(chi) Legge sul libro

[Il progetto di legge sul libro è stato approvato ieri in commissione alla Camera. A seguire la versione integrale della lettera indirizzata a La Repubblica e pubblicata il giorno 12 luglio. Martedì 13 Luglio, Simonetta Fiori ha raccolto (qui e qui) alcune importanti adesioni alla protesta degli editori indipendenti.]

Caro Direttore,

nei prossimi giorni verrà portata alla Camera la nuova legge che disciplinerà il prezzo del libro, ovvero che regolamenterà gli sconti. Siamo sicuri che ben pochi italiani, tediati dalle ricorrenti denunce sullo sconsolante panorama della lettura nel nostro Paese, avrebbero pensato che bastasse regolamentare uno sconto per risolvere tutti i problemi. Invece il legislatore esordisce così: “La presente legge ha per oggetto la disciplina del prezzo dei libri. Tale disciplina mira a contribuire allo sviluppo del settore librario, al sostegno della creatività letteraria, alla promozione del libro e della lettura, alla diffusione della cultura, alla tutela del pluralismo dell’informazione.” E dire che sono dieci anni che rincorriamo una legge civile sul libro, e per tutto questo tempo abbiamo avuto la soluzione sotto gli occhi. Già, peccato che a nostro avviso questo cappello introduttivo sia falso, e la legge vada nella direzione contraria a quanto proclama di voler ottenere.

La Legge Levi è molto breve: in pratica pone un tetto allo sconto che il libraio può fare all’acquirente finale del libro. Questo tetto è fissato al 15%. Vi sono alcune deroghe per le vendite on line (tetto del 20%), alle biblioteche o associazioni, ai libri fuori catalogo. E poi c’è un comma che permette agli editori di fare promozioni per 11 mesi all’anno (salvo dicembre e purché ciascuna non più lunga di un mese) su tutti i loro libri (vecchi e nuovi), senza alcun tetto di sconto. Ovvero un piccola clausola che di fatto vanifica qualsiasi tentativo di limitazione dello sconto, rivelando dunque che questa “disciplina del prezzo” è fittizia. A questo si aggiunge che i controlli e le sanzioni previsti paiono inefficaci.

Ma il colmo è che questa legge è stata redatta con l’accordo delle associazioni di categoria (AIE, Associazione Italiana Editori, e ALI, Associazione Librai Italiani), quindi viene fatta passare come una legge “voluta unanimemente da editori e librai”.

Ebbene, noi riteniamo che questo non sia vero, e ci auguriamo che gli editori e librai che la pensano come noi scrivano e chiamino il suo giornale a centinaia, per dire che questa unanimità non c’è, per manifestare la loro contrarietà a questa legge e per appoggiare la richiesta di una legge sul modello francese o tedesco (che spiegheremo brevemente più avanti).

La Legge Levi, di fatto, è voluta dai grandi gruppi editoriali, che sono gli unici che possono permettersi con continuità l’arma commerciale dello sconto elevato e vedono così sancito per legge questo loro privilegio, e dalle catene di librerie, che vi vedono un argine alla grande distribuzione, il loro principale concorrente. Questi sono argomenti piuttosto tecnici che non possono interessare il lettore (colui che compra e legge libri); se facciamo questa affermazione è per spiegare perché cinque di noi (il sesto non è socio), non sentendosi rappresentati dall’AIE, abbiano annunciato l’intenzione di uscire dall’associazione se l’AIE non chiederà di modificare il progetto di legge. E anche perché non vengano a dirci: ma siete voi editori e librai che l’avete voluta. Semplicemente non è vero.

Normalmente, quando si affronta il tema degli sconti, la prima obiezione che viene fatta è la seguente: siamo un Paese che legge poco, lo sconto è un incentivo all’acquisto del libro, dunque alla lettura; e poi sono tempi duri, perché vogliamo privare il consumatore (e di proposito non usiamo più il termine lettore) del vantaggio economico dello sconto? In altre parole la nostra sembra una posizione impopolare. Ma ai lettori attenti non sfuggirà che molto spesso un libro “molto scontato” finisce con il costare come un libro altrettanto buono di una casa editrice indipendente a prezzo pieno. Non di rado dunque lo sconto è uno specchietto. E poi… e poi è necessaria una breve divagazione sul libro.

