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Apriti Costantinopoli!

di Chiara Valerio

Niente mappa delle strade. Bussola da tasca. Un perfetto labirinto. Strette. Chiuse, serrate. Se uno almeno potesse salire in alto sarebbe facile capire come uscirne. Se uno potesse arrampicarsi su un albero. Sovrastare il labirinto. Ma no. Strade senza nome, non meno anonime dei sentieri naturali che attraversano i boschi. Niente numeri. Niente di niente. Herman Melville. Ho sempre avuto una grande passione per i libri di avventura. Come credo tutti i bambini. Sono stata a Tortuga, nella giungla indiana, ho viaggiato sul Generale Grant e su una zattera sul Mississippi, ho assistito al mio funerale, e sono stata il Signore delle Mosche, sono andata fino Al faro e cavalcato il Fortunadrago, ho rinunciato all’anello del potere, ho sposato Wilhelmina Harcker, in due età diverse, e anche Lestat. Ho avuto una bussola, una mappa, un bastone da passeggio, un vestito da principessa e uno da Piccolo Lord. Ho impugnato una spada. Mi sono svegliata scarafaggio. Nonostante da bambina avessi atlanti, libri ed enciclopedie a disposizione, un microscopio e un cannocchiale e mi servissi di tutto con frenesia per visualizzare particolari sociali, geografici, celesti o entomologici, c’era sempre qualcosa che, rimanendo indefinito, permetteva alle mie paure, alle mie esitazioni, alle mie emozioni e ai miei bardi abbrivi di fare eco nella testa, di replicarsi. C’è qualcosa nei libri di avventure che è sempre anche qualcos’altro. I sentimenti che uno prova, suo malgrado, in questa città, ne guastano la bellezza. Chateaubriand. Da quando ho in mano Il romanzo di Costantinopoli (Einaudi, 2010) di Silvia Ronchey e Tommaso Braccini sono tornata la bambina dei romanzi di avventure alla quale sfugge (assai più di) qualcosa. Nonostante Google, Google maps, Gallica, Amazon et alia. I romanzi di avventure raccontano di qualcosa lontano nel tempo o nello spazio, o presente ma invisibile, i romanzi di avventure raccontano una distanza dalla quotidianità. E in questo senso di distanza e di scoperta, Ronchey e Braccini sono gli Stevenson della letteratura bizantina (vanno, vengono, raccolgono e raccontano), i Mark Twain delle mura di Terra (non sono crollate, non sono deserte e nelle intercapedini i capperi crescono insieme alle storie degli uomini), gli Anne Rice del Gran Palazzo (sono sempre stati lì, da secoli, con o senza sangue, con o senza luce). Nomi esotici, date mute, architetture sognate, drammi inconsueti. La letteratura e la storia bizantina inesplorate come il centro della terra, o l’isola sul tetto del mondo. Sotto la chiesa del Salvatore, in una cisterna di pietra collocata tra le mura e il mare, è contenuta un’acqua santa. La gente si lava con quest’acqua, la beve e ottiene la guarigione. Se uno ha male a una gamba, la copre di sabbia lungo questo tratto di spiaggia, vicino all’acqua miracolosa, e subito riacquista la salute, e i vermi fuggono dalle gambe e da tutto il corpo. Descrizione anonima di Costantinopoli.

