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la Fenice: 1. il bennu

di Antonio Sparzani

“Come l’araba Fenice,
che vi sia ciascun lo dice,
dove sia nessun lo sa”

C’è un libro che riguarda miti e che è ormai diventato mitico per me, ed è Il mulino di Amleto ‒ Saggio sul mito e sulla struttura del tempo, scritto negli anni sessanta dello scorso secolo da Giorgio De Santillana (1902 ‒ 1974) e da Hertha von Dechend (1915 ‒ 2001). 1
Credo sia un grande libro, ma non riesco a parlarne qui con sufficiente competenza e con la dovuta ampiezza. Lo cito perché affronta un tema che trovo da sempre affascinante, quello dei miti che hanno accomunato e ancora accomunano tante civiltà tra loro diverse e lontane. E lo trovo un tema affascinante perché è di quelli che, molto profondamente, fanno sentire tutti noi donne e uomini di questo pianeta, un po’ concretamente fratelli e sorelle, discendenti da un qualche unico ceppo; popoli che affondano le proprie radici giù nello stesso humus. Una sensazione identitaria che a me provoca una certa gioia. Quando ne sarò capace parlerò di questa straordinaria ricerca che ha portato i due studiosi a individuare nella precessione degli equinozi la radice profonda di tanti miti.
Qui invece mi accontento di un tema molto più limitato, e leggero, quello del mito della Fenice, che tuttavia, di mano in mano che ci si avventura alla cerca delle sue origini, spunta inaspettatamente in diverse forme in luoghi della terra molto diversi e distanti tra loro.

Quei versi leggeri citati in esergo provengono dal poco noto dramma Demetrio, di Pietro Metastasio (atto II, scena III), e contengono quell’aggettivo araba che sposta subito il centro dell’attenzione in territori non europei. Nel bacino del Mediterraneo il mito della Fenice arriva dall’Egitto dei Faraoni, dove questa straordinaria creatura veniva chiamata bennu (più correttamente: bnw, la “e” viene inserita talvolta nelle trascrizioni per indicare una approssimata pronuncia, ma non esisteva nell’alfabeto egizio), dal verbo benu, splendere.

“Io sono il Bennu, l’anima di Ra, la guida degli Dei del Duat.
Che mi sia concesso entrare come un falco,
ch’io possa procedere come il Bennu, la Stella del Mattino”.

Di esso abbiamo notizia fin da Esiodo ‒ siamo intorno al 700 a. C. ‒ che la menziona come uccello straordinariamente longevo, con questa peculiare scala, pronunciata da una ninfa dei fiumi, una Naiade, che asserisce che la cornacchia gracchiante vive nove volte la vita di un mortale splendente di giovinezza (mettiamo 30 anni, a quei tempi), il cervo vive quattro volte la cornacchia e il corvo tre volte il cervo; e infine la fenice (phoinix) nove volte il corvo; a furia di moltiplicare, 30 x 9 x 3 x 4 x 9 salta fuori 29160, che certo è un ragguardevole numero di anni per questo benefico uccello, 2; la ninfa aggiunge peraltro che «noi ninfe dalle belle trecce, figlie di Zeus egìoco, viviamo dieci volte tanto» (Hes. fr. L, citato da Plutarco, qui, per chi voglia toccare con mano), comunque meno di trecentomila anni, uno scherzo per i tempi geologici, le Naiadi di oggi videro i Neanderthal e poco più.

Io mi limiterò a citarvi le testimonianze antiche sulla Fenice, che non sono poche, questa creatura affascinava poeti, storici e scienziati, e ne sceglierò un paio: anzitutto Erodoto, che nel secondo libro delle Storie, quello dedicato all’Egitto, così si esprime:

«1. C’è anche un altro uccello sacro: si chiama Fenice. Io, però, l’ho visto solo in pittura. Di rado infatti compare tra di loro: come dicono gli abitanti di Eliopoli, ogni cinquecento anni. 2. Dicono che venga quando gli muore il padre. Se è come lo si dipinge, ha queste dimensioni e questo aspetto: alcune delle sue piume sono dorate, altre rosse; nella sagoma e per la grandezza somiglia moltissimo a un’aquila. 3. Dicendo cose per me incredibili, raccontano che la fenice compia questa impresa: muovendo dall’Arabia, porta il padre tutto avvolto in mirra nel santuario di Helios, e lo seppellisce in quello stesso santuario. Lo porta così. 4. In primo luogo modella un uovo di mirra tanto grande quanto gli è possibile portarlo; quindi prova a portarlo; dopo che ci è riuscito, svuota l’uovo e ci mette dentro il padre; con altra mirra ricopre la parte dell’uovo da cui ha praticato la cavità per introdurvi il padre; quando il padre è nell’uovo, si riproduce il peso di prima. Dopo aver avvolto il padre così, lo porta in Egitto nel santuario di Helios. Ecco l’impresa che questo uccello, a loro dire, compie.» Erodoto, Le Storie, II, 73. 1 ‒ 4, ed. Fondazione Lorenzo Valla, Mondadori 1989).

