Seni

di Marco Mantello

Erano nudi e grandi. Sopravvissuti ai soldati

e ai superattici in centro

comperati coi soldi delle missioni

e la retorica dei cognomi. Erano colpevoli e innocenti

Producevano lo stesso effetto. Dichiarando diverse intenzioni

Erano due bombe intelligenti. Deflagrate nei giorni di ferie

E se le vite dei militari

rifiorivano sul tuo petto

i civili rimanevano sepolti

sotto alle sue macerie

***

Le persone, come i tuoi seni

non hanno mai lo stesso peso

e diverso ovviamente è il valore

quando gli dici: ‘Vieni’

e gli metti una mano sul cuore.

Forse è per questo che

stiamo attenti a bilanciare le parole

in attesa che si faccia colazione

e sia aperta di nuovo la caccia

alla prossima volta che scoppieranno

***

Esistevano mani che si riempivano.

E nani che tracolavano.

Tutto per bene e per quanto

non valesse due euro all’incanto

era chiara l’immagine in uso

del tuo seno smisurato

che sbatteva sul mio muso.

***

Oggi che il vino rosso e non

il sangue ti cola dal naso

e nudi come le triglie

ci dimeniamo a morsi,

non la senti neppure arrivare

questa ruvida lingua in trincea.

E’ crollato tutto. I bottoni, le calze

sono scaduti gli occhi. E i kilogrammi persi

oltre ai pallidi, strenui ritocchi

che rendevano il messaggio collaudato

e le ultime parole false

***

deformate dalla loro perfezione

dal potere e dall’impotenza

dal non esserci mai una ragione

per andarsene via dalla stanza.

***

Te le avevano asportate. Tutte e due.

E il problema era nascondere

in una minuscola taglia effe

lo iato del giorno dopo

Il problema era distinguere

la parola mezzo dalla parola scopo

ogni volta che provavi a respirare

***

Quando la protesi sarà rimossa

ti faremo gridare dal buco

ogni forma di pianto. O di muco

E la stella, tatuata come viene

tornerà più o meno rossa

sulla parte di cielo cicatrizzata

‘Non accenderla’ ripetevi

riferendoti forse alla luce

o alla macchina che ti ricuce

***

Le facevi toccare agli amici

poi strappavi a mani nude

fino in fondo alle radici

E non era per via della cute

che tenevi due ciocche di biondo

dentro scatole senza apertura

era solo che avevi paura

che qualcuno ci vedesse il mondo

***

Mano a mano che cadono impagini

una nuova economia pubblica. Una specie di piano

per passare il più possibile. Inosservati

tra le vetrine e le scale mobili.

Forse è questo che ci è mancato

riedificare quelle due voragini

con sussidi ed aiuti di stato.

***

Mi ricordo le tue cicatrici

rese rosse per essere vive

indurite dal vecchio vestito

superficiali, profonde, estive.

Si formavano grandi croste

sulle cose che avevi capito

Ti guardavi allo specchio, ti coprivi di fretta

pretendevi risposte

da quella piccola cassetta con la croce.

La tenevi sempre in bagno

mugugnando che era ridicolo

Tutti i farmaci, a parte gli ansiolitici

hanno lo stesso colore del sangue

la stessa voce a cementare il vincolo

tra le ferite e le cicatrici

***

Nessuno, vedendole adesso, avrebbe potuto dire:

sono belle. O più semplicemente. Piene

Non esistevano e al punto ventuno

del programma di ricostruzione

si chiariva che non c’era spiegazione

per qualunque desiderio di mangiarle

***

Era per questo che ti sentivo mia.

Perché non avevi più ferite.

Ogni volta che mi abbracciavi

con quella specie di prateria

trasudavo al pensiero cattivo

di lasciarti così dove stavi

di non farti più andare in tv

e di toglierti pure gli schiavi

a cui davi come al solito del tu

***

Dice che hanno inventato

una roba che si gira e si riusa

l’esplosivo che non scoppia

la lacrima singola e la lacrima

doppia. -Perché piangi?

