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Andiam, andiam, andiam a guerreggiar

di Antonio Sparzani

Ormai è così: le parti della nostra Costituzione più innocue si tengono senza problemi, quelle che servono per una qualche lotta politica interna si usano per l’appunto per questa lotta, quelle che sono scomode per tutti gli schieramenti “importanti”, sono cioè scomode bipartisan come orribilmente si dice ormai, semplicemente si trascurano di comune accordo, si trascurano bipartisan, e morta lì.

Mi riferisco al famoso ma ormai di comune accordo dimenticato articolo 11, di cui già parlavo qui, obiettando all’autorevole opinione di Giuliano Amato il quale appunto sosteneva che la guerra ‒ non le missioni “di pace” o “di polizia internazionale” ‒ è permessa dalla nostra Costituzione ed anzi, in alcuni casi, richiesta. Forse tale autorevole opinione ha fatto scuola, ha fornito un bell’alibi teorico a tutti quanti così che il piacentino segretario del partito democratico non ha avuto neppure mezzo dubbio a schierarsi con il buon senso internazionale, per farla vedere a quel bieco di Gheddafi (in verità Muʿammar al-Qaḏḏāfī ) e, in questo clima di festeggiamenti dell’unità nazionale, ad avallare senza discussioni la posizione del governo in carica. Il quale governo in carica ha come ministro della difesa tale Ignazio La Russa, sulla cui educazione sentimentale nessuno ha dubbi, naturalmente, così che ognuno immagina quale sia il conto in cui possa tenere l’articolo 11, quando ci sia un’occasione come questa per menar le mani.

Il problema che si pone in situazioni come questa mi pare si possa riassumere nei seguenti rozzi termini: una volta che le uova sono state rotte, non rimane che fare la frittata; la quale culinaria e poco riguardosa metafora allude al fatto che quando in una certa epoca storica un gruppo di stati adotta la comoda e a breve termine redditizia politica del laissez-faire nei confronti di uno stato X, e la adotta per ragioni non così eticamente perfette, in quanto dense di pensieri di futuri tornaconti e di colpevoli connivenze, arriva poi un momento nel quale lo stato X combina qualcosa di non più in alcun modo tollerabile, qualcosa che va oltre una certa soglia: lasciarlo andare oltre quella soglia significherebbe, per tutti gli stati che l’hanno lasciato fare, perdere pubblicamente la faccia, e a quel punto si è in un’impasse non più gestibile con la diplomazia, per cui gli stati gridano al tradimento e prendono le armi, come in una santa e legittima crociata contro il fedifrago.

Ma non è così.

La responsabilità è sotto gli occhi di tutti ed è collettiva, di tutti gli stati che hanno adottato il laissez-faire, in solido; è il loro comportamento precedente che ha creato la situazione di rottura. Così come gli stati europei “per bene” che avevano lasciato fare a Hitler quel che voleva per tutti gli anni trenta, fino a trovarsi poi con l’invasione dei Sudeti e subito dopo della Polonia e all’impossibilità di stare con le mani in mano. L’esempio di Hitler è quello che si fa sempre a proposito dell’inevitabilità ‒ e della conseguente legittimità ‒ della guerra. E l’esempio della Libia non è così lontano, a parte il fatto che Gheddafi non dispone fortunatamente di una macchina da guerra così formidabile come quella tedesca degli anni trenta: dopo una prima fase nella quale la Libia era annoverata tra gli stati canaglia, è seguito un periodo di basso profilo e infine una totale riabilitazione negli ultimi dieci anni, con vendite di armi in cambio di abbondanti forniture di petrolio, accoglienze trionfali, a Londra come a Roma, cavalli berberi e buffononesco baciamano compresi nel pacchetto soltanto l’anno scorso.

Arrivati a questo punto, il colonnello va oltre il limite consentito, anche perché messo alle strette dalla sua popolazione, e quindi appunto l’accozzaglia di stati che finora lo blandivano improvvisamente è costretta, ancorché riluttante in una prima fase, per non perdere completamente la faccia, a scatenare la crociata. Un vero peccato che l’Italia, oltre all’articolo 11, abbia appena siglato un apposito accordo di amicizia con la repubblica di Libia, sua ex-colonia, per giunta. E adesso, ministro La Russa gongolante in prima fila, e Napolitano benedicente dal fondo, entriamo bellamente in guerra “con ruolo attivo”? Sì, attivo: aeroporti e aerei a disposizione.

Ma l’articolo 11 non è stato nel frattempo abrogato, o forse ci si appoggia davvero alla dottrina del dottor sottile che in questo caso toglie di mezzo una fastidiosa ultima remora che poteva angustiare qualche giovane mente, non adusa alle sottigliezze.

Una volta non c’erano i famosi “caschi blu” dell’ONU? Non si usavano quelli come forza di interposizione? Perché adesso non usa più? Perché non imporre con la forza della diplomazia di una soverchiante maggioranza, a Gheddafi l’accettazione di una forza di interposizione tra Tripolitania e Cirenaica e poi l’avvio di trattative sotto controllo internazionale? Perché? La fame di guerra urge nelle viscere degli stati affluenti, con democrazie rampanti e governi che stanno in qualche G (G8, G9, G16, ecc.)?

Dev’essere così, la pace piace tanto alla gente, ma non ai governi, malgrado le pubbliche, ipocrite, vergognose, altisonanti dichiarazioni.

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209 Commenti

  1. Condivido moltissimo l’opinione che i governi abbiano una certa attidune a guerreggiare. Un po’ meno l’interpretazione che hai dato dell’art.11 della Costituzione, che ritengo il libro sul quale fondo ogni mio residuo patriottismo.

    Premetto che sono internazionalista e pacifista ma sostengo che uno Stato fa e farà sempre la guerra (al suo interno e all’esterno..). In particolare l’art.11 non vieta affatto la guerra, senza dubbio.
    Per esempio:
    – per difendere il nostro Stato da un attacco straniero: la legislazione in materia di guerra preventiva è foltissima, ma la legittima difesa ancorchè non preventiva è comunque ampiamente permessa.
    – per difendere uno Stato alleato: per esempio questo è ciò che sancisce, a grandi linee, il trattato Nato.
    – il nostro Paese può vendere armi a un altro Paese: non è proprio come entrare in guerra, ma è un supporto molto chiaro a una parte in lotta. (Ecco, magari si vende a B perchè B venda a C…)
    – e poi c’è quel che citavi tu, le “missioni di pace”.

    Danilo Zolo ha ben definito “Terrorismo umanitario” (Diabasis, 2010) l’attitudine di chi facendo terrorismo si chiama umanitario, concordo e non aggiungo altro in tal senso.

    Perdona il commento torrentizio, ma volevo essere chiaro. L’Italia può far la guerra eccome. Ti ricordo inoltre che non esiste un esercito ONU (non ancora!) e che fino ad ora l’ONU si è sempre rivolto alle decisioni unilaterali degli Stati o organizzazioni come la Nato.
    Questo per far chiarezza,
    grazie del post!

  2. Segnalo che sulla rassegna stampa della camera non è riportato l’articolo di Angelo del Boca. In compenso però c’è un articolo della Padania che intervista Luca Zaia sul tricolore!

  3. Boh non capisco fino in fondo… Tutto giusto ma allora lasciamo che il rais bombardi quelli che lui chiama i ribelli? Questi giovani insorti devono fare da soli? Chi li aiuta? Oppure ammettiamo che contestare una dittatura sia di per sé un atto di lesa maestà? Ma le questioni di principio non dovrebbero arrestarsi di fronte a quello che sta compiendo il tiranno? Sono domande che mi sto facendo…

  4. E se la Francia mirasse a sostituirsi all’Italia nel grande affare libico? E se la Francia mirasse ad imporre le proprie aziende in luogo di Finmeccanica e di ENI? E se la vera posta in gioco fosse il controllo dell’area Mediterranea e del passaggio di approvvigionamento di gas? Tutta la bontà di Sarkozy è sospetta, così come troppo sospetto è stato il suo immediato riconoscimento delle forze ribelli. E così come puzza tutto questo improvviso interesse per le “vittime civili”. I droni americani stanno facendo stragi quotidiane di civili in Afghanistan … Silenzio sospetto … Ah, dimenticavo: negli USA c’è Obama, il Nobel per la pace tanto simpatico ai “sinistri” nostrani … E se, alla fine, fossero proprio gli USA a porre il sigillo del proprio controllo strategico in quella zona dell’Africa? E se lo facessero, ancora una volta, in funzione anti-cinese e anti-russa, usando la voglia della Francia di essere protagonista? Sì, Gheddafi è un tiranno. Ma non desta nessun sospetto che a volerlo buttare giù sia la coppia Sarkozy-Obama? In questi giorni, proprio in occasione della visita di Obama in Brasile, tutte le realtà di base (dai sindacati ai partiti di sinistra alle comunità indigene) stanno organizzando manifestazioni attorno allo slogan: “Obama: persona non gradita” … E noi?

    ng

  5. Aggiungo, così, per dare i numeri:

    I paesi musulmani tra cui Arabia Saudita, Iraq, Iran, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Yemen, Libia, Egitto, Nigeria, Algeria, Kazakhstan, Azerbaijan, Malaysia, Indonesia, Brunei, possiedono tra il 66,2 e 75,9 per cento delle riserve petrolifere totali …

    Con 46,5 miliardi di barili di riserve accertate, (10 volte quelle dell’Egitto), la Libia è la più grande economia petrolifera del continente africano, seguita da Nigeria e Algeria …

    Ma chiunque, con un po’ di volontà, può reperire informazioni sulla vera posta in gioco …

    ng

  6. Anch’io mi chiedo ciò che si chiede Alex. L’interventismo francese è sospetto, ma non fare nulla è davvero meglio? Come si può esserne sicuri?

  7. Gentile Sparzani,

    mi permetto di dire che nel suo post il tema della Libia, di Gheddafi e della posizione interventista di Bersani e del PD (secondo partito d’opposzione?) viene trattata proprio con i guanti gialli. E il paragone Gheddafi-Hitler (dopo tutto quello che è successo con Milosevic-Hitler e Saddam- Hitler) è davvero infelice, vista la “liberazione” subita, dopo la caduta dei vari Hitler, da ex-Jugoslavia e ex- Irak.
    A me pare che il duello del suo post col “dottor sottile” faccia diventare anche i suoi argomenti così sottili da essere quasi inconsistenti.
    Non ha visto – mi scusi- che nei famosi “caschi blu” gli Usa e le grandi potenze.. ci pisciano o li fanno usare, subito dopo, cone a lor piace?
    Lei pensa, forse, di vivere ancora in una di quelle che eufemisticamente definisce “democrazie rampanti”?
    Su, sveglia! Qui c’è un’altra guerra (permanente). Meno post mammolette!
    Provate a visitare un po’ di siti leggermente più “incazzati”.
    Ad es. sentite cosa dice ( è solo un esempio)questo:

    http://conflittiestrategie.splinder.com/post/24320398#more-24320398

    sarò sincero, mi è piaciuta a metà l’intervista di Mini. Non ho mai creduto che Gheddafi – come nessun capo di Stato, in particolare se riesce a tenersi al potere per tanto tempo – fosse senza molto pelo sullo stomaco. Come l’ha anche un Fidel Castro, come l’avrà Chavez quanto più resterà al governo del suo paese. Per di più Gheddafi ha avuto molti contorcimenti e giravolte, è stato assai ambiguo in mille occasioni (anche su problemi che per noi erano dirimenti). Quindi non si pone nessuna difesa della sua persona. E’ però ora di finirla con le persone. Solo teste di cazzo di sinistra (compresa quella finto-rivoluzionaria, no global e altro lerciume vario) hanno imposto in Italia la discussione in base al si o no ad un individuo. Tanto che oggi possiamo dire che l’intera sinistra ha messo in angolo (assieme a cospicui settori della destra) Berlusconi perché attaccare Gheddafi – annientando i nostri interessi fondamentali – significava attaccare un “amico” del Cavaliere. Questo pattume umano, se potesse attaccare la Russia, lo farebbe solo perché Putin e Berlusconi hanno messo la loro faccia nel concludere l’accordo, strategico per noi, del Southstream. Se però il problema non è Gheddafi, nemmeno mi sembra comunque corretto fare concessioni alla vulgata corrente, creata proprio dalla sinistra per i motivi appena visti, secondo cui Gheddafi è sanguinario, perseguita il popolo o altre espressioni un po’ simili (adesso non rileggo l’intervista, sto all’impressione). Proprio in questo momento, non si fanno concessioni sulla persona del capo libico; si dice che cosa è politicamente criminale (e non semplicemente militarmente pericoloso) in quello che fanno autentici colonialisti; questi sì sanguinari per smania di riprendere vecchi “tic” del passato e accaparrarsi ricchezze e territori in vista di altre imprese. Mini avrà qualche idea circa la strategia degli Usa (e dei servi) per il futuro, oltre all’impresa libica in sé. Queste “timidezze” sono letali alla lunga. Sapete, spero, che cos’è una “mezza verità”.
    glg

    Sentite che suona un’altra musica? Non vi va di ballarla, ma potreste regolare almeno il ritmo della vostra all’andamento caotico e “incostituzionale” del mondo.
    E, per finire, qualche volta pubblicate in un post anche una posizione dissonante come questa mia che segue, invece di costringermi a metterla solo nello spazio commento:

    Bel modo di festeggiare il 150esimo del Risorgimento!
    Risorgimento dell’Italia o del colonialismo?

    A me è venuta in mente questa:

    RISORGIMENTO

    Ave, Risorgimento!
    Io sul tuo 150tenario
    non ti mento
    e perciò…
    RISORGI,
    MENTO!
    Tondo, prominente bubbone
    monumento
    e certo documento
    della faccia di merda
    di questo popolo defunto
    che col suo parlamento
    si bea d’essere italiano
    per andare a servire
    l’amerikano
    contro il solito Hitler
    stavolta africano.

    Cordiali saluti
    E.A.

  8. Qualche osservazione sulla capacità o possibilità di intervenire dell’ONU. I caschi blu sono quasi sempre intervenuti in modalità di peacekeeping, cioè di mantenimento della pace a conflitto terminato o sospeso in seguito a una tregua. Ad esempio in Libano i caschi blu sono schierati tra Libano e Israele dopo che è stata raggiunta una tregua tra Israele e Hezbollah. Nella Ex-Jugoslavia i caschi blu sono stati schierati come forza di interposizione e con risultati pressoché nulla, non essendo stati in grado di impedire l’assedio di Sarajevo, le pulizie etniche e la strage di Srebrenica. In altre parole i tempi e le capacità di intervento dell’ONU sono del tutto inefficaci quando si tratta di imporre in tempi brevi la pace in un conflitto esistente.

    L’ONU potrebbe anche autorizzare il peace enforcement, cioè l’imporre con la forza la cessazione delle ostilità alle parti in conflitto o alla parte che aggredisce, ma per quello che ricordo interventi di questo tipo non sono mai stati autorizzati e mai hanno avuto efficacia. E dopo le esperienze di Somalia, Bosnia, Ruanda nessun paese al mondo è più disposto a inviare proprie truppe sul terreno sotto la bandiera ONU senza precise garanzie sulla presenza di una tregua operativa e consolidata.

    Quindi in base ai tempi e alle capacità operative attuali, l’ONU non è nelle condizioni di imporre alcunché di efficace a Gheddafi o di bloccare la sua repressione sugli insorti.

