H. D. & Doktor Sigmund Freud

di H. D. [ Hilda Doolittle, 1886 – 1961 ]
 
da Tribute To Freud [ 1956 ]

[ traduzione di Orsola Puecher ]

Percorsi la Berggasse e svoltai nel famigliare ingresso; che era Berggasse 19, Wien IX. C’erano ampi gradini di pietra e una balaustra. A volte incontravo qualcun’altro che scendeva. La scala di pietra era curva. C’erano due porte sul pianerottolo. Quella a destra era la porta dello studio del Professore; quella a sinistra la porta della famiglia Freud. Effettivamente i due appartamenti erano disposti in modo che ci potesse essere un po’ di confusione fra famiglia e pazienti o allievi; di qua c’era il Professore che apparteneva a noi, di là c’era il Professore che apparteneva alla famiglia; era una grande famiglia con ramificazioni, suoceri, parenti lontani, amici di famiglia. C’erano altri appartamenti sopra, ma non ho incrociato molto spesso qualcuno sulle scale, tranne i pazienti in analisi dell’ora precedente alla mia. Le ore o sessioni stabilite per me erano 4 giorni alla settimana dalle cinque alle sei; un giorno dalle dodici alla una. Almeno, quello era l’ordine per la seconda serie di sessioni che, annotai, cominciarono alla fine di ottobre del 1934.
 

[…]

 
C’è un dottore seduto dietro il divano su cui sono sdraiata. È un dottore molto famoso. Si chiama Sigmund Freud.

 






The Perilous Night, Four Walls. N. 8
di John Cage [ 1912 – 1992 ]
[ New York City – Winter – 1943-44 ]


 
Noi viaggiamo lontano nel pensiero, nell’immaginazione o nel regno della memoria. Gli avvenimenti accadono mentre accadono, non per tutti naturalmente, ma qui e là un ricordo o un frammento di un’immagine onirica è reale, è come un’opera d’arte o è un’opera d’arte. Ho parlato delle due scene con mio fratello come se non vi avessi partecipato, come fotogrammi di una pellicola in una camera oscura, messi davanti a candele accese. Quei ricordi, visioni, sogni, fantasticherie che dir si voglia sono cose insolite. La loro struttura è insolita, l’effetto che hanno sulla mente e il corpo è insolito. Sono terapeutici. Sono reali. Sono reali nella dimensione della lunghezza, della larghezza, dello spessore, come ognuno degli oggetti di bronzo o marmo o le ceramiche e le crete che riempiono le teche intorno alle pareti o come quelli che sono disposti con elegante precisione in un ampio arco sul tavolo del Professore nell’altra stanza. Non possiamo dimostrare che sono reali. Possiamo distinguere come un intenditore (come il Professore fa qui con la sua inestimabile collezione) fra il falso e il vero; una buona copia di un oggetto raro non è senza valore, ma dobbiamo distinguere fra una copia fedele e un’imitazione falsificata; ci sono anche determinate leghe che si possono corrodere e corrompere nel tempo e gli oggetti così arrugginiti devono essere accantonati o scartati; ci sono frammenti rotti inestimabili che sono insignificanti finché non troviamo gli altri pezzi rotti per farli combaciare.
 
Ci sono sogni banali e confusi e ci sono sogni reali. Il sogno banale ha lo stesso rapporto con il reale di un articolo di un giornale scandalistico rispetto ad una pagina in folio di una commedia di Shakespeare. I sogni sono variati quanto lo sono i libri che leggiamo, le immagini che guardiamo o la gente che incontriamo. ”O i sogni! Noi sappiamo da dove voi Freudiani pensate che i vostri sogni vengano! ” Per voi i giovani vedranno visioni e i vecchi sogneranno sogni. Una grande quantità di essi proviene dalla stessa fonte: dalla Scrittura, la Sacra Scrittura o il Verbo. E là ugualmente abbiamo letto di Giuseppe, di come i suoi fratelli lo schernirono, Ecco il sognatore di stelle. 1
 
Con il Professore ho discusso di alcuni sogni reali, alcuni sogni intermedi che contenevano un immaginario reale o i cui “geroglifici” erano collegabili con immagini autentiche e di alcuni sogni bizzarri o insignificanti o beffardi che hanno ballato, per così dire, come fossero mascherati da spazzacamini e Regine di Maggio intorno al palo del Calendimaggio. Ma il più luminoso, il più chiaramente definito di tutto questo contenuto onirico, mentre ero in cura dal Professore, era il sogno della Principessa, come eravamo soliti chiamarlo.
 