E questo è il commento assai ricco e accurato di Alan B. Lloyd (che cura, introduce e annota il volume)

«nonostante il comportamento straordinario, dell’uccello, è chiaro dal testo di Erodoto che egli lo considerava un essere che esisteva come la Chenalopex del capitolo precedente. Il termine φοῖνιξ deriva dall’egiziano «uccello bnw» con assimilazione al nome Φοῖνιξ [che è già presente in Omero (Odissea, XIV) a indicare un fenicio, abitante della Fenicia, a.s.]. In contesti egiziani era originariamente un piccolo uccello simile alla cutrettola d’acqua, ma le sue rappresentazioni a partire dal Medio Regno lo mostrano come un airone purpureo o come un airone grigio.[ … ] la classica leggenda della fenice, che si è arricchita nell’antichità di elementi sempre più fantastici, va considerata come la rielaborazione greca di un mito egiziano. Nella mitologia egiziana, il bnw era associato alla collina primordiale, la fonte di tutte le cose create, e come tale era spesso considerato la manifestazione di Ra‒Atum, il grande dio creatore di Eliopoli. A Eliopoli era anche associato all’albero ̓išd sulle cui foglie secondo la leggenda erano incisi grandi eventi, come le successioni regali: un rapporto che portò alla sua connessione con il trascorrere del tempo [ …] In Grecia la prima menzione della fenice risale al corpus esiodeo [ … ] a partire dal quinto secolo furono introdotti nella leggenda il ritorno ciclico, il colore vivace dell’uccello, la connessione con l’Arabia, la palla di mirra e il rapporto con il padre. E possibile che molto di tutto questo avesse radici in fonti egiziane, benché in esse non appaia esplicitamente. Le aggiunte successive includono in particolare l’idea che la fenice periodicamente fosse consumata nel fuoco e da esso rinascesse, e che fosse eterna, nozione accolta con entusiasmo dalla chiesa cristiana [ … ] il ciclo classico della fenice è calcolato normalmente in 500 anni»

e, per quel che riguarda la presenza dell’uovo, Lloyd nota inoltre che

«nella mitologia egiziana l’uovo ricorre spesso come simbolo di nascita e di rinascita. Esiste perfino una rappresentazione di un bnw che emerge da un uovo.»

Nella lingua egiziana antica ci sono almeno una novantina di geroglifici che rappresentano uccelli diversi e un’altra ventina per le loro parti del corpo. La caratteristica dell’immagine della Fenice è che da dietro la testa dell’uccello rappresentato partono due nastri orizzontali diritti, così:

Ne parla, in ambiente latino, Plinio il Vecchio (Gaio Plinio Secondo, I° secolo d. C.) nella sua monumentale Naturalis Historia, (10.2.2, 3), ripetendo e adornando con ulteriori particolari colorati le versioni a lui pervenute (chi vuol vedere l’originale latino vada qui, al numero 2), ma io trascriverò qui soltanto la versione di Ovidio (Publio Ovidio Nasone, I° sec. a. C.) che non poteva certo trascurare l’argomento, assai interessante per le sue Metamorfosi, per quella capacità unica della Fenice di autoriprodursi, oltre che per il fascino orientale delle molteplici spezie che curano il suo nido:

«Tutti gli esseri viventi, comunque, traggono origine da altri;
l’unico a nascere riproducendosi da sé è un uccello
che gli Assiri chiamano fenice. Non di erbe o di frumento vive,
ma di lacrime d’incenso e stille d’amomo,
e quando giunge a cinque secoli di vita,
se ne va in cima a una tremula palma e con gli artigli,
col suo becco immacolato si costruisce un nido tra il fogliame.
E non appena sul fondo ha steso foglie di cassia, spighe
di nardo fragrante, cannella sminuzzata e bionda mirra,
vi si adagia e conclude la sua vita fra gli aromi.
Allora, si dice, dal corpo paterno rinasce un piccolo
di fenice, che è destinato a vivere altrettanti anni.
E quando l’età gli ha dato le forze per reggere alla fatica,
libera i rami sulla cima della pianta dal peso del nido,
religiosamente prende con sé la culla, sepolcro del padre,
e, giunto sull’alito dell’aria alla città di Iperione,
davanti alle porte sacre del suo tempio la posa.»
[Ovidio, Metamorfosi, 15, 391 ‒ 407, testo originale qui]

Lo stesso mito torna, come dicevo, in ambienti diversi, come quello cinese, di cui dirò nella prossima puntata.