  9. Sempre per guardare cosa si dice fuori dal proprio orticello e in particoare all’attenzione di Alex Cartoni.

    Da:
    http://www.liberazione.it/rubrica-file/La-scellerata-risoluzione-Onu-che-porta-alla-guerra—LIBERAZIONE-IT.htm

    La scellerata risoluzione Onu che porta alla guerra

    Il Consiglio di sicurezza dell’Onu si è pronunciato a favore dell’istituzione della No fly zone sulla Libia e dell’autorizzazione all’uso di non meglio precisati mezzi necessari a prevenire violenze contro i civili. In altri termini, ha autorizzato la guerra.
    Il pallido e fino ad oggi insignificante Ban Ki Moon, diventato presidente dell’Onu solo in virtù dei suoi buoni uffici con gli Usa e del suo basso profilo, si è esaltato fino a definire la risoluzione 1973 storica, in quanto sancisce il principio della protezione internazionale della popolazione civile.
    Un principio che vale a corrente alternata. Non ci sembra di ricordare sia evocato quando i cacciabombardieri della Nato fanno stragi di civili in Afghanistan. Altrettanta solerzia non è risultata effettiva quando gli F16 dell’aviazione israeliana radevano al suolo il Libano o Gaza, uccidendo migliaia di civili innocenti.
    Si tratta, in realtà, di un precedente ben pericoloso. Sul quale giustamente paesi come la Russia, la Cina, il Brasile, l’India e la Germania hanno espresso più di una riserva. Che si è limitata però ad un’astensione, che lascerà di fatto liberi quei paesi che hanno deciso di bombardare Tripoli e sostituire Gheddafi con le fazioni a lui ostili per un cinico calcolo geopolitico e di convenienze. Sia chiaro a tutti che i diritti umani e le giuste aspirazioni dei giovani libici alla democrazia e a liberarsi dal regime non c’entrano nulla con la decisione di Parigi e Londra, seguite a ruota dal sempre più deludente Obama, di attivare l’intervento militare.
    Chi sarà in futuro a decidere quali violenze contri i civili sono accettabili o meno saranno solo e sempre le superpotenze militari imperialiste e occidentali. E lo faranno con il sostegno del sistema di informazione mondiale che selezionerà alla bisogna chi e come andrà bombardato, chi potrà o meno rimanere al potere.
    Chi stabilisce, infatti, che si decide di bombardare la Libia, mentre si consente all’Arabia Saudita di inviare truppe per sedare le proteste nel vicino Baherein, mentre si lascia il presidente dittatore da trentadue anni dello Yemen, Abdullah Saleh, sparare da giorni sulla folla che ne chiede a gran voce e da tempo le dimissioni? Si arriva al paradosso che la petromonarchia del Qatar, anch’essa impegnata nel reprimere le proteste del Baherein con il suo esercito, ha allo stesso tempo annunciato che invierà i suoi caccia per la democrazia in Libia.
    Tutto ciò dimostra solo come nel caso libico si è da subito tentato di intervenire militarmente per interessi geopolitici.
    Quale è infatti la razionalità politica di tale scelta? Semplice.
    Come sempre, ciò che muove gli eserciti non sono le intenzioni umanitarie, ma ben altre ragioni e motivazioni. Seguite il petrolio, il gas e i dollari e troverete la risposta.
    Per ciò che riguarda la Francia e la sua frenesia di menar le mani si segua, oltre alla via del petrolio, quella dell’uranio che alimenta le sue centrali nucleari e quelle che vende per il mondo.
    Il cessate il fuoco unilaterale dichiarato dal governo libico forse lascia del tempo per cercare di evitare la tragedia di una guerra nel mediterraneo. Temiamo duri poco. Sarà cercato in ogni modo un pretesto per giustificare comunque l’attacco, ora che una parvenza di legittimità internazionale è stata data dalla sciagurata risoluzione 1973.
    L’Onu, che dovrebbe prevenire i conflitti fra gli Stati, in questo caso ha varato una decisione che potenzialmente potrebbe allargarlo e diffondere la guerra. Una decisione quindi si storica, ma per stupidità. Una stupidità alla quale, naturalmente, non si sottrae il governo italiano, pronto a dare basi uomini e mezzi all’impresa. In buona compagnia del Pd – già d’altronde in prima fila nelle guerre umanitarie del passato – che condivide apertamente tale scelta.
    Mentre la situazione in Libia stava precipitando, solo alcuni paesi progressisti dell’america latina hanno avanzato, invece di minacce e proclami, una proposta di mediazione, di soluzione politica del conflitto capace di scongiurare la guerra civile e l’intervento esterno. Questa proposta è rimasta colpevolmente abbandonata. Se vi sono ancora degli spiragli per evitare il peggio vanno usati ed agiti fino in fondo. Serve da subito una mobilitazione del popolo della pace per fermare la macchina da guerra che sta scaldando i suoi motori. Serve scendere subito in piazza contro la guerra e per chiedere che l’Italia rimanga fuori da questa nuova e sciagurata avventura bellica. Noi ci saremo.
    Fabio Amato

    in data:19/03/2011

  10. E già che mi trovo aggiungo anche questo (sempre per chi vuole capire un po’ più a fondo…poi non “disturbo” più…) :

    http://www.sinistrainrete.info/estero/1279-domenico-moro-che-accade-in-libia

    Quasi sempre le notizie di massacri di civili riportate dai media si basano su lanci della britannica Reuter, a loro volta fondati su racconti telefonici di libici, ovviamente del fronte anti Gheddafi. Le notizie di massacri sono rimbalzate via satellite attraverso Al-Jazeera, riguardo alla quale Karima Moual sul Sole24ore si chiede a che giuoco stia giocando rispetto agli avvenimenti in Nord Africa e ne denuncia una “pericolosa deriva populista di stampo pro-islamico”, e via internet attraverso il sito Debka, vicino all’intelligence israeliana. A tutto ciò si aggiunge la proliferazione, grazie a blog vari, Twitter e Facebook, di notizie di difficile verifica.

    Il punto è che negli ultimi venti anni abbiamo avuto molte dimostrazioni di falsi fabbricati ad arte. Potremmo citare un caso analogo a quello libico, le fosse comuni di Timisoara attribuite a Ceaucescu, un altro “sanguinario dittatore”, rivelatesi, a distanza di anni, un falso. Ma il falso più famoso è certamente la prova dell’esistenza delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, allo scopo di giustificare con ragioni “umanitarie” l’intervento militare occidentale. A proposito di armi di distruzione di massa, quando Matteuzzi sul manifesto scrive il primo marzo: “Scommettiamo che se il colonnello non cade subito, ci sarà qualcuno che le trova anche in Libia?”, non sa evidentemente che Quirico, sul Sole24re, le aveva già trovate il 26 febbraio. Eccone il titolo: “Armi chimiche ‘la grande paura’” e nel testo: “Vero? Falso? Restiamo al fatto, in Tunisia già si preparano”. “Si preparano”, quindi è vero. Sillogismo veramente stringente, non c’è che dire.

    Visti i precedenti storici, si imporrebbe maggiore cautela e, invece di arruolarsi frettolosamente nelle fila degli interventisti “umanitari” contro il “sanguinario dittatore”, ci si dovrebbe chiedere cosa accade in Libia, perché si preme per l’intervento militare e, infine, perché il gruppo dirigente Usa è spaccato su questa eventualità.

  11. A me era sembrato molto strano che i “gelsomini” fiorissero in Tunisia e in Egitto e non in Libia che stava in mezzo. (oh sì, certo: un sacco di motivazioni demografiche, economiche, geopolitiche. come no!). Mi è sembrato molto strano pure che l’Economist pubblicasse una lista di paesi nei quali sarebbe stato altamente probabile che scoppiassero analoghe fioriture: ci stavano, guarda un po’, lo Yemen, la LIBIA, il Bahrein e poi altri, sì, naturalmente. Subito dopo, subito subito, salta il tappo della Libia. Manco fosse telecomandata (oh, certo: tutte le motivazioni di cui sopra). Beh, credo che Francia e Inghilterra ne sapessero qualcosa molto più e molto prima di altri paesi, U.S.A. compresi. Le questioni del loro passato coloniale c’entrano, in quanto persistenze di collegamenti, contatti privilegiati sia economici che politici, penali in parte da pagare in parte da riscuotere, un po’ come per noi, disgraziatamente, con la Libia. Che sta in mezzo fra Egitto e Tunisia e ha le riserve petrolifere che si sa. E di cui finora ci siamo avvantaggiati per lo più noi. Ma gli equilibri del mondo globale cambiano alla svelta e, per di più, adesso noi siamo nella penosa situazione politica che conosciamo, per non parlare della crisi economica. Quale momento migliore, per Francia e GB, per togliere di mezzo la nostra concorrenza sui pozzi libici e ristrutturare in forme più vantaggiose per loro gli assetti energetici e geopolitici in quest’area strategicamente determinante? Gli USA non possono che assecondarli, per l’unico motivo di non lasciarli fare da soli correndo il rischio di mollare il controllo statunitense sul Mediterraneo sudorientale. Un po’ come nella crisi di Suez del ’56. Germania e Russia fanno una politica di appeasement, stanno a guardare, in questa manche sono fuori, vediamo come si organizzeranno, per esempio quando gli USA e gli altri, noi compresi, se ne andranno dalla Mesopotamia e dai confini pachistani e cinesi, cioè dall’Afghanistan. SE se ne andranno e a quali condizioni. Certo non prima di essersi assicurati aree energeticamente e strategicamente necessarie. La sponda sud del Mediterraneo lo è, soprattutto adesso che USA e alleati hanno ritenuto di mollare un po’ la pressione sull’Iran, osso troppo duro.
    A margine ma, credo, non completamente marginale: che fine hanno fatto i presunti moribondi Ben Ali e Mubarak?
    Last but non least per quello che ci riguarda: noi che siamo il ventre molle occidentale nel Mediterraneo (Grecia a parte) stiamo venendo mangiucchiati dai francesi pezzo a pezzo. Prima Alitalia, adesso, tutt’in un botto, Bulgari, Parmalat e il petrolio libico. E per di più dobbiamo pure fornir loro appoggi basi e persone e fare la solita figura di Arlecchino a livello internazionale. Chi dobbiamo ringraziare per esserci cacciati in questo cul de sac è fin troppo chiaro.

  12. Alcune osservazioni sparse:
    1) I massacri di civili sono stati annunciati, minacciati, auspicati a più riprese dallo stesso Gheddafi, nei suoi numerosi interventi televisi e radiofonici dall’inizio della rivolta in Libia. E le numerose dissociazioni dal regime da parte di funzionari e diplomatici libici in tutto il mondo sono state motivate dal trattamento che Gheddafi stava infliggendo al suo popolo. Circa Al-Jazeera, ho trovato sulla rete molte citazioni in modalità copia-incolla della presunta dichiarazione di Karima Moual, ma manca un riferimento all’intervento in cui la Moual avrebbe espresso questa opinione. Anzi mi pare che la citazione originale si trovi in un articolo di Giampaolo Tarantino del 2 Febbraio 2011 (http://www.loccidentale.it/node/101928).
    2) la richiesta di no fly zone era arrivata ben da prima e all’unanimità dalla Lega Araba, cioè dai paesi più vicini geograficamente, culturalmente e politicamente alla Libia di Gheddafi
    3) una mediazione di Cuba, Venezuela e Nicaragua, gli unici paesi dichiaratisi dalla parte di Gheddafi, non ha fatto alcun passo avanti oltre la dichiarazione di Chavez
    4) le divisioni all’interno dell’amministrazione USA erano legate all’opportunità di proporre ancora una volta l’immagine degli USA come aggressore di una nazione mussulmana, dopo Afganistan e Iraq. La richiesta di intervento della Lega Araba ha rimosso il problema e ad oggi gli unici interventi a favore di Gheddafi nel mondo mussulmano arrivano da Al Qaeda. Anche l’Iran, pur dichiarandosi contrario all’intervento, ha preso le distanze da Gheddafi

  13. Credo che qui tutti sappiano di quanto tutto sia geopolitica, e nessuno si identifichi con una portaerei. Il punto, come al solito, sono le alternative pratiche: una mediazione guidata dagli stati centramericani? Pensiamo davvero che avrebbe potuto funzionare?
    Altra cosa è dire che Francia e GB abbiano fatto esplodere la cosa, perché in quel caso si intende dire che sono colpevoli sin dall’inizio, e questo sposta il focus non di poco.
    Se non si considerano loro i primi resposabili, l’indignazione serve comunque a poco se manca un’idea di come le cose avrebbero potuto (siamo tutti d’accordo sul dovuto) prendere un’altra piega.
    Se invece si punta il dito altrove, allora diventa tutto grande e infinito.

  14. @Sparzani

    Siamo d’accordo: Gheddafi rientra nel novero dei ‘nostri-figli-di-puttana’, ossia dei vari despoti che fanno comodo alle nostre liberaldemocrazie.
    Non condivido il resto dell’articolo, purtroppo, né nei toni né nella sostanza.
    Parto naturalmente dal presupposto che ‘esista’ una rivolta in Libia, tralascio quindi quelle letture per cui gli insorti sarebbero pupazzi eterodiretti dal Capitale Globale o dai vertici del complotto demoplutopippoquiquoqua.

    – Nessuno all’interno di questa (piuttosto improvvisata) coalizione ha usato toni che facessero pensare a “crociate” o sante alleanze, e naturalmente non siamo dalle parti dello svalutatissima fregnaccia dello ‘scontro di civiltà’.
    – Il parallelo Hitler-Gheddafi è rischioso e apre tutto quell’universo parallelo della Storia fatta con i ‘se’ (“E se NON l’avessimo lasciato fare, Hitler, che cosa avremmo dovuto fare?”). Peraltro, come lei sa, è proprio la destra neo-con al servizio della famiglia Bush ad aver fatto propri certi parallelismi…
    – Ho più di qualche dubbio rispetto alla “responsablità in solido” di tutti noi (noi chi? diciamo l’Europa? O l’Europa Occidentale? O il c.d. Occidente?) Sulla disunità Europea inutile ripetersi, tanto è evidente, e semmai dobbiamo rallegrarci del definitivo abbandono dell’unilateralismo da parte degli yanquis. E’ difficile immaginare che, per quanto riguarda la Libia, esista un monolitico interesse (o disinteresse) occidentale che avrebbe portato ad un altrimenti evitabile intervento militare. Le relazioni tra Italia e Libia sono antiche, molto tangibili e molto diverse, ad esempio, da quelle con la Francia. La Russa (il mulo parlante) oggi si accoda perché non può fare altro. Ma ci siamo dimenticati qual’è stata fino a poche ore fa la posizione ufficiale dell’Italia? Abbiamo già rimosso le uscite di Frattini?
    – Dice: ma non c’erano Caschi Blu? Qualcuno le ha già ricordato che cosa NON fecero i caschi blu a Srebrenica. Anche io ce li vedrei bene, non appena – spero tra poche ore – saranno cessati i combattimenti e il rais si sarà in qualche modo levato dai coglioni. Prima di allora dubito che qualunque “soverchiante maggioranza” possa far digerire a Gheddafi soldati stranieri in territorio libico.
    – Infine, sottolineare, come fa lei, che ci stiamo dimenticando dell’accordo Italia-Libia – lo stesso accordo che fa del deserto libico un enorme lager per i migranti e di Gheddafi il ‘nostro’ kapò – mi ricorda involontariamente, ma molto tristemente, “l’onta del disonore” di repubblichina memoria.

    Sul piano strettamente politico, trovo che a sinistra (a sinistra del PD, intendo) stiano operando certi vecchi riflessi condizionati. Il livello delle analisi, salvo rare eccezioni, è fermo a: “tutte le guerre sono volute dal capitale globale” ma soprattutto si ha la brutta ‘impressione che permanga ancora un qualche residuo ‘campista’ (“il nemico del mio nemico”, etc.). L’esempio deplorevole di Valentino Parlato esemplifica bene una “sinistra” che sta sempre coi [dittatori] più deboli. Sbaglierò di sicuro, ma non mi pare che Marx c’entri nulla con tutto questo.

  15. @alcor:

    Il tenente Col.Tall (Nick Nolte) al Cap. Staros:
    “Eos Rododaktylos” l’alba dalle dita rosee. Lei e’ greco, Capitano? Vero? Ha mai letto Omero? Io l’ho letto a WestPoint. In greco.

    in La sottile linea rossa

  16. a Ennio Abate, a Federico Gnech, a Sergio dico volentieri che molte sono le loro ragioni: l’altra notte quando ho saputo che stavamo veramente — e non per finta — entrando in guerra, e ho visto la faccia gongolante del nostro ahimé ministro della difesa (o della guerra?), mi sono così sconvolto che ho sentito l’urgenza di scrivere un pezzo per manifestare indignazione e dolore per questo fatto. E non me ne pento, naturalmente. Ma certo non ho pesato parole e ho scritto di getto, quello che in quel momento mi gridava dentro. Lo so che il paragone con Hitler non s’ha mai da fare, che si presta a chissà quanti fraintendimenti, ma la mia idea era di citare situazioni nelle quali la guerra sembra, a posteriori, essere stata inevitabile. Come l’altra sera, quando il nostro presidente della repubblica, colle bandierine in mano, ha fatto il Vittorio Emanuele della situazione proclamando che non potevamo rimanere “insensibili al grido di dolore” ecc.

