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più precari di così

di Maria Angela Spitella

Giacomo sembra San Francesco, è vero, ha l’accento siciliano, ma i modi e la faccia ricordano quelli di un Francesco laico. Parla pacatamente, oramai lo sciopero della fame ha superato le due settimane. Ha la bocca impastata, ma lo sguardo sereno e disteso. Le parole sembrano quelle del poverello di Assisi, ma al contrario lui non ha scelto di essere povero. E’ uno dei 200 mila precari della scuola, uno che tra i banchi non ci tornerà sicuramente, affamati dalla riforma del ministro Gelmini.

Sì, tra i banchi, perché Giacomo porta avanti la sua battaglia come operatore scolastico, non è un insegnante ma un bidello, che lotta con gli altri colleghi per il posto di lavoro e quindi per una scuola migliore.

Lo sciopero della fame è emblematico, il presidio davanti a Montecitorio, la Camera dei deputati, resiste.

La protesta dei precari continua a viaggiare per tutta Italia, da sud a nord. Lo scorso anno erano i precari dei tetti, oggi sono quelli dello sciopero della fame. Il 13 settembre in gran parte del paese riapriranno le scuole, ma loro, Giacomo, Caterina, Marco e i loro colleghi non entreranno nelle aule insieme agli studenti e forse non ci entreranno mai più. Li abbiamo incontrati davanti alla Camera dei Deputati.

Un piazza deserta, presidiata dalla consueta camionetta dei Carabinieri e, lontano dall’entrata usata dai Deputati, la tenda canadese che è la loro camera da letto.

Sono le dieci di mattina, e i tre ragazzi, Giacomo di 31 anni, Caterina di 37 e Marco di 35 sono già in piena attività. La piazza è semideserta. La Camera è chiusa, i lavoro parlamentari riprenderanno a metà settembre.

“E’ stata una scelta ragionata, ci spiega Giacomo, quella di iniziare lo sciopero con le Camere chiuse, vogliamo attirare l’attenzione della gente e non solo quella dei politici”.

Anche Caterina ha la bocca impastata, lei è battagliera, sono 14 anni che è precaria, ma non ha mai pensato di mollare, nonostante abbia tre figli, una famiglia, ha sempre lavorato sperando di anno in anno di venire assunta e “invece lo stato mi assumeva e poi ogni anno mi licenziava. Così sono volati 14 anni. E quest’anno non sono stata chiamata”.

Anche lei è siciliana, maestra elementare, con Giacomo si sono conosciuti per lottare insieme.
Anche lei, nonostante sia stremata dallo sciopero della fame e dal grande caldo ha un viso disteso, non è la guerra che vogliono ma semplicemente un posto di lavoro, lottano per dei diritti fondamentali e lottano perché la scuola non venga disgregata.

Ci sediamo sulle sedie di plastica e sembra di stare in un cinema all’aperto. Fa uno strano effetto sedersi con lo sguardo rivolto a Montecitorio mentre si parla di problemi che non interessano solo i lavoratori del settore scuola, ma dovrebbero interessare tutte le persone, perché tutti prima o poi veniamo a contatto con la scuola. Prima da allievi, poi da genitori, e magari anche da insegnanti.

La scuola così bistrattata è il primo luogo dell’infanzia dei nostri figli, nel quale imparano a confrontarsi con l’altro. In un paese che dovrebbe essere democratico, l’istituzione scolastica è tenuta a considerare tutti i cittadini nello stesso modo, e a formare le donne e gli uomini del futuro.

“Ma come si può”, ci dice Marco, precario dal 2000, professore di lettere alle medie, figlio d’insegnanti, che gli hanno trasmesso l’amore per l’insegnamento, “non accorgersi che lasciare fuori i precari dalla scuola significa procurare al paese un dramma, oltre che occupazionale, anche sociale”. Sì perché non dimentichiamo ci ricorda Marco “che gli insegnanti e il personale che lavora nella scuola svolge, non solo un compito educativo, ma anche sociale”. “Ho insegnato 10 anni nelle scuole del Lazio, e mi sono accorto che i ragazzi non hanno più sogni da realizzare, vivono tra insegnanti e genitori precari”.

Anche Caterina, maestra elementare che aspetta da 14 anni il posto di ruolo e continua lo sciopero della fame per tutti i precari, ci spiega che lo scorso anno ha dovuto lasciare i tre figli e il marito per andare a lavorare in una scuola elementare di Brescia. “Ho dovuto spiegare ai miei ragazzi di 14, 9 e 5 anni, perché li “abbandonavo” per un anno. In Sicilia non mi chiamavano più per le supplenze.

Ho trovato – ci spiega Caterina, sempre con il sorriso sulle labbra – una grande solidarietà dai colleghi bresciani”. Anche con i genitori è stata una bella esperienza “certo loro hanno il timore che dopo qualche mese si lasci la classe, ma fortunatamente non è stato così”. Insomma il problema dei precari è come un castello di carte, quando inizia a cadere la prima cadono tutte.
Giacomo riprende le fila del discorso di Caterina. “ Vorrei dire al Ministro Gelmini che 160 mila tagli non si possono definire una riforma, ma dobbiamo chiamarli con il loro nome: tagli”. “Sono 160 mila vite con dentro altre vite, e quando si perde il posto di lavoro – spiega ancora Giacomo – cambia il rapporto con la famiglia, la moglie i figli, cambia la vita sociale”. Ed è la scuola stessa che dovrebbe concentrarsi intorno alla vita, dietro ad ogni studente – ricorda Giacomo come se volesse parlare ad un Governo che lo ha dimenticato – c’è una storia, e il progetto futuro di un paese democratico”.

“Al Ministro Gelmini che ha dichiarato che in Italia ci sono più bidelli che Carabinieri, chiosa Giacomo – vorrei ricordare che per fortuna ci sono più scuole che caserme. Il rapporto tra bidelli e alunni è di uno a 100”.

Dal 13 cosa faranno Caterina, Marco, Giacomo, “bella domanda” rispondono quasi all’unisono, continueranno certamente la lotta per i diritti sanciti dalla Costituzione della Repubblica Italiana, quello al lavoro e quello allo studio.

La piazza è ancora vuota, non ci sono auto blu, e non c’è il viavai solito dei parlamentari, ma al presidio dei precari che scioperano si è formato un capannello di gente che porta solidarietà a chi ha il coraggio ancora di lottare per i diritti di tutti.

