Barbara Millicent

di Eleonora Sottili

La signorina Barbara Millicent nella sua vita aveva posseduto trentotto animali, tra cui si segnalavano un panda, un cucciolo di leone e una zebra.

Viola Rocca all’età di otto anni era riuscita a farsi comprare dalla madre una coppia di canarini. Mentre la signorina Millicent portava in giro per l’isolato il suo affettuoso e ricercato cucciolo di leone, Viola spingeva l’osso di seppia oltre le sbarre, provocando nei pennuti punte di vero terrore, frullare d’ali e versi acuti.

La signorina Millicent aveva quattro sorelle e due fratelli gemelli, ma in famiglia era lei a spiccare per fascino, portamento e personalità. Dei suoi genitori non si sapeva niente, tuttavia veniva da credere fossero i tipici americani, benestanti e ottimisti, di quelli che il Giorno del Ringraziamento spennellano con burro fuso un enorme tacchino.

Viola aveva una sorella minore, Rita, più brillante, solare e simpatica di lei. O almeno così la pensavano tutti. Rita sbrigava la maggior parte dei compiti il pomeriggio presto, per poi andare a danza classica. Viola avrebbe continuato per anni a domandarsi come facesse la sorella a camminare sulle punte di gesso. A lei facevano male persino le scarpe da ginnastica: piedi dolci, ereditati dal padre, una fastidiosa imperfezione a dispetto del nome accattivante.

Il signor Rocca, a parte trasmettere difetti genetici, lavorava come rappresentante di una casa di elettrodomestici e negli ultimi mesi stava cercando di raggiungere l’obbiettivo mensile di vendita, puntando sull’innovazione che avrebbe rivoluzionato la cucina italiana.

“Sta tutto nelle molecole!” diceva, “vengono trascinate nel campo elettrico alternato e indotte a vibrare. Parte dai radar, capite? Tecnologia militare applicata alla cottura! È meraviglioso! Non è meraviglioso?”

Ogni dipendente aveva ricevuto un forno a microonde in prova e quando Viola guardava la tazza girare al di là del vetro e si accorgeva delle leggere increspature che da un certo punto in poi si formavano sulla superficie del latte, non aveva più nessuna voglia di berlo.

La signorina Millicent si era sempre dimostrata versatile. Infermiera, docente di lingua dei segni, istruttrice di aerobica e ballerina, aveva partecipato a qualche film sia come attrice sia come regista. Aveva avuto diverse esperienze come hostess su aerei commerciali e possedeva una patente di volo.

Quando, ormai ventenne, Viola decise di andare ad abitare da sola, trovò un monolocale in affitto.

Nel trasloco portò con sé la scatola rossa. Si trattava di una scatola di cartone dove aveva messo tutte le cose a cui era più affezionata, fotografie, libri e piccoli oggetti, persino la bambola di quand’era piccola.

Il padre, che l’amava profondamente – forse per quell’affinità dei piedi dolci – le regalò un microonde di ultima generazione.

L’appartamento si trovava all’ultimo piano.

L’ascensore dello stabile, con le pareti in finta radica e la porta a soffietto ermetica, piuttosto claustrofobico e lento, aveva una pulsantiera che s’illuminava a seconda dei piani.

Viola riteneva che chiunque avesse concepito l’idea di riprodurre il movimento ascensionale con una luce bianca in un pannello di plastica opaca non avesse ben chiaro il concetto di paura.

E se all’improvviso la luce si blocca?, pensava Viola ogni volta. Come faccio a sapere se l’ascensore si è effettivamente fermato tra un piano e l’altro o è piuttosto la pulsantiera che non funziona più? Che cosa esattamente collega un ascensore a una fila di bottoni numerati?

La signorina Millicent sfrecciava su auto sportive e decappottabili, preferendo il camper per le vacanze. Abitava in un palazzo la cui architettura prevedeva una teoria di stanze spaziose sulle tonalità del rosa. Da un piano all’altro l’ascensore permetteva di scorgerla oltre le grate stile liberty mentre saliva fiduciosa e sorridente verso l’alto.

Viola faceva la commessa per una catena di megastore svedesi. Nel periodo di Natale a lei e alle colleghe veniva chiesto di indossare un costume da renna, provvisto di corna realizzate in panno con un’anima in fil di ferro che conferiva una certa verticalità alla cosa.

