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Rubafiori

di Helena Janeczek

“Sembra la sceneggiatura di un film di Natale, con Christian de Sica che implora di rilasciare Belen spacciandola per la nipote di Chavez”, disse qualche mese fa Carlo Freccero, invitato da Gad Lerner a commentare la telefonata in questura, pietra di inciampo di Berlusconi. Parlava di una trama da neorealismo che, grazie alla trovata del primo attore, vira sulla commedia all’italiana – “questo genere così mortuario in fondo al suo vitalismo”. La grande fiction diventata storia italiana che si infrange contro la realtà da cui viene superata e fagocitata. E Berlusconi che prima l’ha prodotta, poi ne è stato il protagonista sceso in campo, ora rischierebbe di esserne distrutto come il Dr Frankenstein dalla sua creatura.

La realtà che i giornali ci propongono attorno alla vicenda di Ruby è un incalzare di comunicati, interviste, dichiarazioni e articoli che a loro volta sottendono altri tipi di testo come le intercettazioni, i tabulati, i verbali. Ci sono troppe forme di “racconto” e troppo disparate. Troppi filoni, troppi personaggi, troppi luoghi. Il troppo stroppia. E il pubblico non apprezza più questo genere di esagerazioni. Predilige le Isole e le Case: sia quella del Grande Fratello, sia la villette di Cogne e di Avetrana. Unità di tempo, personaggi, luogo. Così Berlusconi continua a fare chiasso sul clamore, consapevole che la sua voce verrà amplificata più delle altre. Ma forse è soprattutto fiducioso che una storia dove entrano dozzine e dozzine di ragazze, tra cui addirittura una ex portaborse pdl, poi corriere della droga per una rete di narcos colombiani in combutta con mafia e camorra, e infine collaboratrice della Procura di Palermo, non convincerà la gente che segue i reality o Bruno Vespa. Tutto l’eccesso verrà scartato come –  il punto è questo – inverosimile. E poco importa che non significhi sia falso.

Di tutte le forme di narrazione proposte da “Raiset” o da Medusa, nessuna sembra in grado di contenere tutti i materiali raccolti dai giornali. Come si fa, al giorno d’oggi, a rappresentare una realtà che sembra un romanzo d’appendice impazzito? La si smembra, la si riduce, la si uniforma. Da un lato c’è l’opzione del film di Natale, dall’altro quello della ragazza marocchina che finisce sulla cattiva strada: l’opzione “neorealista”, buona per il nostro cinema d’autore, al patto però che non vi compaiano più nipoti di Mubarak o capi di stato ospitati durante i party.

Questa supposta inenarrabilità d’insieme non gioca solo a favore di Berlusconi, ma ci fa cogliere una nostra più profonda inadeguatezza. Perché se fossimo i telespettatori di un altro paese, la vicenda di Karima-Ruby ci suonerebbe oltremodo familiare.

Senza tette non c’è paradiso è il nome di una telenovela colombiana che racconta la storia di Catalina, una povera ragazza che si prostituisce per una protesi al seno. Senza tette i narcos non la vogliono e può scordarsi di farsi strada verso la tv o il cinema: l’unico paradiso che riesca a immaginare.

La serie, nata dal romanzo di un giornalista che aveva fatto un’inchiesta sulla prostituzione minorile, ha avuto un tale successo in Colombia da aver ottenuto presto due remake altrettanto popolari: uno prodotto dall’emittente ispanico-statunitense “Telemundo”, l’altro iberico, trasmesso dalla ex-berlusconiana “Telecinco”. Tutti paesi del Centro- e Sudamerica hanno visto le due serie latinoamericane, ma anche Serbia, Romania, Ungheria, Bulgaria, Bosnia e Macedonia.

L’edizione italiana è finalmente approdata su Canale5 il 6 ottobre, ma dopo due puntate è  stata degradata su La5. La tv di Berlusconi sembra aver anticipato giusto di un pelo la realtà di Berlusconi, prima che qualcuno se ne accorgesse. Verrebbe da scomodare dietrologie, se gli indici di ascolto non fossero dati inequivocabili. Sarà stata pure la sfortuna di incappare nella rivelazione live del assassino di Sarah Scazzi, ma dietro al naufragio ci sono anche ragioni intrinseche al prodotto e al suo lancio in Italia.

Prima di tutto il titolo: Le due facce dell’amore! Grande storia d’amore impossibile fra una studentessa di giurisprudenza “che crede fortemente nel valore della legalità” e un boss della periferia romana, fiction per tutta la famiglia. Niente più tette da rifarsi disperatamente, niente prostituzione, almeno non nella presentazione ufficiale.

Questa scelta comunicativa di Canale 5, per quanto sintomatica, è solo l’atto finale di un processo graduale di edulcorazione. Nell’originale colombiano tutto è esplicito. Si vedono i quartieri miseri a fianco delle megaville dei narcos. Questi sono panzoni, vecchi o viscidi e allungano le mani in modi inequivocabili. Persino l’ultima scena in cui Catilina, dopo morte violenta, ammonisce dal paradiso che quella da lei imboccata non è la strada giusta, somiglia più alla morale brechtiana dell’Opera da Tre Soldi che a un finale edificante: un messaggio di cui comprendi che è impraticabile. Nella versione ispanoamericana pensata soprattutto per il Messico tutto è già più ripulito, artificiale, per questo ambivalente. Il mondo dei narcos diventa glam e appare anche un boss bello e desiderabile.

Ma la trasformazione più radicale avviene con il passaggio in Europa. La protagonista della sempre più patinata e inverosimile fiction spagnola, non si vende più per carriera, ma per amore. Ha perso la testa per un poco di buono e per lui è disposta a tutto: storia antica che c’entra poco con il punto di partenza, e che sarà la stessa proposta in Italia.

Se ci fosse stato il coraggio di adattare l’originale colombiano, dai quartieri da Romanzo Criminale saremmo forse arrivati alla periferia di Napoli, ma non a Arcore. In Colombia,  invece, Sin tetas no hay paraiso è stato l’apripista per molte telenovelas seguitissime, rispetto alle quali La Piovra fa ridere come affronto al buon nome dell’Italia. Narrazioni che parlano della corruzione di polizia e politica, creando dei feuilleton sporchi e duri che virano sul tragico.

Esistono paesi più evidentemente disastrati dell’Italia che hanno saputo rinnovare le forme con cui si raccontano, creando rappresentazioni fittizie poco censorie. Se questo è vero per la telenovela, vale anche per la letteratura “alta”. In 2666, capolavoro postumo del cileno Roberto Bolaño, vi è una parte centrale dedicata agli omicidi seriali di donne a Santa Teresa, reinvenzione della città messicana di Ciudad Juárez. Fra quelle pagine terribili, calcate sulla cronaca giudiziaria, compare il personaggio di un donna, politico di grande potere, che fa indagare sulla scomparsa di un’amica, titolare di un’agenzia di eventi. Scopre così che quegli “eventi” erano orge. Festini frequentati non solo dai pezzi grossi dei cartelli, ma soprattutto delle istituzioni, inclusi i suoi compagni di partito. Bolaño, che in Messico ha vissuto, è un romanziere iperletterario, lontanissimo da ogni idea di piatto realismo. Eppure ha raffigurato lo stato di un paese e continente, dove tutto, a cominciare dalle donne, è diventato preda o merce disponibile per i potenti.

