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A destra, solidità e spostamenti

di Alessandro Leogrande

Quando si parla di fibrillazioni interne alla destra italiana, è opportuno non confondere il piano politico con quello sociale. Sul piano politico il tentativo di smarcarsi di Fini, il suo mirare alla costruzione di una destra diversa, è solo l’ultimo atto di un processo iniziato un anno fa, quando intellettuali a lui vicini iniziarono ad assumere posizioni anti-berlusconiane. Prima delle dichiarazioni di Veronica Lario, fu Sofia Ventura (politologa del gruppo “Farefuturo”) a parlare di velinismo e di ciarpame. Per la prima volta, allora, il Capo fu messo in discussione. Furono messi in discussione la sua politica, le sue candidature, il suo rapporto con le donne quale architrave del rapporto con gli alleati e con la società italiana. Poi si sarebbe addirittura arrivati alla constatazione del sistematico utilizzo di donne-tangenti all’interno del suo entourage. Sulla questione femminile interna alla destra si è aperta allora una crepa che via via si è estesa ad altri fronti. In seguito critiche non molto diverse (tutte tese a costituire un laboratorio politico di destra non riconducibile al berlusconismo) sono state formulate a proposito della giustizia, della riforma dello Stato, del federalismo, dell’immigrazione e della cittadinanza.

L’autonomia rivendicata platealmente dal Presidente della Camera si fonda su tutto questo, ma di qui a pensare che Fini e i finiani possano entrare in unico calderone di centro-sinistra (o sarebbe meglio dire: destra-centro-sinistra) in funzione anti-berlusconiana ce ne corre. Perché Fini e i suoi rimangono di destra, vogliono rimanerlo, e non si capisce su cosa si possa interloquire con coloro i quali ancora rivendicano – giusto per fare qualche esempio – la Bossi-Fini in materia di immigrazione, la Fini-Giovanardi in materia di droghe, tutti i possibili revisionismi anti-resistenziali in chiave storiografica. Sorprende che una giovane Pd come Debora Serracchiani arrivi a dire, nel corso del seminario della sua corrente Area Democratica: “Fini ci affascina perché dice ciò che dovremmo dire noi”.

Ciononostante, la sensazione che si ha è che oggi in Italia la destra abbia inglobato tutto: il governo e l’opposizione, la maggioranza e la minoranza, le tesi e le antitesi. E questo fa in fondo del nostro un paese fuori dai normali standard democratici, mentre la sinistra – come visto – sembra essere relegata sugli spalti.

Al di là delle chiacchiere, però, quale reale autonomia può avere Gianfranco Fini? Se si guardasse al solo orizzonte politico, si potrebbe concludere che Berlusconi non è solamente indebolito dalle sue sortite, ma da un più generale rischio di implosione del proprio partito sotto i colpi di una nuova Tangentopoli. In fondo la vicenda Scajola (che rischia di allargarsi ad altri) dice questo, oltre che rivelare che il principale partito italiano è ormai una ragnatela di cacicchi ben radicati nei propri feudi con le loro corti politiche, finanziarie e para-politiche, circondati da preti, palazzinari, faccendieri, mediatori da commedia all’italiana. Ma se proviamo a guardare al di là di queste fibrillazioni, al piano sociale, il mare appare molto più piatto.

Fini è un colonnello senza truppe, che può contare su pochi parlamentari e pochi punti percentuali nei sondaggi. Berlusconi è sempre colui che ha stravinto le ultime elezioni regionali, insieme alla Lega. A uscirne sempre più rafforzato non è stato solo l’asse Berlusconi-Bossi (fortemente sbilanciato verso il Nord) ma il triangolo Berlusconi-Bossi-popolo del centrodestra. È questa ancora la maggioranza sociale, cementata nel modo che sappiamo. E qui gli scricchiolii non sembrano francamente tanti.

Sul numero precedente di “Lo straniero”, abbiamo pubblicato una eccezionale intervista di Walter Minella a Franco Castellazzi (numero due di Bossi negli anni novanta). L’intervista era del 1993, ma dice cose valide ancora oggi e la parte più interessante è costituita dalle riflessioni sull’organizzazione interna della Lega. Per come lo descrive Castellazzi, appare un vero e proprio partito del Capo, organizzato stalinianamente al suo interno, con tanto di processi ed epurazioni per gli eretici e i dissenzienti, e premi in poltrone per i fedelissimi privi del minimo dubbio. Un unico corpo al confronto del quale il Pdl appare davvero un Casino della libertà, come alcuni hanno scritto.

