CHARLOTTE BRONTE

di Franco Buffoni

Racconta nelle sue memorie Lady Ritchie, figlia di William Makepeace Thackeray, l’eccitazione della Londra letteraria quel giorno dell’estate del 1848 in cui l’enigmatico Currer Bell, autore di Jane Eyre – il caso letterario dell’anno – rivelatosi donna, anzi fanciulla, e piccola, timida, introversa, dai capelli chiari leggeri e diritti aveva accettato di prendere parte al ricevimento indetto in suo onore in casa dell’autore di Vanity Fair. L’attesa e la curiosità erano spasmodiche in particolare tra le signore, ma anche il cinquantatreenne Thomas Carlyle – ormai riconosciuto principe delle lettere inglesi – era presente con la moglie. D’altro canto Thackeray aveva affermato che la fanciulla da sola e in pochi mesi aveva ottenuto i consensi di critica e di pubblico che a lui erano costati dieci anni di lavoro. Charlotte Bronte giunse. Thackeray dovette inchinarsi per porgerle il braccio e condurla all’interno, tanto era piccola. Ed ella si sedette su un divano d’angolo e non vi fu verso di farla spostare in un punto più centrale della sala. E non disse parola per tutta la sera. Tranne una risposta a domanda diretta proferita sovrattono da Mrs Brookfield: “Do you like London, Miss Bronte?”. “Yes and No”, fu la risposta pronunciata con lentezza e gravità, ma accompagnata da uno sguardo di fuoco. Tuttavia, si disse poi, con qualcuno la fanciulla aveva sì scambiato qualche parola, sia all’inizio sia alla fine dell’infelice ricevimento: Miss Truelock, la governante di casa. Non era forse una governante Jane Eyre? E Charlotte che altro era restata, in fondo, se non una piccola governante, una istitutrice di provincia? Tuttavia quello sguardo orgoglioso e perforante, quello no, non era da fanciulla né da governante.
Tutto era iniziato una ventina di anni prima, quando Charlotte, la maggiore (era nata nel 1816) delle tre superstiti sorelle Bronte, insieme al fratello Branwell (1817), a Emily (1818) e a Anne (1820), iniziò a tradurre in versi le piccole recite e i racconti della loro infanzia solitaria e fervida. Lo spietato sistema-Lager del collegio per fanciulle figlie del clero aveva già – fortunatamente per le tre bambine sopravissute – mietuto le sue due vittime nelle persone di Elizabeth e Maria, le due sorelle maggiori, rinchiuse nella Clergy Daughters’ School dopo la morte della madre nel 1821. Convincendo così il reverendo Patrick Bronte a non rimandarvi le figlie più piccole e ad affidarle alla sorella della moglie. I pochi mesi lì trascorsi, insieme al ricordo dell’agonia delle due sorelle più grandi, rimasero comunque tra gli incubi ricorrenti di Charlotte.
Tanto la zia quanto il padre non erano un paradigma di equilibrio, serenità e amorevolezza: severamente metodista la prima (il suo principio educativo era quello wesleyano: stroncare nell’infanzia, prima che divenga un’abitudine, qualunque moto di ribellione); irascibilmente militaresco il secondo, tanto da fare supporre di avere sbagliato divisa. D’altro canto non aveva egli mutato il proprio cognome da Prunty a Bronte in omaggio a Lord Nelson, duca di Bronte? A casa, tuttavia, i quattro piccoli Bronte sopravissero e crebbero in un mondo di elfi e di orchi, di fate e di mostri, affinando nell’isolamento le loro innate doti affabulatorie. Il paesaggio e il clima – la famosa brughiera di Haworth nello Yorkshire – fecero il resto, e nel 1826 già si può parlare delle prime cronache scritte dai bambini e diligentemente ricopiate in ampi quaderni di computisteria, e delle cosiddette Angrian stories.
Con il trascorrere degli anni e il passaggio dall’infanzia all’adolescenza si affinarono certe qualità e meglio si manifestarono le alleanze: Emily, la futura autrice del capolavoro di famiglia Wuthering Heights (Cime tempestose, 1847), con Branwell, che a differenza delle sorelle potè godere dei mezzi per ricevere una istruzione universitaria, ma li dissipò in taverne e bordelli. Charlotte con Anne, futura autrice del mediocre romanzo Agnes Grey. Alleanza significa diario dello sguardo, complicità e copertura, ma anche scrittura dialogante, reciproca confessione. Tanto che, quando la via dell’alcool e della droga divenne per Branwell irreversibile (dopo il fallimento sia come poeta sia come pittore), fu proprio la ieratica Emily a immortalarlo in letteratura, prendendo spunto dalla sua disperata fragilità nervosa, ma anche dal fascino che sapeva emanare, per costruire il personaggio perverso e irresponsabile di Heathcliff in Cime tempestose.
Emily, genio assoluto, interferì dunque relativamente poco nel rapporto protettivo instaurato dalla volitiva Charlotte nei confronti di Anne, e all’insaputa delle sorelle cominciò a scrivere versi ben degni oggi di figurare in qualunque raccolta di poesia inglese dell’Ottocento. Fu tuttavia con Emily che, per qualche mese, nel 1842, Charlotte potè frequentare a Bruxelles la scuola di lingue di Monsieur Héger. L’intento era di affinare la conoscenza rispettivamente del tedesco e del francese al fine di aprire una scuola loro propria al ritorno. Il tentativo fallì poi miseramente per mancanza di allievi. Ma dall’esperienza belga nacque in Charlotte il disperato innamoramento non ricambiato per lo stesso Héger. Al punto che l’anno successivo volle ritornare a Bruxelles, pur se da sola (Emily si era rifiutata di seguirla), a farsi profondamente umiliare nel suo sentimento dalla inviperita Madame Héger. L’esperienza restò comunque determinante per la genesi dell’ultimo romanzo di Charlotte, Villette (1853).
L’anno della svolta nella vita delle tre sorelle può essere considerato il 1845, quando Charlotte – lette di nascosto le poesie di Emily – decide di pubblicarle a sua insaputa. Se da un lato va dato atto a Charlotte di avere subito acutamente compreso l’alto valore letterario dei componimenti della sorella, dall’altro non può essere taciuta la sua debolezza quando decide di rendere ‘familiare’ e non personale il volume dei Poems del 1846. Esso infatti appare infarcito anche di alcune liriche mediocri della stessa Charlotte e di altre – assolutamente nulle dal punto di vista estetico – di Anne. Ritenendo (forse giustamente) che come donne non sarebbero state prese in seria considerazione, Charlotte decise inoltre che il volume doveva apparire come opera di Currer, Ellis, and Acton Bell (rispettando le iniziali del nome proprio di ciascuna, in scala di età, e del cognome). Vendette due copie, ma permise all’intraprendende fanciulla di far circolare alcune presentation-copies tra gli addetti ai lavori.
Nel frattempo Charlotte – dopo essersi vista rifiutare da svariati editori il primo romanzo, The Professor (che apparve postumo nel 1857) – si era gettata a capo fitto nella scrittura del secondo, il suo capolavoro: Jane Eyre. Negli stessi mesi in cui – in straordinaria sintonia – Emily andava componendo Wuthering Heights e Anne Agnes Grey. I tre romanzi vennero pubblicati nel 1847: Jane Eyre in ottobre; gli altri due in dicembre. Il piccolo vantaggio di due mesi, dato l’immediato travolgente successo ottenuto da Charlotte, non va sottovalutato. I romanzi delle sorelle vennero subito pubblicati perché era già uscito Jane Eyre.
Solo che, nei circoli letterari londinesi, circolava voce che Currer, Ellis e Acton Bell fossero la stessa persona, sul sesso della quale le opinioni erano divergenti. (Ma il saggio ‘lettore’ della Smith, Elder § Co. – Mr Williams – non aveva dubbi: la grafia era femminile). Fatto sta che l’idea di essere confusa con le sorelle ormai a Charlotte non andava proprio giù: dopo tutti i rifiuti del primo romanzo e la fatica per fare accettare (al quinto editore, in ordine di invio) il secondo. Poteva dimostrare – recandosi a Londra di persona – l’esistenza della propria persona, ma non quella delle sorelle. E Emily non aveva nessuna intenzione di dimostrare la propria. Aveva scritto il romanzo per amore-odio-necessità di testimonianza dell’esistenza di Branwell. Branwell stava morendo. Non gliene importava nulla del successo. E forse non aveva mai perdonato a Charlotte la questione delle poesie. E poi, con Branwell – era chiaro – sarebbe morta anche lei.
Così fu. In luglio (1848) Charlotte riesce a trascinare Anne da Smith (e le due provinciali vengono persino portate all’opera: si dava – quella stagione – Il barbiere di Siviglia); in settembre muore Branwell; in dicembre Emily.
Giusto in tempo. Perché sei mesi dopo sarebbe morta anche Anne, lasciando alla coriacea Charlotte tutte le incombenze del successo da ‘gestire’ e magari, chissà, anche qualche ritaglio di felicità. Magari anche un matrimonio. Contro la volontà del reverendo padre, destinato a sopravvivere anche a Charlotte. Lei muore di bronchite, incinta del primo figlio, a trentanove anni, nel marzo del 1855. Ma finalmente serena: “Devo morire anch’io? Che peccato morire ora. Sono così felice”, disse al marito, il reverendo Nicholls, sposato nel giugno del 1854.