Non è solo per colpa di Berlusconi e del suo dominio sul nostro immaginario tenuto in un limbo datato agli anni ‘50 rivisitati negli ‘80, che fatichiamo a creare narrazioni in grado di farci orizzontare nel nostro presente. Dovremmo mettere a fuoco un quadro molto più ampio e doloroso. Scoprirci non troppo dissimili a quel ”terzo mondo” che evochiamo con la spensieratezza di uno sfogo: non solo per certe area geografiche o periferiche, ma per dinamiche trasversali sempre più estese e radicate. Forse è questa la morale che potremmo trarre dalla vicenda di Silvio e Ruby. Se la storia di Berlusconi è anche la storia dell’Italia, come dice Freccero, l’uomo che aveva creato “centomila posti di lavoro” e oggi mantiene un indotto di ragazze, riflette come uno specchio di Dorian Gray il declino di un paese che si credeva potenza economica mondiale. Per questo, Ruby Rubacuori è anche l’altra faccia di Fiat Mirafiori. La classe operaia ridotta a cinquemila voti, da sola e fino a ordine contrario, ha dovuto scegliere se permanere o meno in purgatorio, mentre nella Fabbrica Italia che sta ad Arcore sognava il paradiso chi vendeva il proprio plusvalore in carne e ossa – l’unico disponibile – a un vecchio imprenditore.

pubblicato su “L’Unità”, 19.1.2011

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47 Commenti

  1. Bel pezzo, come tutti quelli di Helena.

    Sperando di non essere troppo o.t. dico che il dopo-berlusconi (quando verra’) mi fa piu’ paura di berlusconi.

    L’idea di un terzo polo con cui volenti o nolenti bisogna venire a patti (vd. recente sondaggio di La Repubblica) mi terrorizza. Tutto quello che qui si dice su Berlusconi e’ vero, ma il disgustoso personaggio e’ meno temibile di un rigurgito ecclesiastico-liberista a cui si appresta il trio delle meraviglie fini-casini-rutelli.

    L'”edulcorazione” qui menzionata discende direttamente dalla cultura democristiana, e questa e’ molto piu’ radicata delle effimere paillettes Berlusconiane, che si sono sovrapposte alla moralina da oratorio senza eliminarla.

  2. il coraggio di helena e veramente incredibile infatti essa ha il coraggio di dire cose chiare contro il suo editore cioè silvio berlusconi. lei non è preoccupata del fatto che lei pubblica per lui e gli dice chiaramente questo fatto della narrazione che già spiegò il grande robbi e che credo che forse potrebbe davvero danneggiare berlusconi. ma poi la cosa più bella è che questo è un artcolo dell’unità che non è un giornale come gli altri che vendono le copie ma è un giornale tenuto in vita per il grande valore culturale con i soldi pubblici e che ho visto che ci sono parecchi indiani che ci scrivono sicuramente arrotondando un po’. secondo me questa è la vera strada che dobbiamo camminare se vogliamo migliorare il paese cioè non avere pregiudizi sia per i soldi privati cioè di berlusconi, sia per i soldi pubblici, continuando a esprimere quelle idee rivoluzionarie come la narrazione che molto presto cambieranno la nazione italia dall’interno, anche attraverso mondadori enaudi unità ecc. almeno credo. grazie e scusate

  3. sono d’accordo col grande amico rotowash solo però voglio dirgli che helena se non sbaglio ha lasciato mondadori e quindi forse ha deciso di non fare più la battaglia dall’interno ma solo dall’esterno

  4. “Esistono paesi più evidentemente disastrati dell’Italia”? comincio a dubitarne….Ad ogni modo, eravamo un paese che, grazie soprattutto al Neorealismo, ha dimostrato al mondo intero la propria bravura nel raccontarsi. Ad un certo punto, forse constatando quanto brutto sia diventato, forse cercando di nascondere il prezzo che si è abbassato a pagare per sedere alla tavola delle grandi potenze e dei paesi più sviluppati, si è avvolto in un velo, sempre più fitto e pesante, che ne nasconde le abominevoli fattezze.
    Complimenti ad Helena Janeczek per l’articolo.

  5. Leggo l’intervento di r……h e penso all”esercito dei 50 centesimi’ in Cina. Mi domando quanto siano le tariffe in Italia per ripetere ovunque la linea di partito online… Se uno ci mette di suo senza limitarsi a ripetere la pappardella ci sono possibilità di carriera?

  6. Il tutto si potrebbe poi raccogliere in un’agile enciclopedia di 22 volumi, intitolata: “Trent’anni e passa di editoriali su Berlusconi”. L’offensiva intellettuale più imponenente portata avanti dagli intellettuali e i giornalisti italiani.

  7. Un bellissimo pezzo, che dice una verità ancora più tragica di quella che vediamo: la crisi sociale e politica in Italia è anche una crisi d’immaginario.

  8. E’ sempre bello e interessante quello che scrive Helena Janeczek. Però.
    Io penso che la questione Ruby, che vede uno stuolo di disanimate puttanelle che sognano di essere indecentemente manomesse dal vecchio bavoso, ha a che fare, più che con il lavoro e la sua sottomissione persistente, col cattolicesimo italiano, doppio, anticristiano, annichilente. Un cattolicesimo disincarnato che permette tutti i giorni di essere violato, molestato e stuprato senza opporre alcuna resistenza, pascendosi anzi di un potere fondato proprio sulla sua ambivalenza.

    La storia italiana ha avuto pochi momenti di sussulto civile collettivo; posso citare almeno la Repubblica romana, la resistenza, l’applicazione della Costituzione negli anni Settanta. La chiesa cattolica non alimentato l’educazione civica degli italiani, anzi, ha insegnato loro a chiedere al prete cosa pensare, ha respinto il libero esame delle scritture come della vita. Il cardinale Sepe afferma che bisogna vedere anche il lato buono di quel vecchio porco corruttore menzognero impostore buffone che noi tutti conosciamo. Bisogna contestualizzare le sue bestemmie. Vescovi e prelati non hanno mai fatto la guerra all’anticristianesimo della Lega (nella quale c’è chi in questo caso si dimentica di invocare la castrazione chimica per pedofili e stupratori), non hanno mai attaccato frontalmente le violenze verbali dei suoi ultras; taceranno anche ora di fronte alla condotta non proprio paolina del loro amato unto del signore.

    Bisogna riciclare la risibile distinzione privato/pubblico, che dovrebbe valere per gli oligarchi e non per i comuni cittadini, sempre più sorvegliati e invasi. Potrebbero scoprire che è arrivato perfino al cannibalismo, o all’incesto. Molto meglio perdonare, che il potente sodomizzi una minorenne e poi difenda la famiglia tradizionale non è affar che vale. Analogamente, educati per secoli all’inciviltà del farsi i cazzi propri, troppi italiani preferiscono trascinarsi per casa in ciabatte. La protesta costa fatica e non è conveniente, furono 12 quelli che rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo.

