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Mandiamoli in pensione i direttori artistici gli addetti alla cultura

di Marco Rovelli

L’assessore alla cultura della Provincia di Milano, il berlusconide Novo (sic) Umberto Maerna, ha convocato i responsabili  di tre teatri per sollecitarli (anzi, per consigliarli amichevolmente, direi, è più consono allo stile) a non inserire nell’Invito al teatro – a cui la Provincia stessa eroga un contributo finanziario – alcuni spettacoli osceni. Così il Teatro della Cooperativa dovrebbe evitare amichevolmente di presentare la Trilogia del benessere, tre atti unici di Renato Sarti, il primo dei quali andato in scena nel 1991 per la regia di Giorgio Strehler, che raccontano storie di carcere, prostituzione, tossicodipendenza, e Chicago Boys, un cabaret tragico sui crimini del neoliberismo. E l’Out Off dovrebbe amichevolmente evitare di presentare Orgia di Pasolini – quel pervertito. “Messaggi poco positivi per i giovani”, dicono. Ma come. Il nostro presidente fa vanto di ricevere a palazzo schiere angeliche di signorine, giù giù fino ai fascistissimi consiglieri provinciali che comiziano da trans-balconi in delirio cocastico. Ma questi sono lussi della casta eletta, s’intende. E poi il popolo mica può capire le sottigliezze di letterati pervertiti. Si torni ai telefoni bianchi.
Sono andato a vedermi il curriculum di Maerna. Dite, prego: se questo è un assessore alla cultura.
Vicepresidente e Assessore con deleghe a Cultura – Beni culturali ed eventi culturali – Politiche per l’integrazione
Novo Umberto Maerna è nato a Milano il 6 Settembre 1956 e risiede a Magenta in provincia di Milano.
Diplomato Perito Industriale, Specializzazione Elettronica, nel Luglio 1975 presso l’Istituto Tecnico Industriale Statale “Omar” di Novara, si laurea in Ingegneria Elettronica presso il Politecnico di Milano nell’Aprile 1982.
Il primo impiego dall’Ottobre 1983 al Gennaio 1987 è presso la Società GTE Telecomunicazioni, ora SIEMENS Telecomunicazioni, di Cassina de Pecchi (MI) con la mansione di Progettista di Sistemi Elettronici per Telecomunicazioni e successivamente con l’incarico di Proposal Engineer con il compito di effettuare analisi tecniche, elaborare proposte e formulare offerte di sistemi di telecomunicazioni per Società Pubbliche del Far Est (Cina, Thailandia, principalmente).
Dal Febbraio 1987 al Dicembre 1989 è impiegato presso la Società SIXCOM S.p.a. del gruppo OLIVETTI operante nel settore dell’ingegneria telematica e delle reti locali e geografiche con la mansione di Responsabile del Marketing di Prodotto alle dirette dipendenze del Direttore Marketing.
Dal Gennaio 1990 al Marzo 1991 lavora presso la Società HESA S.p.a. di Milano Rappresentante Italiana della Multinazionale Giapponese HAMAMATSU PHOTONICS K.K. JAPAN con l’incarico di Sales Engineer alle dirette dipendenze del Direttore Commerciale.
Dall’Aprile 1991 è impiegato presso la Società: HAMAMATSU PHOTONICS ITALIA, Società a Responsabilità Limitata e filiale italiana della multinazionale giapponese HAMAMATSU PHOTONICS K.K operante nel settore dell’optoelettronica e dei sistemi di analisi di immagine per l’industria e la ricerca, con le seguenti mansioni:
• Aprile 1991: Sales Marketing Manager (Direttore Marketing e Vendite);
• Novembre 1999: General Manager (Direttore Generale);
• Dal Gennaio 2003: Managing Director (Amministratore Delegato) e membro del Consiglio di Amministrazione della Società.
Inoltre:
• 1988 – 1993 Membro C.D.A. Municipalizzata ASM (acqua, gas e servizi) presso la città di Magenta.
• 1999 – 2004 Assessore c/o Amministrazione Provinciale di Milano con deleghe all’ Agricoltura, Parchi, Protezione Civile, Cave, Edilizia Varia.
• Dal 1/12/2004 al 14/04/2005 Vicesindaco e Assessore con delega ambiente e polizia locale e sicurezza c/o il Comune di Segrate (MI).
• Dal 15/04/2005 Vicesindaco e Assessore con delega al commercio e attività produttive c/o il Comune di Segrate (MI).
• Dal 15/01/07 Vice Presidente e componente C. d A. di AMSA
• Da Aprile 09 Vice Coordinatore Vicario del Pdl della Città di Milano
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108 Commenti

  1. Caro Rovelli, bisogna sempre esser contenti quando c’è da star bene: io sono d’accordo con la trilogia del benessere, stando però ben attenti che non diventi tetra.

    Liberare la prostituzione a favore del pubblico giovane al quale bisogna dare massaggi positivi? Mi piace! Ben vengano il cabaret tragico e le orge, qualcosa che almeno temperi l’uso delle droghe ci vuole, specialmente a Milano.

    Per quanto riguarda la proposta di abolire gli assessorati alla cultura, perché no? Anzi, abolirei direttamente la cultura, così si torna a fare arte. Basta che non ci facciano gli assessorati all’arte, se no risiamo da capo!

    Per il curriculum dell’Assessore ha fatto bene a metterlo, al Comune mi sembra sprecato, magari qui lo vede qualcuno dei nostri editori illuminati che non se lo farà sfuggire.

  2. Scusa, Marco, ma si capisce che hai scritto questo articolo solo per spirito anti-berlusconiano, giacché queste cose, in teatro, sono la norma, e riguardano anche – se non soprattutto – amministrazioni o istituzioni teatrali di “sinistra”. Proponendo la mia versione della “Hamletmaschine” di Heiner Muller più volte mi sono sentito rispondere: è troppo difficile, non è teatro di narrazione, non rispetta il gusto del nostro pubblico, non è di richiamo … Dov’è la differenza? E potrei raccontare tanti esempi di questa forma di censura preventiva, oppure dei meccanismi che portano certi festival – sempre di “sinistra” – a privilegiare alcuni spettacoli a scapito di altri non per le loro qualità intrinseche, ma proprio per la loro appartenenza o vicinanza politica; così come, calcando la mano, potrei raccontare dell’insediamento di direttori di importanti centri di produzione o dei “ricatti” di certi recensori, tutti rigorosamente di “sinistra … Ma sarebbe tempo perso: dubito che un discorso sull’articolazione del potere in ambito teatrale interessi veramente … A meno che, certo, le maschere di chi lo gestisce non siano repliche di quella di Berlusconi …

    NeGa

  3. Nevio, a me il discorso interessa, e devo dire che non mi è del tutto sconosciuto in quanto musicista e scrittore. Quello che dici lo condivido. Qui però mi pare ci sia uno scarto ulteriore a livello di “discriminazione” di genere. Non è più solo la censura populista (troppo difficile, dicono, il tuo lavoro: e non è ciò che accade del resto in campo letterario? grandi libri pubblicati da piccoli editori, perché così poco fruibili, le major editoriali si guardano bene dal proporli al grande pubblico…). E’ una censura più becera, sui contenuti: il salto di qualità mi pare ci sia.

  4. Ma sì,aboliamo gli assessori alla cultura,di comuni,province,regioni,stato;aboliamo pure la cultura,l’arte (ma non dicevan ch’era morta come Dio?) e sopratutto la scuola,da decenni
    una fabbrica di analfabeti.

  5. Mio fratello, avendo praticamente lo stesso curriculum, ma essendo più giovane, sarebbe un ottimo assessore alla Cultura di Milano. È solo meno coglione e ignorante.

    Io mi chiedo dove finiremo, o meglio: se ci sarà finalmente una fine riposante a tutto questo mangiucchiare, stritolare, estirpare, tagliare, potare.

    a.

  6. Beh,anche Gadda era ingegnere,oltre che architetto di imperdibili trame oscure e grottesche.il Problema è che queste chimere del moralismo che operano nel nuestro Maradagàl,questi ciambellani pronti per il sudario,non capiscono che l’arte è quello che resta quando si vive nel buio.E non conoscono la storia di quel ministro iraniano che condannava all’impicaggione i tossicodipendenti persiani ai tempi della rivoluzione ed è finito a elemosinare in strada per una dose di eroina

    http://www.clipov.net/mp3/john_lennon+%5bgive_peace_a_chance%5d+_+5-06+music_nation+clear.mp3

  7. L’assessore alla cultura della Provincia di Firenze è Carla Fracci.
    Marco Rovelli,sei un mito: abolire la cultura e tornare a fare arte.
    Non sulle punte,però

  8. Sulla prima parte dell’articolo: niente da ridire.

    Sulla seconda parte: non ho capito. Leggo il curriculum. Novo Umberto Maerna è un ingegnere elettronico, e ha alle spalle vent’anni di carriera come dirigente aziendale e come pubblico amministratore. Non vedo come questo possa essere usato come argomento contro la sua adeguatezza come assessore alla Cultura del comune di Milano.

  9. Esemplare carriera professionale e amministrativa che parte dalla zona di Cassina de Pecchi e Segrate (con Mi S.Felice e le aziende che sappiamo e Milanodue). Evidentemente la scuola quadri del novello efficiente amministratore si fa sul terreno e il terreno è quello sbancato per trasformare l’oro prodigioso delle calabrie in oro prodigio del dominio nazionale in televendita, in un’urbanistica predisposta come arma telematica di potere. L’ingeniere elettronico ha un senso. E’ vero, anche questo sarebbe cultura, secondo l’accezione estensiva corrente, revisionata e strapaesana. Peccato… la Cultura di cui avremmo bisogno come l’aria dovrebbe servire da antidoto a tutto questo. Sul fatto poi che alcuni teatranti non riescano a inventare qualcosa di più edificante ed efficace rispetto alla riproposizione delle loro sgradevoli frattaglie psicofisiologiche, anche questo è un problema.
    Chiedere a Mozzi se ci fa o ci è sembra ormai superfluo.

  10. Purtroppo non è una questione di curriculum.
    Maerna non è affatto nuovo a queste prese di posizione becere e qualunquiste che non riguardano solo il teatro. Ha fatto saltare la restropettiva del Festival di Cannes (poi recuperata su iniziativa del Corsera) e “Suoni e visioni”, festival di musica bello e interessante nonché dalla lunga e glorosiosa storia. E ha tolto i finanziamneti alla maggior parte dei festival letterari, compresa Offina Italia che però ha rifiutato sia il patrocinio che il risible sostegno economico (1500).
    Il vero problema che Maerna incarna il conspevole e rivendicato disprezzzo per la cultura di certa destra cialtrona, disprezzo allargato agli artisti in generale, in quanto non produttivi e “menagramo”, come ebbe modo di dirmi personalmente. Questo assessore compila liste di proscrizione come nessuno ha mai osato fare ed è una sciagura per la vita culturale di Milano, che vorrebbe essere metropoli europea.

    Alessandro Bertante

  11. Marco, come ben sai a me i berlusconidi vecchi e nuovi (nonchè assessori alla cultura) muovono la diarrea. Ma chi è senza peccato scagli la prima pietra.
    Tu pubblicheresti su NI un bel testo non allineato, tipo, non so, le lettere spirituali di Isacco il Siro?