Quando si imbatterono nel cadavere dell’imperatore Giustiniano, che era rimasto intatto nonostante il passare di tanti secoli, rimasero meravigliati dello spettacolo, ma non si trattennero minimamente dal trafugare gli ornamenti funebri. Si può dunque affermare che gli Occidentali non risparmiarono né i vivi né i morti, ma a partire da Dio e dai suoi servi mostrarono un’empietà indiscriminata verso tutto e tutti. Niceta Coniata. Non voglio ingannare nessuno (tantomeno me stessa), Il romanzo di Costantinopoli è un oggetto narrativo composito, ambizioso, annotato, erudito, corredato da note, profili biografici, bibliografia, indice dei nomi e indice dei luoghi. È un oggetto di studio appassionato e appassionante. È uno stradario, percorsi illustrati da mappe, introdotti da aneddoti narrativi o scientifici con segnalazioni ai monumenti, ci sono le indicazioni per rintracciarli. Il principio costruttivo è quello di una Babele di impressioni altrui sostenuta dall’impalcatura solida della selezione di queste impressioni, dell’accostamento di una impressione a un’altra, del mosaico che è contemporaneamente silloge, florilegio, rassegna iconografica, catalogo degli idoli e grimorio e raccoglie le voci di centinaia di scrittori, poeti, eruditi esploratori, pellegrini, che provenienti da ogni geografia e in qualsiasi tempo si trovano a, o scelgono di passare da, Costantinopoli e annotano parole o schizzi su quello che vedono e su come lo vedono. Impressioni appunto. Vicino a questa tomba una lampada piena d’olio è caduta sul marmo senza andare in frantumi: il punto dove ciò è accaduto è circondato da una balaustra di legno perché nessuno lo calpesti. Antonio di Novgorod. È il romanzo dimostrativo di una Costantinopoli che esiste come topos letterario contemporaneamente e contestualmente a una Costantinopoli fisica, caduca, mutevole, stratificata e che contraddice, in maniera quasi leziosa, ogni idea pregressa che si abbia prima di mettere piede su questa bizzarra terra santa. Mi trovo da dieci giorni a Costantinopoli e domani parto per stabilirmi nella casa di campagna che ho affittato sulle rive del Bosforo. Il che basterà a spiegarvi che non sono per nulla affascinata dagli splendori di questa capitale. Cristina di Belgioioso.

Nella prefazione Silvia Ronchey scrive di Costantinpoli, La città delle città, come di irregolare figura perfetta, cita Cocteau che ne parla come dell’Asia che tende verso l’Europa la sua vecchia mano coperta d’anelli, si sofferma sui commossi testimoni della topografia costantinopolitana, sui nomi dei viaggiatori, pellegrini, eruditi, persone… che si recitano come un rosario di devozione verso la città. O appunto, per me, come una formula magica. In questa prefazione che è sunto, dichiarazione d’intenzioni e pure captatio benevolentiae, che è invito sopito ad aprire Il romanzo di Costantinopoli come un baedeker compilato seguendo, oltre che le competenze e gli studi, pure le ossessioni personali, per quanto, da un certo punto in poi sia impossibile distinguere gli uni dagli altri, Ronchey specifica la sotterranea dialettica degli studi e degli scrittori che conduce a una accelerazione delle conoscenze. A una accumulazione. E per questa commistione o piuttosto impossibilità a separare erudizione e ossessione Il romanzo di Costantinopoli è pure una guida emotiva e sentimentale dove le persone sono, prima di tutto, le cose che hanno scritto. Sono nelle cose che hanno scritto. Ho gran desiderio di portare in Italia qualche cosa di buono; perché è debito d’ognuno di arricchire la patria, quando può delle bellezze straniere (…) e così anche de’ libri rari arabi e greci, perché questi ancora, trovandogli, porterò volentieri, e ci userò diligenza quanto possa in trovargli. Pietro della Valle. Io credo che Silvia Ronchey e Tommaso Braccini ci abbiano portato da questo viaggio nei viaggi degli altri davvero qualcosa di buono.

S. Ronchey e T. Braccini, Il romanzo di Costantinopoli, Einaudi (2010), pp. 958, 28 euro.

A latere
Credo che dopo la passeggiata nella letteratura slava guidata da Francesco M. Cataluccio nel suo Vado a vedere se di là è meglio (Sellerio, 2010), Il Romanzo di Costantinopoli sia l’altro viaggio letterario e emotivo da fare prima del 2011. E buone letture.

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2 Commenti

  1. Davvero tentatrice questa recensione, soprattutto perché riscopre quella molteplicità dei livelli del viaggio che troppo spesso rimane primo strato, spostamento corporeo e non divagazione, oltraggio alla stanzialità del pensiero, inno all’erranza dei sogni e della riflessione. Un ottimo consiglio, grazie.

    mdp

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