli spazi chiusi.
Nell’opera per la televisione intitolata Quad, quattro danza- tori incappucciati percorrono le linee di un quadrato sul pavimento seguendo una ben definita sequenza di entrate e uscite nel palcoscenico (1, 13, 134, 1342, 342, 42, e poi 2, 21, 214, 2143, 143, 43, successivamente 3, 32, 321, 3214, 214, 14, e infine 4, 43, 432, 4321, 321, 21) in modo tale da creare una «struttura coreografica ciclica che si autogenera e allo stesso tempo si cancella con andamento ricorsivo». 18
L’interesse di Beckett per le permutazioni si manifesta applicato a oggetti (come delle pietre nella tasca di Molloy) a movimenti e azioni dei suoi personaggi, ma anche come tecnica narrativa: in Quello che è strano, via non vi è una trama tradizionale ma c’è una descrizione di possibilità, così come in Watt si esplora un gran numero di varianti per ogni minimo accadimento.

La matematica quindi nella scrittura di Beckett non entra solo come semplice argomento, ma svolge un ruolo strutturale, soprattutto per le sue caratteristiche di precisione, di rigore formale, di estetica dell’essenziale e di astrazione.
Per esplorare nuove vie che superassero il romanzo tradizionale, Beckett intraprese infatti un cammino di ricerca verso l’astrazione, 19 verso l’impoverimento e la ricerca di elementi essenziali sia nella forma sia nel contenuto (Bing è costituito da un unico paragrafo con frasi senza verbi e senza virgole). Egli stesso utilizzò una metafora di tipo matematico quando definì la propria come una “poetica della sottrazione” in netto contrasto con la prosa accumulatoria ed erudita di Joyce. Verso la fine della sua vita Beckett creò opere sempre più brevi, fino a un teatro senza personaggi e senza testo (con l’opera Respiro, della durata di soli 35 secondi).
I principi estetici di eleganza ed economia tipici del procedimento matematico 20 lo aiutarono ad elaborare la propria poetica, sulla base di una cultura personale “onnivora” di musica, pittura, scultura, così come di Dante o di Freud e Jung, di Cartesio o del matematico e filosofo francese Henri Poincaré. 21

L’elenco completo delle opere di Beckett sta qui

[Articolo uscito nel numero 6-7 di “Alice&Bob” (rivista del Pristem (l’acronimo P.RI.ST.EM sta a indicare il “Progetto Ricerche Storiche E Metodologiche”) dell’Università Bocconi di Milano per gli studenti delle scuole superiori.]