Proviamo a fare qualche affermazione di principio: “Il libro è un bene fondamentale per la cultura, lo sviluppo, la democrazia, la circolazione delle idee e la realizzazione personale; sul libro si regge buona parte della formazione, dell’educazione, della comunicazione e del fermento culturale di una Nazione; per questo motivo deve esserne garantita la massima pluralità di produzione (case editrici) e diffusione (librerie indipendenti e di catena, edicole, grande distribuzione).

La comunità dei lettori (e di proposito non usiamo il termine mercato) deve premiare o punire l’editore e il libraio in base alla qualità del suo lavoro e non in base a fattori puramente economici e finanziari.

La legge dello Stato deve stabilire delle regole che, senza alterare indebitamente il mercato, assicurino pari opportunità a tutti gli operatori del settore, in modo che la forza economica e finanziaria di alcuni non possa nuocere od ostacolare gli altri a scapito della “bibliodiversità” (concetto mutuato dal termine biodiversità, che rende molto bene e in maniera sintetica un’importante esigenza culturale di una Nazione). Infatti a stabilire il valore di un libro deve essere la sua qualità e non il prezzo o lo sconto.”

Siamo tutti d’accordo su queste affermazioni? In fondo non sono così dissimili dal cappello introduttivo della legge. Se anche voi siete d’accordo, allora dobbiamo provare a spiegarvi, in maniera meno tecnica possibile, perché la Legge Levi vada nella direzione opposta.

È una questione dimensionale, sia per gli editori, sia per le librerie.

Nella composizione del costo del libro ci sono delle voci fisse (eventuale traduzione, lavoro redazionale, studio grafico della copertina e impaginazione, correzione bozze, preparazione delle lastre, avviamento della stampa e della confezione) che incidono molto su tirature basse e si riducono aritmeticamente con l’aumentare della tiratura. Se la tiratura raddoppia, queste voci incidono per la metà nella composizione del costo finale del prodotto. Questo significa che il margine di un editore è molto basso per una tiratura bassa e aumenta rapidamente al crescere della tiratura (nel caso di una tiratura bassa, l’editore potrebbe recuperare il margine aumentando il prezzo di copertina, ma questo metterebbe fuori mercato il suo libro). La conseguenza è che un editore piccolo o medio non ha la possibilità di utilizzare, se non in rari casi, l’arma commerciale dello sconto, perché rinuncerebbe a tutto o quasi il suo margine. La grande casa editrice, invece, avendo margini molto più ampi (in percentuale sul prezzo di copertina) può rinunciare a una parte del guadagno per mettere fuori causa la concorrenza.

Una piccola libreria, sui libri che acquista, ha normalmente uno sconto (che diventa il suo margine) che si aggira sul 28-30%. Una grande libreria, o una libreria di catena, ha uno sconto che può essere anche del 50% maggiore, e questo le dà la possibilità di preservare un certo margine anche applicando sconti importanti.

Quali le conseguenze, allora? Una legge che permetta sconti elevati mette a repentaglio l’esistenza degli editori e delle librerie di piccole dimensioni e dei libri a bassa tiratura, che costituiscono la stragrande maggioranza delle cinquanta o sessantamila novità che escono ogni anno. E se editori e librai cominceranno a chiudere, se libri anche importanti che non hanno un elevato potenziale di vendita non potranno più essere pubblicati, la cultura italiana continuerà a deteriorarsi.

Senza contare che questo orientamento commerciale svilisce il libro: invece di vendere contenuti (perché interessanti, divertenti, importanti, belli ecc.) si finisce sempre più spesso con il vendere prezzi di copertina scontati. A trasformare il lettore in consumatore.