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39 Commenti

  1. Già, che fare. Tutti noi che abbiamo scoperto che la scuola tutto sommato ci piace e ci fa sentire utili.

  2. Esasperata, incredula, perplessa, a seconda delle giornate e dell’umore, continuo a chiedermi da anni (mi è già capitato di farlo pure qui su NI)perché il discorso sulla scuola non susciti commenti a centinaia, dibattiti, prese di posizione. Perché non appassioni. Perchè Mondadori sì-Mondadori no crei diatribe e discussioni infinite, come se il discorso sfregasse la pelle viva della gente, e la scuola, con cui tutti abbiamo avuto, abbiamo e continueremo ad avere a che fare, invece nisba. ‘avoglia che ci siano precari che rischiano di rimetterci la pelle! Silenzio.
    Comunque, in aggiunta allo scandalo di 160.000 (centosessantamila!!!) persone che, perdendo il lavoro, non sanno dove sbattere la testa, allo scandalo didattico di una “riforma” che taglia posti perchè taglia ore di insegnamento (di laboratorio, di matematica, mica di religione, ad esempio), ecco un’altra ciliegina di cui si parla poco o punto: il Ddl 2096, altrimento detto popolarmente “legge Balilla”.
    Grazie alle sollecite cure di LaRussa Meloni e Tremonti, i nostri ragazzi, visto che sarà difficile trovare un lavoro altrimenti, potranno sempre contare sull’accoglienza da parte del patrio esercito e, durante la scuola, potranno usufruire a spese dello Stato, di interessanti e fruttuosi stages nelle caserme, dove, invece, dell’inutile chimica, per dire, si potrà imparare a usare una bella pistola vera (ancorché, si spera, caricata a salve).
    Parte dei finanziamenti verranno dalla ristrutturazione dell’erogazione dei soldi al Fondo d’Istituto. Ovvero: fino ad oggi le scuole potevano accantonare i finanziamenti non spesi per progetti o visite d’istruzione per pagare, chessò, qualche soldo a supplenti che sennò le classi stanno scoperte, da oggi no: quello che non spendi te lo ritira lo Stato per insegnare ai ragazzi a sparare.
    Chiarimenti qui:

    http://it.peacereporter.net/articolo/23433/Cultura+di+guerra

    e qui:

    http://ricerca.gelocal.it/messaggeroveneto/archivio/messaggeroveneto/2010/08/03/PN_02_PNB13.html

  3. Se i tagli gli facessero a tutta quella schiera di Ministeri e sottosegretari che servono a chissà cosa anziché tagliare il futuro del Paese vivremmo in un paesello di provincia come il nostro?

  4. cara@caterina, capisco il tuo scoramento, ma come si può commentare un post come questo, da parte di chi dalla scuola è fuori e non ha figli, se non con una generica solidarietà? tipo inutile firma sotto un manifesto?
    non credo che a te interessi questo
    io non mi sorprendo del mio non-commento, potrei dire solo cose generiche, da lettrice di giornali, mi sorprendo piuttosto dei non-commenti degli insegnanti e dei genitori, ma forse non frequentano NI

    probabilmente, fuori dalla generica levata di scudi solidarizzante, il problema della scuola è fatto di troppi problemi che richiedono competenze precise, e per di più la sua criticità è troppo annosa, precari a parte, perché sia facile individuarla da chi non ci lavora dentro, anche politicamente

  5. Ma anche parlare di posizione degli intellettuali nella società, alcor, di editoria, di poesia nonchè di fisco e di contratto dei metalmeccanici dovrebbe richiedere competenze tecniche precise. C’è forse un discorso che si pretenda sensato che non le richieda? Ma nessuno degli argomenti di cui sopra gode di una rimozione pari a quello della scuola nell’opinione pubblica o quel che l’è. Soprattutto se qui, in questo preciso luogo, ci riferiamo alla componente “intellettuale” della stessa che, per diventare “intellettuale”, qualche annetto di scuola l’ha pure fatto.
    No, non credo che sia questione di competenze, e nemmeno di senso di impotenza difronte alla mole e all’arcaicità del problema. Ci dev’essere qualcosa di più sottile e di più velenoso che tiene la massa delle discussioni lontane dal problema scuola. Azzardo che si tratti , almeno in parte ma una grossa parte, del fatto che il tema della scuola evoca in esempio del famoso universo concentrazionario, che la scuola ricorda troppo un’idea di costrizione, di coazione, di dovere. La scuola è un mondo a parte che si “deve” ahimé, attraversare che ma che poi si è felici di lasciare per entrare nella “vita vera”. Credo che sia questo: un pensiero adolescenziale che ci abita un po’ tutti quanti.
    Credo pure che, anche proprio per questo, l’ideona di Larussa & C. avrà parecchio successo. Sono due anni – prima non mi era mai successo e insegno da più di vent’anni – che dei ragazzi delle classi quarte e quinte, bravi, in gamba, intelligenti (uno, anzi, pressochè geniale) abbiano espresso il desiderio di entrare nell’esercito. Personalmente mi sono trovata in notevole difficoltà a discutere le loro aspirazioni.
    E questo è un fatto. Così come è un fatto che non si discute pubblicamente del senso dell’insegnamento delle “lettere” a scuola. Mi chiedo perchè in un cosiddetto litblog la questione non venga mai sollevata. Gli “scrittori”, gli “intellettuali” che tipo di lettore credono che esca da scuola? Che tipo di lettore vorrebbero? Cose così

  6. Ma il problema Mondadori sì / Mondadori no era prevalentemente un problema di strategia politica, con inserti di perline morali, nel quale in fondo siamo tutti versati, anche quando non lo siamo, e molti degli intervenuti avevano anche conoscenze più o meno ampie di che cos’è il lavoro editoriale, e tutti erano almeno “lettori”, cioè chiamati in qualche modo personalmente in causa.

    Credo che il problema stia nella definizione di intellettuale, che solo in senso molto lato si può applicare all’insegnante, perché è l’intellettuale [nel caso Mondadori gli scrittori in prima persona] a rendere il problema problema di tutti, con la rappresentazione che ne dà, capace di indicare la criticità collettiva, sulla quale poi si discute.

    Da questo punto di vista gli insegnanti sono muti. O sembrano muti, potrebbe essere che davvero io sia meno informata persino di quel poco che so di essere.

    Poi però potresti avere ragione quando dici che la scuola è un mondo a parte che si “deve” attraversare. Per me in effetti è stato così, mi dispiace dirlo proprio qui, ma uscirne per me è stata una liberazione, l’ho odiata, e ho ritrovato la serenità solo quando l’ho finita. So però che non è stato così per tutti, c’è anche gente che l’ha amata.
    Se tuttavia è in parte come dici, la parola, davvero, tocca prima di tutto a voi insegnanti, raccontatecela, chi se non voi può farlo?