    Non ho fatto distinguo sulle responsabilità dell’Europa, è ben vero, ma il mio scopo non era quello di un’analisi dettagliata, che appunto richiederebbe pagine e pagine di informazioni e dettagli che non possiedo, ma quello di mettere in luce ancora una volta come la Costituzione venga allegramente calpestata tutte le volte che serve.

  17. Visito il sito perché la panoramica dei quotidiani stamattina mi ha sconvolto. Tutti convinti che bisogna bombardare il dittatore che bombarda il suo popolo. Per fortuna trovo qui tanti commenti avveduti e consapevoli. Non sto diventando pazzo io.
    Vedo però che il capolavoro di disinformazione è riuscito appieno. Anche molti dei contrari alla sciagurata impresa continuano a parlare di popolo, di civili e via tubando. Si tratta di tribù e fazioni contrarie a Gheddafi armate fino ai denti, che hanno iniziato la rivolta sbaragliando forze ben armate e acquartierate. Se non è una bufala anche una foto che gira, hanno addirittura i mig. Insomma, infilare questa faccenda libica tra rivolte in parte genuinamente popolari, di paesi limitrofi poveri, è stato davvero magistrale.

    @ Caracaterina – sull’invasione dei cugini dimentichi la grande distribuzione, tutti gli ipermercati d’oltralpe, a cui venne spianata la strada da una sinistra fieramente contraria a questi templi consumistici (se italiani, Coop esclusa) e assurdamente (ricordo i comizi) fiancheggiatrice del piccolo commerciante. Insomma, difendiamo la piccola borghesia a spese del lavoratore.

    PS si abbia l’onestà di ammettere che la politica di Berlusconi (all’interno di un’acquiescenza internazionale che vedeva in testa gli USA) era stata saggia e conveniente al paese. Lui finirà male, come Mattei. Meno male che Putin è più difficile da bombardare. Ma non ci affrancheremo mai veramente. Che burla che tutto questo avvenga in concomitanza con gli italici festeggiamenti. Nascemmo sorvegliati da cannoni inglesi, viviamo ancora secondo i desideri della City.

  18. Fantastico essere di sinistra e criticare chi a sinistra non si dichiara per la guerra con il solito, demenziale: “stai dalla parte dei dittatori!”, come se uno di sinistra sosterrebbe le guerre dei dittatori.

    Non è colpa della sinistra se le ultime guerre sono state fatte da stati “democratici” contro delle dittature, ma a quanto pare certa gente di sinistra (?) sta riuscendo nell’impresa di dare alla sinistra la responsabilità dell’esistenza delle dittature.

  19. @Sparzani

    La tua risposta è molto onesta e ti fa onore.

    @Sergio Baratto

    Grazie a te, la mia sensazione è la stessa. Però non qui su NI, dove lo spettro delle opinioni è così ampio che non se ne vedono gli estremi…c’è una generale (e in sé consolante) repulsione per la guerra, ma c’è pure chi cita il rossobruno Martinez, c’è quello che Berlusconi è come Mattei…manca solo il celiniano de fero, come si chiama…ah, forse è già tra i mercenari di Gheddafi

  20. Si possono citare tutti meno che il rossobruno Martinez? cos’è una critica a quanto dice oppure una sorta di principio a cui attenersi?
    E il citarlo inquina la consolante e maggioritaria repulsione per la guerra che esiste tra i commentatori di nazione Indiana?

  21. stati canaglia, intervento umanitario.
    accettare una discussione su questi temi è aberrante, per chi abbia letto qualche giornale negli ultimi vent’anni.
    gli stati canaglia siamo noi, e ne abbiamo data ampia dimostrazione.
    abbiamo colpito treni e mercati in Serbia, cosparso di uranio impoverito e fosforo bianco la culla della civiltà tra il tigri e l’eufrate, decimato villaggi e comunità tra afganistan e pakistan, prima con bombardamenti normali, poi con quelli dei droni, abbiamo fatto carneficina nell’alveare di gaza, e torturato innocenti nelle carceri locali oppure in un’isola caraibica per anni.
    a noi, detto in francese che va molto di moda, il colonnello gheddafi ci fa una ricchissima pippa.
    è la legge del più forte ad agire: lo squallore della gara a chi parte per primo, senza neanche ricercare una guida comune, la esprime bene; è la conquista della terra e delle sue ricchezze, come sempre, forse come per sempre.
    e noi non abbiamo più neanche le parole per dirlo, abbiamo perso anche il diritto all’invettiva, dobbiamo sopportare anche la beffa di chi ci dice che questa no, non è guerra.
    per noi tricolorini, questa guerra è ancora più dolorosa, perché noi in libia abbiamo sperimentato con successo i campi di concentramento, l’attacco ai civili col gas, le rappresaglie, la decimazione.
    noi (mi ci metto anch’io, antifascista da tre generazioni, ma pur sempre italiano), in libia, abbiamo compiuto un genocidio: un genocidio VERO, non come quelli tirati in ballo per mobilitare le pubbliche opinioni, abbiamo sterminato circa un decimo della popolazione libica; la libia avrà un credito con noi per sempre, qualsiasi stato o governo sia presente in libia, e spiegare l’accordo italo-libico con la qualità dei rispettivi governi è uno schiaffo alla memoria, non a quella dei libici, ma alla nostra.
    rimettete a posto le parole, voi che ne avete i mezzi.

  22. quando opiniamo sulla guerra rischiamo di cadere tutti nell’ipocrisia.
    Limitiamoci agli “stati” (o di quel che resta degli stati) occidentali:

    1) gli stati occidentali non fanno mai le guerre per difendere dei principi ma per difendere, consolidare e imporre degli interessi economici e strategici.

    2) immaginare che l’ONU, abbia, la forza e l’autorità di imporre i principi della pace e della democrazia anteponendoli agli interessi “nazionali” è pure ingenua illusione (mi dispiace sparz che tu nutra questa chimera)

    3) gli interessi degl istati occidentali nei confronti dei paesi sottosviluppate ex-colonie sono stati semprte ispirati a una concezione di rapina e sfruttamento (materie prime, monoculture agricole etc).
    Per meglio controllare i loro interessi l’occidente ha sempre, nel secolo scorso, appoggiato le oligarchie locali asservite e quindi le dittature e quindi la miseria etc.

    4) Per anni abbiamo foraggiato di armi paesi dove vigono le dittature e li abbiamo riforniti di armi in cambio di petrolio e non sono.

    5) per anni abbiamo sfruttato questi apesi e fatto profitti sulla pelle dei sudditi di quei paesi che vivono nella più completa miseria e mancanza di libertà

    6) si puo’ dire che il nostro stile di vita (di noi occidentali) si fonda sullo sfruttamento e sulla miseria di quei popoli. E questo non dovremmo mai dimenticarlo.

    7) Non so se sia meglio lasciare che il sig. geddafi ( un mostro creato e armato da noi) massacri la popolazione, schiacci le rivolte degli uomini considerati dei ratti o se sia meglio che gli occidentali cerchino di fermare questo massacro. Di sicuro la francia l’inghilterra e gli usa non l ofanno per amore della democrazia ma del petrolio.

    E’ questa la contraddizione da cui bisogna aprtire.
    Bisogna partire dal fatto che le categorie che usiamo sono vecchie e inservibili, non sono cioè piu’ capaci di capire spiegare e trasformare la realtà

  23. Sbaglierò di sicuro, ma non mi pare che Marx c’entri nulla con tutto questo

    sbaglia a dubitare di sbagliare :)
    la favola dell’intervento umanitario usata per esportazioni di democrazia colpisce sempre, fa proseliti di “anime belle” non ostante la storia che molti si fregiano di conoscere
    per dire no a questi “interventi umanitari” non serve essere sofisticati strateghi geopolitici o fini conoscitori della politica internazionale
    soggetti, questi, che pretendono di zittire le persone”comuni” con tesi atte a mortificare, intimidire, confondore, depistare, mascherare la storia ipocrita e scellerata che sta dietro a queste “avventure”
    per dire no a queste “missioni di guerra” che si pongono l’obiettivo di difendere i popoli oppressi dal tiranno :) (e gheddafi è senza dubbio un criminale pari ai criminali che con lui hanno fatto affari) basta farsi la semplice domanda:
    perchè questo paese è stato prescelto?
    perchè lui e non altri, innumerevoli altri, migliaia di altri, in cui si sono calpestati i più elemenatri diritti civili, in cui sono stati perpetrati massacri e genocidi di civili? è il paese eletto? c’è una qualche graduatoria di merito? :)
    rido per non piangere
    ma quando mai impareremo, meglio, quando mai la smetteremo di litigare fra di noi, gente comune, della quale il potere, ogni potere se ne strafotte, calpestando bellamente e impunemente la sovranità popolare sancita dalla costituzione e nella fattispecie da quell’articolo menzionato da sparz?
    di sperando, bacio
    la fu

  24. @la funambola

    Non ci siamo capiti: dico che secondo me Marx non c’entra nulla col sostegno, più o meno aperto, ‘da sinistra’, a gente come Gheddafi.
    Siamo tutti d’accordo che nessuno porta libertà o salva vite o “esporta democrazia” come obiettivo etico, perché ci crede, per bontà d’animo e soprattutto ‘a gratis’.
    Però, ogni tanto, al posto di centrare la propria attenzione e la propria retorica, sulle malefatte del Potere, sulla Natura Maligna dell’Occidente, sulla ‘nostra’ (di noi “occidentali”) ipocrisia, sulle ‘nostre’ responsabilità, sui ‘nostri’ crimini, oppure sulla ‘nostra’ (di noi “gente comune”) impotenza, ingenuità, etc. non varrebbe la pena di capire che cosa chiedono, vogliono, sperano – magari sbagliando, eh! – i diretti interessati? Suggerisco la lettura dell’ultimo commento di Farid Adly sull’intervento.

  25. vorrei fare una breve replica a funambola
    non basta dire no agli interventi militari
    bisognerebbe avere il coraggio di dire no agli interventi ben più devatsanti che si fanno in tempo di pace.

    Resta il fatto semplice e chiaro che un despota coccolato e foraggiato dai paesi occidentali
    stava massacrando la sua gente
    di fronte a questo fatto
    non basta dire no agli interventi militari per mettersi il cuore in pace
    e rimuovere la cattiva coscienza dell’uomo bianco e fare gli struzzi.

    bisogna forse dire no alle dittature e allo sfruttamento dei popoli del terzo mondo, perpretato a vantaggio dei paesi occidentali e sostenuto dai paesi occidentali, gl istessi paesi che ora intervengono per continuare a perpretare quello sfruttamento

  26. ben premesso che si tratta di problemi di natura planetaria sulla cui complessità mi è difficile misurarmi, credo che almeno si possa tentare di prendere coscienza della natura complessiva di questi avvenimenti, ovvero che valga la pena chiedersi di quale processo generale facciano eventualmente parte. Se confrontiamo i comportamenti di politica internazionale di oggi con quelli di secoli fa, o millenni, possiamo osservare che oggi riteniamo, date certe “condizioni”, legittimo intervenire negli affari interni di un altro paese, mentre una volta mi pare che non fosse assolutamente così.
    Questo avviene forse per almeno due tipi di spinte, entrambe connesse con la tanto maggiore facilità di informazioni, comunicazioni e spostamenti: la prima è il desiderio piatto piatto di impadronirsi di qualche cosa che è in possesso di altri, petrolio, uranio, risorse naturali in genere; non c’è limite all’ingordigia dei popoli, o diciamo dei governanti che comunque i popoli esprimono; e la seconda spinta, non così sopraffattoria come la prima, è quella che muove ad accorrere in difesa di donne e uomini di altri paesi, oppressi in vari modi e per varie ragioni. Naturalmente la prima cosa che accade è che coloro che sono mossi dalla prima spinta non esitano a far leva sulla seconda per giustificare le proprie azioni. Il ché non toglie però che anche la seconda spinta esista e che sia eticamente l’unica in qualche misura giustificabile.
    Il fatto che, come si diceva, sempre più ci si senta autorizzati, per una ragione o per l’altra, a interferire (interferenze pesanti, come sappiamo) nelle faccende interne di un altro paese è, a mio parere, parte di un processo di lunga durata alla fine del quale ‒ se l’umanità nel suo complesso riuscirà a non autodistruggersi, il ché non è affatto garantito ‒ può darsi ci sia una qualche forma di governo mondiale, o comunque una qualche – imprevedibile – forma di uniformizzazione almeno parziale di regole e di costumi. Se così è, siamo nel pieno svolgimento di questo processo, svolgimento che, anche nell’ottimistica ipotesi che porti a una situazione di relativo equilibrio, durerà a lungo e sarà costellato di lacrime e sangue. Detto questo, quello che possiamo fare in ognuno dei frangenti complicati nei quali siamo e saremo immersi, è tentare in ogni singola situazione un’analisi lucida del presente e agire di conseguenza. Credo che molte delle cose dette in questi commenti costituiscano un buon materiale per allargarci la mente e gli orizzonti. Come dicevo già in un commento al post sull’energia nucleare, è soltanto mantenendo la mente aperta a informazioni e pareri anche apparentemente inusuali e lontani che riusciamo a formarci un’opinione, e quindi un modo di agire, sensato e convincente. Grazie quindi a tutti quelli che hanno finora contribuito e questo allargamento, che certo a me è servito molto, e avanti così.

  27. Molto bello il messaggio della funambola. Lei dice con parole belle e chiare quello che a me sarebbe riuscito di dire solo in modo astratto e pedante:
    cioè che non si può comprendere quello che avviene in un punto particolare della storia se non si ha una visione generale e sistemica. Il particolare se no è qualche cosa di talmente astratto che alla fine tutto si può paragonare con Hiltler come capita malgré lui al povero Gnech! E difatti se solo si allontana un po’ lo sguardo dal punto che si fissa ecco che ci si accorge che lo stesso dittatore che oggi è intollerabilmente crudele era un amicone appena ieri, che nel mondo c’è pieno di dittatori incredibilmente crudeli che costerebbe pochissimo togliersi dai piedi e non lo si fa. Io sono stato in Guinea Equatoriale, un piccolo mostruoso orrido inferno in cui un dittatore demente e drogato come Obiang fa quello che vuole amico di tutti i Zapateri e gli Obama e costerebbe due euro farlo fuori, poi ci sono democrazie dementi e assassine come in Honduras e in Guatemale in cui nesun omicidio èe perseguito, in cui letteralmente si uccidono e si violentano decine di persone tutti i giorni e centinaia di immigrati clandestinni ogni mese evaporano! E nessuno fa niente e non costerebbe niente o quasi, Allora si capisce che l’inferno di fuoco che si scatena sulla Lbia non dipende dalle motivazioni che vengono date per giustificarlo ma da altre e che queste altre motivazioni stanno nel conflitto per i controllo delle risorse energetiche, per il controllo dei mercati, per il controllo dei flussi della forza lavoro e del suo prezzo e che questo conflitto si va facendo sempre più violento e demente e non vi è modo di fermarlo. Non vi è modo di fermarlo se un Tertium non entra sulla scena politica. Un Tertium, uno spettro, la gente comune della funambola svegliata dal sogno del consumo? E qui si vede che Marx c’entra eccome e prima di Marx, il grande Guglielmo Federico che ci hanno insegnato che il particolare è sempre astratto (tutto è uguale a Hitler) e il generale sempre concreto e che nel particolare è concretamente contenuto tutto il generale (cioè quello che succede in Libia è il frutto non voluto di spinte, ambizioni, rivalità, startegie, etc) e che solo se si ha coscienza di questo ci si può mettere a lavorare perchè il costo smisurato dei missili lanciati sulla Lbia sia usato, che so, per ricostruire Haiti. Però per avere coscienza di questo bisogna sentire che una organizzazione sociale in cui si taglia asistenza sanitaria, o scuola, o diritti per pagare bombe, morte e distruzione è intollerabile. E questo lo possono sentire solo coloro su cui pesa più duramene la limitazione dei diritti alla salute, al lavoro, all’istruzione, alla casa e alla pensione. Gli altri vagano in quella famosa notte in cui tutti gli Hitler sono grigi e la nottola di Minerva si è persa nella bettola dell’Uomo della Provvidenza. Per favore non nominate Marx in vano!
    genseki

  28. Genseki:
    “Non vi è modo di fermarlo se un Tertium non entra sulla scena politica. Un Tertium, uno spettro, la gente comune della funambola svegliata dal sogno del consumo? E qui si vede che Marx c’entra eccome”.