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NOTE
  1. Annamaria Cascetta, Il tragico e l’umorismo. Studio sulla drammaturgia di Samuel Beckett, Le Lettere Ed., 2000.
  2. Martin Esslin, The Theatre of the Absurd. 1961. Rev. ed. Harmondsworth: Penguin, 1968.
  3. Dizionario dello spettacolo, http://www.delteatro.it/dizionario_spettacolo.php .
  4. Maurice Nadeau in Samuel Beckett Teatro completo, Einaudi Ed., 1994.
  5. L’antinomia è un particolare tipo di paradosso che indica la compresenza di due affermazioni contraddittorie, ma che possono essere entrambe dimostrate o giustificate. In questa situazione non è ovviamente possibile applicare il principio di non-contraddizione.
  6. James Knowlson, Samuel Beckett. Una vita, Einaudi, 2001.
  7. Katharine Worth, Il rituale dell’ascolto, Bulzoni, 1997.
  8. Federico Platania, il sito italiano dedicato a Samuel Beckett.
  9. A.Simon, Teatro della scrittura, scrittura della scena, in TC , citato in Elena Capriolo, Bocca nella tana di Krapp. Analisi comparata di “Non io” e “L’ultimo nastro di Krapp” , tesi di Laurea triennale, Università degli Studi di Torino, Facoltà di Discipline Arti Musica e Spettacolo (DAMS), 2005.
  10. Federico Platania, il sito italiano dedicato a Samuel Beckett.
  11. Federico Platania, ibidem.
  12. Luigi Ferrante, Beckett. La vita il pensiero i testi esemplari, Edizioni Accademia, 1972.
  13. Federico Platania, ibidem.
  14. Antonio Borriello, Numerical references in «Krapp’s Last Tape», in “Samuel Beckett: Endlessness in the Year 2000 / Samuel Beckett: Fin sans fin en l’an 2000”, Angela Moorjani and Carola Veit eds, 2000.
  15. Nicoletta Pireddu, Scribi del caos: Carlo Emilio Gadda, Samuel Beckett, The Edinburgh Journal of Gadda Studies, 2000.
  16. per la descrizione di tutte le mosse della partita si veda qui.
  17. quinconcia: disposizione di oggetti su tre file sfalsate, in cui ogni gruppo di cinque punti vicini, considerato come singola unità, riproduce la forma geometrica di un quadrato con un punto al centro. Esempio: la posizione iniziale delle pedine nel gioco della dama.
  18. intervista ad Alessandro Carboni, in Cercando l’origine dello zero. Tra matematica e danza di Andrea Mameli, Sardegna Ricerche (http://www.sardegnaricerche.it/), 2006.
  19. Andrea Inglese, Una voce in cerca di personaggi: Beckett e Pirandello in Per il Centenario di Samuel Beckett, Testo a Fronte n. 35, Marcos y Marcos Ed. 2006.
  20. Edith Fournier, Samuel Beckett, mathématicien et poète, Critique” n. 519/520 (1990).
  21. Mary Briden, Beckett and the sound of silence in Samuel Beckett and music, Oxford University Press, 1998.

22 Commenti

  1. mi chiamo Ze Pochiello. Fino a dieci anni non sapevo né leggere e né scrivere(sappiate ca songo pure ‘nu busciardo e ‘nu grande pallista e ca si nun mett’o dito dint’o custato ‘e Gesù Cristo nun credo nemmeno a mme e a chello ca faccio e voglio, per esempio’a magnà: nun saccio si ‘a fame mia è overa o apposta, nel senso della fentaria(falsità),), poi quando ho imparato mi è rimasto un vizio: l’inizio di ogni cosa che scrivo, la scrivo sempre con la lettera minuscolo: insomma un neo, una moderna stimmate del santo. Eppure mai frequentati i santi, né prima né dopo e neanche durante.

    (Qui, avverrà uno scarto temporale…matematico…nel tempo passato…da risoluzione matematica)

    Tengo sei anni. Ci stanno creature che c’hanno sei anni e non ci sembra, mentre poi ci stanno dei bambini che sembrano più grandi degli anni che hanno all’anagrafe, cioè all’ufficio del comune dove una mamma o un papà va e dice: Oggi mi è nato un figlio. Poi tra questi bambini che nascono ci sono anche quelli che muoiono come mosche anche se i bambini non sono fastidiosi come le mosche che le mosche si azzeccano specie sulle cose di zucchero. Ma le mosche attorno alle bocche dei bambini ci stanno anche quando lo zucchero non c’è e loro vorrebbero almeno lo zucchero che lo zucchero per un bambino è importante come il latte che nel latte ci sta il calcio. Ma io non ci ho mai creduto che ci sta il calcio. Il calcio noi lo giochiamo nel vicolo e nella piazzetta dove sta l’orologio grande. Noi così ci rinforziamo le ossa delle gambe che corrono dietro al pallone. Allora quelli dell’ufficio c’hanno un librone grande e scrivono: Oggi sono nati venti creaturi vivi e cento morti. Forse i numeri della matematica c’entrano. Si, forse, c’entrano, anche se uno non ci pensa mai, ai numeri.

    I bambini e i numeri. I grandi fanno i numeri sui sogni che hanno avuto, poi se li giocano al lotto.

    Oggi è il secondo lunedì di settembre e, primmo juorno di scola. ‘A scola, nun me piace.

    Me piace di stare in mezzo alla via. Chello ca mi piace è pazziare cu i cumpagnielli miei. Ma però, anche se sono nato qui e parlo in dialetto non songo né mariuolo né figlio di ricottaro né figlio di camorristi né pagnottista né ‘mbruglione né assassino. Da questo punto di vista sono un figlio del Sud degenere. Un figlio del Sud deve essere per forza una delle cose qui sopra e, emigrante. Si, perché l’emigrazione non è finita. Quella di adesso è un emigrazione mascherata, da marchette.
    Se è per questo non si è mai visto un assassino, cioè un criaturo di sei anni appena. O no?

    Nel vicolo e tra i bassi, mi chiammano ‘o Ze, ma anche, ‘o Guaglione. Adesso lo dico un’altra volta: ‘A scola, a mme, nun me piace. ‘A scola è ‘nu posto strano. Parlano turco, dinto ‘a scola. Quando uno non capisce un’altra persona, dice: Ma quello sembra un turco. Semmai, però, quello è afgano o del sud Tirolo con la parlata tedesca austroungarica. Le maestre e i maestri teneno ‘a puzza sott’o naso. Questi hanno la sacca piena e guardano strano. Questi o non si lavano o sono sporchi come li fece la mamma. Questi maestri e queste maestre ti guardano comme si tu fusse ‘n’animale. Io nella realtà che la mattina mi sceto non sono un animale del mondo degli animali. Però, quando mi addormo e sogno, lì nel sogno io, sottoscritto Ze Pochiello, sono figlio di animali del mondo animale e; precisamente, un figlio di gnu. Nel mondo gnu mi chiamo: Zampette dint’a polvere.

    Ho capito che nel mondo gnu sopporto la matematica e in quello umano no. Io nei sogni la capa, la faccia e il collo li tengo umani e il resto gnu. Mi piace essere gnu perché posso correre in libertà, nella polvere e nell’erba e bere e mangiare quanto basta e nessuno che ti chiedi vai di qua e di là.

    Tutt’al più il coccodrillo, le iene e le leonesse ci danno la caccia e ci ammazzano. Però per il resto nessuno ti rompe la guallera. Né giornali né retorica e false lacrime. E’ tutto originale. Insomma, una scuola di libertà. Quando la mattina mi sveglio criaturo umano, la libertà non c’è e sono carcerato che tutto è grigio e bianco come una casa di vecchi che stanno morendo e un ospedale del pronto soccorso che si sente la puzza del disinfettante ,ma anche come una scuola piena di zoccole, pidocchio e scarrafoni.

    ‘A scola nun è pe’ mme. ‘A scola è ‘nu tribunale: ti giudicano con la bocca a mò di mitragliatrice. ‘A scola è fatta p’e figlie d’e signure: chille ca portano gli occhiali, i quattrocchi. Meglio si me ‘mparo ‘nu mestiere: accussì me accatto i vestiti, le scarpe e gli occhiali: di marca ma però. Anche se qui ci stanno tutte le marche false. Spesso anche le mamme sono di una marca faveza. Però, mammema me dice: Si nun vai a scola, poi ‘na vota crisciuto te ne penti.

    Non potrai scrivere le lettere d’ammore alla tua ‘nnammurata Vincenzina.
    (Vincenza tiene cinque anni e sott’o lietto d’a zia m’ha ditto: Te voglio bene assai).