  7. Che sia un problema di angolo visuale? Prospettare il dramma della scuola innanzitutto dal versante occupazionale innesca probabilmente invidie e luoghi comuni più o meno inconsci (i professori non rispondono a nessuno, hanno 3 mesi di ferie, lavorano 18 ore a settimana… etc.) che compromettono e rendono pelosa qualsiasi solidarietà pure istintiva. Nelle macerie di quella che fu l’Italia, l’insegnante è un nemico del popolo (della… ggente) perché non vende, non diverte, non mente (sicché giustamente non guadagna): il sapere è il più schifato degli orpelli perché non è alla portata di tutti, perché complica ciò che viene spacciato per semplice. Caracaterina si preoccupa a ragione del riscontro mediamente tiepido (talvolta infastidito) di N.I. E che una commentatrice sincera e arguta come Alcor imputi alla scuola stessa che la scuola non sia problema di tutti (IL PROBLEMA di tutti e di tutta la società!, si passi l’enfasi) è certificazione preoccupante delle macerie e dei luoghi comuni.

  8. Se ho dato l’impressione di imputare alla scuola stessa il fatto che il problema della scuola non sia un problema di tutti mi sono espressa male.
    E’ ovvio che la scuola è un problema di tutti (assieme ad altri), ma forse è un problema della scuola – nel senso in cui lo pone @caracaterina -non saperlo raccontare, anche perché il problema della scuola sono molti problemi insieme, quello della figura dell’insegnante, quello della qualità dell’insegnamento, quello delle privatizzazione dell’insegnamento, quello dei mezzi, quello del precariato, forse sono troppi e non sempre capiamo (noi cittadini che non abbiamo con la scuola un rapporto diretto) chi parla, da quale punto di vista, su quale di questi aspetti sta puntando l’attenzione e – se non sono divisibili – in quale modo si intreccino e siano interdipendenti.

    Tra il lato sindacale della questione e quello culturale non sempre chi guarda dal di fuori vede chiaramente il nesso, perché non basta dire – mi pare – più insegnati e più mezzi = insegnamento migliore, non mi sembra così automatico, o almeno a me, che ho fatto le elementari con una sola maestra e senza il tempo pieno. Mentre mi è chiaro perché ci vogliano insegnanti di sostegno.
    Perché io capisca che tre insegnanti alle elementari sono necessari per la equilibrata formazione di un bambino me lo dovete spiegare bene. A me che non c’entro. Se pensate che fare questa domanda sia scorretto, io non capirò e sarò una spettatrice tiepida delle vostre richieste. Solidale, sì, al pensiero che tanta gente sia a spasso, ma estranea.

    L’esempio delle tre insegnanti elementari l’ho fatto ovviamente per comodità, è il primo che mi è venuto in mente, ma anche il fatto che mi sia venuto in mente questo secondo me è significativo, vedo problemi specifici, che sono stati raccontati specificamente, ma il quadro completo mi sfugge e mi chiedo anche se lo racconterebbe allo stesso modo un insegnante di scuola elementare, o media o superiore, un precario o un insegnante con il posto assicurato e una pensione certa.

  9. so che può risultare banale, ma sicuramente confusamente, da mamma lascio il mio piccolo parere.
    fa bene Alcor a sottolineare che il problema sia di tutti, perché sarebbe impensabile una società che veda nella scuola un problema estraneo e relegato agli addetti ai lavori.
    che piaccia o no, è attraverso la scuola e le sue esperienze positive e/o “noiose” che ciascuno di noi si è formato su più fronti: a) quello puramente nozionistico e culturale; b) quello “sociale”, imparando a convivere con coetanei e regole adulte, …
    Ma veniamo a noi, la scuola è prima di tutto un diritto; diritto all’educazione ed alla conoscenza, ed in quanto tale, di essa deve essere “strumento”. Ora, questo strumento non funziona, si inceppa, arranca. Ragioni?
    Nella maggioranza dei casi la scuola viene vissuta da famiglie e alunni come un “dovere” da compiere nel minor tempo possibile per avere un pezzo di carta da esibire. Il problema “cultura” sembra essere marginale e di interesse di una minoranza, tra l’atro benestante nella maggior parte dei casi, che per ovviare al degrado pubblico è disposta a pagare fior di quattrini ad istituti privati, che garantiranno ai pargoli una formazione elitaria, e culturalmente e socialmente. (percorso/differenza che si completa di fatto in altrettante prestigiose università private – spesso in mano al clero).
    la classe impiegatizia e la classe operaia, ormai camminano sullo stesso binario, con un destino pubblico di scarso rendimento; e generalmente provengono (parlo dei 40enni di oggi) dalla vecchia “scuola di pensiero” che diceva “sbrigati a diplomarti così poi ti trovi un lavoro”, cosa oggi assai improbabile per i vntenni e trentenni, figuriamoci per i figli dei figli!
    torniamo alla scula, che mi dilungo e perdo il filo tra i miei contorti pensieri… dunque, dicevo che la scarsa attenzione è in primis da parte delle famiglie, che si preoccupano più dei problemi logistici e pratici della scuola (che non mancano anche quelli!) piuttosto che dei programmi e della realtà educativa dei figli…
    ma voi vi ricordate le mamme ed i papà che controllavano i compiti dei figli? Oggi mamme e papà con questo tempo libero ce n’è sempre meno, e se hanno tempo libero proporzionalmente alle loro entrate economiche, preferiscono impegnarlo in svariati altri modi… almeno questa è la mia sensazione.
    bon, piccolo esempio pratico:
    ho un bambino di 9 anni, da lunedì prossimo in 4° elementare. Ogni inizio anno c’è da pagare un’assicurazione con conto corrente postale, l’assicurazione va a garantire e l’istituto e l’allievo in caso di infortunio nell’ambito dell’orario scolastico. Tale assicurazione fino all’anno passato ammontava a poco più di € 3,00 mentre da quest’anno è aumentata ad € 15,00. Non cambiano la vita di una famiglia, bene! ma la spiegazione di tale quintuplicazione di pani e pesci? cito: “l’importo va a coprire le spese per le attività didattiche svolte in classe”
    – oh! perbacco!
    C’è da dire inoltre che l’anno passato l’attività didattica è stata essa i crisi ad ogni assenza di docenti, ma non soltanto dei docenti propri della classe di mio figlio, e no! perché essendo stati effettuati notevoli tagli relativamente alla possibilità di chiamare dei supplenti, i docenti presenti dovevano spesso curare non solo la classe loro assegnata, bensì unificare spesso più classi facendo vagare per i corridoi i bambini con dietro zaini e sedioline… Ora, al di là del problema logistico e la scomodità di fatto, ma che tipo di continuità didattica si può stablire in questo modo?
    e questo non è un problema solo degli insegnanti, ma nemmeno solo delle famiglie: è un problema di chiunque abbia a cuore il futuro della nostra società, mi pare… o sbaglio? no, perché a volte, in tutta la mia concitata confusione, mi sento una marziana.
    mi fermo qui… spero di non aver annoiato.

