Ciò che penso dei riot romani

di Ivan Carozzi
Parto col piede sbagliato, con un’excusatio: non sono stato, per esempio, tra quelli che gioirono quando un pezzo di granito finì sulla faccia di un vecchio. Rispetto ai fatti del 14 dicembre, invece, ho avuto da subito una reazione diversa. Il titolare di un gigantesco conflitto d’interessi è a capo di un governo moribondo amalgama di cricche di analfabeti, affaristi e camorristi; è alleato di un partito che se venticinque anni fa fu portatore d’istanze condivisibili è oggi portatore d’istanze razziste e rancore; è il seminatore di discredito e volgarità; è il maieuta del peggio, della meschinità, dell’egoismo, ed è accusato di essere stato allevato da Cosa Nostra. Un’accusa devastante sulla quale non ha mai sentito il dovere e la decenza di chiarire. E’ un bugiardo. Ostenta buon umore mentre il Paese si è trasformato in una gigantesca comunità precaria e in un campo di sversamento di liquami. Il 14 dicembre si è votata la fiducia al suo Governo grazie ad una compravendita di parlamentari spudoratamente testimoniata in numerose interviste rilasciate dai parlamentari corrotti medesimi.
Uno di questi parlamentari, il giorno della fiducia, ha pagato un gruppo di bengalesi inconsapevoli per sfilare con uno striscione che illustrava il suo grettissimo pensiero autoassolutorio. Accetto che la corda prevalente del mio Paese sia la commedia, lo accetto, mi diverte e ne vado anche in un certo senso fiero, ma un Paese così volgarizzato e derubato del suo futuro recita un copione che da troppo tempo non è più quello della commedia: “Un Paese di musichette, mentre fuori c’è la morte”.
Chi può  dire quando sia giusto appiccare un incendio, rimuovere un sanpietrino, incendiare la
macchina di un cittadino incolpevole? Non è mai giusto, specie per la macchina del cittadino
incolpevole, ma ci sono momenti in cui -una campana che suona- tutto diventa lecito, almeno per lo spazio di un pomeriggio, perchè ogni segno è stato passato. Molte delle testimonianze raccolte tra gli studenti, purtroppo sottovalutate da Roberto Saviano, raccontano di un tumulto generale e spontaneo, nato per contagio nel momento in cui si è diffusa la notizia che il Governo prima descritto, nelle modalità prima descritte, aveva ottenuto la fiducia. Non sorprende la presenza di gruppi organizzati o la fuga degli studenti spaventati, ma il dato di una quota consistente di manifestanti che ha preso parte attivamente al tumulto, fabbricando armi trovate per strada, o che, con il classico applauso, ha apertamente e ineditamente solidarizzato con i casseur. Il rapporto di analogia con gli anni ’70, e con la giornata romana del 12 marzo ’77, può essere meditato e discusso, ma il modo in cui molti commentatori lo hanno fatto somiglia a quello con cui, per esempio, i media americani misero in rapporto la nube di cenere sopra le twin towers con quella sopra le navi da guerra di Pearl Harbour. Cioè un uso strumentale e impulsivo della storia, patriottico e bellicistico, e dall’altra di tipo esorcistico, come scritto venerdì scorso da Alessandro Dal Lago. Piazza del Popolo, invece, ci racconta qualcosa di vergine, inedito e nascente. Ecco, in questo virgolettato di uno studente rimasto anonimo, il sapore della prima volta:
“Bellissima manifestazione. Ci hanno dipinto come teppisti: eravamo quasi tutte persone pacifiche che si sono difese dalle aggressioni. Mi chiedi se c’erano gruppi organizzati, questi fantomatici Black Bloc? Non ho alcuna pratica di scontri in piazza, ma per quel che ho visto, a parte qualche piccolissimo gruppo organizzato, tutte le persone che hanno tenuto il centro di Roma contro le cariche della polizia erano persone come me, visibilmente inesperte, senza caschi o altro . Persone che per la prima volta in vita loro hanno messo un’auto di traverso o cose del genere. E si vedeva. Ci chiedevamo l’un l’altro: se dobbiamo fermare una carica, tu sai come si fa una Molotov? E nessuno lo sapeva”.
Per molti dei manifestanti coinvolti nella rivolta, immagino che il momento in cui la notizia del
voto di fiducia si è diffusa, come un proiettile passato da cranio a cranio, debba aver rappresentato il kairos, l’istante apicale in cui ci si scuote di dosso anni di torpore, si esce dal tempo berlusconiano, e la protesta violenta e irrazionale scaturisce di colpo da un’intima, impolitica, non ideologica, fonte legittimante. Come razzi si fuoriesce dai propri corpi e l’aria intorno brucia.
Secondo Confcommercio Lazio, una prima stima dei danni si aggira intorno ai 15-20 milioni di euro. Io ritengo che quel giorno, di ogni auto bruciata, e di ogni colpo preso e inferto da manifestanti e polizia, l’unico responsabile sia questo Governo. Ho provato ad immaginare che cosa avrei fatto io, se fossi stato a Roma e avessi deciso di calare il passamontagna. Non credo che avrei sentito invadermi dal calore della comunità proletaria, come scrisse a suo tempo Toni Negri, ma credo che avrei sentito affluire il sentimento esondante e liberatorio, persino disgiunto da quello degli altri manifestanti, che avrebbe spinto la mia mano a terra per raccogliere una pietra dal selciato e lanciarla contro i sovvertitori delle istituzioni e della democrazia. Finalmente avrei fatto qualcosa ‘in my name’. Oppure mi sarei cagato sotto.