Lei era una dark lady. Indossava un abito dai colori chiari, giallo o arancione chiaro. Era drappeggiato intorno lei in un pezzo solo, tipo un sari indossato come soltanto signora indiana di casta elevata potrebbe fare. Ma lei non è indiana, è egiziana. Appare in cima a una lunga scala; gradini di marmo conducono giù a un fiume. Non porta ornamenti, nessuna corona o scettro mostra il suo rango, ma chiunque saprebbe che questa è una principessa. Giù, giù dalle scale avanza. Non si girerà indietro, non si fermerà, lei non altererà il ritmo lento del suo passo. Non ha niente fra le braccia, non c’è nessuno con lei; non ci sono oggetti estranei con lei o vicino a lei sui gradini scolpiti a indicare qualsiasi dettaglio simbolico o problema indiretto implicato. Non ci sono particolari. I gradini sono geometrici, simmetrici e lei è astratta come solo una dama potrebbe essere, tuttavia è reale, una persona reale.
Io, la sognatrice, aspetto ai piedi dei gradini. Non ho idea di chi io sia, o di come sia arrivata là. Non c’è un prima o un dopo, è un momento perfetto nel tempo o fuori dal tempo. Io sono preoccupata per qualcosa, tuttavia. Attendo sotto il gradino più basso. Là, nell’acqua di fianco a me, c’è un cesto poco profondo o una cassa o una scatola o una barca. C’è, naturalmente, un bambino deposto in essa. La principessa deve trovare il bambino. So che troverà questo bambino. So che il bambino sarà protetto e messo al sicuro da lei e che la questione è tutta qui. Tutti abbiamo visto un’immagine simile. Io mi impressi questa immagine da bambina, prima ancora di saper leggere, nella nostra Bibbia illustrata dal Doré.

 

 
Ma l’illustrazione in bianco e nero del Doré non ha niente in comune con tutto questo, a parte il soggetto. Il nome di questa immagine è “Mosé fra i Giunchi” e il Professore naturalmente lo sa. Il Professore ed io discutiamo di questa immagine. Lui chiede se sono io, la sognatrice, il bambino nel cestino di giunco? Io non penso di esserlo. Mi ricordo se l’immagine come la vidi da bambina avesse qualche altra figura? Non riesco a ricordarmelo. Il Professore dice che c’è la bambina Miriam, mezza nascosta fra le canne; me lo ricordo? Me lo ricordo in parte. Sono io, forse, la bambina Miriam? O sono, dopo tutto, nella mia fantasia, il bambino? Desidero, negli strati incoscienti o subcoscienti più profondi della mia essenza, essere il fondatore di una nuova religione?
 
Ogni cultore dilettante con le teorie della psicanalisi può ricostruire, anche da questa breve testimonianza, il motivo o lo stimolo psichico materiale o soppresso o represso che hanno prodotto questo sogno-immagine. C’è una piccola bambina con la sua bambola nello studio del padre. È venuta nello studio del padre per restare sola o per essere sola con lui – gli interessi di suo fratello sono più attivi ed esteriori e suo fratello non partecipa volentieri ai giochi con le sue famiglie di bambole. Dovrebbe essere il padre della bambola o il dottore della bambola,che in qualche caso viene chiamato. Ma questo non lo interessa. Ha soldatini e biglie e gli piace correre di qua e di là, dentro e fuori. Qui nello studio di nostro padre, dobbiamo restare calmi. Una ragazza-bambina, una bambola, un padre distante e silenzioso forma questo triangolo, questo romanzo famigliare, questa trinità che segue il modello religioso riconosciuto: Padre, distante, silenzioso, colui che mantiene la famiglia, il protettore ma un po’ irraggiungibile, un po’ troppo lontano, un gigante in proporzione ed anche un po’ freddo; Madre, una vergine, la Vergine, cioè, una bambina inviolata, in adorazione, piena di fede, che costruisce un sogno e il sogno è simbolizzato dal terzo membro della trinità, il Bambino, la bambola fra le sue braccia.
 