  12. complimenti a marco rovelli per me un articolo perfetto, mi pare ovvio che un curriculum cosi non c’entri un KaZzo con assessorato cultura senno agli ingnegneri e qui mi rivolgo a giulio mozzi che è davero sorpendente facciamogli fare tutto agli ingengeri dalle ferrari alla lettaretura…mah (si gadda va be…che discorsi…) Poi biondillo mi colpisce perchè mi pare semplificare molto…

  13. @Caro Nega, dici che non si parla mai di teatro in questo blog, forse questa è un’occasione. Ma non mi convince l’atteggiamento vittimista che tu proponi. Credo invece che non è solo colpa dei politici se le cose vanno come vanno: i politici cercano di imporre l’etica ai cittadini, ma loro notoriamente non ne hanno a cuore nessuna. Prima di tutto è colpa nostra. Non siamo stati capaci di proporci come continuatori di una nuova tradizione che ci aveva preparato il terreno come meglio non si poteva. Mi riferisco alle importanti esperienze di Carmelo Bene, Eduardo De Filippo, Leo De Berardinis (e Perla Peragallo!), Carlo Cecchi, prima di tutto, per non dire Remondi e Caporossi, Antonio Neiviller, Santagata e Morganti, Danio Manfredini e Pippo del Bono. Abbiamo permesso a troppi nostri coetanei di ricominciare da zero, e  a troppi altri di fare gli epigoni (una volta mi sono incazzato a un convegno perché avevo visto in due giorni tre spettacoli tre cominciare allo stesso modo di come cominciavano tanti spettacoli del loro maestro, con la retroproiezione in atmosfera per così dire  mortiva. Persi un sacco di amici… ‘tacci loro!). Bisognava protestare, occupare i teatri, lottare contro i finzionamenti pubblici che non possono produrre altro che FINZIONE DI STATO… Bisognava fare il terrorismo estetico…. invece si preferì sciaguratamente la strada della trattativa, gli stati generali della cultura, non troppi anni fa, a favore di Veltroni Ministro (sia chiaro, io ammiro Veltroni, perché non dice nulla, ma lo dice con parole sue, mentre tanti altri fanno dei panegirici di ragionamenti e citazioni per arrivare alla stessa conclusione. E poi, come lo dice lui il nulla non lo dice neanche la Serracchiani, che tra i nuovi viene considerata la più moderna).

    Per risparmiare in coscienza, caro Nega,   abbiamo permesso di teatrare a nero a tanti clandestini dell’estetica teatrale, questa è la verità.  Siamo stati succubi di tutti coloro che impastavano coi politici con la scusa del teatro di servizio (dicono servizio ma spesso dovrebbero dire sevizia!): dai registi cosiddetti critici, Ronconi e Castri prima di tutto, ai registi organizzatori come Mario Martone, fino a tutti coloro che fingendo di voler riformare fanno pastetta continua sul cosiddetto territorio, firmando progetti e festival, nonché regie ignobili, decisi dalle segreterie di partito.

    Mi rendo conto che il J’accuse non porta da nessuna parte. Però, riflettiamo: siamo o non siamo stati noi a lasciare vuoto lo spazio ai cosiddetti narratori? A cosa serve il teatro di narrazione, su quali basi estetiche poggia? Mi permisi di “ arrabbiarmi “ con Leo de Berardinis all’uscita di una delle prime recite del Kohlhaas  di Baliani, ma nemmeno il grande Leo capiva bene la questione (o faceva finta per quieto vivere?).

    E questa occupazione dei teatri con i racconti giudiziari che cos’è? Stanno facendo diventare i teatri la continuazione del disgustoso dibattito politico. Non so se ci hai fatto caso, ma Veltroni quando deve fare una dichiarazione importante si fa preparare il campo da uno dei suoi, per esempio lo stesso Martone per la quistione della riapertura delle indagini su Pasolini.

    Eppure il teatro del novecento è stato il più ricco di innovazioni tra le discipline artistiche. Per me fondamentalmente Mejerhold, il Brecht teorico, Beckett, Eduardo, Bene, Peter Brook. Ma da qualunque parte lo si pigli, il teatro del novecento è stupefacente nello stravolgimento delle proprie leggi, nella proposizione di nuove  idee, forme  e pensieri. Purtroppo  è andata a finire come con la letteratura. Si fa finta di celebrare Joyce, Proust, Kafka, ma alla fine si sprofonda nel New Epic Order (con tanto di piramide e occhio onnisciente, simboli massonici come il pavimento a scacchi del “ Finale di partita “ di Massimo Castri. “ Cosa ci entra la massoneria?! Ci mancava la massoneria… “ Ci entra, Nega, ci entra. Se la discussione va avanti forse affronto la quistione.

    Due autodomandine finali: in un paese nel quale hanno scritto tanto Tozzi, Svevo, Pirandello, Gadda, Sciascia, Calvino, Manganelli, Morante, per citare solo gli attori per me principali, si può leggere Wu Ming? In un paese nel quale gli ultimi cinquanta anni hanno fatto teatro Carmelo Bene, Eduardo De Filippo, Leo De Berardinis (e Perla Peragallo!), Carlo Cecchi, Remondi e Caporossi, Antonio Neiviller, Santagata, Morganti, Danio Manfredini e Pippo del Bono, si può permettere che l’estetica teatrale sia retrocessa all’attore che racconta o che  legge?

  14. anch’io@marco, trovo un po’ ingenuo usare il curriculum per attaccare l’assessore alla cultura della provincia di Milano.
    Sono le politiche culturali che contano, vanno attaccate quelle.
    Un assessore è un politico, anche un assessore alla cultura, anche quando capita che abbia una competenza specifica, che però se è specifica è difficile che copra tutto l’arco dei settori di sua competenza.
    E se avesse avuto il curriculum di Sgarbi, o di Sefano Zecchi? O di Zeffirelli?
    Seguendo il tuo ragionamento avresti dovuto dire: mi compiaccio, questi sì sono curricola da assessori alla cultura.

  15. Giulio, a me pare che un organizzatore (che altro dovrebbe essere un assessore?) dovrebbe avere idea di che cosa sta organizzando. Un’opera d’arte non è un motore non è un salame non è un terreno edificabile. L’intercambiabilità dei ruoli tra ministeri o assessorati è stata una cifra tutta italiana della prima repubblica, e continua a esserlo della seconda: efficacissimo segno del mantenimento del potere in quanto tale, totalmente scisso dai suoi scopi, privato della “politica”. (Certo, questa non è una prerogativa del centrodestra: nella giunta della mia città, nella precedente legislatura, c’era un assessore alla cultura “socialista di sinsitra” [sic] che parlava a malapena italiano. Ma quantomeno aveva il buon gusto di non far nulla).
    Inoltre, il fatto che questo sia un ingegnere, ma soprattutto un manager puro, mi pare dire qualcosa in più sulla concezione di cultura della destra. Non del tutto incongruamente, mi viene alla mente quanto disse Formentini all’indomani della sua elezione a sindaco: “Voglio una città bella ed efficiente, che è la stessa cosa”. Dove, evidentemente, non si intendeva dire contemperare diverse esigenze, ma schiacciare la prima sulla seconda, e annichilirla. Che l’artista, in quanto produttore di bellezza, venga considerato un menagramo, come dice Alessandro, mi pare del tutto conseguente.

  16. Alcor, ho appena spiegato. Aggiungo: direi che sapere di cosa si sta parlando è condizione necessaria ma non sufficiente. Ci vuole, poi, altro ancora, è chiaro – il che escluderebbe dal novero dei buoni politici uno Sgarbi, per dire.

  17. Non sono d’accordo, nessun assessore alla cultura sarà in grado di conoscere personalmente e avere competenze specifiche in tutti i campi che ricadono tra le sue responsabilità. Un ingegnere di solito è uno capace di organizzare, e visto che un assessore non dovrebbe mettere il naso nei contenuti di uno spettacolo, ma capire se è rilevante culturalmente, mi aspetto scelte politiche sulla base delle quali dovrà amministrare e anche organizzare le risorse, a me un ingegnere va benissimo, e non ho niente contro l’efficienza, sono le sue politiche che mi interessano.
    Quelle di questo tizio qua sopra non mi vanno bene. Ma non perché ha il curriculum che ha. Uno dei migliori assessori alla cultura della mia città è stato un radiologo.

  18. “capire se è rilevante culturalmente”: come fa se non ha criteri per farlo? Poi, certo che ci possono essere eccezioni come il radiologo che ha nel suo bagaglio una competenza extra-professionale, ma appunto si tratta di eccezioni alla norma del Cencelli – ed è questo che stavo cercando di dire: l’intercambiabilità del ruolo come cifra del potere.
    Poi scusa Alcor, ma “efficienza” e “bellezza” sono la stessa cosa? No. Non sono parole che hanno lo stesso significato, non sono evidentemente la stessa cosa. Se lo si dice, allora, come lo disse Formentini, che cosa si sta cercando dire? Ho provato a interpretarlo.

  19. @marco

    la rilevanza culturale si può determinare in molti modi, per esempio informandosi, studiando lo stato delle cose – una volta accettata una carica – non necessariamente attraverso una conoscenza personale o una competenza professionale, i criteri che mancano qui, insisto, non c’entrano con il curriculum, ma con la politica, il ricorso ai ministri “tecnici” tra l’altro ha sempre segnato un momento debole della politica, non un momento forte.

  20. @ Larry Massino

    «ho sperimentato direttamente la tragica potenza dei clan, l’ottusità delle norme ministeriali, l’arroganza dei guitti, il volgare e infelicissimo mercato delle sensibilità. E la sorniona rapacità dei partiti, l’ignoranza e l’opportunismo che li ispira; e le grottesche oligarchie con un boss in testa (un regista di fama, un attore di fama o un critico di fama; o anche un malfamato regista con grande influenza politica, un attore sconosciuto con relazioni decisive, un critico oscuro con sontuosi finanziamenti). E attorno al boss il solito piccolo esercito (e sbarramento) di faccendieri e di ruffiani. E la faziosità, il nepotismo, le ipocrisie, le prevenzioni; le brutalità con i deboli, le viltà con i forti; i silenzi omertosi, il cinismo, la congiura …»

    ciò scrisse, qualche anno fa, Michele Perriera (al tempo di Veltroni!). E così è ancora oggi. Non è questione di fare la vittima, ma di segnalare l’esistenza di un sistema di potere infido, dove la censura è all’ordine del giorno. All’interno di questo quadro, i teatranti, o per lo meno la maggior parte di essi, hanno fiutato l’aria e assecondato le derive estetiche: perché era più comodo e più remunerativo. Ecco perché il tuo “j’accuse” è sacrosanto e condivisibile (così come lo sono i riferimenti). Va anche detto, però, che qualcuno ha provato a dire pubblicamente che il teatro di narrazione, ad esempio, è la reazione alla figura dell’attore-autore non rappresentativo, e che creava un humus culturale perfettamente compatibile con i mutamenti che la nostra società stava subendo ( credo che il mio sia ancora l’unico saggio critico pubblicato sulla questione), o che l’attore contemporaneo limita i propri mezzi espressivi per rispondere efficacemente alle richieste del “mercato” (su Ateatro). Questo non è motivo di orgoglio, piuttosto d’angoscia. Si sbanda, in tutti i sensi; e ci si stanca, alla fine. Ma si resiste, nonostante il presente. Con Minetti: occorre precipitare tutto / nella catastrofe …

    [aggiungerei, tra i fondamentali, la lezione artaudiana sull’attore]

    Rispetto alle due domande finali: 1) sì, si può leggere Wu Ming, a patto di riuscire a misurare la distanza che li divide non solo dai nomi che fai tu (a cui aggiungerei Volponi e D’Arrigo), ma anche dal minimo sindacabile (l’intrattenimento non è l’arte della parola); 2) no, non si può permettere che l’arte dell’attore retroceda alla “propaganda”.

