Le teste

Le-teste di Flavio Santi

Senza timore di smentita pensiamo di essere stati i primi pubblicamente (sul sito di pordenonelegge.it e su rivista) ad avere preso sul serio Giuseppe Genna quando molti facevano spallucce di fronte ai suoi pseudothriller, incapaci di vedere le orbite di senso che via via si inanellavano come implacabili segnaletiche dei nostri tempi “devastati e vili”, per citare un altro suo titolo di imminente riedizione. Adesso, com’è giusto, Genna è uno scrittore a 360°, di punta, ma non dimentichiamoci che fino a qualche anno fa la maggior parte di coloro che ora fanno carole festanti intorno a lui non esitava a bollarlo riduttivamente come scrittore di genere. Ma questo è il solito malcostume italiano: vizi privati e pubbliche virtù. Memoria cortissima, e doppie verità a go go. Da questo punto di vista scrittori e critici non sono certo meglio dei tanto biasimati politici: sono semplicemente una fetta della grande torta avariata che è l’Italia.
È appena uscito Le teste (Mondadori, Milano, 2009, pp. 394, € 18,00), che ha suscitato reazioni varie e maree più o meno destabilizzanti. Perché? Perché Genna, rischiando di deludere da una parte l’appassionato di thriller, e dall’altra il lettore più generalista, non appaga le aspettative di nessuna di queste due categorie cosiddette forti, alimentandosi soltanto della sua ispirazione sempre più psicotropa. Insomma getta a mare il galateo perbenista che vuole il massimo rispetto di regole e lettore (“suvvia, siamo in un sistema di mercato dove vige la legge della domanda e dell’offerta e tu devi scrivere un libro di genere!”), getta a mare tutto ciò e fa l’unica cosa che dovrebbe fare uno scrittore: scrive. Senza condizionamenti. Liberamente. Appassionatamente. Dolorosamente. Le teste è l’ultimo, a detta del sottotitolo (L’ultimo thriller), tassello della serie dedicata all’ispettore Guido Lopez, ed è anche il testo più complesso – insieme probabilmente a Grande Madre Rossa del 2005. Mentre i primi due della serie, Nel nome di Ishmael (2001) e Non toccare la pelle del drago (2003), privilegiavano la narrazione adrenalinica a dispetto di altre possibili tracce (presenti, certo, ma in maniera o troppo evanescente o troppo criptica), gli ultimi due della serie, Grande Madre Rossa e Le teste, sviluppano notevolmente, insieme alla trama complottistica ricca di suspense e dei tradizionali colpi di scena, un secondo o più testi paralleli. In Grande Madre Rossa tale sottotesto era costituito da un fitto reticolo di allusioni alla poesia di Pasolini, Zanzotto e Celan. Una sorta di ipertesto con una ragnatela di link più o meno espliciti (che è, in fondo, a ridurla all’osso, la poetica di Genna). Nelle Teste il discorso si fa ancora più articolato. Di solito quando si recensiscono i thriller si fanno i salti mortali per non dire nulla della trama vera e propria, per non rovinare l’unico punto di forza del libro. Qui il problema non si pone, perché, oltre alla consueta trama “di genere”, che come prassi impone non sveleremo, la carne al fuoco, come si suol dire, è molta. Cercheremo di dare qualche rapido assaggio. Dunque alle parti del thriller, rigorosamente in terza persona, si alternano capitoli, più o meno brevi, di solito in prima persona, di riflessione e meditazione filosofica – per dirla in maniera succinta e forse un po’ grossolana. In questi capitoli si è in continuazione sulla soglia dell’indicibile cui Genna è da sempre dantescamente proteso: si riflette sull’impossibilità di raccontare la propria esperienza, il proprio essere qui e ora, il proprio solidificarsi in un corpo, una persona, una storia. Si riflette su questi argomenti nell’unico modo concesso all’essere umano: “per speculum” come dice Paolo di Tarso, cioè per immagini e figure. In queste parti Genna incrocia vertiginosamente la tradizione neoplatonica occidentale (ad es. Plotino e Marsilio Ficino) con quella orientale (e dunque i Veda, Rumi, la filosofia induista), per sviluppare una riflessione sul problema dell’essere, di cui la testa diventa il simbolo per eccellenza. I piani temporali saltano, e solo alla fine, nei Ringraziamenti, scopriamo che l’ultimo thriller in realtà è il primo, gli anni passano come secondi e i secondi come anni, Guido Lopez è Genna stesso, e Genna è in realtà Guido Lopez, noi lettori siamo gli scrittori stessi del romanzo che stiamo leggendo, perché dobbiamo continuamente decifrare e interpretare le tracce che ci si presentano davanti. Il romanzo diventa così un immenso ipertesto, una specie di open source della letteratura, e noi non possiamo che essere grati a Giuseppe Genna per il coraggio, l’audacia, la generosità e l’antica fedeltà.