La bambola è il sogno o il simbolo del sogno di questa bambina particolare, come queste varie figure di Ra, Nut di Hathor, di ISIS e di Ka, che indistintamente sono immobili sulle loro mensole o sul tavolo del Professore nell’altra stanza, sono il sogno o il simbolo del sogno di altre anime anelanti e adoranti. L’infanzia dell’individuo è l’infanzia del genere umano, abbiamo notato, il professore l’ha scritto in qualche luogo. La bambina in me se n’è andata. La bambina è svanita ma ancora non è morta. La vicinanza con il Professore intensifica, o provoca questo sogno di una Principessa, il fiume, i gradini, il bambino. Il fiume è un fiume egiziano, il Nilo; la Principessa è una donna egiziana. L’Egitto è presente, a dir il vero, realmente, o per deduzione, o per suggestione, nella stampa, o nell’incisione antiquata del Tempio di Karnak, appesa sulla parete sopra di me, come pure nelle figure ovoidali, delineate indistintamente di Ra, o Nut, o Ka sullo scrittoio del Professore nell’altra stanza. Una Regina o una Principessa sono un evidente simbolo materno; inoltre, c’erano stati riferimenti casuali, di tanto in tanto, alla traduttrice francese del Professore, Madame Marie Bonaparte, “la Principessa” o “la nostra Principessa“, come il il Professore era solito chiamarla.
 

  
  


 
[ Hilda Doolittle nel 1930, interpreta la parte di Astrid nel film muto d’avanguardia Borderline di Kenneth McPherson, di cui fu anche sceneggiatrice, come per gli altri film sperimentali del Pool Group. ]
 
 
Dall’Introduzione di Merril Moore:
 

La verità è più strana dei romanzi. Questo libro è strano nel senso che c’è verità quando è complessa e delicatamente raccontata. E’ il resoconto della psicanalisi di una donna, come lei ce lo riferisce. Lei è uno dei più grandi poeti viventi. Aveva 47 anni quando cominciò l’analisi con Freud. La scena fisica è spostata da Vienna a Londra, quando Freud vi si reca, ma la fantasia spazia dall’antico Egitto all’eternità. I due principali personaggi sono Freud stesso e H. D., la poetessa e il sognatore, supportati da un vasto e variato cast che entra ed esce di scena a richiesta attraverso le più sontuose porte associazionali.
E’ allo stesso tempo di più e di meno di un resoconto psicanalitico. Non punta su una copertura storica coscienziosa del materiale rivelato, ma piuttosto è un documento poetico indipendente. Se la parola psicanalisi non viene menzionata, se il nome Freud viene cancellato dovunque appaia, rimpiazzati dalle parole “essere superiore”, il documento contiene in sé una forza e un ritmo unici. Nonostante sia scritto in una cosiddetta prosa ha l’effetto di un lungo poema drammatico.
Quando H. D. pubblicò per la prima volta queso lavoro in un rivista inglese, aveva il titolo di “Scrivendo sul muro”. Il flusso cristallizza un ampio contenuto in poche parole. Il significato sarà diverso per ognuno, ma questo è quello che significa per me: Il Muro è la realtà, l’artista è il Creatore, creando proietta, l’artista (o il sognatore) crea proiettando quel che c’è nella sua mente sul muro della realtà, che è il muro del mondo. H.D ha documentato la sua stessa scrittura sul muro, in questa registrazione molto migliore di come potrebbe essere ottenuta da qualsiasi dispositivo elettronico di registrazione. Qui c’è un aspetto dell’analisi vividamente e consistentemente presentato; molti dei problemi famigliari dall’analista e dall’analizzato vi sono trattati, ma con il fresco fervore di un poeta. Il transfert si innalza rivelato in tutto il suo splendore.
[…]
Freud a suo modo è un poeta ed è come un poeta che H. D. ce lo racconta attraverso gli stessi stadi con cui le si svela.