    La nazione del rinascimento e del risorgimento pare incapace di rifiorire, sempre più dormiente sotto una coltre di cemento che sta cancellando la sua straordinaria bellezza. Se succede qualcosa che può scandalizzare i bacchettoni bisogna spostare l’attenzione, accumulare distrazioni, fare cagnara senza mai parlare del merito, come quando in televisione si urla e s’interrompe chi sta tentando di dire qualcosa di giusto e intelligente, che potrebbe far nascere un’idea nello spettatore. Che pensino al nostro posto, che siano altri i cittadini, altri gli italiani. Spero che gli immigrati insegnino a questa gente il dolore e la passione di guadagnarsi il rispetto ed i diritti con la lotta.

  9. ma il meglio sono le intercettazioni di alcune “ragazze bisognose d’ aiuto” aiutate dal premier:

    “Che palle ‘sto vecchio, fra un po’ ci manda affanculo tutte quante… quella è la volta buona che lo uccido… vado io a tirargli la statua in faccia”.
    Cioè: lui s’illude di averle fulminate col suo charme, “volete mettere il piacere della conquista?”. E quelle, subornate dal partito dell’odio, lo chiamano “la nostra fonte di lucro”,
    “che schifo quell’uomo”,
    “l’ho visto out, ingrassato, imbruttito, più di là che di qua, è diventato pure brutto (prima invece era un figo pazzesco, ndr): deve solo sganciare. Spero sia più generoso, io non gli regalo un cazzo…”.

  10. Grazie Helena, ricordavo anch’io questa telenovela colombiana ma non sapevo delle versioni successive, progressivamente edulcorate sino al punto di cambiarle di segno se è vero che come movente l’amore prende il posto della carriera. Nelle intercettazioni che abbiamo potuto leggere è la carriera televisiva che emerge come movente, anche se nel discorso pubblico l’amore per le persone di successo -e che a questo giungono attraverso il lancio in alcune apparizioni televisive- è un tratto reale e caratteristico della nostra epoca. Non sono però così d’accordo, od almeno ne dubito, che la storia del Paese coincida con la storia di Berlusconi. Se per primi fossimo attenti critici della società dello spettacolo, dovremmo esser vigili sempre nel denunciare la sfasatura che vi è fra realtà e immaginario e dunque dire con certezza che molto del ‘bello’ che esiste semplicemente non appare. E che forse questo bello non è così ‘in minoranza’.

    Lo specchio deformante della realtà, quella televisione che lo sguardo degli intellettuali ha troppo trascurato è, sebbene criticata in superficie, ancora troppo creduta in fondo: ma è la sua potenza che ne determina l’ontologica credenza. Parentesi: Berlusconi per discolparsi da accuse innegabili usa la potenza del video, e così la faccia di Ruby che piange recitando -mi ricordava la straordinaria scena del provino in Mulholland Drive, in cui allo scomparire e riapparire della cornice ci si percepisce progressivamente spettatori del falso o del vero, come della voce che si rivela microfono- si sovrappone alla trascrizione delle sue telefonate, opponendo alla verità, quella delle intercettazioni, la potenza del video. Ricordo l’escamotage di Santoro in Annozero che per restituire la forza delle intercettazioni, dopo l’interdizione all’uso di far recitare delle persone come fatto in precedenza cominciò a usare il disegno. Potenza dell’immagine. Chiusa parentesi.

    E forse dovremmo dire che non siamo riusciti ad aggiornare le nostre forme narrative anche perchè chi progressivamente si è impadronito dei media ha ridotto lo spazio dell’intelligenza, rilegata via via in spazi sempre più ridotti e di nicchia. E una certa vocazione alla minoranza della sinistra forse, il suo abdicare ai luoghi del potere (oltre ad esser fatti fuori, penso che molti abbiano ceduto e accettato posizioni via via più defilate, sino a scomparire: vedi il tuo intervento su alfabeta2 sull’egemonia culturale della destra ormai)-e dunque anche della responsabilità- abbia fatto il gioco di chi è ora al potere (senza alcun senso della responsabilità). Esiste in Italia un problema di proprietà dei mezzi di informazione enorme, e la lotta di coloro che son all’interno -lasciare Mondadori è un gesto che ha avuto anche a che fare con questo? Non chiedo una risposta, evidenzio solo la domanda che mi pongo- non basta. Non è bastata e non basta.

    Tutto il discorso sviluppato sulla responsabilità dell’autore, pur riconoscendo validità ad opinioni complesse, non fa che illuminare la tragica situazione nella quale si trovano molti intellettuali scrittori oggi in Italia. Coloro che sono nelle retrovie devono tornare alla ribalta. E cominciare a dare spazio a ciò che il reale è, sconfessando sondaggi e televisione, che come in un circuito chiuso ora non fanno che riproiettare se stessi, in un infinito Grande Fratello. ll 46 per cento che vota no non era scritto in nessun sondaggio. E non ho ancora trovato parole -seppur molti abbiano ben letto l’evento- che fossero all’altezza di questo straordinario gesto.

  11. Al volo sull’idioletto di Rotowash alias immondizie riunite: lo trovo genialoide, ma dubito possa riuscire a “mantenerlo” sul lungo periodo. Poterebbe farne una raccolta però; io quando mi capita copio e incollo i suoi pezzi nella cartellina “immondizie riunite.” Alcuni sono esilaranti.

  12. @macioci

    caro macioci se vuoi ricevere la nostra produzione, che è produzione propria, scrivi a superfive@libero.it riceverai tutto lo spam che la nostra scuderia produce

    grazie dell’apprezzamento

    sergio soda spam, ultrà liberale, w l’arte privata! italia merda!

  13. ciao a tutti,

    non sono così sicuro, come scrive christian raimo, che ci sia crisi di immaginario. non sono neanche così sicuro che l’immaginario sia uno solo.

    forse, in questo momento, con tutto questo riaffiorare nelle trascrizioni delle intercettazioni di donne travestite da poliziotte ed infermiere, così come avveniva nelle commedie sexy anni ’70, poi ribattezzate nel loro insieme “cinema pecoreccio”, possiamo invece notare quanto siano vagamente vintage e datati i fantasmi che popolano questo immaginario – soprattutto gli indigeni che abitano la barzelletta ormai anch’essa vintage e pre-politically correct del bunga bunga.

    cosa voglio dire? che quello che succede oggi non è tanto una crisi di immaginario, ma un’epidemia di immaginario: chi è più forte dal punto di vista politico-economico-sociale sfrutta la propria posizione per imporre un immaginario su tutti gli altri presenti nella sfera sociale, per diluire il proprio immaginario dentro gli altri possibili immaginari, anche senza fare nulla, anche lasciando che le notizie circolino senza fare più di tanto per ostacolarle. (non è forse l’imbarazzo il punto di contatto e collisione tra immaginari differenti?)