    NeGa

  21. Alcor, ho ben presente e condivido sin dalla più tenera età l’avversione per i governi tecnici, e per la Tecnica contrapposta alla Politica. (Lunardi, per dirne uno, è un tecnico: e sa benissimo quel che fa). Non sono queste coordinate che sto mettendo in gioco, ma la concezione delle cariche pubbliche come “palii” da assegnare alle varie correnti e ai vari capibastone, in spregio alle effettive competenze – e non mi riferisco solo alle competenze professionali. Nella fattispecie, Maerna, maggiorente di An milanese, è stato dal 1999 al 2004 è stato assessore all’Agricoltura, Parchi, Cave e Protezione Civile della Provincia di Milano, nella giunta Colli. Poi, dopo l’incarico manageriale alla municipalizzata e l’incarico di vice presidente provinciale del partito conferito in pompa magna da Berlusconi su indicazione di La Russa, diventa assessore alla Cultura. Ha senso? Quale la ragione perché uno così Inoltre, i suoi scopi dichiarati sono “favorire sviluppo e crescita” e agire “sull’immagine della città in vista dell’Expo 2015” (www.c6.tv/video/5228-umberto-maerna-vicepresidente-e-assessore-provinciale-alla-cultura). Ed è ovvio che l’assessore alla cave faccia la sua “politica” sulla base delle suggestioni propagandistiche della sua compagine e nient’altro, quando afferma che “Occorre assumersi delle responsabilità, soprattutto nei confronti dei giovani. Il compito delle istituzioni è educare, indirizzare, evidenziare valori come l’identità, le appartenenze, il radicamento sul territorio.” Naturale che, mancando ogni forma di progettualità, di discorso culturale serio, non sappia fare altro che andarci giù d’accetta censoria.

  22. Rovelli mi scusi, quali perversione classificatoria o tassonomica l’ha portata ad essere così ben informato circa le oscene pratiche della politica, finanche nei dettagli delle singole carriere?

    Volevo anche fare un piccolo annuncio parafrasando il titolo di uno scrittore che a Nega piacerebbe forse messo nell’elenco sopra, Antonio Pizzuto: SI RIPARANO PETTINI PER BAMBOLE.

  23. D’accordissimo, Marco: “un organizzatore dovrebbe avere idea di che cosa sta organizzando”. Ma l’esibizione del curriculum professionale di N. U. Maerna non prova che N. U. Maerna non abbia idea di che cosa sta organizzando. Prova semplicemente che ha una laurea in Ingegneria elettronica, e vent’anni di esperienza come dirigente aziendale e come pubblico amministratore.

    Sostieni che N. U. Maerna “non ha criteri” per “capire” se qualcosa è “rilevante culturalmente”. Non sarebbe invece il caso di supporre che ce li abbia, se è così attento a censurare ciò che gli sta scomodo?

  24. Ha intuito bene, Larry, la tassonomia è stata sempre una mia perversione fin dalla più tenera età :-)

  25. Vero, Giulio: “l’esibizione del curriculum professionale di N. U. Maerna non prova che…”. Ma è vero solo nel campo delle scienze deduttive. Qua siamo nel campo del probabile (nel pithanon, per dirla con gli scettici; ma anche per Aristotele la politica è scienza del possibile e non del necessario). E occorre allora far ipotesi, procedendo attraverso l’individuazione di rassomiglianze, risalendo dalla molteplicità dei particolari alla costruzione di un universale che dia conto di una logica complessiva (che nel caso specifico a riportare questo curriculum a un caso particolare di un universale che è la politica dei capibastone). Non v’è certezza, certo, e magari Maerna ha una biblioteca sterminata. Ma se volessimo la certezza, in questo campo, occorrerebbe, com’è noto a ciascuno, tacere. E di queste cose tacer non voglio – ché è ai capibastone che il mio silenzio conviene.
    Quanto ai criteri: certo, anche quelli sono criteri. Ma criteri così generici che anche un tredicenne saprebbe individuare ed usare: no ai contenuti osceni, no alla critica politica. Da un assessore competente si vorrebbe qualcosa di più raffinato. Senza dire che i criteri che un assessore dovrebbe possedere sono criteri finalizzati a una progettualità culturale complessiva.

  26. Sì, il curriculum di un ingegnere (come questo) può far dire: “ma che ci azzecca il tale con un assessorato alla cultura”? Che però, sarebbe un po’ come dire “io sono un imprenditore, uno che ha saputo creare e amministrare grandi imprese. Uno che ha lavorato. Per cui chi meglio di me alla guida dello stato? Come si fa ad affidare il debito pubblico a uno che ha sempre e solo fatto comizi o segreteria di partito? Lui di soldi ed economia che ne sa?”.

  27. L’assessore alla Cultura di Bologna è stata fino a poco tempo fa una certa Nicoletta Mantovani. , l’ex segretaria ed ex moglie del grande Luciano Pavarotti.
    I titoli? Vedova illustre.
    Leggo sopra che a Firenze c’è la Fracci…

    Rovelli “E di queste cose tacer non voglio – ché è ai capibastone che il mio silenzio conviene”

    Eh già…

  28. Certo, Marco, siamo nel campo del probabile. Ed è probabile, ad esempio, che uno che ha fatto il dirigente d’azienda per vent’anni sia una persona intelligente.

    I suoi criteri non sono generici. Sono opportuni per i suoi scopi, mi sembra. Scopi che tu non condividi, e io nemmeno.

    Sposto la questione: proviamo a tirar giù dai siti ufficiali (tanto per avere delle fonti incontestabili) un tot di curricula di pubblici amministratori. Proviamo a verificare il tasso di coerenza tra i loro percorsi professionali, culturali eccetera e gli incarichi pubblici che ricoprono.

    Proviamo a fare un discorso sulla professionalità dei pubblici amministratori. Così da dare una sostanza a quel che sacrosantamente dici quando parli dells “concezione delle cariche pubbliche come ‘palii’ da assegnare alle varie correnti e ai vari capibastone, in spregio alle effettive competenze”.

  29. La questione oramai non riguarda più i titoli ma i fatti.
    E Maerna ha già dimostrato cosa può fare e cosa intende fare
    Questa persona è il degno rappresentante di una giunta reazionaria, incarnando perfettamente il disprezzo per a cultura, che, certo, passa per la sua rivendicata incompetenza ma non solo, si nutre di anni di emarginazione, di un sincero iodio per gli intellettuali e gli artisti e di una volontà di rivalsa piccina ma non per questo meno pericolosa.

  30. Rovelli sono contento non abbia equivocato, mica sono un provocatore, io. Ci sono in giro certi maliziosi che avrebbero immaginato io alludessi a un suo desiderio inconscio di carriera, o peggio, all’aspettativa di generose elargizioni in termini di finzionamenti pubblici. Certi, Rovelli, avrebbero immaginato che il mio era un modo non so quanto elegante per definirla colluso, ma non solo lei, quasi l’intero serraglio, perché in fondo in fondo sta bene a tutti l’abito di artisti di Stato, di Regione, di Comune, di Provincia, sopra di tutto di Provincia, di Comunità Montana, di Comitato Territoriale, di Pro Loco, di Circoscrizione, di Isolato, di Condominio, di Caseggiato, di Cortile, di Corte. Ecco, di Corte. D’altra parte sono anche contento che nessuno si sia messo ad argomentare circa pauperistiche e dimostrative rinunce di pubblici anelli di finanziamento, perché come dicono anche in Afghanistan, Allah nisciun è fess!

    @Nega, naturalmente quello citato prima era Pippo Delbono, di cui segnalo una bella intervista apparsa sull’Unità in giugno, ma stranamente scomparsa dall’archivio degli articoli principali (ma sarà stata una distrazione, o qualcosa del genere, di sicuro non censura) il titolo è “ In Italia la cultura è morta per colpa di chi la fa ”
    http://www.unita.it/news/spettacoli/100062/delbono_in_italia_la_cultura_morta_per_colpa_di_chi_la_fa

  31. D’accordo con Alessandro, i fatti contano sopra tutto. Poi restano da capire i meccanismi di selezione del personale: e credo che sarebbe interessante, Giulio, fare la prova che proponi.
    Larry, infatti non supponevo lei fosse un provocatore.

  32. guarda per me è più semplice di come la si sta a raccontare. l’articolo per come lo hai costruito fa pensare che un cv faccia il monaco. o meglio un assessore alla cultura. e su questo che non mi trovo d’accordo. ciao!

  33. Valter, vedo adesso il tuo commento. Di solito NI non pubblica Isacco il Siro, ma neppure Giovenale, né Dante, né Balzac, mi pare che ci si concentri su testi contemporanei. Ma se fosse il caso, certo che lo farei. Un testo che ho amato molto erano, per dire, gli apoftegmi dei padri del deserto. Dopodiché, le cose andrebbero tenute ben distinte. Un conto sono aggregazioni private, che hanno il diritto di dire e di non dire ciò che vogliono, ben altro conto sono le istituzioni pubbliche che devono garantire ogni forma d’espressione (come fu, per dire, con Carmelo Bene a cui il ministero co-produsse Un Amleto di meno, e come dovrebbero fare gli amministratori a cui Nevio Gambula va a chiedere di mettere in scena la sua Hamletmaschine).

  34. Mi pare che Marco Rovelli esprima un ragionamento che personalmente condivido: una concezione della cultura (la cultura di una città, cioè il suo aspetto istituzionale, sociale) di tipo manageriale, per cui un manager lavora per tot anni alla produzione di elettrodomestici, tot alle cave e torbiere, e a un certo punto alla cultura. Tanto per lui tutto è intercambiabile, applica i criteri che conosce al teatro, a un festival letterario, all’impermeabilizzazione delle guaine ecc. Non si diceva che gli editori puri – gli editori che osavano, che rischiavano – sono spariti perché il loro posto è stato preso da manager il cui unico obiettivo è vendere copie garantite a breve-medio termine? Mi sembra lo stesso concetto.

  35. la discussione si e’ un po’ avvitata..

    mettiamola cosi’, il tizio in questione e’ intelligentissimo e ha capacita’ organizzative straordinarie
    di piu’, e’ appassionato di cultura, e per questo fa l’assessore alla cultura
    va sempre a teatro, non si perde una mostra, viaggia in giro per il mondo a visitare luoghi esotici, e’ amico di poeti e scrittori

    … e allora, perche’, se e’ tanto appassionato di cultura, nel suo CV non ce ne e’ neppure un accenno?

  36. @Larry Massino e Ng
    pensate che davvero si sappia chi sono i nomi che citate, voglio dire che lo si sappia davvero in Italia? Sono nomi che per molte cose amo e continuano a darmi linfa e ossigeno, ma come la musica mi pare che il teatro sia un grande sconosciuto equivocato e incompreso in questo paese molto provinciale, anche da parte di chi dovrebbe conoscerlo.

