Il disastro del rame

di Helena Janeczek

Una mattina di marzo sono incappata in un disastro dovuto all’estrazione delle materie prime. Non ero in una miniera delle Ande, ma su un treno che collega Milano a Varese, Domodossola, Ginevra, Torino. Eppure è a causa del rame che siamo arrivati con tre, quattro, persino cinque ore di ritardo. Mancando appuntamenti, perdendo coincidenze, mezza giornata di lavoro. Un tassista di Gallarate mi ha raccontato che lo cercavano “fin giù da Magenta”. Ha caricato ogni genere di persona, persino una donna disposta a sborsare quasi cento euro pur di arrivare in tempo per rinnovare il permesso di soggiorno.

Tutto questo per un furto nemmeno riuscito. Ma uno dei metodi più diffusi per ricavare il cosiddetto oro rosso è rubarlo. Sparisce ovunque, tutti i giorni: da cantieri, cimiteri, chiese e soprattutto dalle ferrovie. La rete italiana di 16.000 km può essere considerata una lunghissima miniera a cielo aperto.

I furti sulle linee ferroviarie sono diminuiti rispetto a prima, ma restano frequenti. Se toccano un binario morto, nessuno se ne accorge. Ma quando colpiscono il luogo sbagliato al momento sbagliato- come lo snodo di Milano Certosa alle 6 del mattino- le conseguenze e il danno sono mostruosi. 

Quel giorno è andata male a tutti. I ladri, mi diceva un giornalista di Varese che sa tutto sui treni, avrebbero cercato di isolare i cavi della linea aerea attaccandovi dei pesi e invece hanno mandato in cortocircuito la centralina. Da quel momento in poi, i ferrovieri hanno dovuto traghettare un centinaio di treni con telefono e paletta, tornando per otto ore agli albori del trasporto su rotaie. “Miracolo che tutto sia filato liscio”, rimarcavano alcuni con orgoglio e amarezza perché gli utenti, al solito, si sono resi conto solo del peggio, non delle prodezze dei colleghi fuori.

Però c’era anche qualcuno, come il capotreno con cui sono capitata io, al quale avresti dato il titolo “capitano del treno”, per meriti mostrati nella bufera ferroviaria. Ai passeggeri del regionale su cui ci ha fatti trasbordare è andata peggio: “175 min” di ritardo ufficiale, senza informazioni né ossigeno, a porte chiuse. “Sequestro di persona, facciamo causa”, sbottava una signora, ma senza urlare. Quelli che perdono le staffe ci sono sempre, però la maggior parte sprofonda in un mansueto fatalismo. La forza lavoro delle regioni più produttive, affronta le defaillance del trasporto ferroviario come calamità naturali.

“E’ vero che sto rame vale molto?” chiedo a un agente Polfer, avendo letto di quotazioni fino a 10 euro al chilo per quello reso irriconoscibile dalla fusione, pronto a sparire nei container per la Cina.

“Mah”, scuote la testa.”Gliene daranno uno, massimo due. Rubare il rame è roba da disperati. Lo strappano persino dai passaggi a livello.”

Zingari. Rom-Romeni. Il campo di Via Triboniano, commentavano sul treno, è a due passi dalla stazione di Certosa. Non è esploso nessun “zingari di merda”, ma dev’essere stato un caso.

Nei giorni dopo il disastro si è diffusa una voce nuova. I ladri non sarebbero venuti dal Triboniano, ma da certe baracche ai bordi della ferrovia. Quattro baracche abusive che, dopo ogni sgombero, tornano presto lo schifo abitato che erano prima.

Vite di scarto, Ultimi degli ultimi. E’ attraverso una simile esperienza che diventa misurabile il significato di certe espressioni: da un lato il danno incalcolabile inferto all’economia del Nord-Ovest, privata per molte ore di 100.000 lavoratori, dall’altro un reato che vale uno o due euro al chilo, col rischio che non finisca fulminata solo una centralina. E’ capitato a un ragazzo italianissimo, a Marsala, mentre tagliava i fili di un palo della luce. A Milano, in un piccolo campo abusivo, Emil Razvani, 13 anni, è morto il giorno dopo il “disastro del rame”: carbonizzato per l’incendio di una stufa.

pubblicato su  “Internazionale”, 18/24 giugno.

Print Friendly, PDF & Email

12 Commenti

  1. Furti della “povertà” che ritornano ( i furti, e la povertà). A Napoli negli anni 1944-1950 erano diffusissimi, e quando c’erano ancora i Tedeschi in città e quando c’erano gli americani e poi le prime amministrazioni demolaurine. Basta dare una scorsa alla cronaca sui giornali di quegli anni.