La fama della Fenice “non istinge negli evi”, direbbe Gadda: la capsula benedetta nella quale 33 minatori cileni sono stati da pochi giorni riportati alla vita si chiamava Fenix!

[l’immagine del nardo è stata presa dal sito: http://www.gardencenterejea.com/]

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NOTE
  1. Il libro, dal titolo originale Hamlet’s MillAn Essay on Myth and the Frame of Time, fu originariamente pubblicato nel 1969 (Harvard University Press, ed. it. a cura di Alessandro Passi, Adelphi 1983), e in seguito aggiornato e ampliato da Hertha von Dechend per una nuova edizione Springer del 1993. Adelphi lo ripubblicò e nella quinta e ultima edizione italiana del 2009, le traduzioni delle nuove parti sono a cura di Saverio Marchignoli.
  2. poco più del grande anno della precessione dell’asse terrestre ‒ fondamentale nel libro di De Santillana e von Dechend ‒ anzi, se si ponesse la pienezza delle forze a 26 anni e mezzo, si otterrebbe che la Fenice vive esattamente per un periodo pari ai 25771 anni del grande anno.

12 Commenti

  1. As always, Sparzani’s essays and articles stimulate and provoke thought. I am again fascinated by this article. Is there any relationship between this ‘bird’ and hamayun? can one go deeper and analyse if there is a link between this creature and the Phoenician culture?
    Thanks again for a stimulating reading.

  2. è sempre un piacere leggere i tuoi articoli !

    volevo chiederti se secondo te si puo’ fare in qualche modo una comparazione con il il mito di Quetzalcóatl , il serpente piumato delle civiltà preispaniche.
    Interessante sarebbe anche discutere sulla funzione del mito argomento che per quanto ne so ha suscitato sempre garnde dibattito tra gl iantropologi

  3. Mi sembrate poco a vostro agio signori. Mi scuso, ma il diligente compitino sente di dopolavoro esoterico. La strada è lunga… auguri!

  4. sei scusato maurizio, per un dotto come te è davvero un peccato perdere il tuo preziosissimo tempo con gli scolaretti e i compitni del dopolavoro. Nel caso di Sparzani vorrei specificare che il suo lavoro consiste nell’insegnare fisica – non esoterica all’università di Milano, oltre naturalmente a scrivere libri su quella quisquillia chiamata relatività).
    Avremmo gradito che ci illuminassi con le tue conoscenze profonde sui miti che, ci scommetto, hai acquisito grazie alla tua passata frequentazione con persone del calibro di Claude Lévi-Strauss, ma ci rendiamo conto che non puoi sprecare il tuo tempo, per cui non ci offendiamo se ti toghli di mezzo.

    Mi risulta che persino nei miti, i protagonisti sono guidati nelle loro azioni dal perseguimento di un beneficio.
    Posto che coloro che seguono questo blog appartengono alla specie umana, qualora trovassero sistematicamente poco interessanti, puerili, e stupidi i contenuti pubblicati non si capisce perchè occupano le lor menti e il loro tempo al solo scopo di denigrare gl iautori di quei contenuti. A meno che il beneficio di queste persone non consista nell’atto stesso di sciorinare la loro bile bassaventrina “a prescindere” come diceva toto

  5. @Signor Carmelo

    non si offenda, ma per favore, trovi il modo di contenere la sua ansia adulatoria: essendo questo uno blog aperto a tutti, in giro ci sono anche anime semplici che potrebbero turbarsi. Abbiamo capito tutti molto bene che lei è in disaccordo con chi non soffre della sua stessa patologia. Però non ci sentiamo di parteggiare, siamo relativisti, per noi una patologia vale l’altra.

  6. Volevo aggiungere che la questione Fenice sarebbe interessante, anche io nel mio piccolo sto da anni avvicinandomi alla mitologia, e all’esoterismo, del quale ultimo è davvero difficile parlarne in pubblico senza essere fraintesi. Del resto è un campo che richiede davvero decenni di ricerche per dire qualcosa di sensato. ma quando si dice che ” la capsula benedetta nella quale 33 minatori cileni sono stati da pochi giorni riportati alla vita si chiamava Fenix! ” non si può omettere che il numero 33 è il numero magico che distingue i grandi maestri massonici, e che il presidente cileno, in modo assurdo, davanti alle telecamere appena estratti dalla miniera tutti i minatori, si è attardato proprio in una esaltazione del numero 33, definito appunto numero magico.