  37. @ marco di ieri alle 13 49

    certo che non ha senso, è concentrare l’attenzione sul curriculum che non condivido, sia perché un curriculum non dà sempre garanzie, né in bene né in male, né a destra né a sinistra, sia perché, se si dovessero seguire TUTTE le malefatte e le pochezze dei singoli potremmo dedicarci tutti la vita e non se ne caverebbe niente se non quotidiani fastidi e irritazioni con indignazione al seguito. Mentre guardare in faccia le politiche culturali, anche nostre, come ha detto qualcuno qui sopra, e magari dirci che cosa intendiamo che sia, e vorremmo che fosse, una politica culturale, potrebbe darci uno sguardo più ampio, se non altro in attesa della GRANDE CADUTA, sulla quale io conto, e a breve, anche se non so come si risponderà dall’altra parte.
    Mi sono fatta un giro ieri, molti assessorati “alla cultura” in Italia, – retti da persone con curricola stravaganti rispetto a quella che chiamiamo cultura qui – tra regioni, province e comuni sono assessorati “alla cultura, allo sport e alla formazione” e altre definizioni a volte difficilmente comprensibili.
    Che cosa dovrebbe essere un assessorato alla cultura? Che cosa dovrebbe fare, che risorse ha, sempre che le abbia?
    E scusa, sarà che io non sono sportiva, che cavolo c’entra la cultura con lo sport? E se anche l’accoppiata fosse sensata, che curriculum dovrebbe avere un assessore alla cultura e allo sport e magari anche alle politiche giovanili?
    Ho divagato, spero che si capisca.

  38. Sì, Alcor, il tuo discorso lo condivido tout court, e sicuramente sono le politiche culturali che contano. Detto questo, la curiosità del curriculum ha a che fare – ma mi ripeto – con una tipizzazione del modello di selezione del personale politico, come dicevo anche a Giulio – e certo sarebbe interessante una scansione di questo tipo – visto che le modalità della selezione sono parte integrante e fondativa della politica.

  39. Anche i nomi son parole, Lucia, parole: sono magiche, tu le pronunci e fanno esistere ciò che contengono. Ma si può anche non pronunciarle. Che ci vuole a non pronunciare più la parola cultura? Facciamone un discorso di convenienza. Che ci ha dato a noi la cultura? Proviamo a fare un nome. A me non mi viene. L’arte invece ci ha dato tutto, basta guardarsi intorno in una delle nostre città.

    Bisogna sforzarsi di capire che la parola cultura è stata pronunciata per la prima volta in ambito politico (e massonico). Chi la controlla, controlla tutto ciò che ci sta dentro. Deriva da quei ragionamenti sulla società perfetta che faceva Platone. Bisogna aver presente Hegel e la sua parabola di STATO circa la fine dell’arte (intendeva dire che bisogna isolare e rendere innocui gli artisti più “ soggettivi “). Ma poi ricominciare da Nietzsche, dalle prime trenta pagine della “ Nascita della tragedia “, che sono facili facili, e che la fanno finita una volta per tutta con l’ignominia di Euripide, cioè della critica e della cultura media per il popolo, che fosse stato per lui, il santissimo popolo, non avrebbe mai permesso lo sperpero di danaro per cattedrali, basiliche, palazzi, affreschi, statue ecc. Come ora in Italia, dove si disprezza, complice la cultura, il vero patrimonio nazionale, che è l’arte, in gran parte non ancora classificata e giacente in fatiscenti magazzini. Questa potrebbe anche essere l’immagine per descrivere com’è ridotta la nostra democrazia.

    Una volta fatto ciò, fatta finita una volta per tutte con la mortifera cultura, ci si dichiara prigionieri volontari nel dominio dell’arte. Conviene, Lucia, mi creda, ci sono tanti vantaggi. Primo, si diventa inattaccabili, perché il luogo è geograficamente inesistente. Secondo, nel dominio dell’arte il tempo va come gli pare a lui e se ne frega della storia, delle esigenze di controllo degli Stati (e di Hegel): perciò si diventa tutti inattuali, tutti contemporanei di Dante, Michelangelo, Caravaggio, Mozart, Rossini… e viceversa. Terzo, si ritorna ad essere una comunità, a riconoscersi (ma anche a disprezzarsi, perché no?) tra simili. Quarto, si smette finalmente di avere una funzione sociale (alla faccia di Iddu!) e si torna a parlare con gli Dei altissimi e infierissimi. Quinto, si svergogneranno tutti coloro che per convenienza continueranno a grufolare intorno alla greppia della Cultura, che si rivelerà in pochissimo tempo per quello che è, una continuazione delle polizie e degli eserciti. Tanti altri vantaggi minori che non sto a elencare tutti.

    ” Ma queste son parole
    e non ho mai sentito
    che un cuore, un cuore affranto
    si cura con l’udito.
    Tutto il mio folle amore
    lo soffia il cielo
    lo soffia il cielo… così “

  40. Bè alora Biondillo non è titolato per fare lo scrittore solo perchè sul suo curriculum c’è scritto ARCHITETTO ?!?

    .. Rovelli faccia il bravo!!!

  41. Si, pero’ il post getta in equivoco tutta la faccenda , è cosi’ lapidario.. tanto che ha dovuto spiegare.. spiegare.. spiegare.

    L’assessore alla cultura del mio paese è laureato in filosofia e ha rinunciato a Dario Fo’, per assoldare i comici di Zelig per animare l’estate torrida della provincia milanese.. e dopo tutti i soldi spesi, continua a ripetere che non ci sono i soldi per riprendere il festival di musica jazz partito due anni fa per una mia inziativa(costo: la metà dei comici di zelig) e la rassegna di teatro che ho proposto quest’anno, da farsi nei cortili.

    Se mi presento io all’assessorato, con il mio diplomino in informatica, che fa Rovelli, mi sputtana per tutto il circondario ?

  42. All’osservazione iniziale di Giulio:
    il problema generale qui è se il gestore della cosa pubblica debba essere esperto della materia che gestisce, oltre che esperto di gestione.

    Ad esempio Roberto Castelli, ingegnere esperto di acustica e ministro della Giustizia nei governi Berlusconi II e III (2001-2006), è stato un buon ministro della giustizia?
    Lucio Stanca, bocconiano ed ex VP di IBM, è stato un buon AD per Expo Milano 2015?
    E nel settore semiprivato, Elio Catania, ex manager IBM ingegnere elettromeccanico, AD di ATM società pubblica dei trasporti del Comune di Milano, è un bravo amministratore delegato? I frequenti deragliamenti dei tram milanesi, lo stato di pessima manutenzione della rete, le scelte assurde di spostare il trasporto dalla rotaia alla gomma sembrano indicare che essere un manager esperto di management non basta ed occorra essere competente nella materia, nei trasporti e nella logistica.

    Ci sono due esami da superare:
    – la credibilità, data dall’esperienza provata in campo affine a quello che si va ad amministrare;
    – i risultati, pubblici e misurabili dell’operato.

    Talvolta chi viene bocciato all’esame della credibilità, supera poi quello dei risultati. Ma deve impegnarsi molto. Il nostro assessore provinciale è bocciato due volte, non credi?

  43. Maerna !!! prrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr!!!

    .. di contro ci sono i teatranti che dei soldi della provincia non vedono nemmeno un centesimino, e sono forse un po’ piu’ liberi..

  44. Per quanto riguarda il teatro: presto arriveranno gli attestati di adetto all’ “eduzazione alla teatralità”.. che all’università cattolica di Milano vanno tanto di moda tra i giovani laureandi in materie umanistiche..

    .. e il teatro arrancherà asfittico, in mano a “titolati” del genere…

  45. “adetto all’ “educazazione alla teatralità”.. ”

    Presto ci sarà pure l’addetto di “educazione alla poeticità,alla sensibilità creativa,alle congiunzioni e interiezioni,alla sedialità teatrale…all’anima delli…..ma perchè questo costante accanimento terapeutico su ogni forma dello scibile umano e su corpi spesso refrattari?
    Già i corsi di scrittura creativa han fatto più danni alla letteratura di Moccia e seguaci,o forse ne son proprio causa.
    Che tutto questo sia poi gestito da assessori e soci….

    Caro Ares,il teatro? Tolta qualche eccezione,è già morto per asfissia,strangolato dalle costante ripetizione dei soliti testi e da cervellottiche e velleitarie pseudoinvenzioni.

    L’unico che ha tentato di far qualcosa di nuovo è stato il compianto Carmelo Bene,dopo ciccia.

  46. ‘Anche i nomi son parole, Lucia, parole: sono magiche, tu le pronunci e fanno esistere ciò che contengono. Ma si può anche non pronunciarle.’
    certo che lo sono e a cicli viene il desiderio di diventar afoni esclusi i momenti in cui davvero non c’è nemmeno bisogno che siano capite e semplicemente irradiano

  47. GiulioMozzi: “Ed è probabile, ad esempio, che uno che ha fatto il dirigente d’azienda per vent’anni sia una persona intelligente.”
    Questa mi incuriosisce: perchè un dirigente d’azienda è probabilmente intelligente? Quanto intelligente? Più di quale e meno di quale altra categoria professionale? Sopra o sotto quale Q.I.? (non sto facendo dell’ironia, sono davvero interessato a capire il motivo di una affermazione che, per la mia sensibilità, è ideologica piuttosto che logica).

  48. GiulioMozzi: “Ed è probabile, ad esempio, che uno che ha fatto il dirigente d’azienda per vent’anni sia una persona intelligente.”

    questa è veramente una perla….io darei i Nobel per la laeeteratura ai manager eh dortto mozxzi la cosa preoccupante è che Mozzi ricopre mi pare anche ruoli di alto profilo nellla editori oppure speroi sia omonimia

  49. @johnny doe

    Carmelo Bene è stato enorme, ma non è stato unico, fondamentalmente perché egli stesso è stato un ortodosso delle magnifiche leggi nuove che il teatro si è dato nel ‘900. E’ la cultura a descriverlo come un funambolo, un fenomeno (spesso da baraccone). Se toglie al teatro il doppio velo della cultura, una vera è propria censura – è il caso di dire di merda! – si renderà conto che anche un genio come Bene non è poi così solo. La saluto.

  50. @larry massimo

    Carmelo,secondo Deleuze,è quello che è riuscito dove Artaud ha fallito,tanto per dirne una.
    Se c’è una cosa che non appartiene a Bene è l’ortodossia in ogni senso,un punto che desidererei lei mi chiarisse,temo di non averlo compreso.Son d’accordo sul resto e gradirei mi segnalasse i compagni di viaggio del genio.Colpa mia,ma dopo aver visto Bene…che vado a fare a teatro,a riveder il solito giardino dei ciliegi e company!
    Ma non escludo mai sorprese.
    Ricambio i saluti

  51. “Carmelo,secondo Deleuze,è quello che è riuscito dove Artaud ha fallito,tanto per dirne una”
    siam sicuri che senza Artaud ci sarebbe stato Bene? e senza Tadeusz Kantor chi non ci sarebbe stato? Concordo con Massino, e anche i fallimenti (ma lo son davvero?) hanno dato spinta a un rinnovamento autentico che forse per molti è del tutto ignoto e incompreso, ma anche Beethoven che usò i rumori dovette passare solo per romantico e quella parte della sua musica viene usata da ormai decenni ma senza far riferimento a lui: ha fallito Beethoven?