Lo facciamo anche se sono sgonfie

e poi, se è tutto addome,

sarà più facile trovare il centro.

Staremo bene, insieme.

Io porto il vino. Tu le catene

e negli occhi la rivoluzione

contro cose del tipo: conviene

riprovare a soffiarci dentro.

***

Che il ricordo sempre e solo smisurato

delle bombe scoppiate a natale

possa giungere a te lentamente

possa tu ripensarlo copiato

dagli annunci che mettevi sul giornale

possa tu diventare l’insegna

di una cosa che non serve a niente.

Qualcuno, lo sai, le disegna

sbattute al muro e sull’attaccapanni

forse è quello che non dice una parola

forse lui le desidera ancora

come pura estensione degli anni

***

Faccio il medico, tu l’infermiera

e la luce si spegne da sola

e là fuori c’è il lurido mare

sorvolato dal deltaplano

La tua striscia di foto ed il prezzo

tutto quanto si fa sempre più lontano.

Mi diceva il dottor Moro da quel tizio

che un malato per essere umano

va trattato come un fine. E mai come un mezzo.

Ma cosa è mezzo e cosa è fine

lo stabiliscono loro. Fin dall’inizio

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10 Commenti

  1. turba, a metà tra una poesia d’amore e una metafora del circostante, ma se turba significa che tocca e questo deve fare qualunque scrittura

  2. L’idea era trovare un qualche rapporto, attraverso le parole,
    fra immaginario sessuale maschile (massificato) e guerra. La prima poesia contiene
    un richiamo alla teoria del ‘doppio effetto’, con la quale si giustificano in occidente
    i bombardamenti, e al contempo al ‘potere’ del ‘corpo femminile’, non solo al suo essere una sorta di ‘oggetto’. Altro spunto su cui ho ragionato, di stampo filmico, è l’immagine delle ‘conigliette’ americane che vanno adesso non mi ricordo nemmeno se in Iraq o in Afghanistan e scrivono messaggi d’amore e di patria sulle bombe. Appunto

  3. Ancora più significativo il rapporto corpo della donna/corpo della guerra l’indimenticabile sequenza dello show delle conigliette e playmates di Playboy nella Jungla del Vietnam in Apocalypse Now di Francis F.Coppola: un vero cult, nel senso evocato da Marco Mantello, il cui testo ho apprezzato anche per il gusto del ritmo e della rima, anche se – col metro- avrebbe potuto cesellare un po’ di più…ma non so se questa è solo una mia “manìa”.

  4. In effetti la scena di Apocalypse now, alla quale non avevo pensato, mi pare un’ottima citazione. Sul ‘metro’: qui ho cercato di usare di più la punteggiatura e (talora) di andare meno a capo rispetto al solito. Volevo mantenere il più possibile i toni di un discorso fatto a voce, magari da un ex della pin up, da uno ‘scaricato’, con le sue pause, i suoi silenzi in mezzo alle parole e le sue ‘tirate’ più o meno moralistiche. Ma questi sono solo spunti, ovviamente, poi il testo ha diverse chiavi di lettura e in questo sono d’accordo con martha graham (che poi è il nome di una ballerina defunta, se non ricordo male…)

  5. più precisamente, una grande coreografa (la Graham reale, ovviamente)..aggiungo che la prosodia restituisce bene il “parlato” ma una domanda: che intendi per “massificato” nell’immaginario maschile sessuale? Ognuno di noi ha un suo immaginario (non solo sessuale) che pesca sempre però negli archetipi collettivi e nel tempo che ci tocca in sorte: paradossalmente la playmate non scandalizza ma la mamma che allatta in pubblico sì…un saluto