    Non sapendo leggere nè scrivere sarai costretto a chiedere a un tuo camerata di leggerti e scrivere le lettere tra te e Vincenza. Accussì, lui saprà tutto ‘e ll’ammore vuosto. Puoi succedere ca isso, ll’amico tuio o Vincenza stessa, se ponno ‘nnammurà. E’ chesto ca vuò, ‘e ccorna!, a mamma toia?
    ‘A scola, pe mme, è nu posto maledetto. ‘’A scola fanno ‘o juoco d’e ttre carte: questa vince, questa perde, dove sta chi vince e chi perde? La maestra non appena ci ha visto salire le scale e sostare sul pianerottolo, ha detto: Bambini entrate. Sappiate che la matematica è una cosa molto importante. Mi puzzavo di vergogna di trasire. Nella vita vi servirà molto la matematica, ha detto.
    (pe’ nnuje, gruosse e piccerille, ‘a matematica è un cesto di patate).
    La matematica è una cosa stranissima. La matematica è un viaggio lungo, specie per i bambini poveri e le loro famiglie. I bambini poveri conoscono la matematica soltanto maccheronicamente. Sono povero e la matematica è maccheronica, come me, ma però pure come il dialetto. La matematica maccheronica parla in dialetto. I dialetti, nel loro insieme, sono i maccheroni e la polenta dei poveri. I maccheroni e la polenta ti saziano la pancia. Dopo saziato dici: Basta.
    La matematica è sapere fare di conto, perciò è molto importante, ha detto la maestra. Tornato a casa volevo dire a mamma: Oi mà, ‘a signora dint’a scola c’ha ditto c‘a matematica è ‘mportante.
    io però, nun aggio capito ‘o pecchè. Potevo anche dirlo a mio padre, lui però non c’era, ma se è pecchesto non ci stava nemmeno aiere, l’altro ieri, una settimana, un mese fa e via discorrendo.

    La maestra ci ha fatto scrivere da uno a dieci. Signora, ho chiesto, prima della mazzarella del numero uno quale altro numero ci sta? Lo zero, ha risposto lei. Si può fare lo zero con una mazzarella? ho chiesto. No, non si può fare. Lo zero è un piccolo cerchietto. Lo zero è meno di uno, cioè non è una mazzarella che almeno è uno. Uno è qualcosa che si sta, esiste e, puoi convenire. Allora io ho pensato alla matematica come il pane e i pesci. Ma non al pane e ai pesci in quella parabbola del Vangelo che il prete dice che Gesù dice questo e dice quello e che quel dice Gesù sta sempre in bocca a lui, al prete. Questo Gesù che non si fa mangiare solo nel corpo e nel sangue, ma pure, continuamente, nelle parole delle parabbole. (Da bambino insieme ad altri piccirilli se solevamo vedere la televisione dovevamo pagare cinque e dieci lire a donna Maria Azzeccartielli che lei li teneva i soldi, i sciusciù, le barchetelle e le passerelle e pure la televisione in bianco e nero. Mò oltre alla televisione devi compare anche la parabbola e il decoder: c’è sempre qualcosa che ci manca e che dobbiamo compare). Ho pensato quando nei vasci e nelle case tutte scassate e malridotte il pane e i pesci stanno più vicino allo zero che da uno a dieci. Zero da solo non vale niente. Allora ho pensato così: quando una cosa o una persona non c’è, questa persona è un meno: il niente di zero. Ma pure se questa persona non ha un lavoro è zero. La maestra ci ha fatto contare da uno a dieci e l’ha scritto sulla lavagna con il gesso bianco. Ho pensato: lo zero è un buco nell’acqua.

    Allora mi sono sfasteriato di sentire lo zero, l’uno e da uno a dieci.

    Zero è quando un criaturo non possiede nulla, ma non tanto per il fatto che non possiede nessuna proprietà. Ma semmai il minimo per vivere.

    Zero è una casella vuota di uno spazio vuoto. I miei fratelli sono usciti, nel nulla. Si, non hanno il lavoro. Loro, sono viventi. Respirano. E, hanno fame. Ma se è per questo anche io non scarzeo. Però se mi metto a giocare mi scordo della fame. La notte è difficile dimenticare la fame perché non posso giocare: i miei cumpagnielli stanno a dormire.
    Adesso nel basso c’è solo mia sorella T. A lei non dico niente, non capisco perchè dovrei dirglielo. Volevo dirlo a mamma il fatto dell’importanza della matematica.