  52. Ciò che ha fatto di grandioso Carmelo Bene non sarebbe stato possibile senza un “movimento” di rinnovamento radicale del teatro. Lo stesso CB ammette, ad esempio, che un certo modo di montare i suoni nello spettacolo – e anche la costruzione della colonna sonora nei suoi film – lo impara da Carlo Quartucci, a cui “ruba” anche l’idea del Tamerlano per la famosa Biennale “senza pubblico” (testo che i due realizzarono insieme nel 1976, per la radio). L’uso del microfono in senso timbrico-musicale, CB lo apprende da Leo De Berardinis, da cui apprende anche la strutturazione della frase vocale. E infatti, ad un certo punto Leo si dichiarerà “offeso dell’ignoranza fonica di chi chiama ‘voce orchestra’ quella di CB quando in fondo non fa che riutilizzare il mio microfono senza conoscere Schonberg e louis Armstrong”. Come dimenticare, poi, la sua “nasale” petroliniana? Ciò solo per dire che CB non lavorava nel vuoto, ma in relazione costante con altri artisti, che tra l’altro non gli sono per niente inferiori come qualità. Sì, Artaud è superato da CB, ma CB senza Artaud – e senza Bacon e senza Schonberg e senza Petrolini e senza Quartucci e senza Leo etc. – non sarebbe stato possibile. Certo, se poi lo si mette vicino ai Ronconi o agli Strelher o, peggio, alla produzione odierna, allora la lotta è impari …

    ng

  53. La dico grossa: Carmelo Bene sarebbe esistito senza Artaud, ma no senza Petrolini. Artaud forse lo ha ispirato dapprima nella poetica di distruzione del proprio corpo, come forma massima di libertà individuale, contro ogni invadenza pubblica a fin di… Ma senza i suoni di Petrolini non è possibile capire il suo lavoro sulla voce, sulla capacità di distruggere il senso attraverso la voce (lo fa anche Carlo Cecchi, lo faceva anche Eduardo, e tanti altri).

    Antonin Artaud mi fa sempre ricordare che Joyce lo poteva aver incrociato nella clinica psichiatrica dove era ricoverata la figlia Lucia. Lo dice Richard Elmann. Chissà se è vero, chissà se si sono mia parlati, se hanno mai incrociato lo sguardo, se si sono toccati.

    Deleuze, invece, che non aveva mai incrociato Petrolini, né tantomeno la farsa, altro riferimento obbligato per tutti i teatranti innovativi, non poteva capire Bene. Infatti, BENE O MALE, lo celebrò, come un chierico qualunque.

    Sopravvalutato, Deleuze, a mio modesto parere. Foucault ci rimane, ma è difficile. Deleuze, invece, ci si scioglie nella mente come nivea al sole. Diceva di Deleuze-Bene Victor Cavallo, un altro grandissimo della nostra sciagurata epoca: “ Carmelo distrugge tutto e tutti, a partire da se stesso, dice che Dio è morto insieme a Nietzsche e poi si inginocchia davanti a Deleuze?! ECCHECCAZZO! “ Cavallo, uno che mi ha insegnato a me suo giovane regista tutto quanto era possibile della sgrammatica teatrale, a me che a quei tempi nella disciplina ne ignoravo da campione…. un comico inarrivabile, artodiano-romanista, nel senso di Falcao, calciatore straamato anche dal leccese: RIMARRA’!

    Pierre Klossowski anche rimarrà, con il quale Bene avrebbe dovuto fare il Bafometto, finanziato a OCCHI CHIUSI dalla Biennale di Venezia, ma fallito e MAI MESSO IN SCENA (il mai messo in scena come unica possibilità di superare il FINALE DI PARTITA di Beckett? SAREBBE BELLO!). Bisognerebbe indagare BENE su quel fallimento strapagato, perché il Bafometto è uno dei simboli oscuri della nostra civiltà. Ma credo sia pericoloso farlo, e del resto non è questa la sede ad atta.

    Ma torniamo al bene, a Bene, al bene di Bene. Prima di tutto Mejerhold e Brecht (quello degli scritti), Nietzsche, come per qualunque altro teatrante sensato. Questo per dire che non era un fenomeno: era attore, grande attore, come alcuni altri della sua epoca, a partire dai dettati dei suoi riconosciuti maestri rinnegati. Volerlo considerare un fenomeno, un fuoriclasse, ho già detto, è una mascalzonata che serve a legittimare qualunque idiota di teatrante che teatra per via che è amico di qualcuno, o che è indicato e sostenuto da logge, loggette e porticati. Serve soprattutto a legittimare il teatro di regia che ancora assurdamente impera nei suoi giardini di pri vili egi, pura archeologia.

    Vabbè, non allungo troppo il brodo. Mi rimane da fare i consigli per gli acquisti a Jommy. Io Carlo Cecchi andrei a vederlo se fosse in un teatro della mia città, anche tutte le repliche, soprattutto se fa Sik Sik di Eduardo, perché non si finisce mai di imparare sull’estetica teatrale, e ci si diverte, molto, anche quando è scocciato e non gli va troppo di lavorare. Andrei a vedere pure, qualunque spettacolo facciano, Alfonso Santagata, Claudio Morganti, Danio Manfredini, Andrea Cosentino, Antonio Rezza, Iaia Forte, Monica Piseddu, Arturo Cirillo (la sua “ Ereditiera “ era strepitosa, sarebbe piaciuta anche a Bene), Pippo Delbono, Massimiliano Civica, Raffaello Sanzio. Andrei a vedere, se ce ne fossero in giro, attori vecchi e (d)elusi, come quelli descritti da Gianni Celati “ Recita dell’attore Vecchiatto nel teatro di Rio Saliceto “. Qualcuno me lo sarò scordato, ma vorrei aggiungere che spero di vedere presto uno spettacolo di Nevio Gambula, che non ho mai visto.
    Applausi. Non ringrazio, perché “ Un uomo che parte da zero e non arriva a nulla non deve dire grazie a nessuno “ (Pierre Dac)

  54. non parlavo ovviamente di filiazione diretta, ma di un rinnovamento che nella musica mi sembra essersi arenato attraverso una forma diventata ideologicamente prevalente (per quelloc he vedo e ascolto io) e che nel teatro riesce ancora a germinare e produrre come bene ng e Massino ci dicono.

  55. Rinnovamento…
    Bah.
    Di recente ho letto un buon libro: ‘State of the Nation’ di Michael Billington. Si tratta di una storia del teatro inglese dal 1945 al 2007. Billington afferma che per il teatro inglese la seconda epoca Elisabettiana è stata quasi altrettanto buona della prima (manca solo uno Shakespeare…). La lista di autori messi in campo è notevole, indubbiamente, e senza paralleli altrove: Priestley, Coward, Rattigan, Beckett, Osborne, Pinter, Bolt, Stoppard, Ayckbourne, Frayn, Hare etc etc – tutti autori di opere teatrali nel buon vecchio senso del termine. Billington a un certo punto accenna al fatto che sul ‘Continente’ gli autori sono praticamente evaporati lasciando libero spazio al regista ed a teorie che rendono impraticabile l’esistenza di un teatro moderno che parli del mondo ai suoi spettatori e nel quale questi possano riconoscersi, nel bene come nel male.
    E’ chiaro, e lo ammette, che Billington privilegia il testo e l’autore (pur non essendo cieco all’eccellenza di tanti attori e registi britannici di talento, da Lawrence Olivier a Peter Brook) e magari si potrebbe considerare questo un limite ma le teorie e le pratiche del genere Artaud-Bene, che non riescono nemmeno per scherzo a fare quel che dicono di volere fare, non sono forse ancor più limitate?

  56. @Sacha

    stiamo parlando di Deleuze, Foucault, Nietzsche, Artaud, Bene ecc e lei ci vorrebbe retrocedere a un critico teatrale della peggiore specie? il minimo che posso dire è che è scorretto!

  57. Quali che siano i meriti di questi signori (e per Nietzsche ho un debole) nessuno di loro ha mai scritto nulla di divertente come Noises Off. E Frayn, autore anche di Copenhagen e Democracy, non è nemmeno il migliore del gruppo.
    Dovendo scegliere fra Frayn e Bene, con tutto il rispetto per il personaggio, non ho esitazioni.

  58. Del resto l’idea di rivoluzionare il teatro con il finanziamento degli assessorati alla Cultura non poteva che finire male…

  59. @ Sascha
    e infatti quando si parla di teatro quasi chiunque reagisce pensando al testo o al regista e poi all’attore come individui ben delineati e finiti e definiti con competenze ben specifiche che si crede di conoscere già bene, come chi parla di liederistica dicendo della perfetta pronuncia del testo come se la musica non esistesse o se si parla di voce si parla di corde vocali e fiato. E invece c’è un universo abbastanza diverso, e non si conosce senza entrarci dentro con un certo abbandono e senza intellettualismi, come non si conosce un cibo senza mangiarlo.

  60. E pensare che la mia impressione è che per entrare in quell’universo abbastanza diverso fossero proprio necessari certi intellettualismi senza i quali il cibo diventa francamente indigesto. O, per usare una certa metafora, roba che se non leggi il libretto d’istruzione prima non ne ricavi nulla e che se lo leggi ricavi la roba che era proprio fedele al libretto d’istruzioni. Non sei stato divertito, ne’ commosso, ne’ istruito ne’ tantomeno hai avuto qualche esperienza estatica del genere cambia-vita.
    La necessità di abolire l’autore, l’attore ed il regista come delineati e specifici non è sentita certo dal pubblico ma è completamente interna alla comunità teatrale ed ai suoi annessi intellettuali ed i motivi sono i soliti – competizione di status. Ed è il motivo per cui, in questo dopoguerra, l’importanza che il teatro ha avuto ed ha a Londra non è paragonabile a quella che non ha avuto in Europa o, per motivi diversi, negli Usa – e questo lo sapevo ben prima di aver letto Billington.

  61. mai pensato a “La necessità di abolire l’autore, l’attore ed il regista come delineati e specifici” se non nel pensiero di chi così li definisce. C’è teatro vivo e potente che non ha proprio bisogno del libretto delle istruzioni intellettualistiche, non ne aveva bisogno Leo de Berardinis che ebbi la fortuna di vedere a Firenze ignorante di tutto, o l’Odin Teatret all ‘Aquila, o certo Peter Brook o la Societas raffaello Sanzio o gli spettacoli di una anche divertente e buffissima e efficace scuola che mi ebbe come allieva prima della musica http://www.scuoladiteatro.it/. Se ne può essere affini o meno e amare qualcuno e non altri, ma se ne parla tanto senza spesso sapere di cosa davvero sia fatto, anche solo la consistenza di ciò di cui si parla, come io sento nel tuo commento di sopra.

  62. @Sascha

    ognuno si diverte come può, quindi non ho nulla da dire sul suo amato E Frayn. Io mi sono sempre occupato di comicità, ho conosciuto i grandi comici, con alcuni ho lavorato, alcuni li ho supportati fino alla morte (letteralmente, purtroppo). Per venire all’accusa di intellettualismo, a me uno come Massimo Troisi manca più di Pasolini. Carmelo Bene non era popolare? Non so, però so che riempiva i teatri. Vuol forse dire, Sascha, che non era plebeo? No, non era plebeo, e si batteva contro il ministero e contro i finanziamenti pubblici; se ne fregava degli assessori, li sbeffeggiava, così come faceva con il doppiovelo della critica e della cultura.

    Il teatro più importante del ‘900, Sascha, si è fatto in Russia, in Germania e in Italia, la diverta o meno. Nessuno abolisce nulla, solo segue dei princìpi che fanno funzionare un lavoro, oppure no: hai voglia a fare Beckett se ne tradisci i princìpi, non avviene, e Billington non ci può fare nulla.

    Comunque, ho l’impressione di parlare di calcio con uno che non è mai andato allo stadio, che lo conosce solo dalle figurine, non si offenda. Dopo Mejerhold e Brecht (e Carmelo Bene), i testi teatrali sono infatti diventati figurine, grazie a Dio, e si può fare teatro con qualunque aggregato di parole, anche le istruzioni della lavatrice, ma non si può fare senza i grandi attori che rispettino i princìpi nuovi, capaci di stare fermi in scena, così il mondo gli può girare comodamente attorno.