[Pubblicato su Gli Altri del 6 dicembre 2009]

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25 Commenti

  1. «senza timore di smentita»
    «facevano spallucce»
    «orbite di senso»
    «scrittore a 360°»
    «carole festanti»
    «vizi privati e pubbliche virtù»
    «doppie verità a go go»
    eccetera.
    gulp.

  2. L’incipit di Santi ricorda la peggio imitazione del Baudo nazionale che con passo da falco sul palco dice “l’ho scoperto io …”. Attribuirsi il primato di una scoperta mi sembra un atteggiamento infantile. Che importa se si è arrivati prima o dopo alla conoscenza, in questo caso di genna, l’importante è arrivarci. Io dal buco della Sicilia e per traiettorie strane ci sono arrivata a conoscerlo e amarlo sulla pagina scritta e, quando posso, regalo i suoi libri sperando in un terremoto emotivo e cerebrale nell’altro, com’è accaduto in me, leggendolo. Viva Genna, abbasso i genniani o genniologi

  3. “grande torta avariata”
    “carne al fuoco”

    e questo, che mi pare un gran complimento:
    “Una sorta di ipertesto con una ragnatela di link più o meno espliciti (che è, in fondo, a ridurla all’osso, la poetica di Genna)”

  4. 15 novembre 2006, dalla recensione di Giuseppe Genna a un libro di Flavio Santi:
    “L’eterna notte dei Bosconero raggiunge apici di altissima levatura, anche grazie a uno stile inarrivabile, che dovrebbe mettere a tacere gli adepti della maniera Gadda, perché qui ci troviamo, senza peso per chi legge, all’incrocio più alto degli ultimi anni tra prosodia prosastica e poetica” – “L’eterna notte dei Bosconero è una meditazione di ineffabile teologia negativa e, al tempo stesso, antispiritualista e antimaterialista, condotta da un autore che, oltre a comprovate capacità poetiche e sapienze critiche, assomma competenze apparentemente distanti, in una colossale dote personale da portare alle mistiche nozze narrative col lettore” – “Non è qui la sede per stendere un saggio su questo libro: saggio che meriterebbe, sia chiaro. Mi limito a un accalorato invito: comprate e leggete L’eterna notte dei Bosconero di Flavio Santi, perché è uno dei libri più memorabili della nostra stagione”

  5. A parte il trombonismo congenito di Genna come persona che si crede Autore con la A maiuscola (come tutti quelli che fingono di giocare alla sottrazione dell’Autore, tipo lo sboronissimo Robertino Bui), a me fino a oggi, di Genna ha convinto solo “L’anno luce”. Insomma le potenzialità ci ssarebbero anche, ma la nostra giovane – anzi ormai stagionatella – promessa delle lettere dovrà ancora tanto, ma tanto asciugarsi… se vorrà arrivare da qualche parte.

    P.S. Quanto alle “orbite di senso”, si sa quanto il Genna si compiaccia del verbo “esorbitare”. Leggendo questa rece, Genna non potrà che osservare come Alberto Sordi: “Spaghetti! …mi avete provocato, e io mo’ ve magno!”

  6. quote:
    “francesco pecoraro
    Pubblicato 31 Dicembre 2009 alle 20:07 | Permalink

    precisazione: niente da obiettare al libro di genna, che non ho letto.”

    Gulp!

  7. ‘incapaci di vedere le orbite di senso che via via si inanellavano come implacabili segnaletiche dei nostri tempi “devastati e vili”’

    Ecco, quando scrivevo in un altro post a Buffoni che comporre un articolo su argomenti ‘civili’ è faticoso, mentre è facilissimo scrivere cose che chiamerei ‘turbointellettuali’ su opere d’arte, avrei voluto avere a disposizione questa frase di Gianni Biondillo come cristallino esempio.

  8. ” le orbite di senso che via via si inanellavano come implacabili segnaletiche dei nostri tempi ”

    son davvero orbite vuote degne dei vostri tempi, su questo pochi dubbi

    però Santi, si acculturi prima di scrivere codeste

    “In queste parti Genna incrocia vertiginosamente la tradizione neoplatonica occidentale (ad es. Plotino e Marsilio Ficino) con quella orientale (e dunque i Veda, Rumi, la filosofia induista)…”

    sgrammaticature a parte, sappia che non serve caratterizzare come occidentale la tradizione neoplatonica, anche perché non esiste un neoplatonismo orientale. Scriva tradizioni, al plurale, orientali, Rumi appartiene ad un oriente ed immaginale altro rispetto all’orizzonte induista, consulti Guenon sui rapporti tra tradizione islamica e induista.
    Porre accanto Veda e filosofia induista è errato, a meno che lei non intendesse filosofia indiana che sarebbe naturalmente più corretto e non vanno accanto cmq perchè dal punto di vista gnoseologico la riflessione filosofica indiana nasce dai Veda, consulti su questo Tucci e Radhakrishnan.

