Il violino di Frankenstein

di Isabella Mattazzi


In un passaggio del suo ultimo libro, Il Violino di Frankenstein. Scritti per e sulla musica, Valerio Magrelli racconta di un singolare caso di radiofonia dentaria. Protagonisti, un uomo di mezza età e la sua carie. La carie, prontamente curata con un’otturazione, e l’uomo improvvisamente sconvolto dalla presenza, nella sua testa, di strani suoni, voci incomprensibili, bisbigli notturni, rumori. Da qui, una terrorizzante serie di ipotesi dell’uomo, convinto di essere diventato pazzo o santo, vittima di allucinazioni uditive, fino al lieto fine della storia e alla risoluzione dell’enigma. L’otturazione, capsula metallica, avrebbe reagito come una vera e propria antenna, captando nell’aria onde radio, variazioni musicali, pubblicità, partite di calcio, per riverberarle poi, come un’eco spettrale, nella cassa di risonanza della bocca.
A ben guardare, tutto il Violino di Frankenstein non è che la rappresentazione amplificata di questo esempio sconvolgente di radio-odontoiatria. Vera e propria struttura compatta, scatola cranica, contenitore sintattico costruito secondo le leggi armoniche del linguaggio, questa raccolta di testi magrelliani sembra possedere, incistata al suo interno, una capsula magnetica, un’antenna in grado di captare a intermittenza le voci soffocate, i passi, il continuo raspare dietro la porta di un mondo sonoro fantasmatico e nello stesso tempo a noi sinistramente familiare. Progetto editoriale coraggioso, Il violino di Frankenstein mette insieme un volume di prose e tre cd con interventi di “rilettura musicale” di alcuni testi magrelliani da parte di Guido Baggiani, Carlo Boccadoro, Luigi Ceccarelli e Fabrizio De Rossi Re. Le prose di Magrelli, disseminate lungo un arco temporale che va dall’86 al 2009, sono dunque da utilizzarsi in questo caso come una sorta di “libretto d’opera”, un testo certamente autonomo, ma da leggersi anche nel buio di sala di una ricezione del tutto musicale del linguaggio. Qui come non mai, infatti, è in gioco una partita aperta tra significato e significante, tra corpo e sonorità, tra carne e involucro della lingua. Se il titolo della raccolta porta in sé la dicitura “Scritti per e sulla musica”, potemmo in realtà leggerlo come “Scritti di musica”, dove per “di” si intenda fatti di, intrisi, inzuppati di suono come un telo in un liquido. O meglio, più che di suono, intrisi di rumore. Perché in effetti, in questo volume, di musica si parla pochissimo. È il suono a fare da struttura portante alle immagini del testo, e si tratta di un suono niente affatto rassicurante, niente affatto armonico, niente affatto “musicale”. Che sia con o senza l’ascolto dei cd, con o senza l’ausilio di un supporto acustico tangibile fatto di archi, fiati e percussioni, l’effetto magnetico dell’antenna, la bacchetta da rabdomante conficcata nel testo di Magrelli capta ovunque segnali di disturbo, crepitii nell’aria, urla di sirene, citofoni rotti. Le parole zuppe, intrise di suono sono parole che rimandano a una realtà dolorante, a un disordine dell’essere, fatto di meccanismi inceppati, apparecchi ortopedici, interiora esposte e suturate alla meglio. È piuttosto esemplare, in questo, nella sezione chiamata Perso per perso, la trasformazione di un tema apparentemente innocuo come la perdita di una spilla (la stessa spilla di Mozart nelle Nozze di Figaro) nella tragedia di un armadio divoratore di “cose”, organismo affamato, enorme cassa armonica cava e tarlata da migliaia di insetti-oggetti. O il giro turistico, allucinatorio e spettrale, nei luoghi della campagna romana di Terranera: “Ecco la danza macabra: Malnome, Malpasso, Malafede, Malagrotta, Valle Oscura, Passoscuro, Fosso Sanguinara, Femminamorta, Pantano dell’Intossicata, Campo di Carne (ma dove li prendete dei nomi come questi, una distesa di sangue battuto, pisto e arato, maggese di tessuti epiteliali, appezzamento di ciccia, prati di pelle e grasso e tegumenta)… Lastra della morte, Caronte, Piscina della Tomba (Residence!, ingresso con tagliando, doccia, sauna e bagno turco, bagno morto, bagno Maria), Pantano dell’Inferno e infine lui, Gnif Gnaf. Ora si chiama Borgo Santa Maria, ma è Gnif Gnaf, in omaggio ai suoni dei passi nel fango. Gnif, suono di orrore; Gnaf, voce di morti. Mai, ho sentito che un nome schizzasse terra e inzaccherasse gli stivali”.
Sintesi emblematica del percorso metamorfico di Magrelli, dalla pulizia formale di Ora serrata retinae all’oggi, da una visione originaria di forte controllo del linguaggio a una commistione sempre più marcata di temi e di segni, Il violino di Frankenstein è certamente un’opera “rivelatrice” in questa sua veste di ready-made organico, di macchina formale suscettibile di proliferazioni e aggiustamenti in corso d’opera. Accostati gli uni agli altri, uniti nell’assemblaggio “mostruoso” (alla Frankenstein, appunto) del volume, testi molto lontani tra loro, per epoca e progettualità, sembrano assumere una fortissima coerenza, un’evidente unitarietà stilistica. Quasi come se la voce di Magrelli, il blasone con il suo nome d’autore, fosse adesso immediatamente riconoscibile lì, nel segno di una dolorosa patologia del linguaggio, la “malattia” come porosità, come apertura al disordine, è l’immagine sovrana e agglutinante della raccolta. Del resto, in un suo recente saggio su Baudelaire, Magrelli paragona la trasmissione culturale alla diffusione di focolai epidemici, alla presenza di “agenti cognitivamente infetti” (le opere letterarie) all’interno di un mondo di portatori sani e di possibili vittime. Nella malattia di Magrelli, però non c’è sconfitta. La patologia del suo segno poetico non è un imbuto che conduce inevitabilmente, come diretta conseguenza degenerativa, alla morte. Vero e proprio pharmakon (medicina e veleno, ferita e rimedio in un unico distillato), la malattia come cifra stilistica, l’atto del mostrare le carni putrefatte e maleodoranti del mondo sembra essere l’unico modo per salvarle. Per estrarle, dissotterrandole una a una dalla enorme massa congelata dell’oblio, come racconta nella Natura fossile di un bimbo, facendole riverberare (fantasmatiche e fossilizzate sì, ma pur sempre vive) alla luce intermittente del linguaggio. Non a caso, suggerisce Novalis, in incipit del testo: “Ogni malattia è un problema musicale, ogni cura è una soluzione musicale”.

Valerio Magrelli, Il violino di Frankenstein. Scritti per e sulla musica (prefazione di Guido Barbieri, postfazione di Gabriele Pedullà, composizioni di Guido Baggiani, Carlo Boccadoro, Luigi Ceccarelli, Fabrizio De Rossi Re), Le Lettere, 2010, pp.180, 38 euro.

(pubblicato su il manifesto, 9/4/2010)

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Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.
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