    Purtroppo non è più così. Quel Tertium, che Marx chiamò ‘comunismo’ e che vedeva nascere dall’interno stesso dei rapporti di produzione capitalistici, è ridiventato solo spettro ( presente nella memoria di pochi, irriconoscibile ai molti che oggi si agitano disperatamente seguendo altre ideologie di certo non socialiste o comuniste). E secondo alcuni non può più rientrare sulla scena politica, del tutto mutata ormai, se non in tempi imprevedibili. Il Marx che in apparenza “c’entra eccome” oggi (ma solo sui giornali) è ridotto a “profeta della globalizzazione”. Non è certo il Marx che, da scienziato sociale ( e non da profeta), annunciava la rivoluzione che avrebbe portato a una società comunista. Le cose sono più complicate. Noi, che ancora ci interroghiamo su queste “cosucce”, più impotenti. Ma continuaimo a farlo. Senza oscillare come pendoli impazziti tra l’immediato (che fare in Libia?) o il planetario (che fare nella globalizzazione?). In entrambi i casi restiamo impotenti. Meglio interrogarci partendo da zero. Né i prìncipi né i popoli ci ascoltano. Ascoltiamoli e ascoltiamoci. E’ poco, ma chissà…

  29. A me ha colpito la dichiarazione dell’ormai leggendario cardinale Bagnasco, voce della Santa Sede. Ci sarebbe da ridere, e in effetti ho gnignato, ma è un ghigno tragico. Ha detto: speriamo che finisca presto. Non ha detto che la guerra è sbagliata, che è un peccato mortale perché è la celebrazione suprema della violenza, no, deve finire presto. E come? Lanciando più bombe? Come si fa a finire “presto” una guerra?

  30. @ Ennio Abate,

    si, comprendo il suo punto di vista e in parte lo condivido. Dicevo che Marx c’entra nel senso che la teoria delle relazioni internazionali che lui ha sviluppato serve per comprendere quello che succede. Ecco in questo non so se condividido la sua posizione: “Marx scienziato sociale” era tale in quanto era “rivoluzionario” non in quanto scienziato, Cioè in quanto voleva e pensava che si potesse cambiare un mondo come quello in cui ancora oggi ci troviamo in cui centinaia di civili saranno massacrati per difenderli da un tiranno che massacra civili con le armi fornite da quelli che per difendere questi civili a loro volta li massacreranno di bombe. Naturalemente, quando a massacrare è il tiranno, i civili saranno chiamati civili e, quando a massacrare saranno i “nostri”, i civili sarnno chiamati errori o effetti collaterali. Insomma non basta ascoltare il mondo e interrogarsi bisogna volere fortemente cambiarlo anche se al momento l’intelletto non vede come e non intravede elementi di speranza.
    genseki

  31. eh sì…caro genseki
    noi sì che si fuma roba buona :)
    speriamo che le persone la smettano di “sperare”

    baci a tutti i “compagni comunisti”
    la fu

  32. dice von Clausewitz, che in materia mi pare un’autorità:

    «La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi»

    «La guerra è un atto di forza che ha lo scopo di costringere l’avversario a sottomettersi alla nostra volontà.»

    questa in corso è la continuazione della politica con altri mezzi? sì

    è un atto di forza che ha lo scopo di costringere l’avversario a sottomettersi alla nostra volontà? sì

    a meno che non si pensi che è guerra solo quando l’ALTRO cerca di continuare la politica con altri mezzi e vuol costringere NOI a sottometterci alla sua volontà con un atto di forza

  33. @ genseki

    ““Marx scienziato sociale” era tale in quanto era “rivoluzionario” non in quanto scienziato”Cioè in quanto voleva e pensava che si potesse cambiare un mondo come quello in cui ancora oggi ci troviamo ?
    Usciamo dagli equivoci. Marx da rivoluzionario ha fatto certe cose assieme ad altri del suo tempo (ma il mondo è -come lei dice- ancora da cambiare). Ma fra le cose rivoluzionarie fatte soltanto da lui (sostenuto dall’amico Engels) ha scritto soprattutto un’opera, Das Kapital, che ha, questa sì, rivoluzionato la visione che si aveva della società liberale borghese del suo tempo. Tutti i grandi economisti ell’epoca parlavano di un mercato dove si realizzava l’eguaglianza effettiva di tutti gli individui (sia capitalisti che operai). Lui riuscì a smantellare questa convinzione. Perciò, “la grandezza di Marx consiste precisamente nell’avere spiegato lo “sfruttamento” […] in presenza di una supposta piena libertà ed eguaglianza di tutti gli individui componenti la società capitalistica” (G. La Grassa).

    @ alcor

    Vabbè, ricordiamo pure la (solita) citazione di Clausewitz.
    Ma ciascuno dica che politica (o guerra) condivide.
    Non giochiamo a nascondino…

  34. per quanto mi riguarda lamento un’assenza di politica, che porta il governo italiano a farsi trascinare in una guerra – von Clausewitz sarà anche il solito e banale von Clausewitz, ma se bombardo, bombardo – decisa da altri, in questo caso la Francia, soprattutto, dietro la quale il nostro governo arranca irresoluto.

    c’è malafede ovunque in questa operazione, ma se la malafede altrui ha almeno chiari i suoi obiettivi, quella del nostro governo ha le idee confuse.

  35. Fino a qualche tempo fa ci si arrovellava sulla teodicea e ci si interrogava su come fossero compatibili l’esistenza del male e l’esistenza di Dio, il terremoto di Lisbona e la Divina Provvidenza, la suprema ingiustizia del mondo e l’Onnipotenza Divina. Ora di fronte al sangue e alle guerre si oscilla tra due posizioni diverse. La prima prevede una nuova teodicea in negativo in cui una comunità internazionale pigra, neghittosa, maligna rinuncia a dispiegare la sua sconfinata potenza per condurre all’impotenza i dittatori, gli sterminatori etnici, i figli di puttana della politica mondiale e così si rende responsabile, complice se non mandante delle loro atrocità. L’altro punto di vista invece invoca un Tertium onnipotente depositario della comprensione di un mondo per noi troppo complicato e il riequilibrio delle ingiustizie che il mondo stesso si porta dietro, ivi compresa la punizione dei malvagi.

    Ma essendo che siamo immersi in quella cosa da sempre complicata, ambigua e contraddittoria che si chiama Storia, entrambe le posizioni sono semplificatrici e consolatorie e più che altro mirano ad assolverci dalla responsabilità di cercare di comprendere senza slogan, senza taglia-incolla, con paziente e umile testardaggine il nostro presente.

  36. Ho letto con molta attenzione l’intervento di sparz e apprezzo e condivido lo sforzo di mantenere la mente aperta di fronte a una realta molto fluida, che fatichiamo a comprendere se utilizziamo le consuete categorie.
    di cio’ che è avvenuto in questi mesi ci sono degli elementi che ci fanno riflettere.

    Lo scatenerasi fulmineo di una rivolta di popoli imprevista e imprevedibile, che ha colto impreparati, politici, diplomatici, giornalisti e studiosi. Questo fatto da solo dovrebbe farci riflettere. noin mi intendo di scienza ma credo che questi fenomeni tanto piu’ hanno probabilità di succedere tanto più instabile è il sistema di riferimento.

    L’effetto domino che grazie alla rete e alle tecnologie di comunicazione di massa (sms etc ) della rivolta che in pochi giorni si è propagata in molti paesi .

    I tempi lunghissimi con cui le istituzioni internazionali hanno assunto delle decisioni (a prescindere da quale decisione sia stata presa) nel caso della Libia.

    questi fatti mi fanno avanzare alcune ipotesi:
    un processo di lento e inarrestabilmente degli stati e della sovranotà nazionale.

    L’inefficacia e pericolosità di un assetto mondiale basato sugli “stati” e “gli “interessi nazionali”.

    L’urgenza di stabilere un ordine sovranazionale

    faccio solo un esempio
    se in giappone c’e’ un disastro nucleare le cui conseguenze sono planetarie chi decide cosa?

  37. per genseki :)

    “si possono classsificare gli uomini secondo i criteri più fantasiosi: in base agli umori, alle inclinazioni, ai sogni o alle ghiandole.
    si cambia idea come si cambia cravatta; giacchè ogni idea, ogni criterio viene dall’esterno, dalle configurazioni e dagli accidenti del tempo.
    ma c’è qualcosa che viene da noi stessi, che “è” in noi stessi, una realtà invisibile ma interiormente verificabile, una presenza insolita e perenne, che si può concepire a ogni istante senza che mai si osi ammetterla, e che non ha attualità se non prima del suo compimento:
    è la morte il vero criterio…
    ed è lei la dimensione più intima di tutti i vivi, a separare l’umanità in due ordini così irriducibili, così lontani l’uno dall’altro che vi è più distanza fra loro che non fra un avvoltoio e una talpa, fra una stella e uno sputo.
    tra l’uomo che ha il sentimento della morte e quello che non lo ha si spalanca l’abisso fra due mondi non comunicanti;
    eppure entrambi muoiono;
    ma l’uno ignora la sua morte, l’altro la conosce;
    l’uno muore un solo istante, l’altro non cessa di morire…
    la loro condizione comune li colloca esattamente agli antipodi l’uno dall’altro; ai due etremi e all’interno di una stessa definizione;
    inconciliabili, essi subiscono il medesimo destino…
    l’uno vive come se fosse eterno; l’altro pensa continuamente la propria eternità e la nega in ogni pensiero

    con affetto :)
    la fu

  38. @ Ennio Abate,

    che delusione! Se mette in campo Lagrassa, quello che ha passato anni a ripensare Marx per poi concludere che sono meglio Sallusti, Berlusconi, Kim Jong Il, Lukashenko e Milosevic ammutolisco davvero, mi spiace. Nell’ambiente cosí conservatore e moderato di NI pensavo di aver trovato un interlocutore con un senso della dialettica storica, sob! No! Lagrassa no per favore.

    @ Arduino

    il Tertium di cui lei parla spero non sia quello di cui parlavo io nel mio post precedente, lo so è imbarazzante chiederlo, faccio la figura del presuntuoso ma davvero nel suo Tertium non riconosco il mio e nel dubbio le chiedo.

    @ Funambola

    grazie per il bellissimo testo. Come hai fatto?

    genseki

  39. maaaaaaaaaaaaaaaaaaaa coooooooooooooome hai faaattttooooooooooooooo a farmi innamorareeeeeeeeeeeeeee cosìììììììììììììììììì tantooooooooooooooooooooo :)))

    è un pensiero che abbraccio e mi consola che non mi fa abbassare la guardia e non mi fa di sperare e mi fa “credere” e mi fa “sperare” e mi dà la forza prepotente del disincanto buono e mi fa sentire meno sola…in questo mondo di folli…è il mio amico CIORAN :)))
    abbracci e baci fraterni
    la fu

  40. Ricordati che devi morire! Però, ora, il problema è: guerreggiare o non guerreggiare? A me Gheddafi non fa nessuna pietà e so che questa volta non ha scampo. Ma sono abbastanza contento che tutto l’ambaradan non sia stato fatto a favore degli ” spontaneamente ” rivoltosi, che hanno a simbolo non a caso l’orribile bandiera della monarchia rovesciata dal colpo di stato del colonnello (già in Egitto andrà a finire male per l’occidente, in senso integralista, e lì non credo si potrà bombardare e occupare… e poi potrebbe esserci il Pakistan, nella stessa identica condizione dell’Egitto: popolazione povera radicale e antioccidentale, governo e minoranze benestanti corrotte e filoccidentali). Io credo che la verità sia da ricercare nel riposizionamento geopolitico dell’area, che si tradurrà in un ” momentaneo ” protettorato Franco-Inglese, ché delle popolazioni civili martoriate non gliene frega niente a nessuno (da questo punto di vista sappiamo tutti che in Africa ci sono un sacco di situazioni peggiori della Libia). Così come credo che il petrolio sia solo uno specchietto per allodole per anime belle occidentali (piuttosto brutte!): le spartizioni dello sfruttamento del petrolio non paiono in discussione, essendo lòe banche le sedi più appropriate per queste specie di guerre. Apriamo gli occhi: questo è un intrigo internazionale, non una guerretta fatta per destituire un despota. Bisogna più di tutto preoccuparsi del quadro giuridico nel quale vengono fatti i bombardamenti, che non sono legittimati se non in minimissima parte. Ora, per far tornare le cose, si dovranno inventare qualcosa di grosso per giustificarli almeno moralmente, il casus belli a posteriori, una delle ultime discipline olimpioniche insieme a indignazione acrobatica. Suggerisco, con rispetto parlando, di smetterla di bersi le loro tesi e antitesi e di cominciare a far funzionare la testa autonomamente, dato che ancora non è reato. Per il resto mi faccio i fatti miei, sempre ricordandomi che devo morire, come scrive sororale l’apocalittica funambola, morte che però vorrei fare in modo bello, anche quella, stando perciò lontano il più possibile da aeroporti e grattacieli… infatti, conoscendoli, se i nostri statisti parlano di rischio attentati c’è il rischio che loro stessi, da qualche parte, li stiano preparando.

  41. …mò me lo segno nè :))

    caro larry temo che tu non abbia “capito” e mi stupisco!
    che abbia preso un abbaglio? :) capita
    la tua è un’analisi, legittima come altre
    il mio un “sentire” che di apocalittico ha solo la tua traduzione
    baci
    la fu

  42. @Genseki

    Quoto il giudizio su Gianfranco La Grassa (aggiungerei per prossimità Costanzo Preve, riferimento ideologico di Farfallino Martinez, e abbiamo chiuso il cerchio). Ricordo di aver mangiato una pizza assieme a La Grassa e ad alcuni compagni rifondaroli inquieti, una quindicina di anni fa. A metà serata se ne uscì con una frase che mi fece aprire gli occhietti su dove possa andare a finire certa sinistra: “A questo punto c’è da sperare che sorga un nuovo fascismo [sic] che faccia un po’ da contraltare allo strapotere americano”.

  43. @genseki
    Ammetto che citando il Tertium mi riferivo al suo intervento, ma la stringatezza cui ci forza il comunicare attraverso i commenti a un blog lascia ampi margini all’incomprensione.

  44. @ genseky

    Deluso anch’io. Ho citato una frase di La Grassa su Marx che mi pare indiscutibile. E quando io cito una frase che condivido, sono abituato a citare anche l’autore. Lei la trova sbagliata? O è sbagliata soltanto perché è di La Grassa?

    @ Gnech

    Una frase di una quindicina d’anni fa, mentre mangiava una pizza con La Grassa e altri, le «fece aprire gli occhietti su dove possa andare a finire certa sinistra»? E gli occhi su dov’è andata a finire la sinistra con D’Alema, Bersani, Weltroni & c. li ha aperti? Le sue mi sembrano battute da bar… Io mi faccio un’opinione di Tizio o di Caio (o di La Grassa o di Preve o di Marx , ecc.) leggendo i loro libri, visto che ne hanno scritto e non da «una frase». Con le pillole di cultura e i pettegolezzi gli occhietti si chiudono soltanto.