    è chiaro: questo immaginario ci dice qualcosa degli italiani? assolutamente si. ci dice tutto? no, non credo. almeno fino a quando non ci sarà una netta sovrapposizione tra l’immaginario in questione e tutti gli altri. ma cosa esplicita più di ogni altra cosa? la storia, l’età, i valori di una generazione. e forse è tutto qui il problema: superare sia quella generazione che quell’immaginario generazionale.

    **************+********************************************

    altra questione: dato il contesto in cui viviamo, è possibile ricorrere ancora alle forme del neo-realismo per raccontare la la vita quotidiana in tutti suoi aspetti? no, non credo.

    la pretesa veridittiva del neorealismo si basava sul fatto che tra la realtà e le persone che organizzavano in un racconto la rappresentazione di quella realtà ci fosse una e una sola mediazione: quella della macchina da presa.

    oggi tutto ciò è impossibile: non solo le forme di mediazione si sono moltiplicate all’infinito, non solo i mezzi di riproduzione di immagini e rappresentazioni sono passate dalla mano di pochi alle mani di tutti, ma la vita sociale stessa è passata, come dice michel houellebecq, dall’estensione del dominio della norma, dove la vita sociale era fissata in forme stabili nel tempo, all’estensione del dominio della lotta, dove le forme sociali stabili non sono più, e ognuno nell’alveo del liberismo sfrenato, forte dei propri mezzi, cerca di imporre e/o condividere il proprio punto di vista sul mondo.

    come ricorda helena, quello che ci insegna bolano – oppure un film bellissimo mai arrivato nei cinema italiani per motivi politici, cioè “redacted” di de palma – è che la realtà per essere racconta deve tenere conto delle molteplici mediazioni e passaggi che avvengono tra la “realtà bruta” e la “realtà rappresentata” (sia pure mediazioni del tutto fantastiche, o allegoriche, puramente finzionali).

    non sono neanche così sicuro che ci sia un un nesso tra proliferazione e diramazione delle forme narrative e disgregazione delle forme istituzionali e sociali di un paese: ma se così fosse, qui in italia, nei prossimi tempi, ne vedremo proprio delle belle.

    giuseppe

  14. Grande pezzo questo di Helena Janeczek.

    Credo comunque che Berlusconi sia ormai impotente e le ragazze non le tocchi. Forse al massimo le fa sedere sulle sue ginocchia, carezzando loro i capelli.

  15. Helenuzza, camminavamo impacciati nel casino di Canal Street e mi raccontavi questa storia. Non ti dissi allora quanto è bella l’intelligenza che cammina, te lo dico adesso :)

  16. Ottimo Helena, la storia politica e sociale di questi anni sembra proprio, come dici tu, un romanzo d’appendice impazzito, un feuilleton televisivo d’oltreoceano Così noi, avidi di sapere, telefoneremo agli amici americani per farci dire, raccontare, sull’orlo del baratro come nell’episodio su Beautiful di Caro Diario , come andrà a finire. effeffe

  17. Grazie! Avete scritto delle cose davvero molto interessanti, provo a rispondervi.
    Pensco che Paolo Pisacane (e in qualche modo Jacopo Galimberti) abbiano ragione a chiamare in causa anche l’azione profonda del cattolicesimo italiano, il suo continuare a fungere da strumento di doppia morale, sottomissione non solo sessuale, mortificazione che non si risolve con una società apparentemente così permissiva, perché nega il desiderio: l’autonomia e dignità – se posso dire – del desiderio di ciascuno.
    Sono d’accordo con mb quando dice che non si può far coincidere riduttivamente l’Italia reale e la sua storia recente con la vicenda e ancora più l’immagine di Berlusconi. E infatti uso una chiave di lettura parziale, partendo e tornando nel finale alle frasi dette da Carlo Freccero, ossia di uno dei primi creatori di quel regno (dell’)immaginario, in qualche modo anch’esso divorato dalla “realtà” che ha contribuito a creare.
    Ma credo che in parte abbia anche ragione nel vedere nella vicenda reale e immaginaria di Berlusconi qualcosa di emblematico.
    E proprio qui le cose diventano complicate. Perché ha ragione anche Francesco quando richiama ai xxx presunti tomi di enciclopedia che si potrebbero riempire con gli editoriali su Berlusconi. Il fatto però sconcertante è che forse non da trenta, ma da diciasette anni e passa, si è continuato a ripetere nelle stesse forme (gli editoriali) sempre più o meno gli stessi alti gridi di sdegno e indignazione che avevano come oggetto Berlusconi: lui praticamente solo, con quasi nulla attorno, nessun contesto.
    E questo, stranamente, ha fatto sì che ci si è fatti medusizzare da quell’immagine centrale: senza guardare oltre, senza un’analisi più estesa di quel che erano le ricadute culturali, politiche, sociali, economiche ecc. di ciò che stava accadendo nell’italia berlusconiana che è qualcosa di assai più esteso del volto o del corpo del Capo.
    Infatti mi colpisce che, a parte gli editoriali e i saggi alla Travaglio, a parte l’inutile battaglia delle opinioni (sovrapposte in maniera assordante come da Santoro o co. o rivolte distintamente alle opposte fazioni che leggono i giornali), insomma a parte questi discorsi prevedibili che non fanno altro che cementare e allargare un consenso preesistente, siano state prodotte pochissime opere (saggi, romanzi, film ecc) che davvero aiutino a capire meglio. Come se parlare di questo fosse un compito già coperto da certi addetti ai lavori e specialisti (opinonisti ecc.), e dato che grazie a costoro di Berlusconi si parlava già fin troppo, gli intellettuali potevano/dovevano piuttosto occuparsi di altro. Scrivere romanzi sul precariato, fare film sulle difficoltà degli incontri sentimentali multietnici ecc. Poi questo – e torno al richiamo di mb a non confondere davvero tutto un paese con l’immaginario legato al suo capo di governo- era anche più che legittimo e giusto (così come è legittimo scrivere di tutt’altro ancora).
    Ora io però credo di aver capito più di questo paese o almeno di questi aspetti del suo mutamento leggendo le eccezioni. I libri di Walter Siti, “Troppi Paradisi” in testa o di “Di questa vita menzognera” di Giuseppe Montesano. Libri dove, per inciso, non compare Berlusconi.
    E credo siano stati utilissimi un film come “Videocracy” o un libro come “L’egemonia sottoculturale” di Panarari (dove si parla della tv berlusconiana e di chi la fa, non di Berlusconi stesso), perché anche se “quelle cose le sapevamo già”, la messa fuoco di una rappresentazione articolata ci mancava.
    Infine, vorrei insistere che credo ci sia una dialettica assai stringente fra l’aspetto culturale di cui fa parte l’immaginario e quello economico-sociale. Immagino che Marx avrebbe detto fra struttura e sovvrastruttura. Anche in altri paesi milioni di spettatori si vedono il Grande Fratello o l’Isola dei Famosi, anche altrove la moda “sdogana” certi capi di vestiario come gli stivali con tacco a spillo fin sopra al ginocchio che erano stati un classico per puttane sado-maso, e certa musica pop e pubblicità propone spot e video alimentati dall’immaginario porno.
    Quindi credo che se tutto questo in Italia abbia agito più a fondo, da un lato sia dovuto alla precocità e estensione con cui è stato proposto dai media (l’egemonia, appunto), dall’altro alla maggiore vulnerabilità di una società in declino economico. E qui bisognerebba anche capire quanto tale declino sia dovuto alla prassi politica di sostituire gli interventi sul reale con gli interventi mediatici, con la cosmesi dell’immaginario. Abbiamo, in ogni caso, tassi di disoccupazione spaventosi di giovani e di donne, in confronto con altri paesi europei. Ed è anche per questo, perché siamo così bloccati (anche dalla logica delle clientele e raccomandazioni) che stupisce poco se intere famiglie “normali” fanno il tifo per l’unico componente che abbia in mano la carta della “bella presenza” (eufemismo vintage) da giocarsi come possibile ascensore sociale.