  10. Alcor ha ragione quando parla del mutismo degli insegnanti, della loro autoreferenzialità. Se penso ai libri, ai romanzi, scritti da insegnanti-scrittori (o viceversa), al momento mi vengono in mente solo quelli di Lodoli, Starnone e la Mastrocola. Ah, e poi il primo di Scurati, che ho lasciato ben prima della metà. Libri dai toni consolatori, o elitario-risentiti o malinconico-comici. Una pena. Non so davvero perchè è così ma lo è.
    Vedo anche le riunioni nella mia scuola in questi giorni: abbiamo da discutere la programmazione dei bienni in ragione della riforma, del taglio delle ore, dell’eliminazione di alcune materie, dell’introduzione di altre. Annaspiamo, ci difendiamo, ci risentiamo gli uni con gli altri senza però nè incazzarci nè chiarirci mai bene le rispettive posizioni. E non sono cose belle da dire “fuori”. Sicuramente, se qualche mio/a collega mi leggesse adesso (cosa del tutto improbabile, fra l’altro, e anche questa, secondo me, la dice lunga), negherebbe, cercherebbe di smentirmi, rivendicherebbe.
    Con l’ “esterno”, pubblicamente, si affronta praticamente solo la questione sindacale, o meglio, a-sindacale, perchè sembra quella più facilmente comprensibile, quella che sembra avere un linguaggio traducibile, comune a tutti: tutti capiscono (pensano di capire) cosa significa perdere il lavoro, non avere soldi, la fame ecc. Ma è evidente che non serve a niente e, anzi, come osserva niky lismo, spesso è controproducente.
    E poi, altra cosa: questo insistere, quando qualche “esterno” si butta ad affrontare la questione, sulle elementari, sui bambini, al massimo sulle medie (non mi riferisco nello specifico a natalia, che anzi ringrazio, ma, in generale, alla stampa, ai media, che danno voce a maestre, a – bravissime – insegnanti delle medie, vedi la Spicola, ad esempio). Ecco, a questo proposito, forse un po’ arbitrariamente, mi viene in mente quel post di pochi mesi fa di Sartori (oddìo, mi sembra lui, non vorrei sbagliare, nel caso chiedo scusa), quello in cui si ironizzava sull’abbondanza di bambini nei romanzi italiani di successo. A me sembra un altro indicatore di scarso coraggio, è un modo molto cauto di avvicinarsi al territorio segregato e inquietante della scuola, affrontandolo dal versante che sembra più facile, meno ostile. Si “infantilizza” così almeno si può “entrare”. Poi lì, nella scuola elementare e primaria dico, son tutte donne e anche quello aiuta sia a parlarne, per quanto di traverso, sia a “non” parlarne.
    Insomma, più vado avanti (e questo succede a tutti) più il groppo il groviglio di problematiche si mostra nella sua complessità e nella sua enorme difficoltà a venir rappresentato. La scuola è uno gnommero di grovigli culturali, sociologici, politici, psicologici e poi ancora tecnici e organizzativi ed economici. Una boscaglia, una terra incognita che ancora aspetta un esploratore e la sua relazione. Hic sunt leones.
    E tutto questo ha moltissimo, forse tutto, a che fare con l’agonizzante stato della democrazia italiana.

  11. caracaterina, perdonami, ma se una come te si lamenta che non si parli della scuola e poi quando se ne parla cita scrittori e si lamenta del fatto che si parli di ellementari… beh, allora la scuola è ciò che merita di essere.
    dopodicché un solo punto: quando fanno schifo le classi elementari i danni e le lacune si portano sul groppone a vita.
    ora saluto e grazie per aver sottolinato la non allusione alla mia esperienza di madre… la prossima volta parlerò di quella da ex docente di classi superiori e corsi universitari.
    salut.

  12. Così infatti lo si vede da fuori, o almeno così lo vedo io, come una matassa inestricabile di problemi che – e questa è davvero l’unica cosa che penso di poter dire da “esterna”, curiosa parola, ma che sintetizza bene il sentimento delle cose – non si scioglierà se da dentro non arrivano analisi chiare invece delle sole testimonianze di casi particolari di questi mesi, quasi tutte concentrate sul problema in questo momento più caldo che è quello dei precari. Problema enorme, ma se per miracolo fosse risolvibile, la scuola, come sarebbe? Questa riflessione mi piacerebbe vederla rappresentata di più. E mi chiedo anche, ma come si è potuti arrivare nel silenzio a una situazione come questa?
    Comunque,@caracaterina e @natalia per quel che vale, io non penso affatto che sia un problema che non mi riguarda, anche se non ho riflessioni da offrire.

  13. natalìa, la scuola merita di essere ciò che è sicuramente. Ma la mia intenzione era di osservare le declinazioni in cui il discorso pubblico sulla scuola appare, quando appare. non di lamentarmi dei singoli interventi.
    Sono la prima ad avere difficoltà a parlarne e mi sembra che si capisca abbastanza. sono la prima a balbettare quando si tratta (e seguo il discorso fatto da alcor più su) di “rendere il problema problema di tutti, con la rappresentazione che ne dà, capace di indicare la criticità collettiva, sulla quale poi si discute.” Credo che raccontare l’esperienza personale senza osservare i modi in cui si racconta, le intenzioni, il linguaggio che si usa non porti molto avanti un discorso “critico”, così come lo penso fattibile qui dentro. Ma magari sbaglio.

  14. @alcor, non ti avevo visto. non penso affatto che tu abbia detto che non ti riguarda, credo di avere compreso il tuo punto di vista. Credo che la tua dichiarazione su come hai vissuto tu la scuola sia un punto importante, centrale. Insisto su questo vissuto di separatezza della scuola rispetto alla “vita”. Credo che sia qualcosa che condividiamo tutti, “dentro” e “fuori”. Ho l’impressione che abbia molto a che fare col senso di separatezza fra cittadino e stato, fra società civile e politica. La domanda su come siamo arrivati fin qui che tu, alcor, ti fai in relazione alla scuola è la stessa che ci facciamo rispetto alla condizione generale di questo paese.

