pedalando fuori

di Maria Angela Spitella

Se Mario non ci avesse raccontato la sua storia, noi non avremmo mai pensato vedendolo, che viene da 30 anni di carcere.
Ha un aspetto sano, forte, lo sguardo fiero, gli occhi di un celeste pulito, la voce ferma, con l’accento laziale, tra Testaccio e Prima Porta, due quartieri di Roma. Non porta i segni della galera, eppure di anni dentro se ne è fatti molti. Ha girato parecchi istituti di pena, in Italia sono 206 tutti al limite del sovraffollamento, ha viso diverse realtà.

Oggi Mario ha pagato il suo debito con la giustizia e sta provando con fatica a ricostruirsi una vita dignitosa.

La sua storia passata non la vuole raccontare, chi esce da una situazione del genere solitamente guarda al futuro e non si gira indietro.
E il suo futuro lo sta costruendo grazie agli ecotaxi, risciò silenziosi che scivolano per le strade del centro di Roma.

Mario fa il pedalatore ed è riuscito così a ricostruirsi una nuova esistenza grazie alla Cooperativa Blow up fondata da ex detenuti nel 2007, dopo varie vicissitudini.

Ma cosa significa per Mario dopo 30 anni riprendere a lavorare? Non è solo una questione economica, perché attraverso la borsa lavoro del Ministero di Giustizia, Mario porta a casa 400 euro, e come ci spiega, qualcosa nel frigo bisogna pure metterla.

Dunque Mario, che ora è in pausa, per dir così, perché il servizio risciò a Roma funziona nei mesi estivi, ha fatto una lunga preparazione fisica, anche se il risciò è assistito da un piccolo motore, e anche una preparazione psicologica, perché dopo tanti anni chiuso in carcere tornare tra la gente, e avere un contatto giornaliero ha un forte impatto emotivo, oltre alla responsabilità.

“Mi sento investito da una grande responsabilità” racconta Mario, “perché portare persone in giro per la città nel risciò a volte diventa complicato”. Mario non si riferisce solo al traffico che nella Capitale è sempre eccessivo, ma al rapporto con gli automobilisti che spesso fanno manovre azzardate, e quello che per un cittadino può sembrare una banalità, come mandare a quel paese un automobilista, per i pedalatori come Mario non lo è affatto, “tanto è vero che sono gli stessi fruitori che si arrabbiano con gli automobilisti; noi siamo sempre sotto osservazione e al minimo errore la probabilità di ritornare dentro è molto alta”.

Dopo un passato da ex detenuto si è marchiati a fuoco, le persone sono spesso diffidenti. Non però quelle che prendono i risciò, loro sanno che i pedalatori sono ex detenuti e non fanno una piega. I mezzi che giravano per Roma la passata estate avevano la cappottina nera e dietro il marchio del Ministero della Giustizia, dunque una firma, ma anche una sicurezza, come dice Mario, “sul risciò si è sicuri, nessuno oserebbe mai scipparti.”

Lavorare in carcere è importante, ma ancora di più lo è riprendere una attività fuori dalle mura del penitenziario. In Italia ci sono molte realtà di questo tipo. Cooperative sociali che permettono ad ex detenuti di trovare un lavoro una volta scontata la pena, di ricostruire una vita nuova.

Lavorare quando si è dentro è molto complicato; le opportunità di lavoro che vengono offerte non riescono ad accontentare tutti i detenuti, i più rimangono esclusi dai progetti di recupero.

E le ore che si passano nella cella sono lunghe, a volte, come ci ha raccontato Mario, si passano 22 ore in branda imbottiti di psicofarmaci. Non ci si muove da dentro la cella. Per non parlare della promiscuità. “Non può un ragazzo di 20 anni, magari messo dentro per un grammo di troppo di droga, venire messo in cella con un detenuto che è dentro da 30 anni.”!

Non ci sono nelle carceri criteri di suddivisione, proprio a causa del sovraffollamento. Mario ci ha raccontato delle condizioni pazzesche nelle quali si è trovato. Celle condivise con 6, 7 persone, dove c’era chi dormiva sulla rete della branda e chi per terra con il materasso.

A Rebibbia la sala polivalente diventa una mega cella con 20, 30, 40 persone, una sala dormitorio, salvo poi venire sgomberata quando arriva in visita il politico di turno.

Ma chi dentro non c’è stato queste cose non le può sapere. Ci sono gli osservatori che le raccontano, ma si deve essere stati dentro per farle “vedere”.

Il progetto futuro di Mario e della Cooperativa Blow up, è quello di diventare oltre che pedalatori anche costruttori di risciò. Pedalando pedalando si attraversa Roma, si mostrano le bellezze della città ai turisti, si prendono a Trastevere le persone anziane che vanno a fare la spesa o hanno dei problemi motori. Via le cappottine nere, sarà il colore a distinguere i risciò romani.
I 400 euro della borsa lavoro che offre il ministero della Giustizia certo non sono molti, ma come spiega Mario, sono un inizio, l’inizio per non ritornare al lavoro di prima, ovvero per non ritornare dentro.

[la foto in apice viene dall’album flickr di LaGru]

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3 Commenti

  1. Bisognerebbe scarcerare la mente delle persone per liberare quelli come Mario, quelli che hanno riempito le discariche umane che sono le carceri, dallo stigma, da quel “marchio a fuoco” che non ti abbandona più.

    Togliere la gabbia dalle menti significa evadere dalla facilità pregiudicante, dalla coazione alla sentenza che permette a tutti di separare i buoni dai cattivi. Quelli sono così, lo sappiamo. Chi non s’interessa di politica, chi non legge mai un giornale, tutti gli ignoranti e qualunquisti ripetono che “sinistra ha fatto l’indulto”, ha liberato i cattivi, ci ha messo a stretto contatto con delinquenti e immigrati (un’endiadi, ovviamente !).
    In Italia non c’è la pena di morte, apparentemente. Cos’è allora quella pervasiva induzione al suicidio messa in atto dall’invivibilità delle galere nazionali?

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