Non sarebbe meglio se il lettore entrando in libreria si potesse concentrare solo e unicamente sui libri e i loro contenuti, invece di essere accalappiato dai cartellini dello sconto? Non sarebbe meglio se al lettore venisse data l’opportunità di confrontare il vero prezzo di copertina dei vari libri quando deve stabilire se e che cosa comprare?

I legislatori di Francia e Germania, Paesi dove si legge molto, ma molto di più che da noi e dove il libro non è l’eterno malato cronico delle nostre statistiche, hanno da anni preso atto di quanto raccontato in questa lettera e promulgato leggi che vietano (Germania) o riducono moltissimo (Francia) lo sconto sui libri usciti da meno di un paio di anni. Anche la regolamentazione delle promozioni è molto più restrittiva, e soprattutto ci sono organismi di controllo che verificano e sanzionano chi tenta gli escamotage. Il risultato è che in questi Paesi si legge di più, case editrici e librerie indipendenti riescono a stare sul mercato (in Germania ci sono 19.000 case editrici contro le 7000 italiane), la legge viene rispettata, i prezzi di copertina vengono calmierati dal mercato e i lettori sono educati a scegliere i libri per quel che contengono e non perché sono in offerta.

Si ha dunque la sensazione che in questi due Paesi il legislatore si sia preoccupato del bene culturale dei cittadini e non degli interessi di alcune lobby. Come mai in Italia questo non può avvenire? (La domanda è chiaramente retorica.)

Se la Legge Levi non dovesse passare, in che situazione ci troveremmo? In questo momento non ci sono praticamente regole, o meglio c’è una legge del 2001 che è stata vanificata da successivi decreti che hanno liberalizzato sconti e promozioni. Per questo motivo, anche parecchi librai ed editori indipendenti, pur convinti che la Legge Levi sia una brutta legge, pensano che sia meglio che nessuna legge, e che possa essere il punto di partenza per successivi miglioramenti.

Noi siamo convinti invece che si possa e si debba fare subito una buona legge, e che se la Legge Levi dovesse passare così com’è ce la terremo per altri dieci anni. Dunque invitiamo tutti, editori, librai, e perché no, lettori indipendenti che la pensano come noi a farsi sentire perché la Legge Levi venga modificata secondo i modelli che hanno dato così buoni risultati all’estero.

La ringraziamo per lo spazio che vorrà dedicarci.

Gaspare Bona (Instar Libri), Emilia Lodigiani e Pietro Biancardi (Iperborea), Marco Cassini e Daniele di Gennaro (minimum fax), Ginevra Bompiani e Roberta Einaudi (nottempo), Daniela Di Sora (Voland)

[Dopo la pubblicazione parziale di questa lettera su La Repubblica, al momento, sono arrivate al quotidiano le richieste di adesione di Marco Tropea (Marco Tropea Editore), Marco Vicentini (Meridiano Zero), Piero Cademartori e Silvia Tessitore (Editrice ZONA), Maurizio Gatti (O barra O edizioni), Massimo Scrignòli (Book Editore), Anita Molino (FIDARE Federazione Italiana Editori Indipendenti), Odilia Negro (Associazione TRA ME, libreria indipendente, Torino), Nicola Cavalli (Libreria Ledi – International Bookseller, Milano), Angelo Biasella (Neo Edizioni), Paola Belotti (Premiana libreria Marconi, Bra)]

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20 Commenti

  1. come si forma il prezzo di un libro? non il prezzo scontato, il prezzo che c’è stampato in fondo alla copertina: come ci si arriva?

  2. Sinceramente non condivido lo strepito contro questa legge, giudicata ‘pessima’ perché non manterrebbe ciò che promette. E’ anche possibile che non abbia capito nulla…qualcuno mi spiega in che modo il limitare le promozioni periodiche (questo mi sembra l’oggetto del contendere) aiuterebbe i librai e gli editori indipendenti a sopravvivere?
    All’atto pratico il grosso delle campagne promozionali (Oscar Mondadori, Gli Adelphi, Tascabili Einaudi, per citare i principali) riguardano i long seller, i classici, tutti quei titoli da decenni nei cataloghi dei grossi gruppi editoriali. Non vedo alcuna sovrapposizione con il ‘prodotto’ dell’editore indipendente, e il ragionamento secondo il quale se vedo un Cortazar Einaudi scontato del 25% non comprerò un Carver Minimux Fax (che peraltro pratica le sue promozioni, quando può) non ha che fare con la realtà dei pochi lettori forti che fanno il mercato in Italia. Personalmente, se posso, risparmiando magari sul CIBO, prendo un tascabile scontato E il saggio DeriveApprodi (o altro nome che vi piaccia). E continuo a dividermi tra librerie fisiche e web, a volte facendo pessimi affari, per il piacere di girare tra gli scaffali. Dice “ma in Francia la legge…” La legge non c’entra, il fatto è che i ‘lettori forti’ in francia sono MOLTI di più.
    E’ vero, il costo dell’operazione promozionale è sostenibile da una media libreria cittadina, non da una libreria piccola o piccolissima. Mi spiace, ma in un paese senza biblioteche e senza lettori, viene prima la diffusione del libro, anche coi mezzi del marketing. E quando ci saranno più lettori, e più lettori consapevoli e curiosi, allora si potrà tornare a difendere i micro editori o i micro librai da quei cattivoni dei Grandi Gruppi.
    Aggiungerei una cosuccia, così a latere: e i giovani autori? Quegli stessi che pagano di tasca loro – investendo su sé stessi – la prima edizione del loro romanzo per l’editore indipendente, e se gli va bene accettano poi le offerte di Mondadori o Einaudi, secondo voi potrebbero fare marcia indietro? Per amore dell’indipendenza?

  3. io sono un lettore vorace. compro libri con più frequenza di qualsiasi altro genere che non sia alimentare, mi piacciono certe librerie di catena e quasi tutti i portali internet dove è possibile comprare libri nuovi o usati, sono contenta quando mi capita un libro in sconto, sono ancora più contenta quando posso trovare una novità che non sia fuori libreria a due o tre settimane dall’uscita. quasi gli scaffali delle librerie fossero solo vetrine davanti alle quali rimanere ammirati e quasi i libri siano solo l’imbottitura delle rotative di stampa.

    mi piace soprattutto quello che la Fiori chiama la “bibliodiversità”.

    le considerazioni da fare sono tante ma è divertente e amaro nel contempo e anche in questo caso, osservare quanto siamo alla periferia dell’impero, da questo articolo del Daily mail dello scorso agosto http://www.dailymail.co.uk/news/article-1204249/Oxfam-new-Tesco-say-angry-independent-book-shops-driven-wall-charity-shops-growth.html (su Tesco e Oxfam) e da questo del Guardian http://www.guardian.co.uk/books/2010/jan/05/tesco-little-help-independent-bookshop (come Tesco cerca di aggirare il “problema” Amazon lasciando un piccolo spazio alle librerie indipendenti)…

    io voglio comprare libri belli per leggere libri belli, chiunque li pubblichi, ma per fare libri belli gli editori indipendenti devono essere messi in condizione poi di poterli vendere. per esempio avere spazi gratuiti in libreria, per esempio non essere in concorrenza con perpetui e continui sconti fallaci sui libri delle grandi case editrici.

    e questo.

  4. Per Ilse: attenzione, i numeri che seguono sono solo indicativi.

    Se comperi in una libreria di catena (Feltrinelli, Mondadori) un libro che costa 10 euro, puoi stare tranquillo che 5 euro (centesimo più, centesimo meno) restano alla libreria.
    Dei restanti 5 euro, un paio restano al distributore (cioè a quell’azienda che prende i libri dall’editore e li fa arrivare a tutte le librerie d’Italia).
    Dei restanti 3 euro, possiamo stimare che 70 centesimi (è un dato medio) vadano all’autore, come diritti.
    Dei restanti 2 euro e 30 centesimi, qualcosa meno di 1 euro (un libro che abbia il prezzo di copertina di 10 euro non sarà poi tanto grosso) è il costo della stampa. Facciamo 80 centesimi.
    I restanti 1 euro e 50 centesimi sono il ricavo dell’editore. Che con quei soldi lì deve pagarsi tutto: stipendi, affitti, logistica, eccetera.