  63. Francamente penso si tratti di un mucchio di sciocchezze.
    Vivere nel ricordo del ‘grande teatro’ che nella prima metà del Novecento s’è fatto in Russia, Germania e Italia, come dicono i libri di testo delle medie superiori, non ci aiuta molto adesso, no? Ci vuole un certo, come dire, addestramento per apprezzare un attore che legge le istruzioni della lavatrice, un addestramento che non tutti hanno e se davvero si tratta delle istruzioni della lavatrice non gli si può dar torto se preferiscono i reality show in tivù.
    Banalmente, mi pare che l’Inghilterra per molti aspetti si sia tirata fuori dalla principale corrente di sviluppo del teatro europeo e quando questa è finita nel nulla s’è ritrovata con un teatro di gran lunga più vitale di quello europeo, più divertente, più coinvolto nel mondo, più utile agli attori, più apprezzato dal pubblico – è un peccato che i nostri assessori alla cultura non lo sappiano nella loro ignoranza…
    Senta, si faccia un piacere: recuperi da qualche parte il film di Karel Reisz tratto da The Entertainer, di John Osborne, con Lawrence Olivier, che poi mi ringrazierà.

  64. Va beh,d’accordo …..Veronese non poteva esistere senza Tiziano , Brahms senza Beethoven …… o questo senza quest’altro.
    Che c’entra? Tipo l’America l’han scoperta i Vichinghi .
    Dice Nb “Certo, se poi lo si mette vicino ai Ronconi o agli Strelher o, peggio, alla produzione odierna, allora la lotta è impari … ”
    Già,ma a chi dovrei metterlo vicino? e in quegli anni..?
    Hamlet suite a cosa dovrei metterla accanto?
    Non solo grande attore…o mascalzone,larry
    Tutto quel che volete,ma cos’era allora il teatro?
    Tutti si “inginocchiano” alla fine davanti a qualcuno,Beckett davanti a Joyce….meglio Deleuze e Nietzsche che Brecht o Strelher,per non parlar di Billington.

    Grazie a larry per la lista della spesa.(non sarà troppo abbondante?)

  65. “il teatro? Tolta qualche eccezione,è già morto per asfissia,strangolato dalle costante ripetizione dei soliti testi e da cervellottiche e velleitarie pseudoinvenzioni” “Tutto quel che volete,ma cos’era allora il teatro?”

    ti ho letto e riletto, ma diventa difficile se poi con nomi di viventi o di da poco scomparsi si passa per nostalgici di qualcosa di morto. Sei nella stessa discussioen nostra?
    ed è davvero così lunga questa lista della spesa?

  66. te ne aggiungo un’altra delle sciocchezze da disprezzare: la voce non son le corde vocali che vibrano soffiando fuori l’aria.
    Non avere interesse per i cantanti e non volerne ascoltare non significa poi venir rispettati quando si giudicano come sciocchezze la mia affermazione di sopra…. E’ lecito non amare e non avere interesse per qualcosa, giudicarlo senza conoscerlo è perlomeno ininteressante per chi legge e urta chi in quello viene giudicato, i cui risultati si ignorano perfettamente ma se ne parla come di sciocchezze…

  67. @ Sasha
    è innegabile che il Novecento abbia rivoluzionato l’arte scenica: il teatro non viene più considerato come “rappresentazione” o “messa in scena” di un testo, piuttosto come evento o differenza in atto. Secondo questa idea, il testo è solo uno dei possibili materiali della performance, nient’altro. Da ciò ne consegue che le operatività fondamentali non sono quelle dei Beckett (o degli Osborne o dei Pinter), ma quelle degli Artaud e dei Bene, giacché si dà teatro solo quando un corpo fa irruzione in uno spazio convenzionale. Detto banalmente: senza l’autore si può fare teatro, senza l’attore no. Un qualsiasi manuale di semiotica teatrale te lo potrà confermare …

    Ora, pur non essendo un esperto di teatro inglese, la mia impressione è che questo sia, nel suo complesso (a parte, forse, la parentesi di Marowitz all’Off con Brook), immensamente meno interessante di quello tedesco (consiglio, per non annoiarsi, un Heiner Goebbels su testi di Muller e con l’attore Andrè Wilms) o di quello italiano (vanno benissimo i nomi proposti da Larry) – e direi anche di quello polacco, con Kantor e Grotowski su tutti.

    È ovvio che nessuno di loro ha scritto, come dici tu, “nulla di divertente”; non trattandosi di autori, come potrebbero scrivere alcunché? Però – e qui ho il sospetto che Larry abbia ragione quando tira in ballo le figurine – hanno fatto spettacoli “divertenti”, persino comici. Nella “Salomé” di CB ci sono trovate spassose più che in uno qualsiasi degli autori da te citati …

    E poi, dove sta scritto che il teatro deve divertire? Il teatro migliore è quello che mette in discussione le strutture del cervello; talvolta, più che la risata o il coinvolgimento nel mondo, serve la fucilata o l’astinenza di mondo …

    @ Johnny
    ma Quartucci e Leo e Remondi&Caporossi e Cecchi etc. sono contemporanei a Bene e non sono meno importanti … Ascolta, insieme all’Hamlet Suite, la Pentesilea di Quartucci (qui un frammento
    ), poi mi dici …

  68. Ma quel teatro che dite le mette davvero in discussione le strutture del cervello? E a che pro? Si hanno davvvero delle esperienze trascendenti o piuttosto si dice di averle avute per ottenere il consenso degli interlocutori?
    In una comunità come questa vi sono argomenti che provocano spaccature e discussioni con tesi diverse, sul teatro, che interessa meno, pare esservi un maggior consenso e si danno per scontate cose che scontate non sono. Mi limito a far notare che esistono modi diversi (o anche solo gusti) di vedere il mondo o, in particolare, il teatro. I testi li ho letti, grazie, e di spettacoli (al teatro della Tosse a Genova) ne ho visti, le teorie le conosco piuttosto bene. Semplicemente non mi convincono e penso proprio convincano poca gente. Se tanto teatro di Brecht è rimasto ciò è successo contro le sue teorie e non grazie ad esse: Brecht, per nostra fortuna, era un meraviglioso cialtrone.
    Un giorno la mia critica cinematografica preferita disse una cosa: una volta stabilito che il regista non ha voglia di divertirti (no dancing girls, no jokes) ma pretende di avere delle idee allora hai tutto il diritto di considerare seriamente quelle idee e di scoprire, nella quasi totalità dei casi, che si tratta di banalità pretenziose o benpensanti.
    Fra l’altro, sarà una mia idea, ma un attore come si deve probabilmente preferisce di gran lunga muoversi all’interno di un testo strutturato (ruoli, entrate, uscite, dialoghi etc), magari con la collaborazione di altri attori e in un contesto in cui i ruoli (autore, attore, regista, pubblico) siano ben definiti. In mancanza di questo, una forte personalità potrà magari anche imporsi ad un pubblico mooooolto selezionato – cioè già convinto – ma non lascerà nulla dietro di se’, visto che, come autorevolmente sostenuto da L.M., non ci sono differenze fra le istruzioni della lavatrice e Ibsen o Cechov o Pirandello…
    Finisce poi che per trovare oggi in Italia un teatro che possa interessare effettivamente il pubblico non s’è potuto pensare nulla di meglio del monologo, sulla scia di Paolini, genere simpaticamente vecchiotto e rimodernato in cui, grazie a Dio, qualcuno ti racconta qualcosa e non si limita a lanciare delle urla ogni tanto…
    (Filisteo? Sì, grazie, e con molto ghiaccio)

  69. @Sascha
    ng Massino e nel mio limitato anche cerchiamo di dirle che non di parole e teorie si parla ma di qualcosa di ben preciso, ma si deve entrarci e farci un giro…. lei continua a dire di sciocchezze ma non le argonenta e continuoa dire ne parla come di qualcuno che di quei nomi specifici non ha idea di cosa siano fatti. Io ero interprete e di rapporto diretto col testo e rispetto assoluto verso la forma ho avuto la fortuna di averne una idea diretta e forte, ma capisco molto bene alcune cose di Grotowski e di altri che già le hanno citato, e come le ho già detto è come scoprire che appunto il mio strumento la voce non è quello che comunemente si crede anche se tutti parlano. Non tutti lanciano senza senso delle urla ogni tanto (lo fanno in modo musicale e altrettanto noioso in certi concerti jazz, ma non è TUTTO il jazz)

  70. @ Sasha
    mi fai il nome di un “attore come si deve” che “preferisce di gran lunga muoversi all’interno di un testo strutturato”? Un nome qualsiasi tra quelli che, secondo te, hanno lasciato tracce indelebili … Così, per capire a cosa ti stai riferendo …

    Oltre che farlo, il teatro l’ho studiato in tutti i suoi aspetti e lo conosco abbastanza bene, anche nei suoi sviluppi contemporanei; per questo faccio fatica a capire quale, tra gli attori viventi o anche dell’ultimo mezzo secolo, possa offrire appigli o spunti creativi o possa anche solo “emozionare” più di quelli fin qui già citati.

    Branciaroli? Ma anche lui senza Quartucci e Bene (e Ronconi), non sarebbe stato nulla; e poi fa spettacoli indecenti. Albertazzi? Visto ieri sera ne “La tempesta”: continua a essere, sotto tutti i punti di vista, una schiappa. Lavia? Per carità! Timi? Preziosi? No comment! Uno dei pochi attori “tradizionali” che meriti rispetto è Roberto Herlitzka (anche quelli del gruppo Le belle bandiere, che però sono stati allievi e compagni di viaggio di Leo) …

    Ho però la sensazione che non potrai nominare nessuno di così fondamentale …

    ng

  71. Infatti c’è stata una bella tabula rasa nell’Italia teatrale degli ultimi decenni.
    Comunque io parlo da spettatore, non da attore o autore. Immagino che questo mi metta nella posizione di un disoccupato qualsiasi che pretenda di dire qualcosa sul FMI o la Goldman Sachs – loro sì che se ne capiscono…

  72. @ Sascha
    forse non amerà l’opera, ma questa è una cantante italiana e questo modo nella sua essenzialità e pulizia e intensità è figlio di tutti i nomi di sopra http://www.youtube.com/watch?v=ESYSOXGZWl4
    e poi basta discutere con chi vuole parlare e giudicare la Yourcenar dicendo che a lei le copertine non garbano e si rifiuta di leggerne una riga: di cosa parliamo del suo taglio di capelli?

  73. e ho fatto appositamente un esempio non direttamente riconducibile e lontano come musica e produzione del film dai nomi sopra citati.

  74. @sascha

    rinuncio a discutere con lei, vedo che comincia a esporre i muscoli, nientemeno che il teatro della Tosse e Marco Paolini. Le figurine Panini erano più autorevoli. Tuttavia se si vuol sapere di calcio bisogna andare allo stadio.