  15. Credo di non conoscere abbastanza a fondo tutte le problematiche che investono la scuola e sicuramente questa è una grave colpa. Vorrei qui dire brevemente due tre cose che comunque rappresentano in qualche modo la percezione del degrado che avverto e di cui la scuola rappresenta una delle cause-conseguenze piu’ gravi.

    1) lo status dei professori
    Al contrario di altri paesi (per esempio la germania che conosco molto bene), dove il ruolo professore nell’ambito della società gode di un elvato status e riconoscimento che si traduce sia nella preparazione, nella serietà e nell’impegno del lavoro svolto, ma anche nella sua remunerazione, qu ida noi il professori non gode di nessun riconoscimento sociale; il lavoro viene percepito come un’occupazione di ripiego per masse di diplomate-laureati, specie meridionali, che non trovando lavoro alternativo, cercavano, il piu’ della volte senza passione, senza impegno, senza serietà di assicurarsi la pagnotta.
    Stipendio basso, ma nello stesso tempo poche ore di lavoro, molti mesi di vacanze, che consentivano a molti professori di svolgere uns econdo lavoro.
    Attenzione io parlo di percezione, non ho dati che mi permettano di fare un’analisi piu’ realistica.
    2) scarsi investimenti, destinati alle strutture scolastiche in genere fatiscenti, poche possibilità di assecondare il talento artisco o sportivo degl iscolari (musica pittura teatro piscina campi di atletica)

    3)assoluta indifferenza delle famiglie, che vedono la scuola come mezzo per acquisire un pezzo di carta

    4) le rivendicazion isindacali dei precari giuste e sacrosante se da una parte sono finalizzate a giustamente a dare certezze all’impegno didattico e al lavoro di molti e volenterosi insegnanti, dall’altro inevitabilmente non sono in grado di rivendicare accanto ai diritti sindacali, una selezione del personale docente basata sulla qualita.
    Il problema di una buona percentuale di docenti impreparati, non motivati e indionei esiste tra le fila dei regolari e dei precari. Son opersone cioè per le quali lavorare nella scuola o nel minsitero degl iinterni non fa differenza.

    Come al solito avviene nel nostro paese, accanto allo sfascio e al degrado esistonoe resitono isole di eccellenza, grazie all’impegno indivifuale dei docenti.
    I miei due figli ora di 25 e 21 anni all’università hanno avuto questa fortuna.

    Un’ultima cosa. la scuola, visto che ormai la famiglia non svolge piu ‘questo ruolo, puo’ essere il luogo, dove i ragazzi acquistano consapevolezza e senso di responsabilità delle loro azioni. Come genitore non h omai brigato perche’ fossero promossi. Anzi ho chiesto esplicitamente che il piccolo fosse bocciato perche’ se l omeritava. Ora studia ingegneria chimica con discreto profitto

  16. Il “problema scuola” andrebbe risolto dall’interno, con una riforma seria, che tenesse conto dell’esperienza pedagogica e delle competenze di chi nella scuola lavora, quindi per iniziativa ministeriale.
    Il ministero invece risolve il tutto con un taglio di personale, il più grande licenziamento di massa che il nostro Paese abbia mai avuto.

    Ecco perché si insiste sulla denuncia di questo atto che è profondamente sbagliato. Una riforma che altro non è che taglio di ore con conseguente taglio di personale.
    Nei licei linguistico, classico, scienze umane… la matematica al triennio passa da tre ore settimanali a DUE. Ditemi come farò a fare lezioni di Qualità con classi di 33-35 studenti.

    Se volete leggere un libro a più voci sulla scuola, consiglio “Pensieri sottobanco. La scuola raccontata alla mia gatta” a cura di Paolo Fasce e Domingo Paola. Paolo Fasce ha scritto un articolo importante sulla situazione dei precari qualche giorno fa, proprio su NI
    https://www.nazioneindiana.com/2010/09/03/scuola-il-punto-e-croce/

  17. Gli scioperi della fame sono azioni di risposta estrema ma pienamente giustificata di fronte alla ingiustizia criminale degli atti ministeriali. Esprimo tutta la mia solidarietà ai lavoratori. Che non sono soli, perché la scuola è con loro, con proteste, scioperi, non ultimo il blocco dello Stretto di Messina di oggi.

  18. Invece i lavoratori della scuola sono proprio soli, soli con se stessi e senza interlocutori disposti a interloquire. La cominicazione padronale minimizza, le famiglie in grande maggioranza tacciono, gli intellettuali solidarizzano per quel poco che vale, i sindacati svolgono qui che più altrove un ruolo del tutto marginale. Quanto alla politica, nessun partito mette la scuola all’ordine del giorno per il dramma che è, cioè al PRIMO posto di una scaletta di urgenze indifferibili. Del resto, la politica scolastica del c.d. centrosinistra al governo non è stata molto differente. Macerie si cumulano a macerie.

  19. Sulla scuola ci molta disinformazione e luoghi comuni. Non saprei da che parte cominciare! Persino meritevoli tentativi di affrontare la questione, come quello di Iacona a “Presa diretta”, appaiono, a chi nella scuola ci lavora, piuttosto lacunosi. Non si dice mai, ad esempio, che gli insegnanti delle scuole private guadagnano meno che nella statale. Per quanto apparentemente prestigiosa, una scuola privata non può che costituire un ripiego. Questo per dire che la qualità dell’insegnamento nelle scuole private non può essere più elevata, anche se magari ci sono più attrezzature, più risorse economiche, ma questo non è davvero decisivo per l’apprendimento. Per quanto riguarda i romanzi degli scrittori-insegnanti, è vero: si passa dai toni da disfattismo ironico/cronico (i maschi) a quelli da pasionari autocompiaciuti (le femmine). Anch’io non ho finito l’opera di Scurati, del tutto avulsa dalla realtà scolastica (e sì che lui ha insegnato!). Ormai non spero più che si affronti il tema della scuola in modo completo, equilibrato e che questo interessi tutti, come sembrerebbe ovvio. Altro che Mondadori sì Mondadori no… ma forse ha ragione Alcor: la scuola è un argomento scomodo, coinvolge il rimosso, il politicamente scorretto. Nella/sulla scuola non ci si può affidare ad automatismi da anime belle, di destra o di sinistra.

