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L’illusione [Eracle # 12]

017

di Ginevra Bompiani


Ed è con indifferenza che Persefone si lascia derubare, concedendogli il suo cane;
e che Eracle non diffida.

Che cosa imparò Eracle ad Eleusi non si saprà, finchè i misteri restano misteri. Ma quel che imparò doveva servirgli a penetrare nel regno dei morti; e ancor più a uscirne. Non diede però mostra di nessuna conoscenza. Forse gli insegnarono soltanto a non stupirsi. Non è questo un iniziato? A cosa mai ci si inizia se non ad accettare? E accettare senza opporre resistenza alla morte che ti sorvola, fu forse il segreto insegnatogli per tornare vivo.

Ma proprio questo insegnamento gli era difficile imparare. Così quando si trovò davanti al nocchiero Caronte, lo spaventò con le sue larghe braccia. Di fronte al cane Cerbero, la preda assegnata, si ferma come a raccogliere il fiato, e il cane uggiolante scappa a nascondersi sotto la sedia dei padroni. Meleagro, con le armi splendenti gli si fa incontro. Eracle alza l’arco. Ma una voce gli mormora all’orecchio: è un’ombra, è un’illusione; guarda – sussurra – ti è accanto e non ne senti nemmeno il respiro.

Eppure Meleagro si mette a raccontare ed Eracle si commuove. Con voce strozzata dalla pietà gli chiede: hai una sorella in terra? Mentre la stessa voce continua schernitrice: ombra… ombra… Meleagro risponde: prendi mia sorella, si chiama Deianira; ed Eracle scambia l’offerta per una parola che venga dalla vita. Così si prende in moglie la sua morte futura.

Prosegue e come in un corridoio malilluminato a una svolta all’improvviso uno specchio sembra contenere l’immagine di un pericoloso straniero, così gli appare la faccia della Medusa. Ma la stessa voce lo avverte: immagine vuota… maschera… Eracle si avventa, e sente ridere la voce. Ed ecco, dietro la maschera, il trono degli Dei sotterranei.

Eracle adesso non sente più la voce, ma la stessa parola gli urge dentro. Ed è lui a gridare: ombra, illusione! Mentre scaraventa la sua larga pietra contro i maestri dei morti. La prima volta che se li trova di fronte, dopo tanto sfiorarli e scavalcarli e irriderli.

Come un sasso che rimbalza sull’acqua, dietro la pietra schizzano Ades e Cerbero che si perdono nei cunicoli infernali. Persefone, la regina, si alza a fermarlo come un monello smarrito. Lo riceve da sorella. S’intrattiene benevola con lui, forse insieme parlano della vita. Tutti e due così mescolati di mondo e d’inferno. Tutti e due ormai incapaci d’indicare il confine tra quel che c’è ancora e quello che non c’è più. Entrambi malati di pietà, l’uno per i vivi, l’altra per i morti. E insieme, più gravemente, d’inconsapevole indifferenza.

Ed è con indifferenza che Persefone si lascia derubare, concedendogli il suo cane; e che Eracle non diffida. Crede di potersene tornare indietro intatto con i suoi doni di morte. Non pensa di avere a che fare con loro. La morte di un eroe non è come quella di un uomo, facile, inavvertibile, il chiudersi silenzioso di un rubinetto. Un eroe, quando scoppia, fa un baccano che ne rintrona la terra. È difficile da morire. Bisogna ammazzarlo pezzo per pezzo, romperne ogni membro, la sua morte ne trascina altre di cui nemmeno ci si accorge, tanto la sua è poderosa, uno schianto. Come una montagna che esplode, come un ascesso che non vuol farsi pungere, e trema e freme sotto la pelle e si apre un varco fra i tendini della gola e finalmente, da una puntura di spillo inonda il corpo di pus e sangue.

Persefone lo congeda con un sorriso cortese. Eracle stringe il cane nella sua morsa, con la solita foga, fin quasi a soffocarlo, lo lega alla catena; uscendo dalla porta (improvvisamente se la trova davanti, come se fosse appena entrato), con una mano senza neppure fermarsi prende per il polso Teseo che aspetta di essere liberato, e con la sua preda, il suo compagno e il suo passo impetuoso, mette fuori la testa sotto il cielo.

La gente fugge spaventata a vederlo passare, come da un appestato. Lui prosegue senza badare a nessuno, la fretta incendia la sua lunga stanchezza, entra trionfante nella reggia di Micene e davanti a Euristeo attonito, con un grido furente di liberazione, molla il cane dalle cinquanta teste.

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5 Commenti

  1. Bel presente fatto ad Euristeo, anzi agli umani:
    Cerbero, un mostraccio di cane sanguinario che anche se avesse avuto tre teste, tante bastavano.
    Non c’erano già qui, sopra la terra,
    un bel numero di orrori e di rogne,
    che Eracle questo bel dono ci doveva affibbiare?
    E l’eroe non poteva lasciare il finto prode Teseo, là sotto,
    a incarognire,
    invece di transitarlo ancora quassù con navi, vele nere e altre spocchiose vendette?

    MarioB.

  2. Il racconto è splendido come gli altri che ho avuto la fortuna di leggere su N.I.

    Mi permetto di dire due parole a paolettodicanio prendendo in prestito un epigramma di Puskin:

    Una volta un calzolaio esaminava un quadro,/ e indicò una sbaglio nei calzari;/ Subito l’artista, prendendo il pennello si corresse/ allora, coi pugni sui fianchi, continuò il calzolaio:/«Mi pare che il viso sia un pochino storto…/e questo seno non è troppo nudo?». /Ma Apelle lo interruppe impaziente:/«Non giudicare, amico, più su della scarpa!».

    Confido che ti sia annoiato anche stavolta, sempre ammesso che tu abbia capito…

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