  18. *come ognuno impara a leggere e scrivere, ognuno deve avere la libertà di leggere e di scrivere*.

    chi indovina donde la citazione, ci regalo il testo.

  19. Come facciamo a sapere se c’è o no una «crisi dell’immaginario» se quasi tutto l’immaginario ( e quasi tutta le narrazione) è monopolizzato dal Merda?
    Perché continuare a dibattere (e dibattersi) all’infinito, quando il Punto, Principale & Cruciale (che del resto si è visto da subito) da cui discendono tutti gli altri è, e resta, il così detto Conflitto d’Interessi?
    Come si fa a vedere anche la questione delle para-orge (nemmeno di vere orge, si tratterebbe, che il marchese De Sade non rientra nell’ottica piccolo-borghese del Merda), delle ragazze nel para-harem, della concussione, eccetera, come cosa separata e non conseguente da quel Punto Principale da cui tutto discende?
    Giusta l’osservazione sulla povertà e la limitatezza della narrativa, televisiva e non, popolare e non, ma com’è possibile non ricondurla al monopolio del Merda sulla comunicazione e l’editoria?
    Al suo dominio «morbido» sul paese?
    Finisce che il punto lo coglie (come al solito?) Rotowash, con la sua ironia sulle contraddizioni nelle quali si impaniano intellettuali e narratori, a «tutti i livelli», come una volta si disceva.

  20. si,ma nemmeno gli sceneggiatori di lost ubriacati a rosolio avrebbero saputo prevedere un copione dove un giornalista che fa il proprio mestiere viene messo al bando e un dipendente amico fraterno dello stesso inquisitore,direttore di un tg vergognosamente schierato,viene intercettato mentre discute su come intercedendo per un prestito ricaverà un paio di milioni dal proprio mentore ,all’insaputa del principale,resta saldamente al proprio posto.Incesti mediatici,democrazia deragliata(hanno buttato la coca sul ventilatore)

    http://mustard-relics.com/wp-content/uploads/2008/06/motorhead-01-aceofspades.mp3

  21. il marchese De Sade non rientra nell’ottica piccolo-borghese del Merda
    scrivi, Francesco.
    Ma secondo me è proprio lì lo facto!
    vale la pena citare alcuni passaggi da Dany-Robert Dufour,”Cité perverse, libéralisme et pornographie

    Donnez moi ce dont j’ai besoin, et vous aurez de moi ce dont vous avez besoin vous-même.” Adam Smith, richesse de nations (1776)

    (trad. datemi quel di cui ho bisogno e avrete da me ciò di cui voi stessi avrete bisogno))

    Prêtez-moi la partie de votre corps qui peut me satisfaire un instant, et jouissez, si cela vous plait, de celle du mien qui peut vous être agréable”
    Donatien Alphonse François de Sade, Juliette (1799)

    (Datemii la parte del vostro corpo che potrà soddisfarmi un istante e godete se vi garba di quella del mio che vi potrà essere gradevole)

    o ancora

    Sade, niente affatto morto!
    Di più: resuscitato. Cosa dico: in trionfo!
    Questa sarà l’ipotesi qui affrontata: noi viviamo in un mondo sempre più sadiano.
    Ma cosa potrà mai significare un mondo sadiano? Si tratta di un universo dove gli individui obbediscono innanzitutto a quel comandamento supremo che è: Godi! Se una cosa del genere si comincia a intravederla, ciò a cui siamo meno preparati sono le differenti dimensioni in cui poteva realizzarsi questo godimento.

    poco oltre

    Il sistema pornografico non è limitato al genere porno chic. Si trova al cuore di tutti i micro racconti quotidianamente riversati in onda e affissi sui muri delle Città. Non si guardano più quei manifesti pubblicitari per quanto comuni, eppure ecco cosa ci dicono:

    – Su uno di questi, si vede il sedere di una donna con la seguente didascalia:
    I suoi reni sono solidi? Verificate la solidità della vostra ditta (3617verif)”

    – un’altra mostra una macchina con la dicitura:
    ” Lui ha i soldi, ha la macchina, avrà la donna” (…)

    Possiamo allora affermare che la dimensione sessuale è la sola in cui possa realizzarsi il comandamento a godere? No, se ci rivolgiamo agli Antichi che potrebbero essere stati in materia ben più perspicaci di noi (…)
    effeffe

  22. Comunque qui all’estero protagonista assoluta che stupisce resta la VOSTRA impotenza, non Silvio Berlusconi, che oggi dai commenti su NI scopriamo essere addirittura – scandalosamente – piccolo borghese!

    Fatelo fuori. O tacete per sempre.

  23. L’Italia? Un romanzo d’appendice! Dove mancano i protagonsti, quelli che dovrebbero far fuori Er Prostata. Rrr

  24. O forse l’impotenza sessuale di Berlusconi dovrebbe essere metafora della vostra che vi fate carezzare le chiome dal vecchio papi caro?

  25. ho trovato questo tuo pezzo, helena, molto intelligente e originale.
    Non so se sia il vero, ma certo gli somiglia molto e fa riflettere.
    Un Tartuffe trasferitosi in una ventennale soap è cosa molto italiana.
    geo

  26. francesco, sono d’accordo che il conflitto d’interesse è all’origine di tutto. E sicuramente c’è stata un’interrelazione strettisima fra dominio dei media, alti e bassi, di nicchia e di massa, e il chiamamolo obnubilamento.
    C’è poi il problema che rischi una querela ugualmente se pubblichi con un editore non-b. Il mio attuale – Guanda – ad esempio mi ha fatto presente un appellativo oltraggioso messo in bocca a un personaggio d’invenzione che si riferisce a un esponente della Lega. Questo non toglie che un numero enorme di intellettuali in senso largo si dibatte nella contraddizione di guadagnarsi da vivere grazie a aziende dell’orbita berlusconiana o in istituzioni pubbliche (musei, scuole, biblioteche, uffici vari) che sottostanno alla destra al potere. Me compresa, ovviamente. Che non ho mai preteso di fare le “battaglie coraggiose” dall’esterno e interno con cui mi canzona rotowash alias Sergio.
    Resto però convinta che ci sono anche ragioni indipendenti per cui molti non hanno percepito che, una volta chiaro dove stava la merda e donde discendesse, sarebbe stato il caso di guardarsela un po’ meglio.