  20. E’ vero c’e’ molta disinformazione ed io per prim one son ovittima.
    Ma una cosa è certa.
    C’e’ un disegno criminale che taglia in modo indicriminato, la cultura, la scuola, l’università e la ricerca. Un disegno che prefigura la catastrofe, un declino inarrestabile

  21. Ricopio qui qualche riga che ho già scritto altrove: non perchè sia un capolavoro di sintesi, ma perchè c’è la risposta alla domanda sulla rimozione bipartisan intorno alla scuola, eccezion fatta per emergenze sindacali.

    Lo sfascio della scuola pubblica nasce da sinistra e termina a destra. Inizia dalla confusione tra autoritarismo e competenza autorevole, buttando la seconda col primo (’68), prosegue con l’utilizzo della funzione docente come refugium peccatorum di un precariato intellettuale creato dalla decadenza delle università e prezioso serbatoio di voti (68-77), si consolida con una pedagogia curricolare da allevamento importata da paesi anglosassoni, sposata dai soloni sinistresi che governavano le Università e imposta alle scuole di ogni ordine e grado, nella più totale indifferenza di una revisione dei programmi e della formazione dei docenti (77-98) e termina con la presa d’atto del caos didattico, dei costi insostenibili e della pochezza culturale della scuola pubblica da parte del berlusconismo, che ragiona più o meno così: sbobba a basso prezzo per tutti e zone di eccellenza per chi può pagarle (come la sanità, insomma)
    Perchè prendersela con la Gelmini, allora? Perchè il destino della bestia è determinato per buona parte dall’allevatore, ma il colpo di grazia lo dà il macellaio.

  22. Concordo massimamente con Valter Binaghi.
    Mando anche un saluto e ringrazio Maria Angela, che ha curato le trasmissioni sulla scuola di Radio3.

  23. C’è ancora qualcuno, qui?

    Oggi sul corriere c’è un articolo secondo il quale i precari sono più di mezzo milione (500.000), di cui 230 mila iscritti alle graduatorie, e che per assumerli tutti ci vorrebbero 30 anni e più, c’è anche una mappa del precariato regione per regione.
    Sarei curiosa di sapere se qualcuno lo ha letto e come lo commenta.

  24. Non per fare a gara a chi è più sfigato, ma la visibilità del problema scuola e ricerca, e soprattutto del precariato che in tali contesti si è sviluppato, è enormemente maggiore di quello del precariato dei servizi culturali e sociali negli enti locali. (Anche se non perciò ha molte più probabilità di risolversi a favore dei precari). A tutti dovrebbe essere noto che Brunetta 2009 + Tremonti 2010 hanno imposto un taglio dell’80% sulle spese per il personale in qualunque modo somministrato (questo è il linguaggio delle norme), cioè i precari delle cooperative e dell’interinale. Diveste decine di migliaia di persone che si occupano di, ad esempio, biblioteche e assistenza sociale. rimarranno a casa dal primo gennaio 2011 senza nessuna possibilità non dico di stabilizzazione, ma nemmeno di rientro precario in un futuro remoto. Diverse decine di migliaia di persone non rappresentate da nessuno, assolutamente invisibili, con storie e professionalità lunghe talvolta decenni, proprio come il precariato scolastico. La controriforma Brunetta è ancora più reazionaria di quella Gelmini (se non altro perchè, con largo anticipo sulla Confindustria, elimina la contrattazione, di qualunque tipo, e mortifica la professionalità livellando verso il basso qualsiasi differenza di prestazione, cioè esattamente il contrario di quanto, con ammirevole spirito bipartisan, partiti e sindacati hanno riconosciuto al simpatico omino). Tutto ciò per dire che, forse, in assenza di un progetto politico di opposizione al progetto politico oggi al governo, e non solo alla facciata del suo operato, le rivendicazioni come quelle alle quali si assiste in televisione oggi – almeno sulla terza rete – rischiano di sembrare lamentazioni individuali o corporative.

  25. @Alcor
    Il precariato non è una fatalità. Lo si crea anche stornando progressivamente fondi dai comparti culturali, riducendo la quantità e la qualità dei servizi, aumentando il numero degli alunni per classe, o praticando tagli lineari anzichè distinguere tra amministrazioni regionali dove il precariato è gonfiato per motiovi clientelari da altre dove serve a garantire servizi elementari. Sempre sul Corriere ad esempio c’era qualche giorno fa un articolo di G. Stella sulle cattedre di sostegno proliferate al sud. Qui in Lombardia, invece in un Istituto Tecnico dove insegna mia moglie, ci sono 22 disabili per sette cattedre di sostegno, nel 2006 erano sette per sedici disabili. Bisognerebbe entrare in una classe prima con due disabili e tre dislessici su ventotto studenti con dieci o dodici ore di sostegno in tutto.
    Questi sono dati, non chiacchiere.

  26. @alcor: ho letto solo ora l’articolo. bah, il computo dei precari dà sempre risultati che non concordano perché 1) spesso, come fa rilevare un commento, la stessa persona è iscritta in più graduatorie perciò sommare le cifre delle liste d’attesa è fuorviante 2) molte persone sono iscritte in graduatoria ma, di fatto, svolgono altri lavori (non sempre più precari dell’insegnamento ma a volte sì) in attesa del “posto fisso” perciò entrano nel numero ma costituiscono un elemento spurio del problema. Con tutto ciò è vero che la scuola è stata usata come ammortizzatore sociale ma è anche vero che moltissimi di quelli che si trascinano nel precariato potrebbero invece essere agevolmente impiegati se il sistema scuola non fosse usato, invece, adesso, come limone da spremere per diminuire, falsamente, le spese dello stato. D’altronde, i lavoratori statali sono stati da sempre utilizzati dai diversi governi avvicendatisi come massa di manovra: “appartieni” allo Stato? allora io, governo, ti utilizzo, non in quanto utile allo Stato ma in quanto utile a me che funziono non come governo di uno Stato ma come rappresentante degli interessi privati di partiti o lobbies o cricche. Mi serve il consenso di una società fatta in un certo modo? Ti assumo. Mi serve il consenso di una società fatta in un altro modo? Ti licenzio. Il tutto ovviamente senza mai guardare alle reali necessità del paese e contrabbandando le iniziative sempre dietro parole d’ordine di apparenza indiscutibile: diritto al lavoro e allo studio fino a qualche tempo fa, meritocrazia e virtuosità di un sistema efficiente oggi. E questo vale per la scuola come, addirittura in peggio come ricorda @arvicola, per altri settori della P.A. Naturalmente i settori definibili come culturali in genere sono i più penalizzati, quelli dove si può tagliare contando sul più alto tasso di indifferenza dell’opinione pubblica. Che si appassiona tantissimo, invece, quando ci sono da difendere gli interessi di privati.
    Di quei precari moltissimi lavorano comunque nella scuola che, come l’università, senza i precari collasserebbe del tutto. Solo che è più conveniente non assumerli e farli penare per settimane nell’attesa e nella paura di non essere chiamati.
    Quanto al famoso rapporto alunni/docenti: quello italiano è più basso di quello tedesco, ad esempio, perchè nel nostro computo finiscono anche gli insegnanti di religione (che fanno la loro ora curricolare a settimana in classe pagata dallo stato anche se l’insegnante è, come è, scelto dalla curia, pure se in classe in quell’ora ci fosse per ipotesi un solo alunno che sceglie di avvalersi – caso registrato nella mia scuola) e gli insegnanti di sostegno, che in altri paesi non risultano dipendere dal ministero dell’istruzione.
    Comunque @binaghi: ammesso, con alcune riserve non discutibili qui, che tu abbia ragione, dove portano le tue osservazioni? Se è passato l’uragano Katrina che si fa? Chi può abbandoni New Orleans e chi non può resti, letteralmente, a cercare di sfangarsela come lo sfigato o il velleteitario che è?