Questa non è apologia della violenza e della devastazione, che mi ostino a ripudiare, ma la storia di una giornata eccezionale che racconta un punto di non ritorno, un limite non più valicabile alle frustrazioni, alle
lesioni psichiche e sociali accumulate in questi anni, alle ferite profonde portate alla democrazia, che ti costringe a porti in contraddizione con i tuoi stessi convincimenti, a farti esplodere. Doveva accadere, prima o poi, ed è per me una bella notizia che sia accaduto.
Dirò più avanti perché.
Che ci fossero infiltrati o meno, nella rivolta, resta significativo ma ininfluente. Più significativo,
come un amico mi ha fatto notare, è che la rivolta sia nata contestualmente all’arresto di Assange e alla diffusione dei cablogrammi diplomatici ad opera di Wikileaks. Cioè in un momento in cui la generazione dei nativi digitali, diversamente da Frattini, scopre la possibilità tecnologicamente offerta di una trasparenza assoluta del potere: la possibilità quindi che quel potere si renda responsabile delle proprie azioni e che del suo operato renda conto ai cittadini che rappresenta. A Roma, invece, il Governo ha risposto con un tenebroso raddoppio di opacità, indossando quel passamontagna istituzionale che è la costruzione della zona rossa. Ha risposto arretrando cupamente rispetto al proprio tempo, e imbottendo di rumore bianco lo spazio di comunicazione tra sé e le giovani generazioni. Emilio Fede ha invocato la chiusura di Facebook…
Roberto Saviano
Non mi soffermo sui passaggi più banali della lettera pubblicata su Repubblica da Saviano. Come il riferimento automatico agli anni ’70 (gli anni ’70 rimossi, che oggi però tornano a fare da schermo
all’analisi di una giornata). O quell’accenno povero e polemico al passamontagna di Marcos. Preferisco spendere due parole sul rischio a cui la giornata del 14 dicembre espone ciascuno di noi, e di cui lo stesso Saviano, saggiamente, non credo paternalisticamente, scrive. Vengo al cuore della cosa: la violenza. Penso all’incendio romano come ad un segnale di vita su di un pianeta morto, ad un cambio di passo, non come alla scoperta, da parte di una generazione, di un metodo non politico di gestire lo scontro e risolversi all’obbiettivo. Credo che la maggioranza degli studenti ne sia consapevole. Credo che la stragrande maggioranza di chi ha dissentito da Saviano, dissentisse appunto dalla sua lettura pigra e banalizzante dei riot romani, gli rimproverasse il fatto di non aver compreso il carattere nuovo ed eccezionale della giornata, il carattere specifico di quella rabbia. Ma nessuno, mi è parso, ha fatto vera apologia della violenza. Saviano, mi pare, non ha colto il punctum della fotografia di Piazza del Popolo. Credo altrettanto che questa coscienza acuta e larga, questa posizione che comprende e assolve la violenza di un giorno, sia fragile, pronta a smarrirsi, nel momento in cui il Governo continuerà a mostrarsi sordo e sempre più, senza infingimenti, un conglomerato di affaristi pronto a chiudere l’ultimo bottone della camicia nera.
Inoltre, il deputato Pdl e Presidente della Commissione Difesa della Camera dei deputati Edmondo Cirielli, in un’interrogazione parlamentare presentata il 15 dicembre scorso:
“A parere dell’interrogante il militare di cui sopra si sarebbe trovato nelle condizioni previste dagli artt. 51, 52 e 53 del Codice Penale, eppure non ha ritenuto di utilizzare l’arma d’ordinanza, mettendo in pericolo innanzitutto la sua vita, e poi anche quella dei suoi colleghi e, più in generale, il perimetro di sicurezza per cui era stato predisposto il servizio di Ordine Pubblico, atteso che la pistola poteva anche essergli sottratta e utilizzata dagli aggressori”…un invito a sparare.
Salvo sorprese, ma figuriamoci, Berlusconi continuerà a mantenersi sordo alle proteste, a farsi
di gomma e indifferente alle inchieste giornalistiche e della magistratura. L’immagine più calzante ed emblematica delle capacità d’interlocuzione con gli studenti, i precari, i terremotati, resta, a mio avviso, quella fissata un paio di anni fa in uno scatto in cui Daniela Santanchè, fuori da Montecitorio, mostrò il dito medio ad un gruppo di manifestanti dell’Onda. Prevedo quindi un crescendo autoritario, una lievitazione dello strato di cerone sul volto dell’informazione, un divenire Psylvio di Silvio. Sono purtroppo del parere che gli studenti continueranno a non essere ascoltati. L’opzione violenta, per questa ragione, si farà ancora più invitante e automatica. Dopo due anni di proteste, dopo essere saliti sui tetti, dopo aver occupato i monumenti, trovando un punto di contatto magico tra te e la storia del tuo Paese, saltando di netto il tempo in cui sei nato, il tempo di Berlusconi, ma non sei stato ascoltato, ecco, come non pensare a fare dell’Italia un enorme cassonetto incendiato? Allontanare questo pensiero di morte credo sia compito di tutti, dopo il 14 dicembre. Non ci si può condannare ad un tale pensiero ossessivo, ai fantasmi omicidiari (Chi non vorrebbe uccidere La Russa, dopo quel video?) ma tanto meno all’umiliazione di essere governati da questo esecutivo e venire impunemente consegnati ad un futuro senza speranza. La soluzione, la ricerca di un’alternativa, credo che vada trovata con un divino terzo occhio politico, che sappia spingersi oltre il ‘900 e l’alternativa arida e miserabile tra violenza e rassegnazione.