  45. @Ennio Abate

    Il tempo che posso dedicare ai commenti su NI è limitato (e comunque sempre troppo), le basti sapere che il ‘gossip’ e il pettegolezzo non c’entrano un cazzo. Nel circolo di RC che frequentavo allora c’era un compagno particolarmente insistente (ex Lotta Comunista, non a caso) nel proporre la lettura e l’esame dei testi di Preve e La Grassa. Ricordo una lunghissima polemica sulla presunta fine delle categorie destra/sinistra a partire proprio da “destra e sinistra” di Preve, contrapposto a Bobbio, etc. La Grassa non era stato invitato tanto a mangiare una pizza con gli amici, quanto a tenere una conferenza sulla sua visione politica. Di mio ho continuato a seguire con una certa discontinuità, ma a lungo, la produzione scritta dei due. Diciamo quindi che mi sono fatto un’idea non superficiale del loro pensiero. Di questo pensiero non condivido quasi nulla e tra i suoi esiti mi fa ribrezzo in particolare la pericolosa contiguità con una destra che per me rimane tale (vedi certi soggetti del c.d. ‘campo antimperialista’). Penso che tra i diecimila interpreti di Marx, tra tutti quelli che lo hanno nominato, sezionato, frullato, gettato o messo in una teca, La Grassa sarebbe l’ultimo che mi verrebbe in mente di citare.

  46. Io mi sono trovato in sintonia con Gnech e Baratto. E di fronte alla decisione di intervenire da parte delle potenze occidentali in Libia ho molti dubbi e poche certezze. E mi sorprende invece il grado di certezza con cui la sinistra radicale italiana stia oggi rispondendo a questa situazione.

    La situazione libica solleva un dilemma autentico, che non può essere immediatamente screditato, in virtù dei comportamenti illegittimi, ingiusti e catastrofici che lo hanno utilizzato, in passato, come alibi.
    Il dilemma etico-politico mi sembra formulabile in questo modo: è giusto e opportuno sostenere forme d’intervento efficaci – anche militari – all’interno di uno stato sovrano per limitare dei massacri di civili?
    In altri termini: esistono casi in cui il cosidetto “diritto d’ingerenza” può essere giustificato?
    Nonostante si abbiano, dall’Afganistan all’Iraq, passando per la guerra del Kosvo, svariati esempi di “abuso” del “diritto d’ingerenza”, la domanda in sé rimane del tutto pertinente?
    Avevo proposto tempo fa, proprio su NI, una riflessione su questo tema: qui http://www.nazioneindiana.com/2006/01/23/invito-alla-lettura-di-un-genocidio-recente-ruanda-1994/ (si vedano paragrafi 3 e 4).

    Da dove nasce tale dilemma etico-politico, nel ricco e imperialista mondo occidentale? Nasce dal potere dei media e dalla pressione del corpo elettorale. Se i media mostrano che fuori di casa avvengono massacri, e che i supposti campioni della pace, della democrazia nel mondo, non combinano un cazzo, ebbene i governi in carica perdono un certo qual seguito, che si calcola nel numero dei voti. La prova di questo è che assistere impotenti al massacro di civili – come nel caso della guerra di Bosnia – è qualcosa che tocca lo spetatore. Penetra nelle coscienze e diventa anche traccia durevole di fallimento di una cultura, di un sistema politico e di valori, come quello dei ricchi paesi europei…

    Il caso libico rientra in questo dilemma? A mio parere sì. Per altro lo scenario libico non assomiglia propriamente che a quello della guerra di Spagna e, anche in questo caso, in modo approssimativo. Di certo non assomiglia al caso delle guerre nella ex-jugoslavia né nella guerra al terrore attuata dagli USA in Afganistan e Iraq.
    Naturalmente riconosce la possibilità che tale dilemma possa riguardare la Libia di oggi solo chi non crede le folle arabe telecomandate. Apro una parentesi: chi crede nelle folle arabe telecomandate non solo secondo me è cieco a un fenomeno politico eccezionale e inaudito – almeno a orecchie rintronate di pregiudizi come le nostre – ma non riconosce – con una ahimé certa dose di razzsimo – autonomo soggettività a tunisini ed egiziani.

    L’insurrezione libica ha avuto i connotati di tutte le altre insurrezioni arabe: una richiesta di democrazia di fronte ad un regime dispotico e corrotto. La reazione di Gheddafi, senza dover evocare apocalittici scenari di genocidio, ecc., è stata spietata e terroristica. Ha sparato su un esercito improvvisato di civili con gli arei, le navi, i carri armati.

    Ora se minimamente si dà credito all’informazione – visto che viviamo in un’epoca storica che rispetto a tutte le altre ha il privilegio di essere la più informata (parlo in termini relativi ovviamente e non assoluti), non si può pensare che la rappreseglia su vasra scala scatenata da Gheddafi potesse essere fermata da azioni diplomatiche e caschi ONU.
    Del fallimento storico dei caschi ONU già altri hanno qui parlato; l’idea poi che con un tipo come Gheddafi la via diplomatica fosse praticabile mi sembra semplicemente inverosimile.

    Quali le alternative allora? Una è quella della stretta non ingerenza in affari sovrani – a meno di evidenti prove di genocidio in atto -. E’ la proposta di Todorov, che evocavo nell’articolo citato. Questo vuol dire che per una gran quantità di situazioni dobbiamo accontentarci di essere, con i nostri governi, spettatori impotenti di massacri di civili. Come per altro capita molto spesso.

    Una soluzione come quella della no-fly zone, accompagnate da altre forme di pressioni: blocco dei capitali di Gheddafi, aiuti in armi e tecniche agli insorti, ecc., è un’ipotesi da prendere almeno in seria considerazione. Questa soluzione, ovviamente, non elimina tutta una serie di pericoli, il primo dei quali è naturalmente la produzione di altre morte civili. (La questione degli interessi economici occidentali non la tocco neanche, in quanto quegli interessi comunque c’erano già. Al massimo passeranno di mano. Il problema è se mai la convivenza tra democrazia interna e interessei stranieri. Che sarebbe comunque un vantaggio rispetto alla situazionedi privilegio di Gheddafi.)

    [Vo a nanna che son cotto.]

  47. @ Gnech

    A proposito della « presunta fine delle categorie destra/sinistra » le chiedo di dedicare soltanto due minuti a questo quiz amarognolo che ho già sottoposto a amici/che in questi giorni. Qui sotto riporto due posizioni. Secondo voi di destra è A o B?
    Poi, se è il caso, darò la soluzione.

    A

    Bombardare la Libia è quin¬di un salto nel buio, necessa¬rio per mettere al riparo i rivol¬tosi dalla vendetta del tiranno che stava per riprendere il controllo del territorio. Opera¬zione nobile e a questo punto necessaria, anche se al regi¬me, nei primi giorni della cri¬si, sono stati imputati dalla stampa araba bombardamen¬ti a tappeto su folle inermi che si sono poi dimostrati un fal¬so. Gheddafi non ha l’atomi¬ca ( ha cercato di farsela ma so¬prattutto Bush padre l’ha ri¬portato a miti consigli con la forza), quindi non può essere una minaccia per il mondo. La sua forza militare non è in grado di portare seri pericoli all’Occidente.
    Nonostante questo, Fran¬cia e Inghilterra, per motivi umanitari ma anche per inte¬ressi, hanno spinto molto per una soluzione militare e han¬no lavorato sulle diplomazie del mondo. Obama, alla fine, ha detto sì.L’Italia poteva star¬ne fuori? La risposta è no. Il de¬stino della Libia è anche affa¬re nostro, e non soltanto per motivi storici o di vicinato. L’italietta è diventata grande (150 anni) e deve prendersi le sue responsabilità nell’intri¬cato e non sempre trasparen¬te gioco dei rapporti interna¬zionali. Non possiamo lascia¬re fare, né a Gheddafi di mas¬sacrare i suoi, né a Sarkozy e soci di mettere mano da soli sulla Libia, sui nostri interessi economici e sulle nostre stra¬tegie politiche. Non abbiamo scelta, non perché succubi ma per l’esatto contrario: non vogliamo più subire decisioni di altri. La novità è che Berlu¬sconi non ha usato i sotterfugi e le ipocrisie dei suoi prede¬cessori coinvolti in analoghe, drammatiche scelte.

    B

    Guerra? «Guerra». Ci sono parole che fanno paura solo quando sono vere e te le senti addosso. Quante volte dici guerra? Solo che adesso resta lì, intrappolata nel palato, con uno strano pudore. Meglio non scherzare con gli dei. La guerra è altrove, dall’altra parte del Mediterraneo. E se chiudi gli occhi sembra lontana. […]ha appena lasciato Montecitorio. Ha votato sì alla risoluzione Onu sulla Libia. […] di fronte a certe storie non esistono frontiere e barricate. L’idea, dalla mattina, era di sentirsi al telefono e parlare di questo: della guerra.
    Gli aerei italiani viaggeranno verso la Libia. Come si chiama questa?
    «Non ci sono molte parole».
    Guerra?
    «È una parola che la mia generazione fatica a riconoscere. Non ci appartiene. È qualcosa che ha a che fare con i ricordi dei padri e dei nonni. È il sangue di quelle due guerre combattute in pochi anni. Solo che adesso dobbiamo essere realisti. Non chiudere gli occhi. La guerra c’è ed è quella che un dittatore ha scatenato contro i cittadini libici che chiedono libertà».
    È inevitabile?
    «Dipende da Gheddafi. La risoluzione dell’Onu è un deterrente».
    L’obiettivo?
    «Far finire una guerra che già c’è».

  48. Per Ennio Abate,

    No, la frase non la condivido perché dal mio punto di vista non si deve separare il lavoro teorico di Marx da quello politico: cioè Marx ha potuto vedere “scoprire” certi aspetti del capitalismo perché si è collocato al fianco di quello che allora era il proletariato cioè ha assunto un punto di vista politico, e il suo lavoro teorico non ha un senso solo teorico ma volle essere soprattutto un’arma regalata alle classi della societá che subivano uno sfruttamento inumano, la frase che lei cita anche se apparentemente banale è lagrassiana perché si limita a considerare Marx un terorico tutto sommato un po’ vecchiotto che ha scoperto l’acqua bollita.
    Comunque Marx servirebbe se si avesse ancora un’idea della storia come l’avevamo noi quando studiavamo nella scuola crociano gentiliana perché adesso la storia è scomparsa dall’orizzonte intellettuale. Guardi per esempio cosa scrive Andrea Inglese:

    Per altro lo scenario libico non assomiglia propriamente che a quello della guerra di Spagna e, anche in questo caso, in modo approssimativo.

    Certo lo scenario libico assomiglia alla Guerra di Spagna come Milosevc a Hitler e come tutto a tutto nella notte dell’informazione astorica, nell’eterno presente adialettico in cui si muove Andrea Inglese, Sergio Baratto, e altri brillanti intellettuali. Giá perche in Spagna il governo della Repubblica che era quello in carica fu aggredito da un pronunciamento militare che rappresentava la chiesa e vasti settori monarchici, nazionalisti e borghesi e coloro che compivano massacri indiscriminati erano gli insorti e non il governo, all’inverso che in Libia. Poi in Spagna la no fly zone che allora si chiamava bombardamento indiscriminato di obiettivi civili e militari (Vedi Guernica) la istituirono, guarda un po’! Stavolta proprio lui neh: Hilter e Mussolini e non le democrazie, Inoltre sia il bando repubblicano che quello nazioanlista avevano come interesse quello di schiacciare definitivamente una classe operaia e bracciantile insorta a sua volta che lottava con eroismo per una societá socialista e che fu spietatamente massacrata da entrmabi i contendenti, In Spagna non c’era petrolio, qui in Spagna c’erano Polvo y Hambre. Che cosa caspita si possa comparare non riesco a immaginarlo!
    Certo quando si ragiona in termini propagandistici si puó paragonare tutto con tutto. Comunque l’opposizione alla guerra ha senso perché la guerra è sempre solo guerra contro le classi sfruttatte della societá, perché le bombe peggiorerano la vita dei poveri in Libia, non dei ricchi e la peggioreranno anche in Italia, perché ogni bomba ha un costo che le classi dirigenti finanzieranno con tagli di servizi sociali, di diritti, di sanitá, di scuola, di sussidi di disoccupazione, di sostegno ai disabili, di tagli ai salari e alle pensioni, o come pensa che la finanzino la guerra? Perché dalla guerra comunque usciranno rafforzati banchieri e speculatori e indeboliti i sindacati, perché gli immigranti vivranno un po’ peggio e annegheranno un po’ si più nel mediterraneo, E perché si continueranno in altri posti a finaziare altri dittatori assassini e altre democrazie massacratici, ce ne sono tante anche di queste nel mondo. Insomma lei puó perdersi in considerazione umanitarie su una guerra legittima ma quelli che questa guerra la hanno voluta non hanno nessun obiettivo umanitario, quelli che la dirigono hanno altre prioritá e altri interessi e se io lei e Baratto e centolmila altri anche ci mettessimo tutti insieme a sforzarci di considerarla umanitaria non lo diventerá lo stesso perché quelli che stringono in pugno il calcio del fucile la considerano invece un momento di un conflitto piú vasto per il controllo dei flussi energetici, per determinare le gerarchie internazionali per posizionarsi in vista di altre crisi etc. Ci saranno altre guerra sempre di piú, vedrá e sempre piú brutali, e presto no ci si curerá di mascherarle come esportazioni della democrazia o come umanitarie. Guardi i popoli del mediooriente sono stati bombardati e repressi quando si ribellavano come laici e nazionalisti, Nasser e Mossadeq, quando erano fondamentalisti e religiosi, Khomeini, adesso che fanno le rivoluzioni primaverili e demcratiche li si bombarda per aiutarli e qualsiasi cosa facciano li si bombarda! Sa perché? Perché sono imperialisticamente debolissimi, socialmente disorganizzati, perché sono arrivati tardi alla modernitá e galeggiano su mari di petrolio e gas. Il resto sono chiacchiere.
    genseki

  49. a genseki

    il carattare approssimativo del richiamo alla guerra di spagna l’hai esplicitato tu, un governo legittimo aggredito dalle forze politiche sconfitte secondo la logica del colpo di stato militare… – dove l’analogia tiene rispetto a tutte le situazioni conosciute nelle presunte “guerre umanitarie” o “preventive” scatenate dagli anni Novanta; rispetto a queste, infatti, siamo di fronte a uno scenario di guerra civile già in atto, provocata da rivoltosi che hanno come obiettivo la caduta del dittatore.

    Detto questo, la questione dei paragoni storici è appunto più propagandistica che altro, e su questo siamo d’accordo. Ma sulla questione di fondo che ho sollevato, mi sarebbe piaciuto avere una reazione. La guerra civile libica solleva una questione autentica in termini etici e politici, indipendentemente dall’ipocrisia delle grandi potenze e dagli interessi in gioco? C’è un modo per gli stati d’intervenire oppure no, al di fuori di vuote manovre diplomatiche?
    Io nonostante gensenki mi attribuisca un tono propagandistico, non ho proprio nessuno propaganda da fare. L’azione bellica avviata da USA, Francia, Italia mi sembra densa di rischi ed incognite.
    Inoltre, riconosco piena legittimità alle posizioni pacifiste radicali, ossia fondate su una coerente presa di posizione non violenta. Tali posizioni, infatti, rifiutano sempre e comunque ogni forma di azione armata e violenta.

    Il mio discorso vuole avere come interlocutori, nella sinistra radicale pacifista di oggi, coloro che non difendono una posizione radicalmente non-violenta, e ad esempio riconoscono il valore di querre di liberazione, di guerre partigiane, ecc., perché di questo tipo di guerra si parla.

  50. Il problema non è se sia il caso di intervenire o meno, ma chi e in che modo è “legittimato” a farlo. L’intervento di Francia e Inghilterra (e di Obama) è legittimo? Per me, non lo è. E non solo perché, come parecchi commentatori (non di sinistra né estremisti) hanno rilevato: 1) è certa la presenza, da settimane prima della Risoluzione ONU, di soldati inglesi (di soldati, non di agenti segreti) tra le fila dei rivoltosi; 2) il primo raid (aerei francesi, missili USA) non è stato condotto secondo quanto scritto nella Risoluzione 1973; 3) una serie di attacchi (alla residenza di Gheddafi, ad alcune infrastrutture logistiche, a convogli) non rientrano nell’obiettivo di mantenimento della No Fly Zone, quanto in quello del cambio di regime, atto non contemplato dalla stessa Risoluzione né dalle “regole” internazionali. Quella della “difesa dei civili” è, in tutta evidenza, una scusa. Ma la coalizione “dei volenterosi” (sic!) non è legittimata a intervenire anche perché si è resa responsabile (soprattutto gli USA di Obama), non da ultimo in questi giorni, di massacri indiscriminati di civili in Afghanistan, così come sostiene e alimenta massacri simili in Palestina (ieri diversi civili uccisi, tra cui due bambini) e in altre parti del mondo. L’unica legittimazione che hanno è quella dei rapporti di forza. Se esistesse, a livello planetario, un movimento alternativo al “grande capitale”, a tutti i livelli, il problema di sostenere i ribelli bisognerebbe porselo, trovando le forme adatte alla gestione della solidarietà “internazionalista”, intervento militare compreso. Ma questa situazione non esiste, quel “tertium” è davvero agente a livello solo spettrale: scava nelle contraddizioni senza però trovare alcuna apertura all’esterno. In sintesi: oggi possiamo solo porci il problema di organizzare il nostro No ad una guerra che è “imperialista” in senso classico, checché ne dicano tutti i detrattori dello spettro medesimo. Come ha rilevato Alcor, la guerra è la continuazione della politica. Che tipo di politica vogliamo fare? La stessa di chi aspira a gestire gli equilibri di dominio nell’area Mediterranea? Io mi tiro fuori. E parteciperò alla prossima manifestazione contro la guerra in Libia. Poco cosa, si dirà; sì, è poca cosa, e certamente non fermerà il massacro dei civili, ma è l’unica cosa che oggi posso fare.

    ng

  51. dice genseki
    “Comunque l’opposizione alla guerra ha senso perché la guerra è sempre solo guerra contro le classi sfruttatte della societá, perché le bombe peggiorerano la vita dei poveri in Libia, non dei ricchi e la peggioreranno anche in Italia, perché ogni bomba ha un costo che le classi dirigenti finanzieranno con tagli di servizi sociali, di diritti, di sanitá, di scuola, di sussidi di disoccupazione, di sostegno ai disabili, di tagli ai salari e alle pensioni, o come pensa che la finanzino la guerra? Perché dalla guerra comunque usciranno rafforzati banchieri e speculatori e indeboliti i sindacati, perché gli immigranti vivranno un po’ peggio e annegheranno un po’ si più nel mediterraneo, E perché si continueranno in altri posti a finaziare altri dittatori assassini e altre democrazie massacratici, ce ne sono tante anche di queste nel mondo. Insomma lei puó perdersi in considerazione umanitarie su una guerra legittima ma quelli che questa guerra la hanno voluta non hanno nessun obiettivo umanitario, quelli che la dirigono hanno altre prioritá e altri interessi e se io lei e Baratto e centolmila altri anche ci mettessimo tutti insieme a sforzarci di considerarla umanitaria non lo diventerá lo stesso perché quelli che stringono in pugno il calcio del fucile la considerano invece un momento di un conflitto piú vasto per il controllo dei flussi energetici, per determinare le gerarchie internazionali per posizionarsi in vista di altre crisi etc. Ci saranno altre guerra sempre di piú, vedrá e sempre piú brutali, e presto no ci si curerá di mascherarle come esportazioni della democrazia o come umanitarie. Guardi i popoli del mediooriente sono stati bombardati e repressi quando si ribellavano come laici e nazionalisti, Nasser e Mossadeq, quando erano fondamentalisti e religiosi, Khomeini, adesso che fanno le rivoluzioni primaverili e demcratiche li si bombarda per aiutarli e qualsiasi cosa facciano li si bombarda! Sa perché? Perché sono imperialisticamente debolissimi, socialmente disorganizzati, perché sono arrivati tardi alla modernitá e galeggiano su mari di petrolio e gas. Il resto sono chiacchiere”

    questa sarebbe una posizione pacifista radicale che rifiuta sempre e comunque ogni forma di azione armata e violenta?
    rispondi a questo andrea invece di porti domande retoriche “sulla possibilità o meno da parte degli stati di intervenire al di fuori di vuote manovre diplomatiche”

    “L’azione bellica avviata da USA, Francia, Italia mi sembra densa di rischi ed incognite”

    parli come il più consumato dei politici :)
    roba da chiodi!
    bacio
    la fu

  52. Condivido nevio tutte le osservazioni sulla questione della legittimità, che mi sembrano quelle più importanti assieme all’esito reale degli interventi bellici occidentali.
    Rimango però dubbioso sulla definizione di questa come pura guerra imperialista. Trovo che questi schemi di lettura, anche se non sono falsi, sono riduttivi. Ma non ho io il tempo e tutte le informazioni per mettermi a dimostrarlo qua. Voglio solo dire che attendo da sinistra delle analisi più spregiudicate, che tengano presente di tutta una serie di elementi nuovi che non rientrano nel quadro classico delle guerre imperalistiche.
    Poi rimane un punto importante: sono giunte voci dall’opposizione libica, trincerata a Bengasi già la settimana scorsa, che chiedevano un intervento in loro sostegno. Bengasi non è stata ripresa dalle forze gvernative per gli interventi aerei della colaizione…
    Se ci schieriamo dalla parte degli insorti, ericonosciamo legittima la loro battaglia per la democrazia – davvero eroica -, dobbiamo anche riconoscere quali sono le loro richieste. Queste richieste – data la situazione d’inferiorità militare sul campo – sono state chiare. Sosteneteci anche militarmente.
    Tutto questo non significa approvare acriticamente o con entusiasmo ciò che sta succedendo.
    Trovo però in qualche modo rassicurante la reazione di né con Gheddafi né con la coalizione… così come trovo rassicurante l’idea che si consideri come automaticamente non di sinistra la posizione che s’interroga in modo più problematico rispetto a questo intervento.
    Come a dire: ma noi della sinistra radicale non abbiamo mai bisogno di dibattere e discutere, siamo sempre unanimi e coesi nelle prese di posizione. E chi diverge su di esse OVVIAMENTE non si riconosce nei nostri valori.

    In fondo, anch’io mi trovo nella posizione di non poter sostenere l’intervento nei modi e nella forme che ha subito assunto, e d’altra parte sono per sostenere gli insorti contro il dittatore. Quindi anch’io sono né con la guerra né con Gheddafi. Ma questa posizione non mi sembra un’opzione “politica”, qualcosa da difendere come una linea di condotta. Mi sembra se non altro una situazione di paralisi e impotenza.

  53. cara fu,

    nel brano che citi di Geneki vedo una condanna della guerra realizzata in un’ottica imperialista o di controllo delle risorse… e un’accusa alle politiche occidentali nel sostegno di regimi non democratici… tutto ciò è condivisibile, anche se in quel brano nulla ci dice su una presa di posizione sulla violenza come strumento politico in sé… non capisco quindi la tua osservazione…

    i rischi e le incognite della missione sono questi: le regole d’ingaggio per la realizzazione della no fly zone sono già state violate, questo sugnifica aprire ad uno scenario di bombardamenti che possono coinvolgere le popolazioni civili; tutto ciò toglierebbe legittimità a questo intervento, che non si distinguerebbe più da quello in afganistan; inoltre se la guerra civile continuasse e il coinvolgimento degli occidentali divenisse sistematico, sarebbe palesemente una guerra degli occidentali contro gheddafi e non come è ancora oggi principalmente una guerra tra insorti e dittatore….

    poi vorrei che mi argomentassi perché mai il dilemma etico-politico di cui parlavo è vuota retorica…

  54. @ genseki

    Ripeto quanto scritto @ Gnech: ragioniamo sui libri letti e non sulle frasi volanti. Da quanto ho capito dei libri (letti) di La Grassa escludo che egli possa giudicare «Marx un teorico tutto sommato un po’vecchiotto che ha scoperto l’acqua bollita». Argomentarlo sarebbe lungo, annoierebbe i lettori di NI e, se vuole, possiamo approfondire la discussione sui “demoni” (La Grassa, Preve o altri) a parte o in altra sede (lascio qui la mia mail: ennioabate@alice.it).
    Qui mi limito a dissentire sulla sua affermazione: «Marx ha potuto vedere “scoprire” certi aspetti del capitalismo perché si è collocato al fianco di quello che allora era il proletariato cioè ha assunto un punto di vista politico, e il suo lavoro teorico non ha un senso solo teorico ma volle essere soprattutto un’arma regalata alle classi della societá che subivano uno sfruttamento inumano». Mi pare una visione un po’ romantica. Mette prima la scelta («si è collocato al fianco di quello che era il proletariato etc.») e magari l’intenzione (“regalare” un’arma agli sfruttati) e poi il risultato: “Das Kapital”, l’opera in cui lo sfruttamento dei lavoratori viene dimostrato. Teoricamente, scientificamente, insomma controbattendo – razionalmente e non emotivamente – tesi che a quei tempi erano considerate valide, scientifiche (quelle degli economisti “classici”). Anzi fa discendere – mi pare – il «lavoro teorico» dal «punto di vista politico». Io ritengo che ci sia quantomeno una “relativa” autonomia tra lo svolgimento del pensiero di Marx ( giovanile e maturo, “Manoscritti economico-filosofici del ‘44” e “Das Kapital”) e la sua militanza a favore dell’allora (tra l’altro) nascente movimento operaio. Sulla perdita di coscienza storica o semplicemente di attenzione (non puramente scolastica) alla storia da parte di moltissimi oggi concordo in pieno.

  55. caro andrea

    “nel brano che citi di Geneki vedo una condanna della guerra realizzata in un’ottica imperialista o di controllo delle risorse… e un’accusa alle politiche occidentali nel sostegno di regimi non democratici… tutto ciò è condivisibile, anche se in quel brano nulla ci dice quanto a posizione radicalmente non violente o meno… non capisco quindi la tua osservazione…”

    bona, allora sei d’accordo col pensiero di genseki!

    “i rischi e le incognite della missione sono questi: le regole d’ingaggio per la realizzazione della no fly zone sono già state violate, questo sugnifica aprire ad uno scenario di bombardamenti che possono coinvolgere le popolazioni civili; tutto ciò toglierebbe legittimità a questo intervento, che non si distinguerebbe più da quello in afganistan; inoltre se la guerra civile continuasse e il coinvolgimento degli occidentali divenisse sistematico, sarebbe palesemente una guerra degli occidentali contro gheddafi e non come è ancora oggi principalmente una guerra tra insorti e dittatore….”

    questi non sono rischi e incognite, questa è ed era la volontà dei “volonterosi” che non vedevano l’ora di intervenire con i loro arsenali di guerra che ogni tot devono essere rodati e svuotati su “pretesti” civili e umani in nome di un pricipio etico e politico

    “poi vorrei che mi argomentassi perché mai il dilemma etico-politico di cui parlavo è vuota retorica
    La guerra civile libica solleva una questione autentica in termini etici e politici, indipendentemente dall’ipocrisia delle grandi potenze e dagli interessi in gioco? C’è un modo per gli stati d’intervenire oppure no, al di fuori di vuote manovre diplomatiche?”

    il fatto è che gli stati in oggetto, rappresentati da canaglie come gheddafi non volevano intervenire con quelle che tu definisci vuote manovre diplomatiche ergo il tuo/nostro comprensibile sgomento nel prendere atto della nostra impotenza di uomini comuni, di popolo cui è sottratta ogni tipo di sovranità è sacrosanto ma, appunto, retorico

    bacio “intuitivamente” pacifico
    la fu

  56. ok fu, sul sentimento d’impotenza ci ritroviamo… è già qualcosa

    rispetto a quanto dici qui:

    “questi non sono rischi e incognite, questa è ed era la volontà dei “volonterosi” che non vedevano l’ora di intervenire con i loro arsenali di guerra che ogni tot devono essere rodati e svuotati su “pretesti” civili e umani in nome di un pricipio etico e politico”

    ribadisco che la vedo una lettura riduttiva per grosso modo due motivi:1) non tiene presente che nella situazione attuale c’è un terzo soggetto, ben autonomo, in gioco: le forze democratiche d’opposizione (che sono certo variegate, ma decise a coalizzarsi contro la dittatura); ora nelle visioni come quella che proponi (non solo tu), non viene dato nessun peso a questo soggetto; e qui c’è proprio anche un problema politico… perché questo ignorare il ruolo autonomo degli insorti – o peggio, ridurlo a controfigura degli onnipotenti occidentali…
    2) tra le mire imperialistiche e i fatti, c’è di mezzo il fallimento statunitense in vietnam, in afganistan, in Iraq….

    (molto in sintesi, perché scappo…)

  57. a riprova che sono saltate tutte le categorie e le griglie (trasformatisi in vere e proprie prigioni) del ‘900 per capire e spiegare i fenomeni:

    nella destra ci sono due posizioni
    1) a favore dell’intervento armato per trarre tutti i vantaggi economici che ne derivano dal nuovo assetto libico.
    2) contro l’intervento perchè la destabilizzazione e la guerra producono un’ondata di profughi e quindi dei costi insostenibili

    nella sinistra:
    a favore perchè si sostengono le istanze di democrazia e libertà della popolazione oppressa da 40 anni, che rischiava di essere massacrata dall’azione repressiva di geddafi

    contro perchè l’intervento armato produce solo altre vittime ed è ipocrita in quanto è finalizzato a ottenere dei vantaggi economici.
    perchè insomma la guerra viene negata a priori.

    la cosa curiosa è che prima e dopo l’evento bellico, nessuno si preoccupa delle miserie e delle ingiustizie che regnano in quei paesi dove le economie occidentali lucrano enormi profitti (rapinando le materie prime e vendendo armi) e indirettamente garantendo il nostro stile di vita che, a vedere bene le cose, è osceno e insostenibile per l’umanità tutta.
    Ricordo Reagan che disse una frase emblematica:
    il nostro stile di vita non è negoziabile.

    Gli economisti sanno bene che il livello di spreco e di consumi delle società occidentali è stato possibile grazie alla povertà estrema di 4/5 dell’umanità.
    Sanno anche bene che con lo sviluppo di economie come quella cinese indiana o brasiliana la cui popolazione è relativamente enorme (ad occhi siam osu itre miliardi se non di piu’) questo stiule di vita è semplicemente insostenibile

    insomma discutiamo in modo sfisticato ed elegante di aria fritta mentre il mondo brucia

  58. Per Ennio Abate,

    certo la sua obiezione ha senso, me la aspettavo e ne ho giá discusso tante volte. Ne discusse molto a suo tempo anche Berneri. Comunque la ringrazio per l’invito a continuare la discussione in altra sede. Non demonizzo La Grassa e Preve, davvero, soprattutto Preve lo ho letto con interesse, l’ultimo La Grassa faccio davvero un po’ di fatica a non sorridere, specie quando rappresenta Berlusconi come un baluardo anti USA e sembra pensare che la povera Ruby sia un artefatto della CIA senza pilota. Comunque altre cose di La Grassa, invece erano piú interessanti.

    Per Andrea Inglese,

    La ringrazio per le sue risposte e volevo precisare per prima cosa che non appartengo alla sinistra radicale non ho proprio niente a che fare con loro e non condivido niente di quello che dicono e fanno. Non sono nemmeno un pacifista. Il fatto è che le posizioni pacifiste di qualsiasi “oggi” sono sempre state le posizioni guerriste del “domani”. Cioè quelli che sono pacifisti in una fase finiscono per essere guerristi in un’altra, è quasi una legge storica. E perché questo? Perche i pacifist si muovono dentro la logica delle classi dominanti. Ecco mi pare che lei abbia scritto una cosa che trovo davvero falsa e brutta: “che viviamo in un’epoca storica che rispetto a tutte le altre ha il privilegio di essere la più informata”. Non è vero oggi come non mai siamo informati solo di un punto di vista: quello delle classi dominanti, tutte le altre classi sociali sono radicalmente escluse dalla produzione di informazione, dalla parola, dalla possibilitá di comunicare come si autorappresentano e quali sono i loro bisogni e le loro speranza. Non lo fanno nemmeno piú gli artisti, come lo fecero, che so, Dickens o Hugo. Di chi sta sotto si tace, l’informazione lo annega e lo sommerge, lo plasma. lo dirige. Se non si ha coscienza di questo è perché della classe dominante quelli come lei sono parte in quanto intellettuali ad essa organici direbbe Gramsci e che le classi lavoratrici stentano a produrre, oggi, intellettuali propri, per la debolezza dei canali che permettevano loro di farlo, p.e. la chiesa (suo malgrado) e i partiti operai.
    Detto questo il dilemma cui lei fa riferimento è tolto se ci si sposta sul piano generale. Perché quelli che aiutanio gli insorti in Libia sono gli stessi che appoggiano quelli che ad altri insorti gli sparano sopra: In Gaza, nel Golfo, ad Haiti, in Honduras (quanti morti a fatto Porfirio Lobo?) in Ecuador, a Santa Cruz etc e se adesso appoggiano questi insorti di Bengasi e per continuare piú tranquillamente a masscrare altri insorti in altri posti. Sa quando a ventanni io sono arrivato in Africa ero un entusiasta della cultura francese, dello spirito della repubblica etc. Poi ho visto le fosse comuni, i resti dei villaggi bruciati, ho ascoltato dello sterminio spietato dei civili per fermare la guerriglia in Cameroun, le ossa di migliaia di persone sono sepolte nella foresta del Cameroun ammazzate da quei francesi che in Libia difendono i civili. Il fatto è che in quel frangente per i loro interessi si doveva massacrare gli insorti e adesso gli si deve proteggere. Quindi il dilemma non esiste è solo una questione di interesse e di calcolo, loro pensano: “qui con chi è piú conveniente stare?” e il dilemma proprio non lo vedono. Comunque giá lo ho scritto, i popoli del Medio Oriente sono stati assaliti, massacrati, bombardati sempre, quando erano laici el liberali, quando erano religiosi, quando erano integralisti, quando erano su facebook, e la loro forza lavoro brutalemente sfruttata fino allo sfinimento come immigrati senza diritti o come operai senza sindacato. E allora quello che noi possiamo fare è prima di tutto stare dalla parte delle classi oppresse e sfruttate e vedere le cose come le si vedono da laggiú in fondo, e poi quando le abbiamo ben apprese dal basso in alto, vedere un po’ di ragionare su come si puó abbattere una societá mondiale che fornisce armi mortali ai dittatori per massacrare i loro popoli e poi massacra i loro popoli per togliere di mezzo i dittatori cui aveva dato le armi per massacrrare i loro popoli, etc. Per fare questo bisogna peró spogliarsi di prestigio sociale, privilegi e magari anche un certo benessere e lavorare con umiltá e tenacia ad organizzare, comprendere, insegnare e tramandare. Se no il capitalismo continuerá a produrre dittatori e guerre ora per abbatterli ora per confermarli.
    genseki

  59. @ Andrea

    Non è propriamente vero dire che la visione classica della sinistra radicale “dimentica” o “non tiene presente” le forze democratiche. Mettiamola così: le rivolte che in questi mesi hanno smosso il Nord Africa sono importanti e positive. Solo che, proprio per la loro essenza, minano un ordine pre-esistente e quindi, di riflesso, mettono a rischio gli equilibri dell’area mediterranea e il futuro della stessa economia. Per questo, pur se nate spontaneamente, le grandi potenze tentano di regolarne gli esiti (con uomini e mezzi e con la guerra diretta). Questa “ingerenza” giova davvero alle “forze democratiche”? Io ho i miei dubbi, così come d’altra parte dimostra la storia recente. L’esito sarà un cambiamento di regime o una forte situazione di instabilità e di guerra civile latente. Il problema, insomma, è che una delle parti in causa, quella cui vanno le mie attenzioni (diciamo, per capirci, il “proletariato”), non è in grado, allo stato, di “prendere la testa” del movimento, e tutte le energie meravigliose che ha messo e metterà in campo si perderanno o si indirizzeranno contro i suoi stessi interessi, funzionando da manovalanza per un nuovo sistema di potere. Si gioca, in quell’area, una partita molto importante, dove le “forze democratiche”, alla lunga, a parte alcune concessioni di facciata, capitoleranno a favore del più forte. Questa è la prospettiva che vedo se analizzo i rapporti di forza odierni. E per questo dico, con molta pacatezza, che trattasi di una guerra “imperialistica”: perché non vedo esiti profondamente positivi (nel dopo-Gheddafi le masse libiche continueranno ad essere escluse dalla gestione della ricchezza e del potere) e perché si tratta di una guerra generata dallo scontro tra diverse potenze per il controllo dell’area. O forse, a dirla diversamente, l’esito positivo di questa vicenda potrebbe essere quello di prendere atto della necessità di organizzarsi autonomamente, al di là delle grandi potenze “imperiali”; in fondo, la crisi dell’economia (e della società mondiale tutta) è tale da costringere “la vecchia talpa”, qualsiasi sia il nome che prenderà, a trovare strade alternative. Il potenziale umano è enorme. Solo la politica può trovare un senso che non sia quello delle grandi potenze. Riprendiamo a fare politica.

    ng

  60. “Detto questo il dilemma cui lei fa riferimento è tolto se ci si sposta sul piano generale. Perché quelli che aiutanio gli insorti in Libia sono gli stessi che appoggiano quelli che ad altri insorti gli sparano sopra: In Gaza, nel Golfo, ad Haiti, in Honduras (quanti morti a fatto Porfirio Lobo?) in Ecuador, a Santa Cruz etc e se adesso appoggiano questi insorti di Bengasi e per continuare piú tranquillamente a masscrare altri insorti in altri posti”

    c’è da sbatter la testa contro un muro per la “miopia storica” di chi , in buona fede come andrea, giustifica l’intervento armato di questi SQUALI a tutela degli insorti
    io resto basita! se del caso libia ne facciamo un caso “particolare” allora ci troveremo schierati ( e questo è davvero “imbarazzante”) con quelli che fino a ieri consideravamo a ragione i nostri “avversari”, loschi e miseri figuri politici che per opportunità non certo di classe, cazzo, sono guarda caso contro questa sporca aggressione
    caro andrea, ri guardati :)
    bacio
    la fu

  61. caro genseki

    1) “Ecco mi pare che lei abbia scritto una cosa che trovo davvero falsa e brutta: “che viviamo in un’epoca storica che rispetto a tutte le altre ha il privilegio di essere la più informata”.”
    Caro genseki, un conto è riconoscere l’esistenza dell’ideologia dominante – la riconosco quanto lei – un altro è saper guardare la storia in un’ottica di lungo periodo: tutti gli indicatori stanno a dimostrare che non solo nel nostro mondo la crescita dell’alfabetizzazione delle esigenze democratiche e dell’informazione vanno assieme; naturalmente il ruolo dell’informazione non controllata e manipolata ha avuto un ruolo fondamentale in queste rivoluzioni arabe, così come lo ha in Cina, in Iran, e lo avuto, ai tempi, per i movimenti pacifisti statunitensi contro la guerra in Vietnam… insomma, in un’ottica storica quanto sostengo è semplicemente un’ovvietà

    2) lei scrive: “siamo informati solo di un punto di vista: quello delle classi dominanti, tutte le altre classi sociali sono radicalmente escluse dalla produzione di informazione”.
    Per sostenere questa tesi apocalittica, dovrebbe innanzitutto farmi capire a quali studi sulle classi sociali si riferisce, visto che il concetto di classi sociali, classi dominanti, ecc. non è così chiaro, sopratutto se legato all’accesso all’informazione… Io le posso indicare un testo recente e importante sul rapporto tra informazione alfabetizzazione e democrazia: Emmanuel Todd, intitolato “Dopo la democrazia”. Si tratta di un demografo antropologo, e quindi propone uno sguardo storico di lungo periodo. Altri testi di riferimento recenti, sul ruolo dell’informazione: Michel Serres “Tempo di crisi”.
    Un esempio concreto di come le classi NON dominanti hanno accesso a mezzi indipendeti d’informazione, qui: http://italy.indymedia.org/.

    3) “è perché della classe dominante quelli come lei sono parte in quanto intellettuali ad essa organici direbbe Gramsci e che le classi lavoratrici stentano a produrre, oggi, intellettuali propri, per la debolezza dei canali che permettevano loro di farlo, p.e. la chiesa (suo malgrado) e i partiti operai.”
    Dunque lei mi considera intellettuale organico alla classe dominante… Un’osservazione interessante. Potrebbe provarmelo, per favore? Immagino lei conosca a con precisione il tipo di lavoro che svolgo, le istituzioni e le testate giornalistiche con cui collaboro… Io d’altra parte mi rivolgo a lei: posto che io sono un intellettuale organico, lei cos’è? A parte il fatto di presentarsi in questa discussione in modo anonimo… Delle due l’una: o anche lei è un intellettuale organico, oppure lei è un intellettule delle classi lavoratrici, che quindi esistono….

    4) “E allora quello che noi possiamo fare è prima di tutto stare dalla parte delle classi oppresse e sfruttate e vedere le cose come le si vedono da laggiú in fondo,”….
    E proprio quello che ho cercato di fare, nel caso libico, basandomi sulle testimonianze che sono circolate dall’inizio dell’insurrezione. Una maggioranza di insorti hanno chiesto a gran voce un sostegno contro gheddafi, anche di tipo militare. Da qui il dilemma di cui le parlavo.

    5) Sulla parte finale del suo intervento, che mi sembra importante:
    “vedere un po’ di ragionare su come si puó abbattere una societá mondiale che fornisce armi mortali ai dittatori per massacrare i loro popoli e poi massacra i loro popoli per togliere di mezzo i dittatori cui aveva dato le armi per massacrrare i loro popoli, etc. Per fare questo bisogna peró spogliarsi di prestigio sociale, privilegi e magari anche un certo benessere e lavorare con umiltá e tenacia ad organizzare, comprendere, insegnare e tramandare. Se no il capitalismo continuerá a produrre dittatori e guerre ora per abbatterli ora per confermarli.”
    Sul ragionare su come abbattare “una società mondiale capitalista” nessun problema. Ci sono per altro pensatori che ci forniscono importanti “ragionamenti” in questo senso. Ma ragionare non basta. A volte è richiesto il fare. Nel caso della guerra civile libica il nostro fare è problematico, anche quando semplicemente decidiamo di contestare ogni forma d’intervento occidentale, accettando di essere spettatori di un’ennesima repressione coronata dal successo. (Certo è “solo” una in più rispetto a quelle già esistenti. Però, appunto, è “una di più”.)

    Poi genseki lei propone una linea di condotta in qualche modo francescana: spogliarsi di privilegi, benessere, prestigio sociale. Mi dica di più, mi faccia capire che cosa lei ha fatto in concreto, in modo che io possa rendermi conto se sono o meno sulla buona strada.

  62. cara fu
    capisco che l’idea di dibattere su un argomento, invece di semplicemente rivendicare la posizione A o B, è estranea a molta gente, anche nella sinistra. Ma mi sembra chiaro che fin dall’inizio dei miei interventi io ho mostrato di non essere in grado di giustificare alcunché. Neppure la posizione – che è di fondo la mia – né con gheddafi né con la coalizione occidentale. Ribadisco che le letture dei fatti che giustificano alcune delle attuali prese di posizioni pacifiste a me non convincono. Mi sembrano insufficienti, come insuffieciente questa posizione terza, che non mi sembra influire su nulla. Ma più che questi dubbi, in questo momento non ho granché da esprimere.
    Una cosa sola però: puoi accusarmi fu di cecità ideologica, confusione, ingenuità, ecc. ma non “di miopia storica”. Non stai parlando dieci o vento o trent’anni dopo i fatti. Li stai commentando a caldo come me. Da dove ti verrebbe questo sguardo storico che include il mio e lo giudica?

  63. caro andrea
    sei disarmante :) ed io non voglio farti la guerra :)
    non mi ritiro, devo andare a lavorare
    a presto
    baci
    la fu

  64. certo che a collazionare la mappa degli stati che esportano armi in Libia

    http://graficos.lainformacion.com/disturbios-conflictos-y-guerra/armas/las-armas-que-europa-vendio-a-libia_ICkcCjsQzlGtB95UmxXaI1/

    e quella degli stati che in Libia esporterebbero “protezione”

    http://www.elpais.com/graficos/internacional/mapa/guerra/Libia/elpepuint/20110319elpepuint_1/Ges/

    resta ovviamente ben poco su cui illudersi: “qui ed ora” come sul “dopo”.

    però il “tertium” di cui parla Inglese c’è – non solo in Libia, certo, né solo in questi mesi – ed è l’elemento che rende impossibile prendere una posizione completamente giusta. (forse “giusto” sarebbe stato solo l’arruolarsi spontaneamente, come liberi cittadini, al fianco e degli insorti; una prospettiva, certo, al limite del fantascientifico…)

  65. caro nevio
    grazie della risposta, primo perché dà per scontato che ci muoviamo nella discussione a partire da alcuni valori condivisi, secondo perché entra veramente nel merito della questione.
    Tu scrivi:
    “Io ho i miei dubbi, così come d’altra parte dimostra la storia recente. L’esito sarà un cambiamento di regime o una forte situazione di instabilità e di guerra civile latente. Il problema, insomma, è che una delle parti in causa, quella cui vanno le mie attenzioni (diciamo, per capirci, il “proletariato”), non è in grado, allo stato, di “prendere la testa” del movimento, e tutte le energie meravigliose che ha messo e metterà in campo si perderanno o si indirizzeranno contro i suoi stessi interessi, funzionando da manovalanza per un nuovo sistema di potere.”

    Bene. Discorso molto chiaro. Io però non lo condivido fino in fondo. Bada bene, non posso confutarlo in termini fattuali e neppure di logica dell’argomentazione. Non avrei sufficienti elementi né su di un versante né sull’altro. Ti parlo di un’intuizione. Sì, sto entrando in un terreno minato. Ma tu sai bene che negli eventi politici l’intuizione anticipatrice è una variante importante dell’azione. Naturalmente mi posso sbagliare, e posso peccare di eccessivo ottimismo. Ma io “sento” che qualcosa di nuovo si sta muovendo. E questo qualcosa non potrà essere riassorbito come è stato fatto fino ad ora. In estrema sintesi: dove mi trovo in disaccordo con la tua lettura? Con l’idea che questa generazione di contestatori, di ribelli, avrà corto respiro sul piano politico. Io non credo questo. Neppure tu lo puoi dire con certezza al cento per cento, perché anche tu stai producendo un’induzione. Rispetto a quanto accaduto finora, tu credi che immancabilmente accadrà di nuovo una requisizione di democrazia, risorse, ecc. da parte dei dominanti.
    Io credo invece che un equilibrio di forze si stia rompendo irrimediabilmente. E che se anche i risultati politici non si vedranno tra cinque anni, si vedranno senza dubbio tra dieci. E sul piano culturale già si stanno vedendo in maniera irreversibile.
    In anni recenti sono tornato ad avere una visuale molto più libertaria, e questa visuale ha sottratto parecchio prestigio agli esperti, ai quadri di partito, ai tecnici della rivoluzione, per ridistribuirlo tra la gente comune, tra i soggetti popolari e rivoluzionari. (Su una precisa appartenenza di classe non mi spingo, perché qui possiamo, io e te, fare sopratutto illazioni. Ci mancano troppi dati.)
    Ma per giustificare meglio la mia intuizione dovrei far ricorso al nesso che ho citato più sopra: nei paesi arabi che stanno conoscendo moti rivoluzionari, vi è un enorme quantità di popolazione giovane, questa popolazione giovane ha un livello di scolarizzazione alto (dalla maturità alla laurea) e questa popolazione giovane è familiare con le varie possibilità offerte dal mondo attuale dell’informazione, supporti elettronici inclusi. Tutti questi elementi hanno diffuso una cultura “democratica”, della libera discussione e della critica all’esistente. Se a ciò aggiungiamo un’esperienza politica rivoluzionaria, che pure conosce delle sconfitte, io credo che si stiano preparando giorni molto difficili per le classi dominanti occidentali e arabe.
    E concludo ritornando al punto di partenza. In una tale situazione imprevedibile non è escluso che le intenzioni di controllo e di conservazione dell’esistente proprie degli USA e degli Europei non possano tornare utili, in certi casi, a queste nuove generazioni di ribelli.
    (Ma anche questa non è che un’ipotesi.)