Il weekend serviva in un bar per arrotondare. Il bar era di un ragazzo, Davide, per il quale Viola iniziava a nutrire un interesse molto vicino all’innamoramento. Lui era gentile e premuroso con lei, ma non erano mai andati oltre una pizza.

Poi il 24 maggio del 1997 accadde.

Davide riaccompagnò Viola sotto casa, scesero dalla macchina. Lui disse qualcosa che aveva a che fare con la serata, con il fatto che ormai si sentiva che stava arrivando l’estate. Lei rispose di sì e guardò per terra.

Si sente anche dai rumori, le disse ancora Davide, e Viola pensò che non ci aveva mai fatto caso, ma che era vero, i rumori arrivavano in modo diverso d’estate. Forse la consistenza dell’aria.

Fu allora che lui la baciò.

La baciò come Viola aveva sempre sognato, a lungo, con dolcezza.

Quella notte dormirono abbracciati nella casa all’ultimo piano e il mattino successivo restarono l’uno accanto all’altra, a guardare le tazze che giravano nel microonde. Viola indicò le leggere increspature sulla superficie del latte e gli spiegò tutto quello che sapeva, delle molecole e della tecnologia militare applicata alla cottura. Questo li fece ridere e sentire felici.

Una domenica Viola portò Davide a conoscere la famiglia. I signori Rocca si mostrarono colpiti dall’aspetto elegante e dai modi gentili di quello che sperarono sarebbe presto diventato il loro futuro genero.

Rita disse semplicemente, ciao, piacere, io sono Rita.

La signorina Millicent era fidanzata da anni con lo stesso ragazzo, un giovane alto, biondo con gli occhi azzurri, dall’aria atletica, serena e uniformemente lucida. Si erano conosciuti su un set televisivo.

Insieme sfrecciavano su auto sportive e decappottabili. Non si spettinavano. Trascorrevano le vacanze in camper e quando non erano fuori città per qualche impegno di lavoro, amavano passare le giornate ai bordi di una piscina blu in gomma e plastica rinforzata.

Qualche volta li si poteva vedere in ascensore, oltre le grate stile liberty, mentre salivano fiduciosi e sorridenti verso l’alto. Davvero la loro storia d’amore sembrava dover durare per sempre.

Un pomeriggio Davide e Viola presero l’ascensore.

Lei si mise a fissare la pulsantiera, lui non disse niente, la luce stava per passare dal 4 al 5 ma non lo fece, saltò direttamente al 6.

Viola per la prima volta sentì che qualcosa non andava.

Davide diventò effettivamente il genero dei coniugi Rocca il 12 luglio del 1999, appena due anni dopo la notte in cui aveva baciato per la prima volta Viola.

Il tempo era magnifico quel giorno e all’entrata della chiesa tutti applaudivano felici, anche perché alla fine le cose sembravano essersi sistemate e Viola, nonostante tutto, appariva serena.

L’abito da sposa era di raso con minuscoli fiori di tulle cuciti lungo il corpetto. Rita lo indossava magnificamente.

La signorina Barbara Millicent quella sera stessa iniziò a sciogliersi dalla testa. I capelli furono i primi a bruciare, poi il tutù da ballerina, quindi cominciarono a liquefarsi i tratti del viso, le mani e i piedi.

Al di là del vetro, Viola apprezzò il fatto che la rotazione le permettesse di osservare la scena da angolazioni diverse.

Nel dicembre 2005 la Dottoressa Agnes Nairn dell’Università di Bath (Inghilterra) pubblicò i risultati delle sue ricerche.

La Barbie, il cui nome per esteso inventato dallo stesso Mattel è Barbara Millicent Roberts – scrisse la Dottoressa Nairn –, diventa spesso oggetto di curiose punizioni. Secondo le statistiche un numero piuttosto elevato di esemplari finisce bruciato in un forno a microonde.

Esce oggi in libreria Il futuro è nella plastica, (nottetempo, pp. 205, 16 euro) il primo romanzo di Eleonora Sottili, ironico, imprevedibile e originale. Tra assicurazioni, fotografie, cartoni animati e l’incredibile unisci i puntini di parole di un vero enigmista sentimentale…

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3 Commenti

  1. amo la sospensione spazio-temporale dei racconti di eleonora sottili, i suoi personaggi che si accorgono di cose di cui in realtà non importa nulla a nessuno, e stanno nel mondo come imprigionati in bolle di sapone. amo la sospensione dell’incredulità che generano

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