    Però io non sò perchè la matematica è una cosa importante. A cosa mi serve se casa nosta è scura? Non parlo in italiano. E, nè lo scrivo. E, se lo scrivessi, farei il macello di una catastrofe di errori.
    Per me è più naturale un palazzo e un vascio sgarrupati che un palazzo tutto lindo e pinto.

    Le porte dei vasci e dei palazzi del vicolo sono bucati, scassati, scardati. Se ho zucato il latte dalle zizze di Colomba Mammazezzella che col latte mi dava a zucare anche ‘e pparole d’o dialetto comme sfaccimmo faccio a parlare ‘o ‘taliano. A meno che non me lo arrobbo, l’italiano?
    E’ normale ca io parlo ‘a lengua ca parlo e quanno me parlate ca ‘a matematica è mportante comm’a vita io nun ve pozzo dicere ‘o riesto ‘e niente. La nostra matematica della sottrazione e la vostra matematica completa, si appiccicano come ddoje femmene funnachere, ma nun si appiccicano per quistioni di gelusia, ma per interessi materiali. La matematica è una materia importante, ha detto la maestra nella sua pelle bianca.
    (E aggia dicere che ‘o sottoscritto ‘a Lega Nord la schifa in tutte le maniere. Me piace scrivere in dialetto, ma chesto nun vò dicere ca songo d’accordo cu ‘e leghisti. Pe’ mme ‘e leghisti songo comme chilli sindacalisti ca vonno rappresentà ‘e lavoratori, ma nun ‘e fanno luttà overamente. I leghisti usano il dialetto per scardinare con l’odio e l’egoismo la gente semplice, le mamme di figli, i disoccupati e i lavoratori. Nei leghisti c’è solo l’odio, l’odio e il razzismo fine a se stessi. Dicono che Dio è il perfetto più perfettissimo e che non sbaglia mai, ma io mi domando, dove cazzo stava quando sono nati i leghisti? Come al solito stava girato dall’’altra parte, eccheccazzo, ma una volta tanto vigila!).

    ‘A matematica nosta e ‘na sottrazzione, aggio penzato scemamente. ‘O n’addizzione: ‘o lieve, o mietto. Qualunque cosa sia, ma o la togli o…nun m’arricordo cchiù…tra ‘e spari d’e pistole e d’e mitragliette d’a malavita. Ma ‘a malavita nun è solo ‘a camorra: ‘a malavita e pure ‘a ggente ca viva ‘na vita ‘e sfaccimma. Ma ‘o paradosso è ca chesta ggente s’avessa rendere conto d’a malavita…)

    La notte mi sono sognato ‘e lapps, ‘e pastelli, ‘e quaderne e ‘e penne pe’ scrivere, pe’ ffà ‘e cunte.

    La vostra matematica è completa, aggio penzato. Volevo mettermi a scrivere e a disegnare, ma ho visto che le mie mani e le dita erano le quattro zampe, anzi, io songo Zampetello dint’a polvere, figlio di gnu.

    ‘A signurina, cioè a professoressa d’e scole medie, secca come una mazza di scopa e vestita sempe ‘e niro, dicette a mamma: – Signora, la matematica e la scuola non fanno bene a vostro figlio –
    Mamma stette zitta e insieme girammo la capa del cavallo e ce ne andammo all’indirizzo del nostro vascio tugurio saittella fogna di lota, ma era come se le nostre vite fossero nate e morte in quel momento. Poi mamma comprò un palatone di pane e cento grammi di mortadella e disse: Mò ti devi imparare un mestiere, però è meglio se te ne impari più d’uno, accussì tieni sempre un altro mestiere da parte che la vita per noi non gira e tenendo imparati tanti mestiere non ti mancheranno né a te e né alla tua famiglia il latte, il pane, la pasta e l’olio il primo piatto con la pummarola.