  27. @valter binaghi

    qual è il senso di questo tuo commento? non lo capisco, nel senso che quello che dici è noto, anche se i numeri sono distribuiti su tutta l’Italia che non mi sembra divisa semplicisticamente in virtuosa (o dannata) al nord e corrotta (o non si sa come salvata) al sud

    mi dispiace che dal link dato da @winston non si possano vedere le tabelle e il giornale l’ho già buttato, ma tabelle a parte, se i precari della scuola sono 500.000, e la situazione descritta da Rizzo è quella reale, e non ne dubito, ripeto, sono curiosa di sentire i commenti sulla situazione com’è, più che interrogarmi su come si è creata, cosa che chiunque abbia una certa esperienza di questo paese capisce con poca difficoltà.

    Io non posso offrire né dati né chiacchiere, ma solo domande.

  28. @caracaterina

    non ti avevo letto, il tuo commento è apparso solo adesso.

    sì, in generale capisco quello che dici, ma appunto, se il computo è così vago, come si pensa di poterne uscire?

    sono poi un po’ perplessa sui precari universitari, a chi esattamente ti riferisci con questa categoria? gli assegnisti di ricerca? o si considera precario anche un docente a contratto? a volte, almeno in certe facoltà, è gente che non ha nessuna intenzione né prospettiva di entrare, per fare un esempio pratico, se in una facoltà di ingegneria viene dato un corso di venti ore a un signore che ha sempre fatto un altro lavoro e che tiene il corso proprio per portare dentro l’esperienza pratica fatta in un’azienda, non si può definire un precario, anch’io ho fatto spesso moduli del genere, in un altro campo, e non mi verrebbe in mente di definirmi una precaria universitaria, o anche lui e io siamo entrati per qualche ragione nel mucchio? anche qui mi pare che le figure siano numerose e difficilmente computabili

    ma in generale, se c’è incertezza persino sui numeri e sulla distribuzione, che dire?

  29. Sinceramente, dire come se ne esce è molto al di sopra delle mie possibilità (d’altro canto non sono ministro o consulente di ministri della pubblica istruzion)
    Quello che posso di sicuro dire è quello che bisognerebbe smettere di fare
    1) usare l’impiego statale come massa di manovra per creare consenso politico da una parte e dall’altra (come dice caracaterina)
    2) chiudere gli occhi di fronte a una questione enorme, che la Lega ha il torto di porre in forma di ultimatum secessionista, e che è l’eterogeneità nel tasso di occupazione e della qualità dei servizi a nord e a sud del paese (non è un dato che riguarda la scuola, ma si rispecchia perfettamente anche nella sanità), di cui solo alòcor sembra non sapere niente, visto che Stella sul Corriere e Ricolfi sulla Stampa hanno più volte fornito dati e cifre
    3) pensare che l’efficienza aumenti semplicemente coi risparmi e con le razionalizzazioni nell’organico, quando a chiunque entri in una scuola superiore italiana salta agli occhi quale sia il problema culturale di fondo: programmi pensati per un’elite dell’era gutemberg reiterati a una massa di tele e facbook-dipendenti.
    4) concepire la scuola come parcheggio antropologico (parole di Ronchey, tanti anni fa) anzichè luogo di formazione. Nel primo caso qualche alunno in più nella stessa gabbia non guasta, e la qualità del mangime può lasciare a desiderare, tanto “socializzano”. Nel secondo caso questa tecnica è letale
    5) delegare interamente allo stato (con costi ormai insostenibili) tutto quello che riguarda l’istruzione e le risorse da essa richieste, e coinvolgere in modo più attivo il territorio, le famiglie, l’associazionismo, l’impresa, per sponsorizzare servizi che sono necessari ma per i quali la spesa pubblica sembra oberata. Trovare sponsor privati che finanzino corsi di recupero e sostegno all’handicap, è così scandaloso?
    Meglio non averne del tutto, come sta accadendo adesso?
    Per fare tutte o alcune di queste cose occorrerebbe superare anche certe rigidità ideologiche che certo non sono nate nè si sono consolidate col berlusconismo.