Il punto, ora, non è dire che Bossi sia più potente di Berlusconi, e nemmeno scoprire che la tenaglia costituita dal partito di ferro da una parte e il largo consenso interclassista raggiunto dalla Lega nelle regioni più ricche del paese dall’altra, possa essere fatale per il Cavaliere. Il punto reale della questione è constatare come la Lega (che diventa sempre più forte, man mano che il fronte del berlusconismo politico si riduce) ha già creato le precondizioni per sopravvivere a un’eventuale fine del governo Berlusconi. Controlla già le regioni del Nord (direttamente in Piemonte e in Veneto, indirettamente in Lombardia). Appena otterranno la riforma federale che permetterà di gestire in proprio gran parte delle risorse, il cerchio si chiuderà, e da questa posizione di forza, Berlusconi o non Berlusconi, eserciterà un ricatto enorme su qualsiasi tipo di destra italiana, e sull’Italia intera.

Nessuno sembra voler arginare questo piano inclinato. La sinistra sta scomparendo dal Nord (per Bossi è già scomparsa), così come in modo speculare dalle aree più critiche del Sud. Berlusconi ha capito che le uniche sabbie non mobili su cui poggiare sono quelle del leghismo. Qualsiasi statista o politico di lungo corso capirebbe che è un ragionamento suicida, ma Berlusconi è un uomo che ragiona sulle distanze limitate, che un giorno dice una cosa e il giorno dopo un’altra pur di rimanere in sella, e per questo non se ne cura. La sua corte (che comprende anche molti ex di An, come La Russa e Gasparri) ha capito che per restare a galla non può mettersi contro l’asse Bossi-Berlusconi. E Fini? Fini in tutto questo è isolato, non ha alle spalle un popolo di cui intuisce i timori e i desideri, come abbiamo scritto più volte su questa rivista. Per non restare completamente isolato, sarà costretto prima o poi ad allearsi con Casini.

Vista in questi termini, si potrebbe concludere: la politica può anche agitarsi, ma il blocco sociale delle destre leghiste e berlusconiane è ancora saldo. Anzi, è vincente, se guardiamo la storia recente di alcuni grandi comuni del Nord. Tuttavia per capire quanto la confusione possa essere ancora più grande dobbiamo guardare alla Sicilia.

In Sicilia la finanziaria dell’assemblea regionale è stata votata insieme da Mpa (il movimento autonomista del Presidente Lombardo), finiani e gran parte del Pd. Il Pdl è ufficialmente all’opposizione. Certo, si dirà, è una particolarità tutta siciliana. E da che mondo è mondo, le operazioni Milazzo elaborate nell’isola non sono esportabili su scala nazionale. È vero. Ma è altrettanto opportuno sottolineare che ciò è avvenuto in quella che, insieme alla Lombardia, è stata sempre ritenuta la regione più berlusconiana di tutte, quella che il berlusconismo più viscerale ha sempre considerato la propria roccaforte per eccellenza (l’apoteosi fu raggiunta nelle politiche del 2001). È forse la conferma che il Pdl di stretta osservanza berlusconiana non può più governare laddove la Lega non corre in suo sostegno?

(“Lo straniero”, n. 120, giugno 2010)

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10 Commenti

  1. Analisi lucida e impietosa. Concordo sostanzialmente su tutto. Fino a un anno riponevo qualche speranza di fuoriscita in un rafforzamento dell’Unione Europea. Ma dopo le ultime elezioni e la crisi finanziaria tali speranze si sono affievolite…

  2. Concordo su tutto.

    Mi sembra che a conti fatti il PD non vincera’ mai e poi mai, salvo spaccature profonde nella destra, tipo all’epoca bossi vs berlusconi (1994 mi pare). Non e’ detto che nel rimpasto post-berlusconiani possa riaccadere, ma questo sarebbe un grave danno per il PD che si ritroverebbe a vincere le elezioni senza prima spostare il proprio baricentro a sinistra. Cosa che invece potrebbe fare con un Fini al potere.

    Non so cosa pensare di Vendola, mi piacerebbe anche ma e’ cattolico.

    P.s. tutti i miei amici che votavano il PD, alle elezioni regionali lombarde hanno votato Grillo.