    Circa il suo sarcasmo sulle mie limitate conoscenze medie, ha ragione: sono arrivato alla terza media senza mai aprire un libro, poi ho smesso, senza neanche farmi consigliare da Pasolini, che appunto le medie le voleva abolite. Quindi non so di teorie della superiore medietà. Però intuisco, perché dopo che ho smesso di andare a scuola ho cominciato ad aprire libri a centinaia, che lei non ha letto ciò che è necessario leggere per capire un minimo ciò che è stato il teatro nel novecento. Nemmeno ha praticato i grandi artisti, mentre io, per esempio, muscoli per muscoli, ho addirittura conosciuto Kantor e gli attori della sua compagnia (Sticazzi!), ho visto allestire il suo più bel lavoro che è ” la Classe morta “, che ho potuto vedere tante volte in teatro; per non dire dell’amicizia e del lavoro coi tanti italiani, già citati e non. Ma la sua disattenzione circa teorie e pratiche non è grave, Sascha, purché non voglia imporcela come unico possibile approccio al teatro punto

    @Johnny

    l’elenco andrebbe allungato, anche di alcuni trentenni che non conosco abbastanza. Ma soprattutto le consiglio i vecchiotti (d)elusi, se li trova: a volte incontrare una fantastica Rosalia Maggio, già ultrasettantenne, al debutto in sgangherate sale di provincia è più istruttivo di qualunque teorico, senza di meno è più divertente.

  75. Il mio ruolo qui: fornire un bersaglio comune a persone che altrimenti si accapiglierebbero fra di loro.
    Del resto è meglio così: trovandosi d’accordo su quasi tutto finirebbero per accapigliarsi su storie personali…

    (che faccio, elenco tutti i libri sul teatro che ho letto? gli spettacoli che ho visto? mi crederebbero? ma a che servirebbe? mi trascinerebbe solo in una discussione approfondita con persone che non riescono nemmeno a concepire opinioni diverse dalle loro se non sotto l’egida dell’Eterna Lotta fra il Bene e il Male… Comunque un libro lo voglio citare: Il Teatro all’Antica Italiana, di Sergio Tofano – ah, che tempi…)

  76. @Sascha
    Veramente lei si è presentato qui scrivendo ciò, dandoci implicitamente degli idioti: ” Rinnovamento… Bah. Di recente ho letto un buon libro: ‘State of the Nation’ di Michael Billington. Si tratta di una storia del teatro inglese dal 1945 al 2007. Billington afferma che per il teatro inglese la seconda epoca Elisabettiana è stata quasi altrettanto buona della prima (manca solo uno Shakespeare…). La lista di autori messi in campo è notevole, indubbiamente, e senza paralleli altrove: Priestley, Coward, Rattigan, Beckett, Osborne, Pinter, Bolt, Stoppard, Ayckbourne, Frayn, Hare etc etc – tutti autori di opere teatrali nel buon vecchio senso del termine. Billington a un certo punto accenna al fatto che sul ‘Continente’ gli autori sono praticamente evaporati lasciando libero spazio al regista ed a teorie che rendono impraticabile l’esistenza di un teatro moderno che parli del mondo ai suoi spettatori e nel quale questi possano riconoscersi, nel bene come nel male.
    E’ chiaro, e lo ammette, che Billington privilegia il testo e l’autore (pur non essendo cieco all’eccellenza di tanti attori e registi britannici di talento, da Lawrence Olivier a Peter Brook) e magari si potrebbe considerare questo un limite ma le teorie e le pratiche del genere Artaud-Bene, che non riescono nemmeno per scherzo a fare quel che dicono di volere fare, non sono forse ancor più limitate? ”

    Le abbiamo gentilmente fatto notare che le sue letture non sono autodimostrative.

    E’ lei che la deve smettere di prendere gli altri a bersaglio, visto che è uno spettatore, mentre Lucia e Nevio sono professionisti, che se parlano lo fanno perché sono dentro e certe cose le pulsano. Io invece non sono da nessuna parte, attacchi quanto vuole, ma su questi temi temo rimbalzi.

    @Lucia Cossu

    Non sono un esperto di lirica, giusto un ascoltatore disattento, ma La Freni mi è sembrata perfetta come Giuseppe di Stefano, che Carmelo Bene amavo molto proprio per la sua semplicità vocale.

  77. @Sascha
    “Il mio ruolo qui: fornire un bersaglio comune a persone che altrimenti si accapiglierebbero fra di loro”
    non riesco a capirla:
    -le si fanno nomi e lei non entra nel merito ma dice un generico sciocchezze
    – dice cose che se uno ha visto o letto di quei nomi di cui sopra non direbbe in quel modo, e il fatto che le chiediamo di argomentare viene letto come un essere bersaglio comune
    – le si chiedono nomi e non li fa ritraendosi e dicendo che è solo spettatrice (come me che son musicista)
    – le si inviano esempi e scaturisce il commento di cui sopra
    boh!

  78. @Larry Massino
    perfetta, sì e tutta perfetta. Uno di quei nomi che io giudico anche teatrale e nel miglior senso e l’accostamento con la Ludwig (voce sontuosa ma per me convenzionale e sbagliatissima in ogni singolo passo e postura di quel video, e non solo di quello) lo fa risaltare anche di più, per quello lo ho messo.

  79. @lucia cossu

    Veda un po’ lei se son nella stessa discussione.
    Per la Freni e la Fitzgerald,lirica e jazz che amo entrambi e mi picco di esser pure un conoscitore,mi scuso,ma devo aver tralasciato qualche passaggio,qual’era il discorso? Senza ironia,of course.

    @ ng

    Quartucci,Cecchi non son certo da paragonare ai teatranti dell’epoca,ma io mi riferivo al mainstream imperante e comunque credo che Pentesilea di Bene sia altra cosa.
    A margine,consideriamo anche l’impatto dirompente che il teatro di Bene ha avuto sui media,che non è certo un fatto critico-artistico,ma significativo per portar ad un più vasto pubblico un nuovo modo di far teatro

    @ larry

    in merito all’elenco,mi lasci verificare,e che poi ci sia così abbondanza di grandi talenti,mia dia il beneficio del dubbio per ora.Si parlava di Bene….
    Come attrice ,i’m sorry, Rosalia Maggio sarà pure divertente e istruttiva e brava…si parlava di Bene…
    Non sarà d’accordo, ma io lo considero ancora il miglior attore italiano di sempre.

    @sascha

    “Dovendo scegliere fra Frayn e Bene, con tutto il rispetto per il personaggio, non ho esitazioni”

    De gustibus.Se poi si parla di Lavia come attere…beh..allora..

  80. @ doe
    credo basti leggere, eppoi era per cercare di essere ancora più chiara con Sascha, quindi volutamente OT, Felice che sia un conoscitore, allora già conosceva le secuzioni: e non ha pensato all’impatto dirompente di una interpretazione come quella della Freni? Non la trova una interprete di livello straordinario anche ai sensi prettamente attoriali? E per me è già un altro nome recente.
    Quando le si citano dei nomi anche recenti e viventi sarebbe nella discussione rispondere su quelli e non parlare riguardo quelli di nostalgie e teatro morto, o ci dimostri che quei nomi viventi o recenti rappresentano il teatro morto.

  81. @ Johnny faccia pure tutte le verifiche che vuole, ma non faccia campionati di migliorezza. Gli attori sono animali strani, a modo loro tutti grandissimi e cialtronissimi, Bene compreso. Bene era e rimane un grandissimo protagonista del teatro mondiale, ma come attore… si vada a vedere i suoi modesti film, per esempio. Comunque, in teatro Leo De Berardinis non gli era inferiore, Eduardo, invece (che era tra l’altro buon amico di Pinter, non uno straccione di parolaio dialettale come lo considerava Sanguineti, lo dico per Sascha che ama gli inglesi) gli era superiore, come qualche volta ammetteva lui stesso. Tanti altri potrei citare, per esempio Perla Peragallo, che non credo lei abbia avuto l’occasione di veder recitare, della quale esistono da qualche parte i filmati di alcuni suoi lavori con Leo de Berardinis, e sarebbe fantastico veder rispuntare i filmati di un Don Chischiotte fatto da Carmelo, Leo e Perla, Lydia Mancinelli, credo nel 1968 (che non ho visto perché ero piccino).

    In termini assoluti attoriali, Johnny, mi faccio prendere dal suo bisogno di gerarchizzare, Ugo Tognazzi era il più grande di tutti, secondo me, chiedere a Marco Ferreri. Ci sarebbero poi Gian Maria Volonté e Marcello Mastroianni e ci sarebbe l’immenso Massimo Troisi. C’è, pure, vivo, Carlo Cecchi, che in Europa viene considerato un grandissimo attore pur solo a partire dalle sue poche interpretazioni cinematografiche, dove non dà un decimo di quanto dà in teatro. Io stesso, che non conto un cazzo, mi ritrovai a discutere coi capitani del Film Academy European Film Award, Felix, l’oscar europeo, ma lui, così mi dissero, rifiutò di andare a ritirarlo, così dovettero escluderlo dalle nominations (ci sta, ha un caratteraccio).

    Rosalia Maggio purtroppo è morta, come tutti i suoi fratelli, credo, a partire da Beniamino, ineguagliabile guitto, che negli ultimi anni era stato recuperato da Cobelli al teatro di serie A; ma io invitavo chiunque è interessato all’arte del teatro di andarsi a cercare nelle programmazioni minori i debutti di vecchi attori dimenticati, riservano quasi sempre belle sorprese.

    @Lucia Cossu, grazie per il link ermetico, con me può esserlo quanto vuole se i contenuti sono quelli. Grazie anche per l’invito, ma Larry è un ombra, quando non è in Nazione Indiana non sa mai dove si trova. Se un giorno scoprisse di essere in Roma, perché no?

    Frammento, Carmelo Bene, Perla Peragallo e Leo De Berardinis provano Don Chisciotte, 1968 http://www.youtube.com/watch?v=qPD2dYrdxMI

  82. Necrofili !!!

    perchè accalorarsi tanto per qualcosa che è morto da tempo..

    .. o forse non è proprio morto.. ?!?

    .. nel frattemo cercatelo, il teatro, è ovunque !!

    .. munitevi di stivali da fanghiglia, ed eletti, e cercatelo .. hiihhihihihihiihh

    nel frattempo:

    MAERNA … prrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr !!!

  83. @ lucia cossu

    Ovviamente che le conoscevo,tra l’altro la miglioe Ella è quelle degli anni sessanta.Per la Freni niente da dire su canto e interprete,anche se in tutte e due le cose la Callas era un’altra cosa,fuori concorso.E per i maschietti ,quanto allo star in scena e interpretare, ricordo un Otello di Domingo stratosferico,e un Pavarotti monolito in tutte le opere.
    E Jaques Brel…Boris Vian…e cento altri?
    Va beh che tutto è teatro,ma qui andiam da un’altra parte,fino ad arrivare al mio fruttivendolo…uno dei più grandi interpreti mai visti.
    Lei lo conosce? Dà spettacolo ogni giorno in strada,un vero artista di strada.Non si può mai saper tutto,vede.
    Dei viventi,come già ho detto a larry,alcuni della lunga lista non li conosco,altri non son così certo che possan essere paragonati a Quarucci,De bernardinis,Bene,mai morti,tra l’altro Quartucci si tocchi….
    Altro che nostalgie! Tutto qui.