  27. @Helena

    “ Non è solo per colpa di Berlusconi e del suo dominio sul nostro immaginario tenuto in un limbo datato agli anni ‘50 rivisitati negli ‘80, che fatichiamo a creare narrazioni in grado di farci orizzontare nel nostro presente “

    Finalmente siamo arrivati al punto (e non caso, credo, riemerge il grande romanzo di Giuseppe Montesano, “Di questa vita menzognera” ). La colpa è di chi ha creduto che si potesse combattere con la narrazione realistica la produzione industriale di immaginario da parte dei gruppi editoriali di B. Si è trattato di un grave errore culturale. Bisognava e bisogna riportare tutto al piano simbolico, cioè al linguaggio, che è il tribunale competente a combattere la produzione di immaginario tossico; non alla supposta realtà, che è invece una pura invenzione, uno dei prodotti dell’immaginario stesso. D’altra parte, se la realtà è un prodotto dell’immaginario, vuol dire che appartiene a B e ai gruppi editoriali che la producono quotidianamente, vuol dire che se non riusciamo a dimostrare la falsità del loro sistema enunciatorio autoritario, saremo destinati a essere governati da questo o quel gruppo editoriale, che se non è zuppa è pan bagnato: altro che democrazia…

    Insomma, il punto è che il sistema editoriale edita prima di tutto la realtà come gli pare e piace, al fine di meglio governarla. Questo è l’informazione (e in parte la cultura) fuori dai controlli istituzionali e fuori dalle regole di un vero mercato. Per questo le notizie hanno fonti sempre più traballanti, quasi sempre atti giudiziari, testimonianze di persone o gli stessi prodotti del sistema editoriale, giornali, libri, programmi tv, in una circolarità che dire vergognosa è poco. E non vi sembri un caso che dall’orizzonte informativo è scomparsa qualunque prospettiva che riguardi il piano simbolico e, soprattutto, il piano del reale.

    Quiz: chi è che fa appello agli scrittori perché si occupino della realtà invece che delle loro seghe?

    Ps: comunque, Helena, se si riporta la discussione sulla letteratura alla discussione sul linguaggio della letteratura, alla riflessione sulla catena simbolico-immaginario-reale, si fa qualcosa di davvero civile.

    Ps2: “ Fatelo fuori. O tacete per sempre “. Dice giustamente Ama. Ripeto, il primo modo per farlo fuori, da supposti narratori, è non cadere nella trappola del realismo, della descrizione della realtà, che è assolutamente inventata, un miserabile succedaneo dell’immaginario.

  28. @Larry_Massimo

    Sono assolutamente in accordo col tuo ultimo commento. E ritengo che Waltre Siti, citato da Helena Janeczek come maestro (degli Indiani e non solo) non sia in alcum modo antagonista al linguaggio dei profeti berlusconiani che gli sopravviveranno.

  29. Silvio deve stare attento a non sforare nel trash, genere estetico che può piacere all’intellettuale situazionista, ma che fa piangere la Madonnina; e, se in Italia, piange la Madre, non si salva nessuno.

  30. Non avrei mai immaginato che la parabola berlusconiana si sarebbe arenata in una storia di puttane e festini.
    Quando Repubblica iniziò la sua inchiesta sul caso D’Addario, la rubricai come una campagna di mistificazione più vicina alla scelta di una nuova linea d’attacco politico che ad una vera indagine giornalistica. Sono di sinistra ma ho il vizietto della verità e mi piace mantenere un atteggiamento critico verso ogni cosa. Per questo vidi chiaramente in quel martellamento gossipparo e nel tentativo di disegnare l’immagine un po’ forzata di un leader schiavo del sesso, l’ultima spiaggia di un’opposizione che non era riuscita a scalfire la sua popolarità con gli argomenti più logici (vedi per incapacità della sua classe politica, vedi per un difetto palese di comunicazione, vedi per altri mille motivi che non sto a dire) e tentava l’ultima carta del sex gate per defenestrarlo, finalmente.
    Neanche il più pessimista dei redattori di Repubblica si sarebbe aspettato che l’incredibile polverone sollevato avrebbe arrecato un danno così lieve all’immagine di Berlusconi, riducendo sì il suo consenso ma per una così misera manciata di punti percentuali da far apparire vano l’aver trasformato uno dei più importanti giornali italiani in un Daily Mail qualsiasi.
    Ancora oggi resto dell’idea che ricorrere allo scandalo sessuale per eliminare dallo scenario politico Berlusconi sia degradante soprattutto per un’opposizione che resta senza identità e senza un briciolo di spina dorsale.
    Se non si fosse aggiunto al mosaico di degenerazione fin qui allestito il tassello insopportabile del caso Ruby, sono convinto che l’opinione pubblica italiana avrebbe continuando a digerire le più incredibili intemperanze berlusconiane perché oramai priva di quegli anticorpi culturali la cui coltivazione in vitro è compito e dovere dell’opposizione.
    Ed è su questo aspetto che si deve continuare a discutere e ad indagare.
    Sul perché la strategia di Berlusconi di farsi interprete ridanciano di un machismo radicato in Italia, e sposare la sua immagine di sultano attraverso l’esaltazione di quei valori da cinepanettone (che saranno pure criticabili, ma fanno tanto, troppo “italiano”) sia risultata vincente.
    Sul perché si sia arrivati ad una tale cecità da continuare a credere che consegnare il paese ad un uomo di tal genere sia stato il meno peggiore dei mali.

  31. @Ama

    qualche volta anche io sono d’accordo con me stesso. questa è una. confermo montesano. di siti non so, mi resta abbastanza indifferente, nella classifica degli autori che non ho mai letto non è tra i principali (uno dei primi è busi, poi c’è ammanniti, c’è piperno, c’è la matteucci ecc). l’unica cosa che posso dire è che certi suoi ammiratori di quando non aveva alcuna popolarità mi erano antipatici, e io a loro. il fatto è che i valori che determinano l’importanza di un autore invece di un altro si fabbricano sempre nelle officine editoriali di cui sopra: impossibile fidarsi del successo, anche quello più di nicchia.