  3. Buona la politologia, insufficiente invece l’analisi politica. Si parla di una dicotomia, destra VS sinistra, tramontata da un pezzo, mentre le politiche reazionarie (che servono solo a mantenere inalterato lo status quo) sono oramai perseguite e attuate indifferentemente da uno schieramento e dall’altro. In rapido excursus:
    Da qualche decina d’anni, chi si è dimostrato più sottomesso ai voleri imperiali d’oltreoceano, destra o sinistra? Ricordo che la “sinistra” ha approvato e finanziato le “missioni di pace” d’una guerra devastante alla stessa maniera della “destra” (ci aveva provato Bertinotti a metterle in discussione in un tardivo soprassalto di “sinistrismo”, poi tutto è stato inghiottito dal consociativismo), con la ciliegina sulla torta d’una guerra umanitaria con cui il governo D’Alema aveva tolto la castagne dal fuoco agli amici americani, impossibilitati dal veto di Cina e Russia di intevenire in prima persona.
    Né “destra” né “sinistra” si sono opposte ai generosi finanziamenti statali elargiti alle grandi banche private e istituti di credito, quegli stessi che hanno grosse responsabilità nell’attuale crisi economica, ed entrambe si sono appiattite sulla “necessità” di distribuire soldi a fondo perduto agli speculatori finanziari, mentre concordano sull’ulteriore “necessità” dell’odierna manovra economica (discrepando solo sui suoi dettagli).
    Lo stesso dicasi nei confronti delle agenzie di rating, che fanno quel che pare loro. Nè da “destra” né da “sinistra” è venuto fuori un discorso di economia “alternativa”, per cambiare questo sistema economico-finanziario. ma per fare un discorso “alternativo” bisogna disporre di una analisi forte del mondo reale, che la “sinistra” ha dimesso da tempo, preferendo indossare i panni della ragioneria dell’esistente.
    Spese militari: né “destra” né “sinistra” si oppongono, o ne chiedono una consistente riduzione.
    Privatizzazioni: qui la “sinistra” pare battere la “destra”, grazie ai governi di “sinistra” di Amato, Ciampi e Prodi (inoltre si è trattato di uno smantellamento dell’industra pubblica sciagurato, oltreché a livello di sovranità nazionale, anche nella pura ottica di mercato).
    Non solo la “sinistra” (della “destra” a questo livello non m’importa) ha abdicato a ogni sogno, ma anche ad ogni ipotesi di concreto mutamento socio-economico.
    Del resto, la scomparsa della “sinistra” si riflette (o si riassume) anche, a partire dal ’91, nella peripezia del nome del suo partito: Pds, Ds, Pd (e punto).
    Per cui, di che cosa stiamo parlando? La “sinistra” oggi è solo una definizione di topologia parlamentare. Questo se si vuole partire dall’analisi del mondo reale, e non di quello che si vorrebbe, per individuare l’attuale soggetto sociale della trasformazione (che non può più essere un partito).

  4. sottoscrivo robugliani.
    aggiungo che la trasversalità reazionaria italiana, ipocrita, guardona bigotta e familista femminismo ufficiale compreso nelle sue due branche pro o contro daddario (per femminismo ufficiale intendo quello al potere, tipo posto fisso su giornali e cattedre e tv neh, che quello “dal basso” funziona diversamente, puzza d’ascella, e alle manifestazioni precarie da chilotoni d’anni ormai si attacca al collo il cartello di affittasi amante a progetto) si è CONFERMATA anche a proposito della “questione femminile” (cristo santo) come viene chiamata qui. E non mi sorprende affatto che la seracchiani, edipica e batticigliosa com’è, abbia detto che fini li affascina perché dice le cose che dovrebbero dire loro.

  5. @ jacopo,
    se la “sinistra” istituzionale è scomparsa (lenta agonia o suicidio a favore di lobbies e potentati), la sinistra sociale che le sopravvive deve prendere atto della realtà storica, fare analisi all’altezza del mondo in cui viviamo e aggregarsi (ciascuno secondo le sue possibilità, teoriche, militanti e quant’altro) in lotte qualificanti, abbandonando nostalgie d’amarcord e schierarsi al di fuori di schemi superati. E di ribellioni, nel mondo, in Europa e anche in Italia, per fortuna ce ne sono, anche se i menestrelli dell’informazione non ce le raccontano. Di più, nemmeno il profeta Ezechiele potrebbe dire.

  6. @robugliano: “aggregarsi in lotte qualificanti, abbandonando nostalgie d’amarcord e schierarsi al di fuori di schemi superati.” Sarei curioso di leggere degli esempi concreti. Altrimenti si potrebbe maliziosamente supporre che si stia suggerendo di “schierarsi” al fianco dell’estrema destra (persino della Lega). In tal caso, no grazie. Continuerò a chiamare i fascisti col loro nome (neri o verdi che siano).