  2. Tra i 1004 lavori che ho fatto fino ad oggi c’è anche raccoglitore di rottami metallici con un camion gru (per quasi 2 anni). Conosco bene la “filiera” del rame. E’ il metallo più costoso, il più ambito. Chi ha un magazzino di rottami tiene la mucchia del rame ben protetta, all’interno di un capannone con porte blindate. Ci sono gruppi organizzati che girano nei cantieri alla ricerca delle matasse di cavo elettrico, che viene “pelato” dalla guaina di plastica per scoprire il metallo. Il fatto che si sia passati direttamente ai cavi elettrici in funzione significa che c’è stato un ulteriore salto di qualità, una estremizzazione della miseria che porta a inevitabili incidenti mortali, come il ragazzo di Marsala.

  3. Propongo un emendamento alla legge-bavaglio. Chi venisse pizzicato a rubare il rame, dovrebbe venire imbavagliato e tenuto al fresco per un anno ogni chilo di rame rubato.

  4. Sara’ che io ormai vivo in una dimensione altra, ma mi piacerebbe che capiste che anche gli zingari che rubano rame fanno parte della ggente del Nordest.

  5. (Oh, Helena. Ormai anche tu scrivi Romeni, senza sottolineare che i “Romeni” non esistono… Vabbé che i lettori di Internazionale lo sanno, vabbé che lo usi racchiudendolo nella forma Rom/Romeni… ma a me fa l’effetto di un pugno allo stomaco ogni volta che lo leggo!)

  6. purtroppo quello che spiega elenah è tutto vero e io posso confermarlo. purtroppo prendendo le ferrovie nord tutti i giorni vedo spesso i roms e automaticamente faccio quelle riflessioni che è meglio non dire per evitare il razzismo che è comunque un male da sconfiggere. però sarebbe bellissimo se vivremmo in una società dove si potrebbe dire la verità sui roms che oltretutto è saputa da tutti. io comunque se un domani mio figlio sarà gay o vorrà sposare una rom non dirò niente rispettando le sue idee. grazie e scusate

  7. al di là di quel che dicono i dizionari, la scelta “rom-romeni” è voluta perché questa è la formula del pregiudizio. Purtroppo temo di non essere d’accordo con AMA: chi è ridotto a vivere in condizioni da slum (perché di questo si tratta) o per strada, che sia bianco nero rom barbone, non fa parte della “gente-che-lavora” (del nord-ovest, per la precisione). Come invece badanti, muratori (in nero o no), direi persino puttane. Razzismo o meno. E’ una questione ECONOMICA, e spesso il razzismo funge da sovrastruttura per questioni di classe.

  8. @Helena. “E’ una questione economica” > eh no. Non solo economica, ma anche culturale. Altrimenti non si capisce perché tanti malintenzionati rubino ben oltre le proprie necessità economiche. Se i mafiosi si limtassero a delinquere per sfamarsi, costituirebbero un problema assai minore. C’è chi considera il rubare, o l’accumulare ricchezze spropositate con qualunque mezzo, un lavoro come un altro. E smettiamola di giustificare tutto e tutti.

  9. il discorso che fa lucio angelini è giusto ma non sono d’accordo essendo d’accordo con elenah. infatti i roms vivono in condizione assurde senza lavarsi mai rubando e non pagando il biglietto del treno e magari costringendo i viaggiatori normali a cambiare vagone per questioni di odore. tutto questo è colpa dello stato che non gli da le case e il lavoro e sicuramente nemmeno il permesso di soggiorno. e oltretutto mi spiegava un mio amico che ai roms non si può nemmeno dire di tornare a casa loro perché non hanno un paese e casa loro per esempio a milano è la bovisa che è un quartiere che si sta rilanciando. molti anni fa andai in calabria e vidi una bellissima integrazione a catanzaro tra roms e calabresi in cui quegli extracomunitari erano già nati in calabria e quindi non lo erano, e secondo me questa è la soluzione cioè farli nascere già in territori italiani come la calabria o al limite napoli o caserta.