  32. In tutti in paesi civili gli uomini pubblici sono chiamati – anche- a rendere conto della loro vita privata. In tutti i paesi i giornali riportano (e a seconda dell’interesse politico cavalcano amplificandoli) gli scandali sessuali. Con l’esito che non solo un presidente come Clinton, ma uno stuolo di ministri o parlamentari, hanno dovuto rinunciare ai propri incarichi. Quindi è vero che l’attacco di Repubblica a partire dal caso di Noemi era un atto politico, ma non ci vedo nessuna reale anomalia nel modo in cui i media operano ovunque (e, ripeto, i media ovunque hanno un colore). L’anomalia è che Berlusconi è ancora lì. Perché? Solo perché i suoi elettori sono sua immagine e somiglianza, vorrebbero come lui avere stuoli di donnette allegre e ignude più valanghe di soldi per pagarle? Perché sono espressione di un popolo cinico, amorale, menefreghista, familista, deficitario di senso civile e/o dello stato ecc? Anche…ma credo che quel poco che nei decenni della nostra sempre fin troppo bloccata e intorbidita democrazia, era riuscito a formarsi, sia stato mandato pesantemente in ammollo da questi ultimi decenni di conflitto di interesse sul quale l’opposizione ha mercanteggiato anzicché tenere fermo il punto che è inammissibile. Cosa cazzo si chiede alla casalinga di Voghera (scusate l’espressione) di valutare quanto sia grave che uno che governa, controlla pure i media, se sono i deputati eletti che si accontentano di avere una rete tv e qualche programma in sintonia sulle altre?
    La tendenza a spettacolarizzare e personalizzare la politica, a renderla un format consumabile, a mostrare foto di famiglia- neppure quella è solo nostra. E’, appunto, la società dello spettacolo e dell’immagine. Comporta questo e, talvolta, il suo potere soccorre pure i candidati e le politiche opposte, vedi quando negli USA ha vinto Obama.
    Ma qui questa dimensione, a causa del controllo zero, ha annullato gli anticorpi già deboli in partenza. E quindi la politica è ridotta a una battaglia fra opinioni che si equivalgono. Vale a dire, su scala più grande, a narrazioni, a cui la “gente” crede oppure no. Molti elettori del centrodestra semplicemente hanno continuato a non credere che Berlusconi è un mafioso, un puttaniere depravato e così via. Ho assistito a commenti piuttosto grotteschi che lo scagionavano dicendo “ma va là, cosa vuoi che faccia alla sua età!” Come fosse quello il punto.
    Ma il punto – ossia che un uomo politico debba rispettare certi requisiti formali, certi ruoli suoi e altrui (fra i quali quello del potere giudiziario) – non viene manco minimamente percepito. Tutto è un megadrammone famigliare, da guardare con irrazionale adesione ai protagonisti o antagonisti.
    E ripeto (con Pecoraro) che questo è stato possibile, perché si è consumato il peccato originale di non sciogliere il conflitto d’interesse. Di non insistere sul fatto evidente che non è compatibile il ruolo di capo del governo con quello di proprietario della metà dei suoi media (con potere di lottizzare e infine sottomettersi anche quelli pubblici).
    @ Larry e AMA
    sono contenta che ci troviamo d’accordo su Montesano. Siti non lo ritengo un maestro, ma uno scrittore che ha saputo dare forma a un mondo contigente o impastato di “berlusconismo”, anche perché non mi pare proprio che voglia chiamarsene fuori (fare da antagonista). Poi ci posso trovare dei limiti o diffetti, apprezzare un libro più di un altro, pensare che ci siano pagine più convincenti e altre meno.
    Ma non è questo il punto. Il punto mi pare che voi avete delle idee molto precise e esclusive su quale tipo di linguaggio letterario possa avere un valore in sé e/o il valore di mettersi di traverso al nostro presente, io ce l’ho di meno. Ce lo per quel che riguarda la mia stessa scrittura che tende a qualcosa che voi probabilmente definireste realismo, ma non per gli altri. Però mi pare indubbio che anche se ti trovi su quella strada, ma non hai ben chiaro che sulla carta non ci finisce la realtà ma una sua rappresentazione frutto di immaginazione e uso dell’immaginario, allora è meglio che cambi mestiere.

  33. Helena c’è un frainteso grossissimo: io non ho mai detto di considerare un atteggiamento letterario meglio di un altro. Sono abbastanza d’accordo ” sulla carta non ci finisce la realtà ma una sua rappresentazione frutto di immaginazione e uso dell’immaginario “. Mi domando maliziosamente se questa formuletta la applichi sempre o se sia di comodo. A me piace fare giochini con le parole, perché sono scemo di natura, ma amo la letteratura fatta con le idee più di quella fatta con le sole parole, per esempio quella di Sciascia, di Simenon o di Stendhal. Sono altri, anche qui, ai quali deve chiedere conto di liberarsi da quasi sempre tossiche scorie avanguardistiche, del loro sanguinetismo feroce, quello sempre in guerra che non fa prigionieri. Non faccio nomi ma ci siamo capiti. E non faccio nomi neanche sorridendo al pensiero di quel giovane scrittore che ritiene che le mafie abbiano paura delle parole e del racconto, che invece hanno paura della polizia quasi analfabeta… Ma ci siamo capiti lo stesso.

    Insomma, Helena, io ce l’ho, spero garbatamente, con chi pensa di avere un atteggiamento civile (facendo supporre che gli altri siano barbari…), superiore a qualunque altro atteggiamento culturale. Ce l’ho sopraditutto perché non sopporto l’ingenuità di chi pensa di essere incontrollabile dal sistema editoriale che produce quotidianamente l’immaginario di tutti noi, di chi pensa di essere al servizio direttamente del cittadino-lettore senza mediazioni di potere, come di chi pensa di essere direttamente al servizio del cittadino-elettore senza mediazioni istituzionali. Ce l’ho con chi si fa paladino di confuse battaglie e pensa di cambiare la realtà con la ” cultura “, che invece, al massimo, cambia il proprio conto in banca. In questo caso mi viene sempre in mente il Bukowski maturo, quello che guidava orgoglioso e lussurioso una bmv nera nuova fiammante per recarsi all’ippodromo a perdere solo pochi programmati spiccioli, quello borghesuccio che se ne stava tranquillo a casa a fianco dell’amata moglie, magari a bere un buon bicchiere di vino bianco seduto sul bel divano in pelle accarezzando il gatto controverso, che se la rideva dei suoi fans ” maledetti ” che ancora lo perseguitavano pretendendo da lui la certificazione di qualità per la loro vita arrabbiata. Il Bukowski che rimembrava tragimalinconico, vado a memoria: ” volevamo rovesciare il mondo, ma tutto quello che riuscimmo a fare fu mettere sotto la donna del nostro miglior amico “.

    Penso che si scrive per soffrire di meno, Helena, e anche per questo la apprezzo sia in scrittura che in educazione.

  34. Helena: Il punto mi pare che voi avete delle idee molto precise e esclusive su quale tipo di linguaggio letterario possa avere un valore in sé e/o il valore di mettersi di traverso al nostro presente, io ce l’ho di meno. Ce l’ho per quel che riguarda la mia stessa scrittura che tende a qualcosa che voi probabilmente definireste realismo, ma non per gli altri. Però mi pare indubbio che anche se ti trovi su quella strada, ma non hai ben chiaro che sulla carta non ci finisce la realtà ma una sua rappresentazione frutto di immaginazione e uso dell’immaginario, allora è meglio che cambi mestiere.

    Larry Massino: Insomma, Helena, io ce l’ho, spero garbatamente, con chi pensa di avere un atteggiamento civile (facendo supporre che gli altri siano barbari…), superiore a qualunque altro atteggiamento culturale. Ce l’ho sopraditutto perché non sopporto l’ingenuità di chi pensa di essere incontrollabile dal sistema editoriale che produce quotidianamente l’immaginario di tutti noi, di chi pensa di essere al servizio direttamente del cittadino-lettore senza mediazioni di potere, come di chi pensa di essere direttamente al servizio del cittadino-elettore senza mediazioni istituzionali. Ce l’ho con chi si fa paladino di confuse battaglie e pensa di cambiare la realtà con la ” cultura “, che invece, al massimo, cambia il proprio conto in banca.

