sembra una cosa innocua

di Flavia Piccinni

Non sai che cosa significhi pressione
finché non giochi cinque dollari
e ne hai in tasca solo due.

Lee Trevino

“Hai capito? Ho vinto mille euro così. Con il gratta e vinci. All’inizio pensavo fossero solo cinquecento. Poi ho visto meglio ed erano mille. Mille euro” mi dice Liliana, gesticolando furiosamente. Ha dell’ombretto azzurro sulle palpebre, lo stesso colore delle pupille dilatate dall’eccitazione.

Annuisco, faccio finta di essere interessata; non mi va di deluderla. Apro il barattolo dello zucchero. Lei mi porge un cucchiaino. Penso a quel tizio che tanti anni fa aveva vinto al Superenalotto e poi era stato spolpato vivo dai malavitosi; mi domando se sia veramente mai esistito. Liliana non accenna a cambiare discorso né tono, si è improvvisamente risvegliata dal torpore in cui l’anoressia la costringe da anni.

“Il mese scorso mio marito ne ha vinti duemila. Duemila, mica mille” sorride eccitata. “Due per mille” ripete spalancando le mani scheletriche e muovendole avanti, indietro.

Annuisco ancora, sempre meno convinta.

Io non gioco. Detesto rischiare il certo per l’incerto e di sicuro non ho mai comprato un gratta e vinci. Neanche quando, a metà anni novanta, erano i migliori scambi per le figurine ché i bambini, come i loro genitori, ne andavano pazzi. Allora, un Amore e Fortuna si scambiava con quasi venti carte di Barbie mentre la focaccina al prosciutto crudo della colazione non valeva nemmeno un santino della bionda in bikini avvinghiata a Ken.

Il gioco, quello indipendente dalla mia volontà, ha troppe variabili sconosciute per appassionarmi. Sono cresciuta con gli scacchi e il rigore delle aperture, la creatività bilanciata degli sviluppi, lo sfiancante esercizio dei finali hanno creato in me il mito del potere che ogni scelta possiede. Potere che si annulla quando c’è da raschiare una striscia argentata e da incrociare le dita nella speranza che, fra le proposte dei Monopoli, il tabaccaio abbia carpito quella vincente e me la porga senza nessuno scotto.

“Non ci crederai mai, ma mio marito stamattina ne ha vinti altri cinquecento” scoppia a ridere, coprendosi maldestramente la bocca, ancora, Liliana. Le sue guance cadaveriche si rianimano; io sorrido e alzo le spalle. Verso altro the nella tazza, giro lo zucchero. Faccio per andarmene. Ma lei mi viene dietro.

“Ne compriamo pochissimi. Uno, due la settimana. Ma vinciamo sempre qualcosa” si giustifica, neanche mi leggesse nel pensiero.

“Sempre?” mi fermo e fisso incerta.

“Sì sì. Certo. Non sono sempre mille euro o cinquecento. Ma cinque, dieci, venti” specifica, ravviandosi i capelli dietro le lunghe orecchie. Una ciocca scappa via, e scivola paglia sulle sopracciglia.

“E come si chiama?” domando curiosa. So che non lo dovrei fare, che non mi sono mai interessati questi tipi di svaghi e che non comprerò, neanche sotto tortura, un gratta e vinci. Lo so. È una di quelle cose che ti vietano alla nascita. È genetico. Non ho ceduto quando si trattava di venti figurine in bikini di Barbie, figuriamoci adesso.

Liliana sgrana gli occhi. Ha capito di avermi in pugno.

Afferra una ciocca di capelli e inizia ad attorcigliarla all’indice. Ha una cicatrice appena sotto l’unghia, non me ne ero mai accorta. Lei mi osserva ammaliante. “Si chiama Affari tuoi” sussurra. “È quello dei pacchi, capito? Noi compriamo sempre quello! Due nostri amici hanno vinto duecentomila euro e se ne sono tornati in Romania. Duecentomila euro, mica mille o cinquecento” ripete, con occhi sognanti. Vorrei dirle che succede una volta su un milione, che non è la norma, che la vita non è fatta di monetine da cinque centesimi con cui grattare una superficie argentata, ma…

“Si sono comprati una casa. Una macchina nuova e grande, un Suv. Hanno aperto un negozio di vestiti. La vita gli è cambiata e in Italia non ci tornano più” continua lei. Ha smesso di gesticolare, un po’ di amarezza le vela gli occhi. “Comunque noi vinciamo sempre” taglia corto, mentre le guance tornano livide.

Mi mordicchio le labbra e torno al computer. Nonostante tutto quello che dovrei fare, riesco solo a pensare al gratta e vinci di Affari Tuoi. Mi concentro sulla faccia irregolare di Max Giusti, sul suo naso appuntito e sulle massime che ripete meccanicamente ogni sera. Penso all’auditel, alla guerra con Striscia la Notizia, ai capelli biondi di Michelle Hunziker e al bacio infantile della pubblicità con Travolta. Poi, neanche me ne accorgo, che sto scrivendo sulla barra di google: gratta e vinci affari tuoi on-line.

I risultati sono 3770, non troppi per un gioco che cambia la vita alle persone. Clicco sul primo link, quello evidenziato in arancione dal motore di ricerca, che recita: “Gratta e vinciGioca – Gratta e vinci On-line con Giochi24! Prova tutti i Giochi più Divertenti”.

Sembra una cosa innocua.

La schermata che segue è un insieme di bianco, rosso e verde (una specie di bandiera tricolore fatta a patchwork e inframmezzata da piccole icone pubblicitarie). C’è anche una ragazza che, microfono vicino alle labbra, sorride gentile.

In rosso, gigantesca, la scritta “REGISTRATI”. Non ci penso due volte e ci clicco sopra. In fondo, rifletto scherzando, ho diritto anche io al mio momento di felicità.

Compare immediatamente una pagina per l’iscrizione dove mi vengono richiesti nome, cognome, data di nascita, sesso, nazione di nascita, comune di nascita, codice fiscale – se malauguratamente non me lo ricordassi, c’è perfino un tasto che me lo calcola automaticamente – telefono, cellulare con opzione “sms gratuito per info promozionali”, poi residenza e dati account: username, password, email e, nel caso lo avessi, codice promozionale. Ovviamente questo non ce l’ho.

Devo poi barrare tre caselle. Senza neanche accorgermene – presa un po’ dalla fretta di tentare questa dea bendata che glorifica tutti, un po’ atterrita che qualcuno possa vedermi mentre mi iscrivo a un sito per giocare on-line – dichiaro d’aver più di 18 anni, d’aver preso visione delle condizioni generali e dell’informativa sulla privacy e di accettare tutte le condizioni. Logicamente non ho mai aperto nessuno dei due documenti. Accetto anche, senza sapere bene il perché, di ricevere le newsletter di Giochi24.it.

Clicco su “Registrati” e sono dentro.

Nella mia casella di posta c’è già un’e-mail di Giochi24: l’iscrizione è avvenuta con successo e, per iniziare a divertirmi, non mi resta che inserire username e password nelle corrette caselle. Sorrido beata. Finalmente ho anche io il mio esclusivissimo accesso al mondo dorato dei giochi on-line. Ho la possibilità di diventare milionaria senza sbugiardarmi con il tabacchino sotto casa. Ho ancora il mio pudore intatto.

Dopo il log-in devo solo scegliere cosa fare. Potrei giocare i miei numeri fortunati, ma l’estrazione del Superenalotto è lontana e il mio desiderio di soldi e successo ha bisogno della risposta immediata del gratta e vinci.

Apro la pagina dedicata e scopro che ne esistono ben ventinove tipi diversi. Ventinove. Un numero spropositato di varianti per circoscrivere sempre lo stesso gesto e lo stesso desiderio. I nomi, come i regolamenti, sono tutti facilmente comprensibili. I prezzi vanno da cinquanta centesimi per il misero Scala Reale, che permette di vincerne fino a 5.000 se le carte grattate compongono una scala regia, a dieci euro per Mega Miliardario la cui grafica è un trionfo di gettoni dorati su cui, in nero, è scritto a caratteri cubitali “I NUMERI che valgono una FORTUNA! Vinci fino a 1.000.000€”.