  10. Penso, dunque non sono. Mi dichiaro anch’io in una dimensione altra come AMA.

    La CLASSE, di cui dice Helena nel recente commento, è la quistione essenziale, che mi costringe a dire la mia. L’IMPAURISMO con il quale i vertici della piramide ci governano – il verbo governare lo usano non a caso gli “ stupidi “ contadini, ma riferito alle loro bestie, inispecie ai maiali – non finisce mai. Infatti, finché ci saranno in giro i barbari, i rom-romeni di cui dice Helena, secondo la comune percezione siamo tutti salvi. Nel senso della classe, dell’eleganza parlando: vuoi trovare qualcuno meno elegante di loro?! Con loro in giro anche la vita nel profondo nordeste diventa sopportabile, sempre nel senso della classe intesa come eleganza. Ma poi, anche moralmente, al confronto ci guadagnano tutti: rubano, gli zingari, rapiscono i neonati, non rispettano le elementari regole sociali, sfruttano i bambini, e, soprattutto, rispetto a noi “ Indiani “, sono diffusori di una sorta di IMPAURISMO DEL TERZO TIPO: non hanno letteratura, perché, a rigore, non rispettano la scrittura (ma in questo senso sono parenti di tanti autoctoni, nevvero?): forse pensano che la letteratura ruba l’anima, più o meno come gli indiani pensano della fotografia.

    In quanto al rame mi ha detto Maurizio Milani di giustificare i rom che se no si pigliano tutte le colpe per nulla. Il rame lo CIULANO certi amici e parenti suoi, in accordo, però, con le ferrovie, che quando devono giustificare un’inefficienza delle linee danno la colpa ai ladri di rame.

    PS: vorrei ricordarlo a chicche e sia, il paese che ci sopporta appena pervia che ci considera anime belle (ma noi, Diovolendo, con il cazzo siamo anime belle come pensano loro!), è uno dei più corrotti al mondo. Anche la corruzione costasse SOLO il 5% del pil, tutto da provare, si tratterebbe della bella somma di 75 miliardi di euro esentasse, che si spartiscono ai vertici della piramide, lasciando solo una piccola parte ai disgraziati delle mafie, di cui probabilmente si servono come fossero agenzie interinali per assumere manovalanza a tempo determinato. Io credo non si debba aver paura di nulla, ma se proprio bisogna, magari per darsi un atteggiamento in società, di chi bisogna aver paura, dei corrotti ai vertici della piramide o dei ladri di rame? Non è che i ladri di rame servono per spostare l’attenzione? Del resto, occhio alle generalizzazioni, perché dopo i Rom, nella lista nera della buona ggente di tutti i nordesti del mondo – nella quale purtroppo primeggiano ancora gli ebrei – è plausibile vengano gli Indiani, anche prima dei Pirati.

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Di quale “cancel culture” si parla in Italia?

di Bruno Montesano e Jacopo Pallagrosi
Negli Stati Uniti, a un anno da Capitol Hill, si continua a parlare di guerra civile. Questa è la dimensione materiale della cosiddetta...

L’orso di Calarsi

di Claudio Conti
«Da una parte l’Impero ottomano, dall’altra la Valacchia. In mezzo il Danubio, nero e immenso». Lara è sul fianco e ruota la testa all’indietro, verso Adrian. Rimane così per un po’, con la reminiscenza del suo profilo a sfumare sul cuscino.

Amicizia, ricerca, trauma: leggere Elena Ferrante nel contesto globale

L'opera dell'autrice che ha messo al centro l'amicizia femminile è stata anche veicolo di amicizia tra le studiose. Tiziana de Rogatis, Stiliana Milkova e Kathrin Wehling-Giorgi, le curatrici del volume speciale Elena Ferrante in A Global Context ...

Dentro o fuori

di Daniele Muriano
Un uomo faticava a sollevarsi dal letto. Un amico gli suggerì di dimenticarsi la stanza, la finestra, anche il letto – tutti gli oggetti che si trovavano lì intorno.

Un selvaggio che sa diventare uomo

di Domenico Talia Mico, Leo e Dominic Arcàdi, la storia di tre uomini. Tre vite difficili. Una vicenda che intreccia...

Soglie/ Le gemelle della Valle dei Molini

di Antonella Bragagna La più felice di tutte le vite è una solitudine affollata (Voltaire) Isabella Salerno è una mia vicina di...
helena janeczek
helena janeczek
Helena Janeczek è nata na Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca, vive in Italia da trentacinque anni. Dopo aver esordito con un libro di poesie edito da Suhrkamp, ha scelto l’italiano come lingua letteraria per opere di narrativa che spesso indagano il rapporto con la memoria storica del secolo passato. È autrice di Lezioni di tenebra (Mondadori, 1997, Guanda, 2011), Cibo (Mondadori, 2002), Le rondini di Montecassino (Guanda, 2010), che hanno vinto numerosi premi come il Premio Bagutta Opera Prima e il Premio Napoli. Co-organizza il festival letterario “SI-Scrittrici Insieme” a Somma Lombardo (VA). Il suo ultimo romanzo, La ragazza con la Leica (2017, Guanda) è stato finalista al Premio Campiello e ha vinto il Premio Bagutta e il Premio Strega 2018. Sin dalla nascita del blog, fa parte di Nazione Indiana.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: