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carta st[r]ampa[la]ta n.28

di Fabrizio Tonello

Seppellito Marx. Distrutto Lenin. Incriminato Stalin. Dimenticato Roosevelt. Svergognato Togliatti. Ridimensionato Berlinguer. Cosa resta alla sinistra italiana? Harry Potter e Obama, a quanto sembra. Ma la Rowling non scrive più e Obama precipita nei sondaggi. Era rimasta una sola icona all’internazionalismo proletario, un faro per i progressisti di tutto il mondo, una consolazione per i nostalgici del socialismo: i Beatles. Sì, il quartetto di Liverpool autore di memorabili canzoni di lotta come “Michelle ma belle, these are words that go together well”.

Sostituito l’obiettivo della dittatura del proletariato con quello della dittatura del magistrato, il Minculpop guidato da Eugenio Scalfari, Concita Degregorio e Manu Chao avrebbe cancellato dal repertorio delle (ex) Feste dell’Unità L’internazionale, Bandiera Rossa e perfino Bella Ciao, imponendo che all’inizio e alla fine di ogni giornata di dibattiti sia suonato il nuovo inno unificante e unificatore: Imagine dei Beatles.

E così sabato 14 agosto, mentre noi giocavamo con palette e secchielli, Il Foglio ha vibrato il colpo mortale contro ciò che rimaneva della cultura di sinistra, definendo “citrullo” John Lennon, “mediocre” Ringo Starr e “copioni senza vergogna” i Beatles. Alla penna sadica di Camillo Langone sono bastate 30 righe in prima pagina per distruggere l’ultimo mito degli antiberlusconiani. Pare che Veltroni, Realacci e la Melandri siano stati visti mentre vagavano in stato confusionale a Capalbio, scoppiando improvvisamente a piangere ogni pochi minuti.

Per il noto musicologo Langone, Imagine “è un testo da centro commerciale, perfetto per favorire gli acquisti”. Guarda, guarda: non sapevamo che al Foglio avessero qualcosa contro i centri commerciali visto che, dalla nascita, il giornale consacra la parte migliore delle sue energie a difendere l’ex proprietario della Standa, un ben noto trapiantato pilifero che ama esibirsi in canzone pseudonapoletane di fronte a fanciulle cresciute in convento.

Ma veniamo al cuore delle accuse contenute nella devastante prosa Langoniana: “Il critico Piero Scaruffi ha analiticamente spiegato come gli Scarafaggi fossero dei copioni senza vergogna e imitassero i Beach Boys in ogni dettaglio, dalle armonie vocali al modo di suonare il basso a quegli arrangiamenti barocchetti che sono arrivati fino a Cesare Cremonini, pari pari. Chi non ci crede ascolti God only knows, pubblicato dai californiani un anno prima di Sergent Pepper, e trasecoli”.

Intanto che noi poveri radical-chic trasecoliamo di fronte a scoperte così originali, vediamo cosa dice il ponderoso dizionario Ragazzini 2011 alla voce “scarafaggi”: traduzione inglese cockroach. Nel testo di Langone “Scarafaggi” era scritto maiuscolo, quindi non doveva trattarsi di un giudizio spregiativo ma di un riferimento al nome del gruppo: forse che “beatles”, in inglese, sono gli insetti grossi e neri che ossessionavano l’immaginario di Kafka? Non proprio: coleottero e, talvolta, scarafaggio in inglese si dice anche “beetle”, con due “e”, che c’entra con “beatle” quanto “seem”, sembrare, c’entra con “seam”, cucire.

I Beatles copiavano i Beach Boys? La risposta è meglio lasciarla alle fonti: Derek Taylor, il loro addetto stampa, si trasferì a Los Angeles nel 1965 per lavorare proprio per i Beach Boys e, a casa sua, si incontrarono Brian Wilson e Paul McCartney. Ecco cosa scriveva Taylor: “C’era stato, per molti anni, un legame di mutua, calda ammirazione, tra i Beach Boys e i Beatles, uno scambio di esultanza ad ogni nuovo disco degli altri (…)

Negli anni tra Surfin’ Safari e Revolver, Lennon/McCartney e Wilson osservarono lo sviluppo del lavoro reciproco con crescente interesse e con una sostanziale influenza sulle loro sperimentazioni” (John Luerssen, The Beach Boys: the essential interviews).