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7 Commenti

  1. Franco: un vero piacere respirare il profumo inglese di quest’epoca.
    Le sorelle Brontë hanno vivato la loro fantasia nelle vita, nel distacco della vita londonese, in un mondo immaginario, attraversata dalla passione. Il fervore della scrittura, follia contagiosa, quando il corpo
    si incarna nel desiderio della scrittura, mai incarnato nella realtà.
    Follia contagiosa: le sorelle chiuse in un mondo stretto, ma animato
    con magia. Amo Jane Eyre da fanciulla, mi rammento il dolore della bambina, il terrore della camera rossa ( di questo colore?). Il mio cuore ha consciuto il primo impulso in questa storia d’amore.
    Credo che avrei dovuto nascere in quest’epoca della lentezza nell’amore.

  2. Vissuto, attraversato.
    ha conosciuto
    La lentezza innamorata.

    Gli errori saranno molti. Ho rumore intorno a me ( nella stanza dei professori).

    Il caso del fratello mi pare anche interessante.

  3. Grazie a te Franco.
    Aspetto lunedi per leggere il post su Jane Eyre.
    Spero non avere troppo compiti per dedicare tempo
    a una lettura che merita tempo e passione.

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franco buffonihttp://www.francobuffoni.it/
Franco Buffoni ha pubblicato raccolte di poesia per Guanda, Mondadori e Donzelli. Per Mondadori ha tradotto Poeti romantici inglesi (2005). L’ultimo suo romanzo è Zamel (Marcos y Marcos 2009). Sito personale: www.francobuffoni.it
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