    Se comperi lo stesso libro in una media libreria non di catena, probabilmente, di quei 10 euro, al libraio, ne restano solo 3. Però il distributore si tiene una quota maggiore: facciamo altri 3. Quindi, alla fin fine, il ricavo dell’editore su ogni singola copia venduta in una libreria indipendente è un po’ maggiore.

    Se comperi lo stesso libro in una piccola libreria non di catena, le cose sono ancora diverse: perché la piccola libreria solitamente non compera direttamente dal distributore, bensì presso i cosiddetti “supermercati del libro” (peraltro in genere gestiti dai distributori stessi). Sul libro comperato al “supermercato” il libraio ha uno sconto un po’ minore; e in genere paga sul momento. D’altra parte certe piccole librerie non possono permettersi, perché non hanno sufficiente affidabilità finanziaria, il conto aperto presso il distributore (ovvero: ordino quel che mi serve, e pago sulla fattura a fine mese).
    In questo caso dunque c’è un intermediario in più, e anche lui vuole la sua parte.

    Ovviamente, se l’editore riesce a vendere direttamente al lettore i propri libri (via internet, ad esempio) il suo ricavo è molto maggiore. E può anche permettersi di fare sconti. Se l’editore vende direttamente il libro da 10 euro con il 50% di sconto, il suo ricavo è di 5 euro: altissimo, pur considerando che la gestione del portale e delle spedizioni ha il suo costo.

    Le grandi librerie in rete producono grandi profitti. Ibs è di proprietà di Messaggerie Libri, il maggiore distributore italiano. Ovvero, Ibs vende i libri “saltando” la libreria: incassa (su quei famosi 10 euro) sia i 2/3 euro che prenderebbe Messaggerie come distributore, sia i 5/3 euro della libreria.
    Ma l’editore non ci guadagna niente di più.
    Analoghi discorsi per Bol (che è di Mondadori) e per La Feltrinelli.

    Nota: le librerie sono piene di libri. Non tutti i libri esposti si vendono con lo stesso ritmo. In una qualsiasi libreria ci sono libri che vengono venduti una, due volte l’anno.
    Ora, un libro è, per il libraio, un “immobilizzo”: una certa quantità di denaro cristallizzato in un oggetto. Quando il libro viene venduto, la quantità di denaro cristalizzata in lui si “smobilizza”, e torna nella disponibilità del libraio.
    Le librerie via internet, invece, non hanno bisogno di avere scorte di libri. Sono in pratica delle librerie “su commissione” o “commissionarie”. Ordinano il libro presso l’editore (o il distributore) solo nel momento in cui un cliente lo richiede.
    L’immobilizzo può durare, per un libraio “reale”, anche mesi e mesi. Per un libraio “virtuale” dura, di regola, il tempo che trascorre tra quando il libro arriva dall’editore e quando viene spedito al cliente. Per questo i librai online sono così solleciti nelle spedizioni, per questo se ordinate sette libri di cui uno difficile da trovare vi fanno la cortesia di spedirvi intanto i primi sei, e l’altro dopo, senza ulteriori spese: perché così smobilizzano.

    Per gli editori, la vendita degli ebook è un’occasione formidabile per vendere i libri direttamente, e con pochissimi costi successivi all’avviamento.
    Il libro da 10 euro del nostro esempio potrebbe costare, come ebook, 4 euro. E l’editore, rispetto alla vendita tradizionale in libreria, ci guadagnerebbe il doppio. (Per di più, senza alcun immobilizzo: non c’è bisogno di avere un magazzino pieno di copie stampate).

  5. Per Federico Gnech: non cogli il problema perché ragioni in termini di “sovrapposizione dei prodotti”.

    Bisogna ragionare invece in termini di assortimento dei negozi.

    Perché mai un libraio dovrebbe riempire gli scaffali di libri che costano tanto e si vendono lentamente, quando può riempire gli scaffali di libri che costano poco e si vendono velocemente?