  9. Mi scuso con Biondillo, e propongo questa E.C.
    “[…] questa frase di Flavio Santi, pubblicata in NI2.0 da Gianni Biondillo, come cristallino esempio.

  10. che roba brutta pubblicare nei commenti la recensione di genna a santi. cosa si vuole dimostrare?… tra i due c’è stima, tutto qui. a furia di vedere lo sporco lo stesso entra dentro, e rende infernale anche la mente…

  11. Caro Franz,
    grazie per il commento equilibrato. Io avrei voluto soltanto che si parlasse del libro di Genna, ecco. Invece si è parlato della cornice (il mio pezzo nasce come pezzo giornalistico, dunque volutamente sintetico e provocatorio). Poi è vero: io e Genna ci stimiamo e non lo nascondiamo. (Magari a volte, in preda all’entusiamo, calchiamo un po’ i toni, ma che male c’è? il nostro limite è di essere degli entusiasti, ma non dei cinici, credetemi). Un’occasione sprecata, insomma.

  12. @ Flavio S.

    Poi è vero: io e Genna ci stimiamo e non lo nascondiamo.
    “(Magari a volte, in preda all’entusiamo, calchiamo un po’ i toni, ma che male c’è? il nostro limite è di essere degli entusiasti, ma non dei cinici, credetemi)”

    Poteva dirla Berlusconi quella frase, io è Putin ci stimiamo…ma a volte in preda all’entusiasmo…
    Ma che ingenuo candore, sono commosso… C’è di male che le parole sue e dei suoi compagnucci di merenda sono pubbliche. Fino a quando l’euforia di darsi del genio a vicenda rimane in qualche bettola, passata la sbronza lo scherzo è finito. Ma quando il deliquio è deliberato, strumentalizzato da logiche affaristiche anche e perpetrato all’unisono, l’entusiasmo sfocia nella contraffazione di intenti, fonti e nel disprezzo delle altrui opere con l’assolutismo di un seggio che vi siete impalmati a vicenda (vedere la recensione che un altro utente riportava in alto, solo uno dei tantissimi exempla). Essendo tutto questo pubblico e pronunciato da “autori” che si fanno voce di un “progetto culturale” e che lavorano nel mondo editoriale, assume un valore, eccome. Questo c’è di male. Personalmente non le credo, e vedo soprattutto ipocrisia più che cinismo.

  13. Robin Masters: così non si va da nessuna parte; se deve criticare lo faccia in modo costruttivo, critichi il libro.
    E poi si firmi, per favore.

  14. @ Flavio Santi

    Non vorrei aver toccato la sua sensibilità ma qui non siamo su Carmilla
    dove si va solo dalla sua/vostra parte. Ogni tanto fa bene sa ?
    Giusto per non darle l’impressione che la capacità critica dei lettori sia scomparsa.

    E poi, maggiormente, si informi, per favore.

    saluti

    R.M

  15. Robin Masters: per me il lettore è sacro, tant’è che ho voluto mettere il pezzo su NI, e tant’è che le sto – com’è giusto e sacrosanto – rispondendo. Però a me preme solo una cosa: che il libro di Genna venga letto. Poi, a lettura avvenuta, si possono esprimere tutti i giudizi di questo mondo (motivandoli naturalmente). Tutto qui.
    (La sua precisazione sul neoplatismo mi è stata preziosa. Sono stato superficiale. Uno stimolo in più per fare meglio. Leggere, leggere e leggere.)

  16. @ Flavio Santi

    Si sta discorrrendo per dirla alla Foucault
    di “modalità discorsive”, ora, per me, come lettore del suo di testo, quello che lei ha inteso, affermato, sottratto, taciuto, ecc ecc (come possibilità intendo). Così per “qui non siamo” intendevo una modalità, NI è Carmilla per molti aspetti (non tutti) sono due facce di una stessa ipocrisia (o stessa ipocrisia di due diverse ideologie).

    Il lettore è sacro per lei ? Bene, allora faccia proseliti di sobrietà verso
    i suoi amici anche, sobrietà di aggettivi e superlativi soprattutto, ne guadagnereste voi per primi, mi creda. Capisco che ci sono delle esigenze di pubblicità per se stessi, ma quando in un paese non si trovano più testi di Beckett e Broch e non più un “Contro Saint-Beuve”
    di Proust, allora smettiamo di pigliare per il culo il lettore dicendogli che un libro si e l’altro pure dell’autore amico che ci sta simpatico è un acquisizione importante o un libro importante nel panorama della letteratura perché è falso ed è un atteggiamento pessimo, e controproducente, forse questo le/vi sfugge. Mi auguro vivamente che lei non creda sul serio agli entusiasmi, ricevuti o proferiti di cui sopra.

    La ringrazio cmq di avermi risposto, dico davvero.

    un saluto

    R.M

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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