  30. Ho scarsissima cognizione dell’università, alcor. Mi baso praticamente solo sulle informazioni di stampa, sui blog come Precariementi e sulle testimonianze di miei ex studenti, che hanno fatto ricerca per anni, in genere in facoltà come medicina o scienze (ingegneria mi risulta che funzioni meglio) con assegni ridicoli e che di solito poi abbandonano, come tanti, per andarsene qua e là per il mondo, visto che di entrare in pianta stabile in una struttura di ricerca universitaria non se ne parla e che a più di trent’anni, con le competenze che hanno, ad esempio di ricerca sul cancro, che altrove sono riconosciute e pagate, è veramente umiliante rimanere a fare da, diciamo così, ghostwriter dell’esimio docente.
    Ora, da insegnante della secondaria, mi può anche far piacere sapere che persone che ho contribuito nel mio piccolo a preparare si fanno onore nel mondo, ma mi dico anche che non è giusto che i miei studenti debbano per forza pensarsi un futuro da ricercatori in America, in Svizzera o in Giappone e non si debbano aspettare proprio niente dal nostro paese. E non mi piace affatto che nessuno, ma proprio nessuno fra loro, abbia mai in mente, nemmeno come desiderio recondito, di poter insegnare a sua volta, un giorno, nè a scuola nè all’università.
    A me sembra che l’università stia scendendo rapidamente nello stesso vortice in cui è già precipitata la scuola: prospettive di carriera azzerate da parecchi anni, remunerazione ridicola e intermittente per chi aspirasse a divenire una new entry, strutture da nozze coi fichi secchi, proliferazione di corsi così come nella scuola, fino alla “riforma epocale” , c’era stata una moltiplicazione esponenziale di “sperimentazioni”, tutto ciò finisce per determinare nelle nuove leve l’azzeramento delle aspettative e, ovviamente, delle aspirazioni a entrare in un sistema così fradicio e in gran parte miserando.
    “come si pensa di poterne uscire?” chiede @alcor
    a me sembra che non si pensi affatto di poterne uscire, che si aspetti semplicemente che il sistema vada a esaurimento. Con l’illusione idiota e alimentata ad arte che la mano invisibile del mercato, se ci si rende competitivi nel privato, aggiusti miracolosamente le cose. Come i ragazzi che non possono fare ricerca in Italia finiscono per lo più e finiranno sempre più per andarsene, lasciando a lavorare in università solo gli sfruttati incazzati, le mezze calzette e i protetti, i precari della scuola finiranno per sbattersi negli interstizi delle attività più o meno nere e dequalificate, se vogliono campare, o si suicideranno, o emigreranno in America o in Germania come i nonni e i bisnonni. Quelli garantiti come me andranno in pensione, se ci arriveranno, con quattro schei lasciando in eredità una scuola pubblica devastata, a tutto vantaggio delle private di vario ordine, grado e prestigio. Con quali vantaggi sociali, economici, politici e civili per il nostro paese è facile da immaginare.
    Nel frattempo, in questo mondo di oligarchie e monopoli sfolgoranti in tutti i settori, compresi quelli culturali, in un bailamme di piccole e piccolissime iniziative private che ballano per una sola estate o sopravvivono ai minimi termini, risplenderà la luce da stella cadente di un novello Petrarca o un novello Machiavelli o un novello Ariosto a illuminare le curie le corti o i principati da cui dipenderanno o cercheranno di dipendere, dichiarandosi però liberi nell’autenticità del loro spirito, mentre la Piazza accorrerà a berciare ai teatrini dei pupi, dei carri di tespi, ai carnasciali e alle impiccagioni.

  31. Se io dovessi tirare le fila di questi commenti, temo che torneremmo all’inizio del thread, io che non sono al corrente della situazione della scuola resto con quello che so, perché non ne so più di prima, visto che i giornali li leggo anch’io, le trasmissioni di approfondimento sulla scuola dell’inverno scorso le ho guardate e in questi giorni sono andata anche a leggermi un paio di forum dei precari organizzati.
    E soprattutto non ho capito se i principali interessati ne hanno un quadro che non sia puramente apocalittico, dal commento di caracaterina mi pare di no.
    Speravo che da voi mi venisse qualche chiarimento.

    a @valter binaghi invece vorrei esprimere un fastidio personale dovuto a un suo inutile tono polemico miei miei confronti, quando dice:

    «l’eterogeneità nel tasso di occupazione e della qualità dei servizi a nord e a sud del paese (non è un dato che riguarda la scuola, ma si rispecchia perfettamente anche nella sanità), di cui solo alòcor sembra non sapere niente»

    Io vivo al sud e sono del nord e vado dall’un posto all’altro con una certa frequenza, ho un quadro piuttosto chiaro sia dell’eterogeneità dell’occupazione sia della qualità dei servizi del sud, sulle quali non ho bisogno di leggere i giornali, ma ho un quadro chiaro anche delle pecche molto più rileccate e ricche del Nord, dalle quote latte che pagheremo TUTTI, anzi, soprattutto noi che paghiamo le tasse al Sud, alla manovra della Lega per mettere le mani sulle Fondazioni delle banche nazionali, alla non soppressione delle province voluta dalla Lega, all’aumento della spesa pubblica nel momento in cui c’è un ministro nordico come Tremonti, oltre all’enorme evasione fiscale che paghiamo tutti, anche noi quaggiù, e che non è certo una specialità meridionale.
    Per quanto faccia comodo pensarlo, dividendo semplicisticamente l’Italia in due parti non si va da nessuna parte.

    Tutto il resto del suo commento è una specie di programma piuttosto generico che non mi interessa molto.

  32. Una cosetta ancora e poi, molto probabilmente, amen, almeno fino a giugno quando le famiglie staranno in apprensione per sapere se e quando potranno andarsene in vacanza e poi, di nuovo a settembre. Di scuola si parla solo in questi due mesi. Ecco, appunto.
    Per quanto gravissimo e a quanto pare irrisolvibile (almeno da noi che siamo soldati semplici o, al massimo, capitani) il problema dei precari non è IL problema della scuola italiana. Il problema è il funzionamento normale, la garanzia che la scuola c’è, abbi fede e fac quod vis. Il problema è la polverizzazione dell’attività, ad esempio, la mancanza di coesione pur nell’ambito di un enorme contesto comune. Al netto di coloro che presidiano, protestano e pongono il problema-scuola da un certo punto di vista, in rappresentanza comunque di un numero non facilmente precisabile ma comunque di qualche centinaia di migliaia di persone, c’è un esercito doppio che opera in una normale disaggregazione. C’è chi è ancora al mare, chi ha già cominciato l’aula, chi sta finendo gli scrutini dei “rimandati” e chi li ha finiti il 3 settembre, chi sta rompendosi la testa per studiare come applicare concretamente alla programmazione annuale le nuove linee della “riforma epocale”.
    Che comunque un merito (scandaloso dirlo, dato il contesto) ce l’avrebbe pure: indurre a un ripensamento dell’attività docente spingendo a una maggiore integrazione fra i vari curricola, un’intenzione che esiste da quando lavoro a scuola e che è sempre disattesa. E’ questa polverizazione, secondo me, IL problema. Questo che rende possibili la manovrabilità e la precarizzazione, questo che rende inefficaci da un punto di vista culturale, questo che rende muti gli insegnanti davanti all’opinione pubblica. E dietro c’è l’idea malintesa di “libertà di insegnamento”, l’euforia malinconica di essere soli a istrioneggiare davanti ai ragazzini dietro alla porta chiusa di un’aula. Liberi liberi siamo noi ma liberi da che cosa poi …

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