    @larry

    Forse c’è un’equivoco,io mi son sempre riferito al Bene attore e uomo di teatro,mai al cinematografaro,che non mi ha mai convinto in nessuno dei ruoli.Quindi il discorso sul cinema,viene a cadere,altrimenti è peggio.L’unico attore di cinema di valore che non sia stao solo adatto alla commedia all’italiana ,è stato Volontè,uno che poteva interpretare tutti i ruoli.(ci metto pure Mastroianni,con alcune limitazioni.)
    Se poi dovessimo affacciarsi fuori di casa…beh…non c’è trippa per i nostri.E comunque attore di cinema e di teatro son due cose molto diverse,con leggi diverse,per ovvie ragioni.
    Certo che Leo è stato un grande attore ,ma il discorso era partito,se non sbaglio,da un tema più onnicomprensivo dell’uomo di teatro,di cui l’attore è solo una parte.In questo senso e parlando di innovatori,(che non son morti,Quartucci si tocchi…,e per me Carmelo è ancora ben presente,),li ho trovati principalmente in Bene e Quartucci,e tra i due io preferisco il primo.Ricordo,credo nel ’67,una comune partecipazione (non ricordo se ci fosse anche Ricci)ad una clamorosa contestazione del teatro accademico in un importante convegno.
    E’ solo una questione personale di preferenza,non tanto una classifica.

  84. @ doe
    io non avevo fatto un discorso di competizioni: chi meglio di chi…, ma precisamente un esempio su un modo che è nato nel ‘900 dal lavoro anche dei nomi di cui parlavamo e portavo quel preciso esempio della Freni come esempio dei frutti delle’sciocchezze’ come le chiama Sascha. Di fare un generico discorso da stadio su chi meglio e chi peggio non mi interessa, anche perché avendolo fatto quel mestiere ho un certo rispetto per tutti quelli che lo compiono ogni sera o quasi e poi motivo e controllo in cosa trovo la Callas inarrivabile(mica in tutto), o Benedetti Michelangeli, e anche se lei preferisce la Ella Fitzgerald degli anni sessanta, una sua pernacchia da giovane o meno giovane è per me comunque preziosa per motivi più o meno maniacali, ma soprattutto perché aveva quell’approccio da interprete insieme rispettoso e coraggioso e per me anche quando può non convincermi mi indica strade e modi. Mi trovo sempre un po’ a disagio quando si hanno tante certezze così granitiche, ma sarà il mio noto caratteraccio

  85. @Johnny se continuiamo così ci pigliano per cavilli pazzi.

    Comunque ci avevo questo raccontivo, per via che ci ho un impegno con Rita che è tanto che non la faccio ridere. Spero di non essere troppo di fastidio.

    Nel porcile  c’erano due che stavano sempre da parte, che dagli altri venivano considerati fanatici  perché grugnivano con ritmo ricercato, a sera danzavano sulle punte degli  affusolati  zampini, riprendevano anche con una sola occhiata  aristocratica le maldestrità dei più maleducati, di solito i giovani del  branco, che si ingrifavano per un nonnulla e diventavano osceni, cosa che al loro padrone, il maialaio alla cultura, non garbava affatto. I due di facciata venivano da tutti rispettati, per via che erano i più vecchi, ma dietro le spalle venivano chiamati maliziosamente  il Grande Maiale e la Grande Maiala, alludendo forse alla loro gioiosa sessualità, comunque mai esibita, non certa alla stazza, perché mangiavano poco. Infatti  erano i più magri, avendo capito che per ritardare la propria sparizione – che tutti appena grassi venivano rastrellati e non tornavano più –  l’unico rimedio era quello di ingrassare poco. La loro coscienza politica si raffinava sempre di più: nei libri della porca  storia avevano letto che nel passato erano vissuti maiali detti radicali, che predicavano il digiuno totale, ma con quasi nessun seguito. Loro così radicali non erano, ma si definivano liberali individualisti oppositivi estetici, perché ci tenevano anche alla bellezza. Perciò  seguivano le diete, e facevano sport, tanto sport, derisi da tutti quanti, alle spalle.
     
    Restare in linea dava tanti vantaggi ai nostri eroi: si veniva curati, portati via dal porcile tante volte a fare passeggiate dai sempre più strani maialai addetti al pastone, chiamati nel linguaggio del nuovo sistema dispotico maialai alla cultura. Essi  erano come i maialai di prima, ma in più avevano una qualità molto apprezzata nel piatto recente:  non capivano, erano gli ingegneri del non capire, testardi, che  più non capivano più volevano far mangiare i propri porci,  e buttavano copiosa la cultura nel trogolo, ben selezionata dalle impurità.
     
    Venivano tanti a studiarli, il Grande Maiale e la Grande Maiala,  anche perché stavano tanto tempo a parlare di Carmelo Bene, che il maialaio alla cultura credeva e crede ancora sia un personaggio della loro immaginazione malata. I due erano contenti: per via degli interessi degli studiosi  li tenevano sempre lavati e li grattavano quando ce n’era bisogno. Addirittura li portavano ai convegni scientifici. Una volta anche per il cielo. Insomma, li trattavano come certi conigli di cui si leggeva nella letteratura porcghese, sempre a far party nei castelli, a ridere e farsi pettinare la cresta dalla loro principessa. Sticazzi. Ci fu uno scienziato che li chiamò porci anoressici, perché si era accorto che vomitavano appartati, dopo aver mangiato claustrale. Altri osservatori, per via che i due leggevano tanto, li definivano scherzosamente Maiali di Pordenone, ma essi non capivano la spiritosaggine, nonostante tutti  intorno a loro ridessero. Il poeta Charles les Monnier li prendeva in giro per la loro magrezza, cantando loro una rima baciata:
     
    cari maiali  se aveste più ciccia
    troppo meglio verrebbe la salsiccia!
     
    Insomma, rispetto agli altri della famiglia, sempre chiusi nella recensione, i due maiali burberi facevano bella vita. In più avevano un’anima sociale, si informavano, partecipavano. Però si incupivano venendo a sapere che  la magistratura era corrotta, che le inchieste sui potenti finivano tutte nel porco delle nebbie. Allora cercavano di rifugiarsi negli svaghi. Vacanze? Ultimamente in porcogallo, porcocervo, porcovenere. La sera il  Grande Maiale e la Grande Maiala andavano spesso al cinema. Il film  basilare della cinematografia sovvenzionatoria era “ Fronte del porco “. Ma  a teatro, sopra di tutto da quando avevano messo il maialaio alla cultura ingegnere, non c’era verso andare, perché il teatro non era più burocratizzato come prima, anzi, era sì burocratizzato, maanche,  cretinizzato. Gli mancava tanto il teatro, a lei, che il teatro veniva prima di ogni altra cosa, sopra di tutto un testo anglosassone, il pig malione. Allora si rifugiarono nella spiritualità: in teologia  si riferivano alle teorie gianseniste di porc royal.
     
    Ne avevano parlato a lungo, si erano messi in testa di fare una rimostranza politica. Un giorno radunarono i porci e si misero a fargli un bel discorso: “ la cultura ci danneggia, cari maiali, bisogna ribellarsi e smettere tutti insieme di pigliarla, tutto d’un colpo “ ma gli altri della famiglia capivano poco del ragionamento, che non faceva che aumentare il disprezzo che provavano per i loro parenti snob. “ Bisogna diventare esseri più spirituali, il morso della fama vedrete ci passerà presto “ continuarono “ nessuno di noi verrà più rastrellato e deportato dai maialai alla cultura, finiranno per lasciarci liberi di grufolare bellezza nel bosco dell’arte, in stato selvatico! “ Ma gli altri si erano già tutti dispersi, pensando che gli attempati magri fossero impazziti a parlare in quel modo, che nel mondo c’era tanta fama e che c’era poco da snobbare il trogolo.
     
    Quanto descritto allabellemmeglio successe tanto tempo fa. Il Grande Maiale e la Grande Maiala sono ancora vivi, in forma che vanno ancora in bicicletta nonostante l’età, ma vivono nel porcile sempre più appartati e immalinconiti: non li si  studia nemmeno più, li si considera esemplari rari, fenomeni, funamboli, straordinari, come a  dire che è inutile prenderli a esempio. Ma rimuginano, non capiscono perché nessuno volle dargli retta a suo tempo, nella famiglia, anche se   continuavano a sparire esemplari in quantità. Adesso che altro  potevano fare? Avevano amaramente preso coscienza che nessuno voleva protestare davvero, nessuno voleva fare lo sciopero della fama. In fondo la situazione andava a tutti bene com’era, volevano godersela, pur nella breve vita nella recensione del porcile. A nessuno dei loro simili interessava vivere veramente, così pareva. Si indignavano, qualche volta, ma poi non facevano un cazzo. A proposito, il grande Maiale si era anche stancato del sesso, e si appartava per conto suo tante volte a cantare:
    Tutto il resto è gioia, no,  non ho detto noia, ma gioia, gioia, gioia, maledetta gioia. 
     
     

  86. @lucia cossu

    Non è che si faccian classifiche da stadio,è che ognuno ha delle preferenze,come lei le ha per la Freni,o per il Michelangeli che interpreta Ravel e Debussy (anche mie).Posso dire che trovo ABM,come interprete di questi ultimi,il meglio che abbia sentito? E non s’offenda Gieseking!E’una cosa da stadio?

    Quanto al “rispetto per tutti quelli che lo compiono un mestiere”,mi trova parzialmente d’accordo,nel senso che se uno scrive come un cane,perchè dovremmo dirgli che è un nuovo Proust o Cèline?
    Per rispettarlo? faremmo il contrario.

    @larry

    Già,col rischio d’andar a finir sui banchi a porcaportese,porta miseria!
    Se si parla di porci (speriamo senza ali),mi trova d’accordo a prescindere,tanto mi affascinò Orwell e mi han sempre affascinato cotiche e fagioli e tutto il resto maialaro,non si butta niente,come si sa, e tantomeno il suo raccontino (speriam che Rita rida e sia sempre più generosa con lei..).
    Insomma,per concludere,sempre caro mi fu quest’empio porco….è ‘l grufolar m’è dolce in tanto grasso.

  87. @doe
    “Non è che si faccian classifiche da stadio,è che ognuno ha delle preferenze”

    trova che io sopra abbia scritto che mi piace? Ho detto che quello che ho messo di lei per me dimostra che il ‘900 teatrale non è passato invano e ha lasciato delle tracce. Lo stadio è parlare delle preferenze, mentre qui si discute di criteri e cose oggettivamente rilevabili, che sono assolutamente oltre le preferenze (poi si può sempre prendere un granchio), ma nessuno ha parlato dei suoi gusti, appunto roba da stadio e per me fuori dalla discussione, anche se in altri ambiti un certo interesse può averlo.

  88. Quando lei parla della Freni,che sarebbe? E quando si discute di cose rilevabili,non è già implicita una preferenza di cui lei ha dato ampia proca citando nomi piuttosto di altri? I criteri le implicano.
    Mi pare che la discussione,se non con lei,si sia già abbastanza svolta e chiariti i punti di vista,quindi è inutile insistere ulteriormente sull’argomento,non crede?
    E per finire,i miei gusti son da stadio,invece i suoi i son roba da Oxford University.
    Ok,signora maestra,l understand,la salutto e buona lezione.

  89. @doe
    guardi che è una critica al modo, non alle preferenze, ma risponde sempre altro e questa volta equivoca

  90. Comunque se sa che chicago boys è anticapitalista, forse non è così ignorante, dev’essere colto abbastanza da sapere cosa censura, oppure, cosa più probabile, sarà davvero plebeo (in materia di letteratura:fatevi un giro alla facoltà di ingegneria adesso, non ai tempi di Gadda, e vedete quanti non lo scambiano per una canzone dei Duran Duran), e allora la si dovrebbe pigliare con l’esercito di stagisti e collaboratori che gli hanno fatto la spia. Con tanti impegni non credo che abbia il tempo di fare come il prete di nuovo cinema paradiso.

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Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.
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