Fra queste due opzioni, ci sono una sterminata varietà di colori, prezzi e vincite millantate. Per esempio c’è Le carte della fortuna che costa due euro e assicura, oltre a gioca con i tarocchi e tenta la sorte!, di vincere fino a 100.000 euro. C’è il Miliardario – questa volta non Mega – che garantisce con cinque euro la possibilità di aggiudicarsene fino a 500.000 e si autodefinisce il gioco più ricco. E poi La fortuna gira con tanto di ruota bongiorniana a spicchi con soldi e dollari. Fai scopa! la cui accattivante grafica propone due ragazzi dagli sguardi ammiccanti e, in realtà, non è altro che il gioco di carte più conosciuto d’Italia. E poi Black Jack, Super Tris, Briscola, Dado Matto, Sette e Mezzo e lui, il re di tutti i giochi, quello che ha fatto vincere a Liliana mille e cinquecento euro in due giorni e che mi ha spinto oltre tutti i limiti. Quello che mi ha fatto abbonare a un sito di scommesse on-line e che ora guardo con occhi brillanti, neanche fosse la Soluzione.

La grafica è decisamente più squallida e meno accattivante rispetto ai fratelli. C’è uno sfondo arancione con un grosso pacco azzurro, lo stesso della trasmissione televisiva. In alto, a caratteri neri, è scritto “AFFARI TUOI” e poco sotto “Arrivano VINCITE a PACCHI! – Vinci fino a 200.000€”. Di lato, inspiegabilmente, c’è il muso di un ippopotamo che con lo sguardo a mezz’asta fissa inquietante il possibile acquirente.

Non ci penso due volte: voglio provarci.

Senza neanche sapere di cosa si tratti, e senza ovviamente leggere il regolamento, mi butto. Clicco su “gioca”. Sul monitor compare una schermata che mi fa notare come, senza soldi, non sia possibile acquistare niente. Prendo il portafogli dalla borsa, tiro fuori la carta di credito e riempio il modulo per aggiungere dei fondi liquidi al mio conto telematico. Il minimo previsto è di 10 euro e nessuno mi spiega (lo scoprirò solo dopo, quando proverò a recuperare i miei quattrini) che non è previsto che i fondi immessi vengano riaccreditati. Possono essere recuperati, quando richiesto, solo quelli delle vincite. Niente di più. Niente di meno. Quindi se ricarico quindici euro e ne gioco solo due, gli altri non posso più riprenderli. Ormai sono morti. Fanno parte del mio potenziale patrimonio di giocatrice.

“Solo dieci euro” mi dico. Inserisco il codice di sicurezza e clicco su “invia”. Una schermata verde mi avverte che adesso ci sono i liquidi e che posso finalmente iniziare a divertirmi.

“Ma io non voglio divertirmi, voglio vincere” rifletto, quindi torno sui gratta e vinci, clicco sulla faccia dell’ippopotamo sornione e mi compare una finestra pop-up arancione dove il solito bestione (questa volta intero) mi spiega le regole del gioco.

Fra tutti i pacchi, devo scegliere quello con la regione che preferisco. Poi mi tocca aprire i rimanenti uno a uno, fino a scoprire che premio nasconde il mio. Quindi sono obbligata a scegliere fra tre buste: se il nome della regione contenuto nel plico prescelto è lo stesso del mio pacco vinco la cifra contenuta nella scatola.

Insomma… per niente semplice.

Mi domando se sia tutto pilotato – se, cioè, nonostante le mie scelte, il programma abbia già deciso se vincerò – o se il mio merito, la mia fortuna, potrebbero condizionare l’esito.

L’ippopotamo è sinistramente ammiccante, forse per merito dei tre euro che sta per spillarmi. Mi fa notare che durante il gioco riceverò, proprio come accade nel programma televisivo, due telefonate. La prima mi permetterà di cambiare il mio pacco, nel caso volessi quello di un’altra regione, e la seconda mi offrirà la possibilità di interrompere la partita per partecipare a “Caccia al logo”, un gioco molto stupido dove, oltre a dirmi al momento quanti soldi sono in palio, devo scegliere fra tre buste quella che contiene il logo “Gratta e vinci On-line”.

Sono basita e mentalmente ringrazio le serate febbricitanti passate davanti al televisore con Pupo che, esaltato, intonava Gelato al cioccolato. Mi chiedo ancora se questo sia davvero il trionfo della passività o meno. Se il giocatore scelga o no il suo destino.

Dopo aver letto il regolamento, e non averci capito niente, clicco su “acquista”.

Il mio saldo si riduce a 7,00€ in un secondo.

Sospiro e sorrido: è il mio momento.

Che cosa sono tre euro in confronto alla vittoria? Non sono niente al cospetto del montepremi esorbitante che ha cambiato la vita all’amica di Liliana.

Immediatamente una schiera di pacchi beige mi si spalanca davanti. Non hanno numeri, ma solo nomi di regioni. Clicco su “Toscana” e si materializza una nuova schermata con i soliti pacchi, questa volta accompagnati da numeri. Il mio cartoccio è in primo piano, come se fosse davanti a me. E io seduta sullo sgabello davanti a Max Giusti.

È il numero 14.

Faccio spallucce. Non è sicuramente il mio numero fortunato. Anzi, non mi dice niente. A una a una, freneticamente, apro tutte le scatole. La prima ad andarsene è l’Umbria, che contiene 500 euro, e poi il Lazio con 5 euro, la Campania che ne ha 200.000 (passaggio accompagnato da musichetta funebre per sottolineare la dipartita della cifra più alta), la Calabria con 250, la Liguria con soli 3 euro, quindi il Veneto possessore di 1.000, la Sardegna con 5.000.

Sto per aprire l’ennesimo pacco, quando un telefono, strategicamente posizionato accanto al mio quattordici, trilla. Una cornetta si alza. Compare un fumetto che dice: “Vuoi cambiare il pacco con uno degli altri?”.

Ci penso un po’ su.

L’assordante musichetta da duello western che accompagna la proposta mi infastidisce. Clicco su “NO”.

Devo credere nel mio pacco.

Devo portarlo fino in fondo.

Devo pensare che dentro ci sono un sacco di soldi.

Una vittoria. Una meritata vittoria. La vittoria del principiante.

Guardo la schermata con i premi ancora in palio, non sono poi molti. Fatto salvo per 50.000, 100 e 50 euro non sono messa particolarmente bene: c’è una raganella, uno schiaccianoci, un barattolo di mais, un guanto destro (e il sinistro?), 10 e 20 euro. Apro a caso: Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Basilicata, Sicilia, Marche, Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige. Rimango con la Puglia e in ballo o 20 euro o uno schiaccianoci.

Sudo freddo. Il telefono squilla di nuovo.

Torna la fastidiosa musichetta da sfida. La nuvoletta accanto alla cornetta del telefono dice “Vuoi rinunciare al tuo pacco per partecipare al gioco Caccia al Logo?”.

Sempre più infastidita clicco su “NO”. Non voglio giocare a “Caccia al logo”. Io voglio vincere. Poco importa che la guerra sia fra pedoni. Prendo un bel respiro e apro la mia scatola: dentro ci sono 20 euro.

Sorrido estasiata.

“Quasi quasi mi rifaccio del tempo perso” rifletto, ma c’è ancora un ultimo ostacolo. Mi si para davanti una schermata dove, dietro il mio pacco spalancato con i 20 euro, ci sono tre buste. Le maledettissime A B C. Vinco solo se, cliccando su una, questa si apre e ha il nome della mia regione. Scelgo la C. Toppo. La Toscana era nella B, le Marche nella C e l’Umbria nella A. Ho sempre odiato il centro Italia.

Aggrotto le sopracciglia e la schermata, accompagnata da una nenia funebre – questa volta dance – cambia immediatamente: il mio monitor è invaso dall’ippopotamo sornione che entra ed esce furioso dal pacco muovendo la testa a destra e sinistra. Potrebbe dirsi un ippopotamo felice.

Decido di riprovare. È tutta colpa mia. Dovevo sentire la voce che mi intimava di scegliere la B, non la C. È tutta colpa mia, perché non mi fido mai del mio istinto e cerco di razionalizzare ogni cosa anche quando, in situazioni di precaria fortuna come queste, non c’è da aggrapparsi ad altro che a una buona stella.

Gioco ancora due volte, ma non cambia niente. Perdo sempre. Al secondo tentativo sto per vincere 5.000 euro ma scelgo il plico B mentre la Toscana era nel C.

Al terzo sto per vincerne 1.000. Le mani sudano. Avrei voglia di riesumare una vecchia zia cartomante e farmi consigliare da lei. Mi bruciano gli occhi. Il mouse vaga per lo schermo. Passa dalla busta A, alla B alla C.

È veloce.

Poi chiudo gli occhi. Provo a sentire, con la mano aderente al monitor, le energie di queste tre custodie cibernetiche. Scelgo la A. Naturalmente la Toscana era ancora nella C.

Mi vengono in mente un sacco di cose. Che è un gioco stupido. Che è da ottusi spendere dei soldi reali in modo così inutile anche perché, nonostante il sito cerchi di mettere tanto ripetutamente l’accento sul divertimento, io non mi diverto affatto. Il cuore mi batte a mille. Sono nervosa e irascibile. Aspetto solo che qualcuno telefoni per sfogarmi, ma nessuno chiama. Ho solo un euro sul mio saldo. Sto per spegnere il computer, quando penso che potrei investirli in uno di quei squallidi gratta e vinci economici.

Scelgo Sette e mezzo e, inaspettatamente, vinco un euro. Me ne manca uno solo, uno soltanto, per giocare ancora ad Affari tuoi e, questa volta, ne sono sicura: vincerò.

Questa volta è quella buona.

Sospiro, prendo il portafogli. Mi sento stordita. Ricarico il mio conto di altri dieci euro. So di stare facendo una cosa che non mi appartiene, qualcosa che mi è estraneo, quasi una violenza, ma non riesco a smettere. I gesti vanno velocissimi. Il mio corpo procede oltre la mia volontà. È un automa. Apro il portafogli, tiro fuori la carta, riempio di nuovo il modulo, scrivo dieci euro e clicco “invio”.

Gioco altre quattro volte. Vinco tre euro perché alla fine capisco, dopo aver perso nell’ordine 500, 250 e 100 euro, che la busta di riferimento per la Toscana è la C.

Decido di giocare ancora. Arrivo in finale con 200.000 euro.

Ormai non ci vedo più. Forse Liliana aveva ragione. Si vince sempre. È impossibile perdere. Ho caldo, mi alzo e apro la finestra. Il termostato segna un grado, ma io sudo. Tolgo la giacca. Mi sento un concorrente del Grande Fratello cui stanno per comunicare l’imminente uscita. Ma io so che posso vincere. Che il mio destino dipende da me.

Provo a ragionare. La busta A no perché non esce mai, la busta C no perché esce sempre, la busta B. Ecco, la busta B può essere la soluzione ideale. Chiudo gli occhi. Clicco su B. Quando li riapro mi viene da piangere: la busta giusta era la C.

Mi prendo la testa fra le mani.

Adesso mi sento stordita come uno di quei teenager che passano le giornate a giocare on-line a Call of Duty. Solo che io non ho un fucile a pompa né un joypad anatomico, ma una carta di credito che, senza neanche accorgermi, mi sta accreditando altri dieci, venti, trenta euro.

Sono le due e mezza. È oltre un’ora che gioco. Non ho mangiato e sono nervosissima. Ho vinto tre volte rispettivamente: due, cinque e dieci euro. Ma poi ho perso tutto. Ho perso perché la maledetta busta C conteneva i soldi solo quando io non la degnavo di uno sguardo, le altre volte erano sempre nella B. La A mi ha fatto solo un brutto scherzo con 50 euro, ma l’ho perdonata subito.

Sono stremata. Vorrei spegnere il computer, prendere il cellulare e chiamare Liliana. Mi sembra assurdo: sono riuscita a spendere cinquanta euro senza neanche rendermene conto. Cinquanta euro reali che, attraverso il computer e internet, si sono fatti eterei e intoccabili. E quello che non si tocca si dà via con più facilità.