    Le promozioni funzionano in genere così: l’editore decide; il libraio fa una fornitura speciale (a prezzo speciale) dei titoli in promozione; su questa fornitura speciale è consentito al libraio un diritto di resa limitato; quindi il libraio, per trarre profitto dalla promozione, deve vendere il più possibile quei libri lì. Li metterà dunque particolarmente in vista nella libreria (a scapito degli altri titoli), ci farà le vetrine (a scapito degli altri titoli), li consiglierà al cliente (a scapito degli altri titoli).

    Tanto più il libraio camperà con le promozioni dei classici e dei longseller, e tantomeno sarà interessato a tenere in negozio libri che si vendono meno spesso e comportano immobilizzi più lunghi.

  6. @Giulio Mozzi: grazie per la precisazione, e grazie anche per le note sulla ‘merce-libro’. Io però rimango della mia idea (sbaglierò!). Come dici giustamente, il libraio – ultimo anello della catena promozionale del libro – è in qualche modo costretto dalle campagne di sconto a (sovra)esporre le collane scontate. Occorre però dimostrare, magari con dei dati, che i libri dell’editore indipendente si vendono meno durante i periodi in cui ET o Feltrinelli praticano i loro ‘sconti selvaggi’. Se è così, avete ragione voi. Se invece, per ipotesi, i piccoli editori vendessero poco ‘sempre’, se durante le promozioni si vendessero semplicemente più libri in assoluto, torneremmo alla questione del lettore, dell’acquirente.
    Insisto, in un paese di non-lettori la maggior parte delle persone che approfittano degli sconti sono lettori forti o fortissimi (che in definitiva spendono di più, durante la campagna promozionale!). Sono lettori nei quali l’interesse per un testo si forma grazie a diverse ‘agenzie culturali’ che sono la scuola, l’università, i quotidiani e la rete (in questa sequenza). Sono persone che parlano di libri tra loro, soprattutto. Insomma la vetrina con loro funziona sino a un certo punto. Forse funziona di più con la ‘sioréta’, come si dice da me, che regala l’ultimo Moccia alla nipote. Ma che gli frega a lei dell’editoria indipendente?

  7. Per quel che vedo, nelle librerie, i piccoli editori vendono meno sempre, questo perché, negli spazi delle librerie, sono infilati in buchi in genere poco visibili. Le grandi librerie hanno milioni di Einaudi Mondadori Bompiani Feltrinelli, e a volte uno scaffale con la dicitura “piccoli editori”. Uno scaffale è anche troppo in effetti. Una parte di uno scaffale. Perché hanno così poco spazio? E, ovviamente, c’è anche meno pubblicità riguardo i loro libri. Dunque si dovrebbe vedere, per fare un confronto reale sulle vendite, a parità di visibilità e promozione ricevuta da un libro, e non solo se il libro è presente in una libreria (magari in un angolino sperduto, per dire). Allora si potrebbe dire che se un libro di un piccolo editore a parità di visibilità nelle librerie, a parità di promozione ricevuta etc etc, vende meno…ma queste sono condizioni che non ho mai visto. Magari sbaglio. Boh.

  8. Un’altra cattiva legge è passata. Con silenziosa arroganza, la legge sul prezzo del libro, deprecata dai suoi stessi difensori (secondo l’idea nata chissà dove che ‘una cattiva legge è meglio di nessuna legge’), è passata il 14 luglio in commissione alla Camera.

    Questa legge finge di arginare, ma in realtà ufficializza, la trasformazione del libro in merce d’occasione e delle librerie in spazi di promozioni commerciali.

    Qualsiasi prodotto del mercato viene messo in saldo due volte l’anno, per permettere a negozi e produttori di liberarsi di merce deperibile. Il libro è stato sganciato dal mercato per poter essere svenduto undici mesi l’anno, e questo dal giorno in cui esce per tutta la sua breve esistenza. Vuol dire che il libro è considerato merce altamente deperibile, marcescibile, mai adeguata al suo valore.