    Caro Massino, il sistema editoriale che produce quotidianamente l’immaginario di tutti noi è l’ordine da combattere. E lo si combatte con differenti linguaggi ma anche riportando la realtà –la quale non è solo un prodotto del sistema editoriale, l’immaginario che ne scaturisce, ma anche la personale scala di valori che definisce quel tal avvenimento più degno d’esser dibattuto di quell’altro- alla ribalta. L’ingenuità che tu denunci rischia di applicarsi come marchio a qualunque atteggiamento di lotta civile e di ricerca di abbattimento dell’ordine del discorso esistente. Io in questo periodo non registro un aumento di ingenuità [nella lotta), ma anzi un aumento di cinismo [nella lotta, abbandonata sempre più ad una sfera singolare e non più collettiva). Io percepisco questo momento storico come un momento in cui le persone, e i gruppi sociali, hanno una difficoltà enorme nel parlarsi: quell’immaginario che tu dici esser realtà è appunto ormai del tutto autoreferenziale. Bisogna rompere questo circolo: ma possibile che le casalinghe di Voghera – che stanno anche diventando sempre più razziste – parlino solo di quello che parlano le TV stuprate di questo periodo? Non si deve, penso, rinunciare nè a criticare l’immaginario stesso –seguendolo, ascoltandolo in tutte le sue intercettazioni- né ad ampliarlo, ad andare oltre. Ad uscire dallo schermo per andar in strada [detto così sembra far ridere, lo dice uno che ama camminare e prendere l’autobus]. Non che la realtà non sia già teatrale, non che sia semplice cogliere momenti rappresentativi. Ma ben venga una certa ingenuità, nell’indagarla, questa realtà.

    Amata TV generalista. Odiate tv tematiche per soddisfare ogni esigenza : in stanze separate.

    Per fare un esempio non troppo calzante forse, i due aspetti non contradditori di questa ricerca, come un movimento centripeto [al centro dell’immaginario) ed uno centrifugo [fuga dall’immaginario], si potrebber intravvedere in due trasmissioni come blob e fuori orario. La prima non fa che rimescolare il televisivo, il salotto bordello del nostro immaginario concentrato –non solo-, la seconda –non nelle notti di cinema, ma in quelle di montaggio di immagini ‘dal mondo,’come in questo momento potrebbero esser le manifestazioni in Tunisia Algeria Egitto piuttosto che le manifestazioni in piazza della Fiom- pone all’attenzione quella ‘realtà’ che i mezzi di informazione hanno cancellato. [Decostruzione del linguaggio esistente in blob, e modernità dura di Fuori Orario nell’opporre al fasullo immaginario, uno sguardo diretto e ‘ingenuo’ direi, senza commenti –dunque non autoritario-, quello dei mille occhi digitali del nostro tempo.]

    Ed ogni giorno viene cancellata sempre più questa realtà. Massino, ti sembra ridicolo invocare un ritorno a parlare delle cose che succedono? Ti sembra che i mezzi di comunicazioni di massa vadano condannati in sé? L’equilibrio informativo di una tv com’era quella dela RAI inizio anni ‘90 e questa ti sembrano simili? Ti sembra che vi sia uno scadimento vergognoso generale o no? Ti interessa? Bisognerebbe di volta in volta capire cosa tu intenderesti per atteggiamento ingenuo. Io vorrei capire anche, perché insieme a te molte persone che conosco, amici non fanno che tacciare di ridicoli propositi azioni di critica più o meno importante. Culturale e politica.

    Personaggi come Saviano [Massino non inorridire: faccio l’esempio perché mi è sembrato calzante riguardo a un certo atteggiamento di intellettuali e sinistra in Italia oggi], che si sono esposti nella denuncia delle mafie, e facendo discorsi molto precisi [l’entrata nell’economia legale, l’internazionalizzazione, l’alleanza con il capitalismo delle speculazioni] e riportando la questione morale al centro del discorso pubblico in un momento in cui corruzione e evasione sembrano esser i caratteri principali del Potere Scandaloso che ci governa, e che a valanga condiziona e giustifica atteggiamenti via via sempre più piccoli di violenza e sopraffazione quotidiana, vanno criticati molto quando sbagliano [ritengo gravissima la sua scelta di appoggiare la manifestazione “Per la verità, per Israele”, ritengo sbagliato e criticabile, come per altro già detto altrove ed in modo approfondito, il suo intervento sulle manifestazioni studentesche di Roma nel dicembre scorso] ma non criticati come personaggi in sè. Non rimando al lungo discorso che se ne è fatto su questo NazioneIndiana o sul Manifesto, considerando il saggio di Dal Lago, ma il tratto importante di Saviano è stato per me l’esporsi in prima persona per una lotta civile. Anch’io tremo all’idea che sia Saviano, e non decine di onesti esponenti del PD a denunciare ciò che è successo nelle primarie napoletane in questi giorni, ma se lo stato attuale della democrazia in Italia –per me in pericolo, e grave- è questo, perché criticare quelli che si espongono in prima persona e non invece tutti quelli che non lo fanno?

    Cinismo e qualunquismo hanno accompagnato in questi anni molte delle teste oneste che l’Italia ha. Sarebbe bene che si trovassero un po’ di più nello spazio pubblico, e non si rifugiassero nella propria camera, separati.

    Massino: Ce l’ho sopraditutto perché non sopporto l’ingenuità di chi pensa di essere incontrollabile dal sistema editoriale che produce quotidianamente l’immaginario di tutti noi, di chi pensa di essere al servizio direttamente del cittadino-lettore senza mediazioni di potere, come di chi pensa di essere direttamente al servizio del cittadino-elettore senza mediazioni istituzionali.

    Condivisibile, in astratto. Ma, concretamente, come si possono smuovere le mediazioni del potere e quelle delle istituzioni? Rimanendo in silenzio?

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Helena Janeczek è nata na Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca, vive in Italia da trentacinque anni. Dopo aver esordito con un libro di poesie edito da Suhrkamp, ha scelto l’italiano come lingua letteraria per opere di narrativa che spesso indagano il rapporto con la memoria storica del secolo passato. È autrice di Lezioni di tenebra (Mondadori, 1997, Guanda, 2011), Cibo (Mondadori, 2002), Le rondini di Montecassino (Guanda, 2010), che hanno vinto numerosi premi come il Premio Bagutta Opera Prima e il Premio Napoli. Co-organizza il festival letterario “SI-Scrittrici Insieme” a Somma Lombardo (VA). Il suo ultimo romanzo, La ragazza con la Leica (2017, Guanda) è stato finalista al Premio Campiello e ha vinto il Premio Bagutta e il Premio Strega 2018. Sin dalla nascita del blog, fa parte di Nazione Indiana.
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