 

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NOTE
  1. Genesi 37.

    [19] Si dissero l’un l’altro: “Ecco, il sognatore arriva!
    [20] Orsù, uccidiamolo e gettiamolo in qualche cisterna! Poi diremo: Una bestia feroce l’ha divorato! Così vedremo che ne sarà dei suoi sogni!”.

7 Commenti

  1. adoro questa costruzione delle cose
    scie di sogni segni immagini
    ogni post di orsola puecher è da conservare come i sogni più belli
    la verità freud karnak caleidoscopio di bellezza ed incanto
    un post bellissimo
    grazie
    c.

  2. Bello come tutto sogno di Orsola. Il mare dei sogni si nutre del ricordo di Freud, di un’immagine di Gustave Doré, della passione di avere un’infanzia illuminata di poesia, di maternità. La bambina madre o vergine, la bambina fantasma dei regni dell’infanzia, la bambina diversa, la bambina poeta si affaccia tra le canne di un fiume o nel cuore del sole.
    Credo che nella esperienza della psichanalisi lo più affascinante è la venuta di una parola poetica, una parola di primo mare. Ho fatto una psichoterapia di otto anni, e mi rammento la parola che veniva come
    onda portando gli oggetti della memoria avvolti da un alone. Credo che era quello che preferisco sentire venire a me immagini che non avrei sognate.

  3. Bello. Epico pergiunta. Però mi disturba il filmato della rana, che sembra infilzata viva in una specie di amo e tormentata per farla muovere, non si capisce benissimo. Un brutto riquadro, Orsola.

  4. Cioè. Orsola Puecher è fantastica, lo è nel senso fa[n]tasmatico del termine, con i suoi collage sa evocare sensazioni che sentivo perse.
    Già accadde con lo scoglio di Eduardo, una chicca per intenditori, e ora l’incanto si ripete con Freud.

    Di Bergasse avevo perso memoria, ricordo che andai per guardare da vicino quel benedetto divano. Invece seppi che il Professore se l’era portato con sé a Londra nel 37.

    Il sogno della donna sulla scala l’ho fatto anche io, il guaio è che la mia lei scendeva per le scale in un mare di fiamme.

  5. @véronique

    molto bello una parola di primo mare

    Merril infatti dice della scrittura di H. D. :

    Il flusso cristallizza un ampio contenuto in poche parole.

    e nell’originale flusso è *tide=marea

    [ grazie della tua consueta grazia! ]

    ,\\’

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orsola puecher
orsola puecherhttps://www.nazioneindiana.com/author/orsola-puecher/
,\\' Nasce [ in un giorno di rose e bandiere ] Scrive. [ con molta calma ] Nulla ha maggior fascino dei documenti antichi sepolti per centinaia d’anni negli archivi. Nella corrispondenza epistolare, negli scritti vergati tanto tempo addietro, forse, sono le sole voci che da evi lontani possono tornare a farsi vive, a parlare, più di ogni altra cosa, più di ogni racconto. Perché ciò ch’era in loro, la sostanza segreta e cristallina dell’umano è anche e ancora profondamente sepolta in noi nell’oggi. E nulla più della verità agogna alla finzione dell’immaginazione, all’intuizione, che ne estragga frammenti di visioni. Il pensiero cammina a ritroso lungo le parole scritte nel momento in cui i fatti avvenivano, accendendosi di supposizioni, di scene probabilmente accadute. Le immagini traboccano di suggestioni sempre diverse, di particolari inquieti che accendono percorsi non lineari, come se nel passato ci fossero scordati sprazzi di futuro anteriore ancora da decodificare, ansiosi di essere narrati. Cosa avrà provato… che cosa avrà detto… avrà sofferto… pensato. Si affollano fatti ancora in cerca di un palcoscenico, di dialoghi, luoghi e personaggi che tornano in rilievo dalla carta muta, miracolosamente, per piccoli indizi e molliche di Pollicino nel bosco.
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