La testimonianza, risalente a qualche giorno fa, di Benedetta, zia di Cristiano, il quindicenne rimasto a terra durante gli scontri: “In un primo tempo era svenuto, ma si è ripreso quasi subito anche se era sotto shock e in stato confusionale. Per un giorno intero non ricordava nulla. E’stato prima portato in  ambulanza al Fatebenefratelli sull’Isola tiberina, dopo poche ore è stato trasferito al San Giovanni dove gli è stata riscontrata la frattura scomposta del setto nasale, la frattura dell’osso temporale ed un ematoma sub-epidurale. Ed è quest’ultima cosa la più preoccupante. Bisogna aspettare e sperare”.

[pubblicato su precariementi.splinder.com]

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11 Commenti

  1. Condivido emotivamente questo articolo. Non ho avuto lo stomaco di (ri)vedere il video dell’innominabile ministro, quando ha avuto un orgasmo palese mentre Di Pietro gli gridava in faccia “fascista!”

  2. Tanta confusione sotto il cielo. La Russa recitava una parte, è evidente.
    Probabilmente anche lo studente. Molto triste.

  3. vorrei sottoscrivere ogni parola, è quello che ho prima sentito, poi in forma confusa pensato e ora lucidamente letto.
    avevo trovato odioso e miope ogni tentativo di riportare quell’episodio al semplice argomento degli infiltrati o del no alla violenza.