I rapporti erano eccellenti: Lennon definì Brian Wilson, il fondatore dei Beach Boys, “un genio” e Wilson riconobbe lo stimolo dato da Rubber Soul nel creare il loro album di maggior successo, Pet Sounds, la cui canzone più importante, Good Vibrations, era stata suonata da lui in anteprima per Paul McCartney nel 1966 a Los Angeles. Non a caso Paul definì poi Pet Sounds il migliore album che avesse mai sentito, con God only knows la sua canzone preferita. Ma, come i corni che si sentono nell’esordio di God only knows ricordano il secondo atto del Crepuscolo degli dei di Wagner, così Sergent Pepper lascia trapelare molteplici influenze musicali, tra cui quella dei Beach Boys.

Sia Wilson che McCartney erano “dotati per la melodia, arrangiatori istintivi e chitarristi elettrici precoci. Wilson non era al livello di McCartney come cantante o scrittore di liriche ma nello studio di registrazione, dove faceva anche il produttore dei dischi dei Beach Boys, era senza pari” scrive il biografo dei Beatles Jonathan Gould, che ha dedicato un intero libro, Can’t Buy Me Love, al rapporto fra i Beatles e gli Stati Uniti. E proprio Gould non ha remore nello scrivere: “Pet Sounds aprì gli occhi di Paul [McCartney] su un mondo di eclettiche possibilità musicali e fu in base allo standard fissato da questo disco che avrebbe misurato il suo stesso lavoro nell’anno successivo”.

Qualcuno crede davvero che il rapporto di emulazione tra due gruppi famosi in tutto il mondo, e diversissimi tra loro, possa essere definito “plagio”? Che i Beatles “copiassero” era un segreto così ben difeso che ci voleva il Foglio per scoprirlo, quarant’anni dopo?

Ah già, forse era un complotto della sinistra, che ha censurato queste tremende rivelazioni per preservare la propria identità. Probabilmente c’era anche lo zampino della Procura di Milano.

Conclude Langone: “Io poi, francamente non capisco perché qualcuno si interessi ai Beatles quando esistono gli Stones, i Groove Armada, gli Interpol”.

Quanto agli Stones, il fatto che dei settantenni schiamazzino in pubblico urlando “I can get no satisfaction” sembra una pubblicità per il Viagra più che una performance musicale degna di nota. Per il resto, speriamo che nessuno confonda gli Interpol (uno dei tanti gruppi americani post-punk) con l’Interpol vero e proprio, altrimenti Verdini, Cosentino, Caliendo, Brancher, Scajola e altri beniamini del Foglio potrebbero pensare di essere stati scaricati da Giuliano Ferrara e scappare in Libia col motoscafo di Briatore: da villa Certosa sono al massimo un paio di giorni di navigazione.

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8 Commenti

  1. Ed io che credevo che la cultura di sinistra fossero Giorgio Colli, Tommaso Landolfi, Volponi, Anna Maria Ortese, Piero Camporesi, Sbarbaro….Burri, Morandi… è pretendere troppo da laureati contemporanei, scarsamente leggenti?

  2. secondo me lancone sbaglia anche perché non vorrei che è pazzo o drogato o alcolizzato vivendo tutta la giornata sperando di avere delle avventure con delle donne disperate su fb o parlando di religione grazie a quei soldi che gli da ferrara che li ha avuti da berlusconi. grazie e scusate

  3. allora ho appena finito di parlare a telefono con quell’amico dei servizi segreti (non deviati) e mi ha spiegato un sacco di cose. ha detto che è vero che imajin fa schifo ma che non è vero che i beatles copiavano dai beach boys. poi mi ha detto un sacco di cose segrete su langone e cioè che fu fatto scrivere da veneziani all’epoca che servivano gli uomini di cultura non di sinistra e che però poi litigarono. poi mi ha detto una cosa molta brutta che non posso raccontare perché c’è la privacy e mi ha anche detto che ha alcuni vizi e cioè ha anche lo stesso vizio di novi di milano. e poi mi ha raccontato che effettivamente cerca di fare i favori sessuali alle donne, e questo si può dire perché non è reato in quanto anche il presidente berlusconi telefonò a saccà per cercare di avere la maggioranza in senato. se volete sapere altre cose legali ditemelo perché il mio amico sa quasi tutto e me lo dice

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