  6. Si c’è anche una bella pagina di Bergson, all’inizio del saggio sulle due fonti della morale e della religione, in cui si parla di ‘io sociale’ la cui memoria e la cui immaginazione vivono di ciò che una data società vi ha ‘immesso’. Su questo sono d’accordo, non si dà immaginazione al di fuori di un contesto esterno, anche se poi esiste anche la possibilià di rielaborare e di prendere coscienza di ciò che sta fuori (e in qualche misura dentro) di noi, iiconologie comprese. Esiste poi, secondo me, un problema di sovrapposizione fra la nostra esperienza ‘personale’ delle cose, i nostri stati d’animo addirittura, e un ‘io sociale’ che li doppia, in qualche modo (per esempio sono stato a Genova e mi accorgo che le cose che ho visto di persona con il tempo si sono in qualche modo contaminate alle immagini televisive). A me interessa il potere che sta dietro l’immaginario collettivo che ci viene immesso in testa
    Il corpo femminile ‘massificato’ non lo vedo come ‘scandaloso’ (concordo sul tuo richiamo donna che allatta rispetto alla playmate). Quantomeno nel poemetto il corpo lo intendo come uno strumento di potere, non solo come una sorta di ‘oggetto del desiderio’, vista con gli occhi di una persona di sesso maschile (un po’ repressa e vendicativa, forse).

  7. “A me interessa il potere che sta dietro l’immaginario collettivo che ci viene immesso in testa.”
    è molto foucaltiano, sotto certi aspetti anche se
    questo immaginario lo plasmiamo, un micron anche noi, penso,foss’anche solo per “ripeterlo”, di qui l’attenzione e la consapevolezza per come possibile

  8. evocativa… la cosa che mi colpisce di piu’ e’ il collegamento tra la guerra e il corpo femminile oggetto (tra la guerra e il sesso). In che senso strumento di potere dici? Per chi e’ uno strumento di potere?
    Quanto a me, non vedo l’ora di allattare in pubblico.

  9. Per me un corpo femminile ‘massificato’ può essere non solo un ”oggetto di desiderio’, o una sorta di ‘strumento di lavoro’ da curare in palestra (lavoro in televisione, ad esempio, o cartelli pubblicitari) ma anche uno ‘strumento di potere’ per la donna.

    Forse gli attuali archetipi collettivi (che poi sono abbastanza vecchi, mercantili e tradizionalisti nella loro apparente carica emancipatoria) comprendono donne bellissime e al contempo con atteggiamenti imitativi del maschio/uomo di potere (a proposito di immaginario, me lo immagino appunto l’harem di amanti maschi di alcune ministre della repubblica, che magari sono sposate e tornano a casa nel week-end dal marito e dai figli). Esistono del resto anche immagini pubbliche di donne che si tagliano i capelli e si ‘maschilizzano’ in divise da lavoro quando gestiscono il bombardamento un paese nemico (penso a Condoleeza Rice), o donne di potere che alternano a questa sorta di durezza imposta una sorta di ‘femminilità perduta’, mitizzata nei rapporti umani/affettivi/personale, o ancora donne semplicmentre belle, associate tout court al potere (carla bruni).
    Da questo punto di vista il richiamo di Martha Graham a Foucault è centrato, perché richiama la contemporaneità di situazioni/stati emotivi/rapporti umani apparentemente inconciliabili in capo alla stessa persona.
    Insomma a volte non esistono la ‘vittima’ e il ”carnefice’ allo stato puro (categorie piuttosto generiche e ambigue ma non mi viene in mente di meglio). Resta il fatto che ci sarebbe bisogno, davvero, di forme di femminismo emancipate da queste logiche, e con questo non sto negando, ovviamente, che viviamo in una società in cui domina l’elmento maschile, quanto alle posizioni di potere storiche e reali, una società in cui le donne spesso si trovano costrette ad ‘adeguarsi’, ma altrettanto spesso scelgono di farlo, ci credono e avallano il ‘modello dominante’ di rapporti umani.
    Non mi piacciono gli steccati di genere, mi rendo conto che il discorso si è fatto ‘astratto’, spero che non mi si dica che sto generalizzando…

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Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.
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