  4. Condivido questa lettura della giornata. Non è davvero un argomento, il controbbattere con la retorica della “apologia della violenza”, specie in un paese in cui lo Stato stesso si esprime con violenza ben marcata. Non penso (soltanto) alle mille forme che la repressione politica assume in un paese così malamente corrotto, culturalmente e politicamente, ma alla violenza sociale che viene perpetrata da “classi dirigenti” che occupano le proprie posizioni per rendita, merito criminale o scaltrezza politica.

    Vorrei le stesse forze dell’ordine, quelle che pure davanti ad Arcore vanno a manifestare, rivolgersi per una volta contro quei palazzi da cui si continua a irridere ogni diritto, ogni regola, ogni istituzione. Se far west dev’essere, che sia, ma a condizione che lo si dichiari con maggiore onestà. E che la si smetta di giudicare dal fuoco la disperazione e la rabbia di generazioni intere, che mai vedranno il risultato del proprio lavoro.

  5. Una precisazione: all’inizio si parla di cittadino innocente. Sebbene io sia contrario all’incendiare una macchina, una casa, un giornale, uno gnomo, parlare di ‘cittadini innocenti’ mi offende, e dovrebbe offendere ogni buon cittadino. Viviamo in democrazia?, bene. Ogni scelta che facciamo, di voto o di consumo è una scelta politica?, sì. Decidiamo ogni giorno di girarci dall’altra parte?, esattamente. E allora quello stra-maledetto uomo qualunque non è responsabile anch’egli dei soprusi che la mia generazione sta subendo? Se avesse votato in modo più accorto, se avesse deciso di condurre una vita in modo differente, molto probabilmente la sua macchina ci sarebbe ancora.

    Se disbosco il crinale di una montagna per farmi un campo da golf e questo, un bel giorno, per le piogge intense mi frana sulla villa portandomi via la famiglia la colpa è della pioggia oppure mia?

  6. @terzago

    similitudini degne della logica di Wittgenstein

    Se i fedeli periti in mare mentre andavano alla Mecca,fossero stati dei banditi o miscredenti,ci sarebbero ancora.

  7. Semplicemente è necessaria da parte di tutti una presa di coscienza. Se crediamo che le scelte che compiamo ogni giorno non debbano avere ripercussioni ci sbagliamo. Abbiamo un grande potere sia come consumatori sia come prodotto (visto che il pensiero imperante tiene conto degli individui solo nel momento in cui concorrono alla produzione o quando, per l’appunto, acquistano un bene) e allora sì: ribadisco la responsabilità di ognuno di noi e non l’innocenza. La tensione sociale è data da un sistema sociale che funziona in un determinato modo, e se quel sistema sociale si chiama Paese, be’, nessuno se ne può sentire escluso. Mi sembra lapalissiano. Poi, se vogliamo, possiamo continuare a prenderci in giro: “Io voto e delego i politici per occuparsi di certi problemi, se le cose non vanno è colpa loro” ma temo che la verità sia un’altra (l’unico scopo del potere è iterarsi, del resto) – abbiamo davanti agli occhi i limiti della democrazia rappresentativa italiana tutti i giorni, e la piazza è il segno lampante di chi non ci sta più. E la violenza di piazza, come ha ricordato proprio ieri Lanfranco Pace, è qualcosa che fa parte della democrazia…

  8. Una curiosa interpretazione quella di Pace,anche quella dei fascisti?
    Certo che pur di arrampicarsi sui vetri…

  9. Rigodon, qui nessuno si arrampica sui vetri. O forse tu sovrapponi la tua posa a quella degli altri, non argomenti in nessun modo le tue posizioni (probabile che tu non abbia proprio posizioni – se non una condanna meccanica di quanto è accaduto a Roma, uno di quei modi di condannare tipici di chi si ferma all’apparenza, da homo consumens), sei capace solo di fare delle telegrafiche provocazioni – questo sì è degno di certi esponenti dell’attuale esecutivo. Se invece qualcuno si interroga e propone un ragionamento deve essere incalzato, forse nella tua visione dovremmo tutti aderire a una confessione, la tua confessione.
    In ogni caso, auguri.

  10. Va beh,la solita recita,chi non è con me è con gli altri…
    Certo che è difficile discutere con il tuo genere di logica,che oltretutto ti porta a far considerazioni personali su altri a tuo uso e consumo.
    Comunque,auguri pure a te.

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Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.
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