    Transit Scarpantibus

  2. Ho letto quasi tutto Beckett da ragazzo, ricordo l’impressione che mi fece Molloy, uno dei romanzi più sconvolgenti di tutte le mie letture. Beh, non ricordo affatto di avere notato l’attenzione verso la matematica. Per me, ripensandoci, è un inedito. Ho letto quindi con particolare interesse questo ottimo articolo-saggio :-]

  3. meraviglioso questo articolo.
    mi sarebbbe davvero piaciuta un’interazione beckett-turing.
    credo abbiano molti punti in comune.
    grazie

  4. Francesca ci hai donato del tuo meglio.
    Un limpido tesoretto umano di figure e numeri, mica arido, però.

    Non capivo un tubo di Beckett, da ragazzo, mi faceva venire il nervoso. Lo gettavo là come fosse cartaccia o inutile, o davvero assurdo.
    Forse mi faceva anche paura.
    Perché Beckett smarrisce le coscienze che hanno bisogno di uno “zoccolo duro…”.
    E quindi non mi ha stregato subito.

    Sono arrivato a Beckett attraverso qualche koan zen.
    E lì sono rimasto: a contemplarlo, a sentirlo.

    MarioB.

  5. Che ci fosse un legame fra Beckett e la matematica lo aveva scritto proprio su Nazione Indiana, in un commento, Federico Platania (curatore del bellissimo sito su Beckett).
    Marco Crespi della rivista “Alice&Bob” mi aveva allora chiesto se potevo scrivere un articolo sull’argomento (perché il tema “teatro e scienza” mi interessa molto e appena posso mi documento e ne scrivo). Io da “scientifica” conoscevo Beckett solo come autore di teatro (figuriamoci che non sapevo neppure che avesse vinto il premio Nobel per la letteratura, sig.) e così mi sono immersa in sei-sette mesi di letture sconvolgenti che me lo hanno fatto scoprire e amare ancora di più.
    L’articolo non cita tantissime altre cose… ho trovato molto materiale. Ad esempio, dovrebbe uscire un libro di Hugh Culik intitolato “Approximate Pleasures: Beckett’s use of scientific and mathematical metaphors” (http://www.culik.com/hugh/resume.html ) ecc. ecc.

    Beckett – Turing, già… ci sarebbe stato di sicuro un nastro di mezzo :-)

    vi ringrazio per i commenti e per il racconto di transit che tocca tanti tasti dolenti (mi ricordo che in un film al Festival del cinema africano, un protagonista parlava della “loro” matematica, riferita a quella “occidentale”…)

  6. sì, ciao alcor, eccolo qui: http://www.sardegnaricerche.it/index.php?xsl=370&s=39219&v=2&c=3283&archivio=2&vd=2&fa=&c1=

    ciao cf05MarioBi! prima non avevo letto il tuo commento… anche a me ad esempio “Watt” aveva fatto venire il nervoso. Lo avevo preso in biblioteca, perché in “Gioventù” di Coetzee avevo letto: “E poi Watt è anche divertente, così divertente che lui si rotola dal ridere. Quando arriva in fondo, ricomincia daccapo”. Altro che divertente, lo avevo lasciato lì dopo qualche pagina. Poi lo ho portato a termine perché dovevo scrivere l’articolo… anche Beckett disse che era stato un esperimento… insomma per me è stata una rivoluzione anche nel modo di leggere: “In nessun modo ancora” è stata una lettura che ho apprezzato tanto anche perché avevo letto “Watt”…. C’è una discontinuità logica, un comunicare/non comunicare, un tentativo di arrivare all’altro che fallisce e forse nello stesso tempo ha successo, che mi affascinano.

  7. Lo conoscevo :) molto bello. Comunque penso che quando matematica e letteratura si toccano, il risultato è letteratura.

  8. Grandissimo saggio. Lo pubblicherei (lavoro come editor), se non fosse che oramai pubblichiamo solo puttanate.

  9. ciao francesca :)
    che grande il beckett con quello sguardo un po’ così e quell’espressione un po’ così…
    sei bravissima
    bacio
    la fu

  10. “Samuel Beckett e il pensiero razzionalista”
    ovvero
    “La matematica paratassi anti razionalista”

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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