  7. E’ segno dei tempi, purtroppo, che rivendicando la sovranità nazionale e definendo categorie superate quelle di “destra” e “sinistra”, almeno come ce le cantano i partiti di “destra” & “sinistra” per giustificare la loro esistenza, si sia scambiati per fascisti. Una domanda: il pensiero unico, a cui si sono consegnati sostanzialmente “destra” e “sinistra”, è fascismo? Se sì, ci troviamo già in presenza di un fascismo senza fascismo. Oramai quello che nel XX secolo il capitalismo regionale aveva delegato al fascismo e al nazifascismo è stato assunto in proprio dal capitalismo globale, che non ha più bisogno di mediatori. E una chiosa: se riteniamo progressisti i governi latinoamericani di Venezuela, Bolivia, Brasile, Ecuador, bene, quello che quei governi stanno facendo è rivendicare la propria sovranità nazionale, sottraendosi dal giogo a stelle e strisce. E basta questo per essere rivoluzionari, oggi.
    Quanto a soluzioni o indicazioni politiche non ne ho. Posso solo dire, e fastidiosamente visto che mi tocca parlare in prima persona (ma voglio parlare di quello che so), che alcuni giorni fa, informato per mail, sono stato a un presidio organizzato dalla sigla “Boicotta Israele” in una piccoa piazza cittadina. Ebbene, eravamo in otto, i soliti “veterani”, attorno a un banchetto con la bandiera palestinese a distribuire volantini (anche con l’elenco di merci israeliane o italiane con azionariato israeliano da non comprare). Lì non c’era (naturalmente) la “sinistra” istituzionale, c’erano quattro gatti o cani sciolti che avevano deciso un atto di militanza, e senza tanto menarsela sul politically correct. E che fossimo quattro gatti è una condizione politica con cui la sinistra sociale dovrà a lungo convivere, visto la distruzione politica, quasi in blocco, di giovani generazioni compiuta dalla assoluta mancanza di analisi e prospettive politiche di trasformazione cui il tandem “destra-sinistra” le ha abituate.

  8. direi che per percepire le mille anomalie democratiche del berlusconismo bossico non occorre essere “di sinistra”.
    la sinistra è in crisi più o meno in tutto il mondo ed è crisi culturale prima che politica, è crisi progettuale prima che di prassi, eccetera.
    ciò che è passato quasi ovunque, senza praticamente trovare ostacoli, è che sopraffazione e sfruttamento siano una componente non-eliminabile dell’esistenza associata, che siano fonte augurabile di selezione sociale e di ricchezza.
    la questione del collocamento attuale del PD nella politica italiana per ora è fuori dalla ri-definizione (internazionale) di un ruolo storico per la sinistra, ma prima o poi dovrà rientrarvi.
    la battaglia di Fini è per una destra “moderna” e democratica, per l’unità nazionale, eccetera: non può vincere da solo, ma per strada può trovare alleanze più o meno tattiche che possono tenerlo in ballo.
    il pd dovrebbe trovare il coraggio di appoggiarlo apertamente, sottolineando la provvisorietà di un’all’eanza anti-berlusconi e anti-lega, fino al ristabilimento di condizioni democratiche accettabili per tutti.
    mi rendo conto che è facile a dirsi.
    personalmente l’unica cosa che mi auguro, la sola per cui vado ancora a votare, è la caduta di berlusconi.
    dopo (se ci sarà un dopo) si vedrà.
    ma nel frattempo una riflessione collettiva su cosa voglia dire dirsi “di sinistra” senza essere marxisti andrà pure fatta…

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Helena Janeczek è nata na Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca, vive in Italia da trentacinque anni. Dopo aver esordito con un libro di poesie edito da Suhrkamp, ha scelto l’italiano come lingua letteraria per opere di narrativa che spesso indagano il rapporto con la memoria storica del secolo passato. È autrice di Lezioni di tenebra (Mondadori, 1997, Guanda, 2011), Cibo (Mondadori, 2002), Le rondini di Montecassino (Guanda, 2010), che hanno vinto numerosi premi come il Premio Bagutta Opera Prima e il Premio Napoli. Co-organizza il festival letterario “SI-Scrittrici Insieme” a Somma Lombardo (VA). Il suo ultimo romanzo, La ragazza con la Leica (2017, Guanda) è stato finalista al Premio Campiello e ha vinto il Premio Bagutta e il Premio Strega 2018. Sin dalla nascita del blog, fa parte di Nazione Indiana.
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