“Forse l’occasione con la fortuna, nella vita delle persone, si presenta una volta sola e a me è successo a sette anni” provo a sdrammatizzare, mentre digrigno i denti. Improvvisamente ricordo dei due Amore e Fortuna che Valentina voleva darmi per la mia focaccina al prosciutto crudo. Li aveva rubati alla madre. Eravamo in seconda elementare. Io avevo rifiutato e lei con uno aveva vinto dieci mila lire, che allora corrispondevano a venti pacchetti di figurine di Barbie: ben 100 esemplari.

Mi sento debole.

Mi sento come uno di quei cinesi che, fra Prato e San Donnino, si rintanano nei bar e si lasciano incantare dai video poker; mettono una monetina dietro l’altra nella macchinetta, ma non vincono mai. Mi sento come la signora con il filo di perle che una volta avevo visto all’autogrill comprare dieci miliardari e grattarli tutti insieme, uno dietro l’altro, sbiancando sempre più, durante la fila per il bagno. Mi sento come se tutto si potesse ancora recuperare. Come se fosse solo questione di tempo.

È un meccanismo sinistramente perverso, quello dei giochi on-line. Ci sono tanti fattori che, nella via comune, non hanno il tempo di esistere. C’è la solitudine, l’anonimato, il fatto che i soldi viaggiano per un canale invisibile. Non c’è nessuno che ti guarda storto se continui a sperperarli nel vento.

Non c’è niente.

Solo tu e il gratta e vinci, il mouse che si muove alla ricerca della busta giusta e che sbaglia sempre. L’ippopotamo che balla e ride.

“Forse potrei giocare per l’ultima volta…” mi dico, e capisco che è il momento di finirla. Clicco sul mio profilo. Devo disattivarlo. Ha poco più di due ore di vita ed è già ora di cancellarlo. Inserisco il numero utente e la password, clicco su “invia”.

Sospiro.

“È finita” mi dico, ma in realtà non lo è affatto. La schermata mi informa che non è possibile disattivare il mio fortuna17. Fino a quando il contratto che ho approvato poche ore prima non verrà ricevuto nella sede di Gioca 24, sita in Via Italia 46 a Monza, l’account continuerà ad esistere.

Sgrano gli occhi.

Inizio a cercare un numero di telefono su cui sfogare la mia rabbia. Io non ho firmato niente, mi hanno spillato cinquanta euro e devo mandare un contratto che NON ho mai letto… firmato?

Torno alla schermata iniziale e, osservando la fotografia della centralinista sorridente, mi aspetto di trovare un numero telefonico cui rivolgermi. Niente. C’è solo un’e-mail o un rimando alle FAQ. Le ispeziono una a una, ma non c’è niente che possa farmi passare l’agitazione: senza neanche accorgermene, presa dall’entusiasmo e fidandomi di un sito appartenente al gruppo Tipp24, leader in Europa per le scommesse on-line, sono rimasta fregata.

Guardo sconsolata il computer. Sospiro e mi limito a mandare una mail dal tono pacatamente minaccioso all’operatrice (CANCELLATEMI IMMEDIATAMENTE, NON MI SONO ISCRITTA IO MA MIO FIGLIO MINORENNE. POSSO DENUNCIARVI). So benissimo che non mi risponderà nessuno. So perfettamente che l’operatrice è a conoscenza che non ho figli minorenni, che ho giocato io, che è tutta colpa di Liliana, dell’ippopotamo ipnotico, di Pupo e del suo Gelato al cioccolato, delle massime di Max Giusti, delle nuvole grigie e del fatto che fra poco pioverà.

So che anche questo non è vero. Perché è colpa mia e adesso, come elegantemente mi suggeriscono le FAQ, dovrò attendere nove mesi e poi l’account inutilizzato verrà cancellato da solo. E allora non ci saranno più tracce di questo pomeriggio passato a scegliere fra tre buste. Di questo pomeriggio dove sono arrivata tanto vicina dal vincere molti soldi, ma non li ho vinti mai.

Visito per l’ultima volta la pagina dei miei successi che vengono definiti “di fascia bassa”. Sto per spegnere il computer quando squilla il telefono. È mio fratello. Mi dice che al bar ha incontrato Liliana. Stringeva un gratta e vinci in mano e sorrideva beata.

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