Cristina Campo su William Carlos Williams

a cura di Antonio Sparzani

proseguendo una mia minima esplorazione della straordinaria qualità della scrittura di Cristina Campo (nome d’arte di Vittoria Guerrini, Bologna 1923 – Roma 1977), scrittrice, traduttrice e interprete, iniziata qui, trascrivo ora una sua introduzione all’opera del poeta statunitense William Carlos Williams (Rutherford, N.J. 1883 ‒ 1963) e la sua esemplare traduzione della poesia Pioggia (Rain), quale appare nel prezioso libretto di traduzioni campiane con testo a fronte: W. C. W., Il fiore è il nostro segno, pubblicato in edizione numerata nel 1958 da All’insegna del pesce d’oro e dedicato da Cristina Campo e dall’editore stesso Vanni Scheiwiller al settantacinquesimo compleanno del poeta.
Ecco il testo della Campo:

SU WILLIAM CARLOS WILLIAMS

constant in its swiftness
as a pool.

«Un’antologia di William Carlos Williams (sia pure piccola, sia pure quasi privata) è una cosa assai difficile da comporre. L’intera opera del poeta si configura infatti come un lunghissimo e minuzioso diario cosmico: composto giorno per giorno, segmento per segmento, in quel ritmo caleidoscopico di crollo e ricomposizione da lui stesso definito in una celebre lettera:
«“La vita” scrive Williams “è soprattutto sovvertitrice della vita stessa, quale era un attimo prima: sempre nuova e priva di regole. E nel verso, perché esso viva, qualcosa deve essere infuso che abbia il colore stesso dell’instabile, qualcosa nella natura di una impalpabile rivoluzione”.
«Questo modo di operazione poetica non si attua soltanto nella tecnica di Williams, nella folle e delicata linea della sua sintassi, nella sua metrica di irriducibile naturalezza: rette entrambe da leggi insieme rudi ed aeree ma — come appunto le leggi della vita — squisitamente sapienti.
«Essa comincia molto prima, ha origine nello sguardo: fisso, con meravigliosa costanza, più che all’oggetto alla sua metamorfosi.

«Rivoluzione, come egli ha detto: del boccio e dell’orbe terracqueo, dei semi e delle età: compimento e disintegrazione di volti, di città, di vicende. Tenera tragedia, testimoniata ora per ora da Williams con una dedizione che fa talvolta di lui — l’apostolo di una poetica americana per eccellenza — un maestro cinese dell’età classica.

«La geografia di Williams non potrà essere dunque che una geografia di arcipelaghi. Solo a una panoramica completa della sua opera potrà rivelarsi l’ombra della vulcanica terra da cui emergono queste innumerevoli Antille.
«Ma come il fiore (questo eroe delicato della saga di Williams) testimonia dell’albero invisibile, così ogni singolo verso del poeta ci offre già puri gli elementi della sua arte. Prima fra tutti quella rarissima coesistenza di leggerezza estrema e di possente radicamento che è la sostanza stessa della poesia: quel sapore massimo di ogni parola di cui Williams è uno dei pochi maestri viventi ».

Questo minimo prologo precedeva, qualche anno fa, una minima raccolta [il prezioso libretto citato all’inizio] di traduzioni da Williams, a lui dedicata in occasione dei suoi settantacinque anni e che oggi si alterna, in questo libro, alle versioni di Vittorio Sereni. Intitolata, da un verso di Williams, Il fiore è il nostro segno, era in realtà una sorta di breve erbario, trascelto da quell’immenso orto botanico — selva, giardino, regno di growing things — che sono i Collected Poems.
Avevo scritto con naturalezza l’aggettivo cinese che, dedicato a Williams, sembrò destare qualche stupore. Mentre sarebbe parso legittimo, suppongo, per il giovane Pound o per le ultime liriche di Brecht.
Meglio che a Pound e almeno quanto a Brecht, a me sembra che a Williams spetti questo accostamento. Se con cinese s’intende, come penso, l’archetipo dell’artista più libero nel suo tempo e nel suo spazio, e cioè dal suo tempo e dal suo spazio: sapiente nel piegarsi alla ruota delle stagioni con la stessa purezza con cui il vecchio della cascata, lodato da Ciuang Tse, si piegava alle furie e ai capricci dell’acqua; nel ricondurre a ritmi di Zodiaco lo sgusciare lentissimo di un boccio di canna indica dalla sua dura guaina di sèpali; nello scorgere il battito del cuore di un insetto, come narra di se stesso Shen Fu, con occhi capaci di guardare il sole. Occhi simili a quelli degli incisori che ornarono la Sala dei Dieci Bambù o il Giardino del Grano di Senape — nella cui rètina assumono parvenze orrorose e celesti un pezzo di sughero ributtato dal mare, una pietra calcarea, la scorza di un limone o il guscio di una noce; non meno del cristallo pietrificato di una rapida, della bianchezza fossile di un deserto di rupi. [Cristina Campo, Gli imperdonabili, Adelphi, Milano 1987, pp. 173-75]

Ed ecco il testo originale e la traduzione di Pioggia (Rain), poesia del 1930, che appartiene ai Poems 1929-1935, contenuti nel primo volume (1909-1939) di The Collected Poems (eds.: A. Walton Litz & Christopher MacGowan, New Directions Publ. Corp. New York, N.Y. 1986)

[se cliccate su ogni pagina, questa si ingrandisce leggermente]





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5 Commenti

  1. Per me emozionante, caro Sparz. La poesia sulla pioggia è bellissima. Quando ero ragazzino, e mi esaltavo coi poeti beat – e volevo essere un beat – tenevo “Paterson” di WCW (per me lui era sempre WCW) nello scaffale dei miei beat. Ginsberg lo aveva avuto come maestro e tutti lo adoravano.

    Il testo di Cristina Campo per i miei gusti è un tantino aulico, ma si sente l’amore e l’ammirazione.

  2. Cfr. anche W. C. Williams, “Poesie”, tr. it. di C. Campo e V. Sereni, Supercoralli Einaudi Torino, 1967 pp. 254, Lire 2.500.

  3. Avevo incontrato da Bassini un’altra versione della Campo, ma non m’era piaciuta perché era liberissima, ma nel senso che non aveva forse centrato bene il registro del testo (era parecchio tronfia, con inversioni ineleganti, insomma: brutta).
    Questa versione mi sembra praticamente perfetta, proprio perché aderentissima, leggera, senza sbavature.

  4. Tutto di alta qualità, Williams, Campo, Sparzani e, last etc. Rain. MA…
    Una grave caduta: wohrishness è tradito da ruffianeria. WHORE NON EQUIVALE A RUFFIANO E RUFFIANO HA VARIE SPECIFICHE NEGATIVITA’. Anche whore, ma pure una posività, qui dal poeta certamente preferita.
    Meglio, forse: sensualità, goduria, voluttuosità?

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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