    A detta degli autorevoli rappresentanti della cultura italiana che l’hanno elaborata, questa legge è il miglior compromesso che si poteva strappare al maggior gruppo editoriale italiano, Mondadori, e dunque al suo proprietario, presidente del consiglio. Ancora una volta i suoi interessi dettano legge.

    Editori e librai indipendenti di tutta Italia hanno alzato la loro voce per denunciare una legge che minaccia la loro sopravvivenza e sono rimasti inascoltati.

    Ora che è troppo tardi, possiamo sperare solo nei lettori: carissimi lettori, dovete sapere che la pioggia di sconti che ha investito il libro come una tempesta, privilegia i libri più commerciali dei gruppi editoriali nelle librerie di catene, per proteggerli dalla grande distribuzione nei supermercati. Dovete sapere che questi sconti, né gli editori né i librai indipendenti se li possono permettere. E che la legge fa sì che entrando in libreria siate spinti a comprare il libro più scontato e non il più interessante: quello che vogliono loro, non quello che volete voi.
    Perciò, cari lettori, quando entrate in una libreria, cercate i libri e non gli sconti, girate intorno alle pile delle promozioni e scoprite dietro di esse quei libri che espongono il loro modesto prezzo pieno alla vostra intelligenza prima che alle vostre tasche.

  9. Federico, scrivi: “Occorre però dimostrare, magari con dei dati, che i libri dell’editore indipendente si vendono meno durante i periodi in cui ET o Feltrinelli praticano i loro ’sconti selvaggi’.” Sta agli editori indipendenti, se vogliono, fornire questi dati. Io (che non c’entro con i firmatari della lettera) ho solo fatto un ragionamento sulla visibilità.

    Noto che tra i gli editori indipendenti firmatari della lettera c’è anche minimum fax, che ha appena sfornato il “duetto” Camilleri/Lucarelli, in questi giorni primo nella classifica delle vendite. Come dire: per raggiungere certe visibilità, l’editore indipendente deve imitare l’editore-massa.

  10. Lavoro in una piccola libreria indipendente, aperta nel 1872, che oggi fa fatica a stare a galla (non dico librarsi in volo).
    La legge sul libro, che in Francia limita lo sconto al pubblico al 5%, in Italia si rileva l’ennesima gabola. Così come pare sia concepita, regolamenta anzi in via definitiva una prassi già a tutto vantaggio di ipermercati, grossi editori, librerie di catena, letale per le piccole librerie.
    Il discorso è semplice: lo scorso Natale ci sarebbe convenuto fornirci di alcune strenne dall’Ipercoop cittadino, che vendeva al pubblico al 40% di sconto ciò che noi acquistiamo da editori e distributori al 30%.
    Posso capire che il potere contrattuale delle grandi catene sia ben diverso dal nostro, e che spuntino il 60% dove noi arriviamo a un 28% netto (bisogna aggiungere le spese di spedizione). Il prezzo al pubblico, però, è un’altra cosa, e correrò il rischio di passare per snob affermando che dubito del fatto che chi infila oggi Vespa o Volo nel carrello insieme al prosciutto andrà domani ad ingrossare le file dei lettori forti, che badano al contenuto a prescindere dall’offerta.

  11. @claudia: infatti i lettori forti non possono aumentare con i supersconti, ma soltanto attraverso le agenzie culturali di cui parlavo. Scusate l’ovvietà: la SCUOLA prima di tutto.

  12. molto interessante, grazie Giulio Mozzi; l’impressione che uno ne trae candidamente, da esterno, è che nei maledetti 20 euro e passa che si pagano per un libro (spesso inutile più che brutto) ci sia soprattutto il sostentamento del baraccone commerciale, distributivo e di immagine come per qualunque altra merce, come per il pomodoro che costa pochi centesimi all’agricoltore e diversi euro al consumatore; secondo me c’è qualcosa che non quadra, cioè avevamo bisogno che anche per i libri si mettesse in piedi il solito circo, come se fossero scarpe sportive, pannoloni o spazzolini per denti?
    io leggo circa 50 libri all’anno; ho fatto il conto che arriverei a spendere 1000 euro all’anno mediamente; per una persona che nella vita fa tutt’altro è una spesa immensa…

  13. Parlando sia da editore che da lettore, solleverei qualche interrogativo.

    Indipendentemente dalla questione sconti e relativa legge, c’é chi dice che, per combattere l’italiana “non abitudine alla lettura”, il prezzo dei libri andrebbe tendenzialmente abbassato, si parla di lettori forti, di lettori deboli.