    Il libro di Santillana citato fu uno dei primi nei quali mi imbattei, assolutamente fulminante.

  7. Per intravedere almeno qualcosa dell’argomento in questione gioverebbe consultare i due libri di A.J. Dom Pernety: “Favole Greche e Latine disvelate e riportate ad un unico fondamento” e il “Dictionnaire Mytho-Hermétique” Archè 1980 Milano. Se poi il volo notturno e senza strumenti, come amava Saint Exupéry, si dimostrasse dilettevole, potrete reperire numerosi altri libri indispensabili a circoscrivere la questione fra quelli citati da René Guénon in “Simboli della Scienza sacra” Adelphi 2000.
    E’ tipico che oggigiorno siano chiamati a spiegare la Magia i filosofi della scienza, il simbolismo degli archetipi spetta di diritto agli psicologi e dunque ai fisici cattedratici spetterà il compito di chiarirci il simbolismo alchemico. Immagino che a Sparzani girerebbero le scatole se un’estetista occupasse la sua cattedra di fisica e neppure si farebbe operare alla prostata dal suo idraulico di fiducia.
    Il suo temino vale 2, non è colpa mia. L’idraulico magari al contrario farebbe miracoli.
    Qualora interessasse:
    Ogni volta che appare la Fenice nelle arti figurative o letterarie, dai fenici, ai bizantini, ai pittori rinascimentali, in ogni classicismo e neoclassicismo, in Metastasio (che sapeva quello che tutti gli artisti importanti dovevano conoscere) è da sospettare un riferimento piuttosto chiaro al Rosso, la fase Rubedo del ciclo alchemico. Cito il Dictionnaire: FENICE: Uccello favoloso consacrato al Sole. Gli Egizi sostenevano che questo uccello fosse di colore rosso, che fosse unico al mondo e che ogni cent’anni si recasse nella città del Sole dove si fabbricava una tomba di aromi, che ci accendesse il fuoco e rinascesse dalle proprie ceneri. La fenice altro non è che lo zolfo rosso dei Filosofi.

  8. @Gius I don’t know of any connection of the phoenix with the Mughai emperor Humayun ruling in the XVI century over territories corresponding to modern Pakistan, Afghanistan and northern India. If you have in mind another Humayun, I don’t know anything of it.
    @carmelo neppure avrei in mente alcuna connessione con divinità delle culture preispaniche dell’America centrale o meridionale.
    Agli altri dico che non serve litigare su cose che io non ho voluto o saputo dire. Soprattutto non ho voluto minimamente evocare o trattare temi cosiddetti esoterici, che sono largamente fuori dalla mia competenza. Così come il libro di De Santillana e von Dechend tutto è fuori che esoterico, neppure nel senso letterale del termine. Si tratta di esaminare e, ove sembri possibile e sensato, confrontare miti provenienti da culture diverse e constatare eventuali analogie e somiglianze. Questa non è una sede scientifica di livello specialistico nella quale si possano avere pretese di esaustività e completezza della trattazione. Credo di avere inteso semplicemente citare testimonianze antiche significative – di ambiente mediterraneo – riguardanti il mito della fenice, senza indagare più che tanto le sue molte interpretazioni. L’unica ipotesi che introduco io qui è la probabilmente fantasiosa, ma intrigante, connessione numerica con il Grande Anno.
    Ringrazio peraltro Maurizio per la citazione del Dictionnaire mytho-hermétique.

  9. se ho contribuito a sollecitare maurizio a discutere sul tema in questione invece di dare le pagelle (esercizio in questo contesto sterile quanto improduttivo per chi lo emette e per chi lo riceve) ne sono bene felice.
    E sono anche ben felice di confermare il mio modesto apprezzamento, non sulla persona che non conosco, ma sui testi che Sparzani pubblica, piacevoli, interessanti e istruttivi, non solo di argomento scientifico ma anche letterario.
    Cio’ non toglie anzi maggiore è lo stimolo a discutere e dissentire con le persone che si stimano. Soprattutto nella vita ancorprima che davanti a un monitor

  10. Riccardo, bella domanda, è certamente vero che in ambienti più o meno distanti appaiono miti simili, quello dell’uccello di Roc (che però viene sempre riferito bianco) è parallelo a quello della Fenice, come anche a quello arabo dell’altro uccello ‘anqa’ (traslitterazione carente, ma dall’arabo è più difficile) e del persiano Simurg. Ma su ciò conto di tornare.

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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