    In Italia viene evaso quasi il 50% dell’imponibile, le strade sono piene di SUV, le botteghe di “nero”, gli abiti di griffe, le borse di cellulari, le case di televisori e computer, tutti i luoghi e tutti i laghi di oggetti di lusso e barche. La lista potrebbe allungarsi, ma è già sufficiente.

    Quanto può costare un libro, bello o brutto che sia?
    Costa troppo confrontandolo con qualsiasi altro “bene” che acquisteremmo senza pensarci un nanosecondo?
    Non si acquistano libri perché costano troppo?

    Forse gli unici a non poterseli realmente permettere sono quei 7/8 milioni di italiani poveri (quelli veri), resi tali anche dalla scarsa abitudine alla lettura di alcuni.

    Il problema dello sconto sui libri è una questione indissolubilmente legata al concetto di concorrenza. L’obiettivo di una legge che regolamenti un mercato è principalmente quello di garantire lo sviluppo del settore, assicurando pari opportunità di penetrazione del mercato a parità di valore e impegno, indipendentemente dal fattore “dimensione”.

    Un “piccolo” che produce qualità ha diritto di accesso all’utile in termini economici.

    Non si vuole entrare nel merito della contingente legge sul libro, la quale richiederebbe maggiori approfondimenti per poterne comprendere i risvolti e le conseguenze, anche con dati alla mano.
    Ciononostante, riteniamo che a una legge che male interpreta il mercato al quale e indirizzata sia preferibile di gran lunga un’assenza di legge, assenza che, se non altro, consente al “piccolo” di trovare spazio grazie ai propri “colpi di genio”.

  14. Interscienze, sarei disposta a spendere il doppio per l’ennesima edizione de La luna e i falò o per una raccolta di racconti di Dick eccetera eccetera ma dopo averne spesi 24 o 25 (cinquantamila lire!!) per un bel cartonato di 100 pagine scarse di narrativa contemporanea di infima qualità un po’ mi girano.

  15. Scenario ottimistico

    +100) PREZZO DI COPERTINA 10,00 €

    -4%) IVA pari a 0,40 €.

    -8%) All’autore è moralmente dovuto il riconoscimento di diritti economici: 0,70 €.
    -13%) L’editore si occupa di revisione (spesso consistente), controlli di bozza, progetto grafico, impaginazione, promozione e altro, fasi che implicano prestazioni professionali da remunerare, oltre ai costi fissi: 1,30 €.
    -10%) Stampa: 1,00 €.
    -50%) Al distributore vanno almeno 5,00 €.

    100% -(4+8+13+10+50)% = 15% [1,50 €] lordi

    PS: del 50% trattenuto dai distributori, circa il 30% va alle librerie le quali, a loro volta, hanno pesanti spese.

    Come spesso capita, tranne nel caso di discreti successi editoriali o di ampiezza e diversificazione del catalogo, l’unica ad arricchirsi è Gloria, colei che viene mantenuta dall’esercito di lavoratori per passione.

  16. La piccola media libreria per essere esistita sin qui, gia da tempo è stata identificata attorno alle specializzazioni che si è saputa ritagliare. Proporre qualità e competenze è l’unica salvezza e distinzione dalla cultura del saldo. Credo sia necessario puntare sulle opportunità di incontri, sulle possibilità di far ascoltare voci all’interno dei propri spazi e far essere le nostre librerie punti di dibattito e confronto, spesso, diciamolo i primi a farsi irretire dal bollino rosso siamo stati noi, in qualunque veste, librai o consumatori.
    La qualità della lettura è più soffocata dalla ridondanza delle uscite che non dalle promozioni
    alessandro assiri
    bocù libreria
    verona

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