  66. @Ennio Abate

    Il primo è un berluscones, probabilmente un qualche ascaro di Libero o del Giornale, visto l’accento messo sull’interesse nazionale. Il secondo non saprei, ma condivido l’ultima frase: “far finire una guerra che già c’è”

    @Andrea Inglese

    Confesso di aver pensato a mia volta alla Spagna della Guerra Civile. Pensiero subito represso, sia perché si è già parlato di come certi paralleli andrebbero banditi, sia perché temevo la dura reprimenda del monaco zen Genseki, che vive in Ispagna e ha l’aria di saperla lunga (più di me senz’altro). Eppure quell’esempio è utile per ragionare su un punto importante del dibattito che, come giustamente notavi, non è tra i pacifisti integrali (à la Capitini, per intenderci) e i guerrafondai, ma tra due pezzi di sinistra che non escludono a priori l’uso della violenza.
    Il punto è un altro, allora: sta nella confusione tra contraddizioni principali e secondarie e direi nel contrasto tra una concezione moralistica (e un po’ narcisistica) della realtà e una concezione materialista.
    A me sembra che i contrari ‘senza se e senza ma’ si accontentino di enumerare le ipocrisie delle democrazie ‘occidentali’, di essere contro la guerra imperialista e di rivendicare questo loro tratto distintivo.
    Dall’altra parte ci sono quelli come me, consapevoli di quanta ipocrisia vi sia nella condotta della ‘comunità internazionale’, di quali siano gli interessi del capitale globale, che i propri affari, va ricordato, li fa con o senza Gheddafi. E che tuttavia credono, da materialisti, che assecondare la cacciata del rais e avvicinare la Libia alle ‘nostre’ contraddizioni sia il modo più sensato per far aiutare quelle società che, dice Genseki, “sono entrate tardi nella modernità”, ad avanzare verso – oddio consentitemi un po’ di retorica – un futuro di giustizia, di libertà e (forse) di socialismo vero, non di quell’orrida pantomima del colonnello Gheddafi.
    Può darsi che mi sbagli, per fortuna la mia opinione non conta un cazzo.

  67. @ Andrea

    Cosa sappiamo, in realtà, della situazione libica?

    Il “popolo” è davvero contro Gheddafi?
    Chi rappresentano i rivoltosi? Di quali classi sociali sono espressione?
    Vogliono davvero la democrazia? O sono solo “fedeli della vecchia monarchia”?
    Perché in Libia, a differenza degli altri paesi, i rivoltosi erano ben armati (persino un aereo!)? Solo per capacità organizzativa propria?
    Chi li dirige politicamente?
    Gli obiettivi che si sono dati corrispondono alle loro forze? Oppure gli obiettivi erano tali da poter essere raggiunti solo con un intervento esterno? E se così fosse, chi ha deciso, tra i rivoltosi, di andare nella direzione dello scontro aperto anziché, poniamo, in quella dell’arroccamento in vista di tempi migliori?
    Come vengono prese le decisioni strategiche all’interno del movimento anti-Gheddafi? In maniera democratica? Qual è la componente più influente? Chi (e con quale autorità) si rapportava con i militari inglesi?

    Vedi, Andrea, io ammetto la mia ignoranza: non sono stato in grado di trovare dati che mi permettessero di rispondere adeguatamente a queste domande. Però sono domande ineludibili. Di una cosa sono invece certo: né gli USA di Obama né l’Europa potranno “tornare utili a queste nuove generazioni di ribelli”. A differenza di te, ho sufficienti elementi fattuali (e di logica) per affermarlo. Ma non voglio convincerti. Resto dell’idea che se queste rivolte si unificassero a quelle europee e americane, ebbene, allora sì che l’esito sarebbe meno scontato. Solo che qui sorgono altre domande, altrettanto ineludibili: sulla base di quale obiettivo strategico si uniscono le lotte? Io, nel mio piccolo, direi, almeno, sulla base dell’obiettivo di fare pagare la crisi a coloro i quali l’hanno determinata … Ma è un obiettivo che presuppone qualcosa di più che una semplice ribellione … E siamo, di nuovo, di fronte alla necessità di riprendere a fare politica …

    ng

  68. Può tornare utile alla discussione questo articolo di Tommaso di Francesco dal Manifesto di oggi:

    Per esser chiari. E ringraziando subito Rossana Rossanda per la strigliata che ci ha dato. Questo giornale pensa che Muammar Gheddafi deve andarsene, al più presto. Che il suo regime, che non è né una democrazia né uno stato progressista, è finito. Non solo per il delirio che mostra, né perché 41 anni di potere assoluto bastano e avanzano. Il suo ruolo ormai nefasto è apparso chiaro a tutti nel momento in cui ha esortato da Tripoli una parte del suo popolo a prendere le armi contro l’altra. Questo appello alla guerra civile è il segno, sanguinoso, della sua sconfitta. Che precipita sull’intero popolo libico. Siamo oltre un limite davvero insopportabile.
    C’interroghiamo però su come questa auspicabile uscita di scena del raìs debba avvenire, senza aggravare lo spargimento di sangue e senza dover attribuire il ruolo di garante dei diritti umani a chi questi diritti calpesta ogni giorno. Nella ricerca di una funzione e di istituti adeguati ad una soluzione di pace, nell’epoca della globalizzazione delle merci che non globalizza la condizione umana se non per ghettizzarla e schiacciarla. Senza in buona sostanza salire sui bombardieri «umanitari» della Nato. Sarebbe una preoccupazione meschina se, da quando si è manifestata, questa giustizia dall’alto dei jet di guerra non avessse non solo non risolto ma resa ancora più ambigua la soluzione sul campo. Parliamo dei risultati degli interventi militari occidentali in Bosnia Erzegovina (poi divisa etnicamente), nel Kosovo (diventata nazione, mafiosa e criminale per l’Onu, un buco intorno alla megabase Usa di Camp Bondsteel) e – paragone stringente – in Somalia (alla mercè di bande islamiste).
    Quel che non riusciamo a distogliere dal nostro sguardo è il fatto che, nelle stesse ore in cui si consuma il dramma libico, va in onda a Kabul la farsa dei raid «chirurgici» della Nato che hanno fatto, con gli insorti talebani, più di ottomila vittime civili in quattro anni. E senza dimenticare una grossolana ambiguità. Quella che ha visto gli Stati uniti votare a favore del deferimento di Gheddafi al Tribunale penale internazionale dei diritti umani perché lo accusi di crimini di guerra. Eppure gli Stati uniti semplicemente non riconoscono l’autorità del Tribunale penale internazionale per i crimini dei quali si sono macchiati. Né per Abu Ghraib, né per Falluja, né per Bagram, e con Guantanamo che nessuno chiuderà più. Non dimenticando che per l’Iraq, dove l’insorto era inesorabilmente cattivo e «tagliatore di teste», parliamo di centinaia di migliaia di morti. Ma vale anche per la Russia in Cecenia.
    Possono i responsabili di questi crimini ergersi adesso a giustizieri e garanti dei diritti umani? Tantopiù che sono tutti corsi a frotte sotto la tenda di Gheddafi non più «canaglia» per avere petrolio per l’immutabile nostro modello di vita e di consumi o per chidere di chiudere in campi di concentramento i disperati in fuga dalla miseria dell’Africa? No.
    Ora la metafora gentile dell’odore di gelsomino non vale più per le rivolte del Maghreb e Mashrak. Dopo la Tunisia e l’Egitto, pure con centinaia di vittime, si è passati in Libia ad una guerra civile, con gli insorti della Cirenaica che insidiano in armi il regime di Gheddafi. È proprio perché siamo stati ad Atene e Lisbona, a Beirut e a Sarajevo, a Madrid e a Barcellona, che c’interrroghiamo su chi siano davvero questi insorti. Perché non siamo intenzionati a passare da un progressismo militare all’altro. Certo in Cirenaica – dove vive meno di un milione di persone – non c’è Al Qaeda, sigla buona per tutte le occasioni. È la propaganda di Gheddafi, e anche di Hillary Clinton che lo ripete a riprova della «cautela» Usa. Ma gli integralisti islamici ci sono, c’è il loro attivismo religioso-politico, del quale Gheddafi è stato il nemico giurato. È un movimento integralista reale, se è vero che la rivolta si richiama a quella del 17 febbraio del 2006 quando la città insorse contro la provocazione anti-islamica della t-shirt mostrata dal clown Calderoli. Come ci sono evidenti divisioni nel Consiglio nazionale di Bengasi. C’è chi vuole l’intervento militare esterno e chi «solo» la no-fly zone, e chi una rivolta indipendente. Ma c’è anche un pezzo della formazione sociale gheddafiana andata in pezzi: clan e tribù impegnate nella spartizione delle ricche risorse, e una parte del governo di Gheddafi che, con due ex ministri e molti ambasciatori, è passato con il «popolo», dall’altra parte. Tutti sotto la bandiera di re Idris.
    Cosa significherebbe un intervento armato dell’Occidente, con un ruolo esplicito della Nato e più ancora degli Stati uniti, per la presidenza di Barack Obama, quando già i neocon passano all’incasso delle rivolte arabe, rivendicando di essere stati i primi a promuovere la «democrazia» con l’intervento in Iraq? Quale epilogo avrebbero le «primavere» del mondo arabo di fronte a questa «conferma» – per dirla con l’inascoltato quanto prezioso Giampaolo Calchi Novati – su chi è il Centro e chi la Periferia del mondo globalizzato?
    Difficilmente si tornerà indietro. Il meccanismo della guerra «umanitaria» è acceso come quello della no-fly zone, che vede un recalcitrante Robert Gates spiegare che «non è un videogame» ma un atto di guerra con cui, per imporla, si deve subito bombardare l’aviazione nemica a terra e i sorvoli non autorizzato. Come fu per l’Iraq. L’avere evocato, come abbiamo fatto, la possibilità di una guerra motivata «umanitariamente», non è dimenticanza dell’obiettivo di cacciare Gheddafi, ma l’avvertimento che un intervento internazionale aggraverebbe ulteriormente la crisi e cancellerebbe le «primavere» mediorientali. Fino al paradosso di un conflitto per la democrazia sollecitato in chiave anti-sciita dalla «democratica» Arabia Saudita, con in sottofondo un forte retrogusto di petrolio. E sarebbe l’esodo di massa, stavolta biblico davvero, dei profughi libici, di una parte o dell’altra.
    Siamo ad un crinale difficile, quasi impraticabile. Possiamo poco come manifesto. Ma l’aiuto vero che possiamo dare al popolo libico è costruire una soluzione di pace che valga anche per il dopo, mobilitandoci subito almeno nel rispetto della nostra vilipesa Costituzione che rifiuta la guerra come mezzo per dirimere le crisi internazionali. Bisogna chiedere subito un «cessate il fuoco» capace di fermare le preponderanti forze del Colonnello ma anche quelle degli insorti. Ed è indispensabile, subito, una missione di Osservatori internazionali promossa delle Nazioni unite, ma partecipata da organismi localmente riconosciuti – la Lega araba, l’africana Oua, l’Organizzazione degli stati islamici – che si frapponga tra i contendenti monitorando il terreno. Questa intermediazione di pace deve aprire trattative con l’obiettivo dell’uscita di scena del raìs. Gli aerei con gli inviati di Gheddafi nelle capitali europee mostrano un varco evidente. Il nostro obiettivo deve essere l’iniziativa di pace, piuttosto che alimentare la guerra civile, come rischia di fare il «democratico» Sarkozy con il riconoscimento del Consiglio nazionale di Bengasi. Anche con il nostro lavoro, perché un giornale è strumento di alfabetizzazione per chi legge ma anche per chi scrive.
    Con una sola convinzione. Che il cielo sia lo stesso. Sopra Kabul, Baghdad, Roma, Parigi, sopra Tripoli e Bengasi. Conservo un gruppo di lettere di mio padre da Ajdabya, in Cirenaica, lì dove adesso si combatte. Ha venti anni, monta la guardia seduto su una polveriera, e scrive alla madre, con l’interrogativo «che ci faccio io qui?». Folgorato da una «scoperta»: «Di notte si capisce meglio che il cielo è lo stesso che da noi».

  69. @ Andrea Inglese

    vede che non è colpa mia? Che quando appare qualcuno che pensa come si deve, vivendo almeno il senso di colpa di appartenere alla classe dominante che usa anche la cultura per legittimare il proprio dominio sulla povera gente, il suo granitico pensiero va in difficoltà? Vabbè… ma invece di rivolgere domande sprezzanti al suo interlocutore, come fa spesso, si legga Simone Weil, vedrà che non le farà male: scoprirà che chi pensa certe robe non è né francescano né pazzo… Se si vuole essere credibili bisogna rinunciare ai privilegi che dà l’appartenenza al mondo della borghesia, magari per nascita come Simone Weil e Wittgenstein, che notoriamente sacrificarono la loro sicurezza sociale ed economica a favore della credibilità delle loro idee.

    @NG

    il problema non è essere pro o contro l’operazione di polizia internazionale. A leggere come stanno le cose, un dittatore che minaccia di andare a prendere i ribelli casa per casa, non si può che essere dalla parte della ” civiltà “. Il problema è che questa civiltà sta da tempo rinunciando ad agire entro una cornice di legalità, a danno di tutti noi, a danno delle popolazioni che soccorre e, infine, a danno di sé stessa, forse della propria stessa sopravvivenza. L’unico spazio che ci è dato, è quello di ricordare ai capi che stanno agendo fuori dalla legalità, non di ricordare loro che stanno agendo, come invece fa il pacifismo fru fru, secondo me in maniera complice, almeno nel senso della dialettica, mettendo tutti noi dalla parte degli stupidi.

    @la funanbola

    non ti avevo capita? Càpita non capirsi, ma una volta capito cosa c’è da capire capisco che c’era poco di capitale da capire. Però pensavo che te la prendevi di più per il sororale che per l’apocalittico… Un abbraccio.

  70. non vorrei dire, larry, ma per saggiare l’esemplarità delle azioni ci vuole qualcosa di più che dei bei commenti telematici

  71. @ Andrea Inglese,

    non sono anonimo, attraverso la mia pagina web e google è facilissimo risalire al mio nome e cognome. Poi dire piú cose di me mi sembrerebbe un po’ ridicolo. Comunque non ho nessun merito culturale né titoli accademici da poter esibire.

    Io volevo dire che l’informazione è prodotta dal punto di vista delle classi dominanti non che queste non vi possono accedere, possono persino produrla, forse, ma dal punto di vista delle classi dominanti, perché per la prima volta nella storia sono state private di un universo culturale proprio (Vedi Gramsci Pasolini e Debord).

    Quando lei scrive che:

    “il concetto di classi sociali, di classi dominanti non è chiaro”

    è ovvio che lei appartiene alla classe dominante come intellettuale organico, per qualsiasi immigrato, disoccupato, sfrattato per morositá, operaio di marchionne, viaggiatore in bus eurolines, rom, etc è chiarissimo mi creda, da sopra certo il concetto si confonde anche perché appunto gli intellettuali organici alla classe dominante si sforzano di complicarlo.

    Ringrazio Larry Massino per i riferimenti p.e. Weil e Wittgenstein che sono chiari e belli. Poi ci sarebbe che so anche Victor Serge p.e. e molti altri.

    Sono d’accordo con l’ultima parte dell’intervento di ng sull’unificazione delle lotte.

    Da materialista non credo che la Guerra di Libia avvicini nessuna possibilitá di socialismo se non attraverso l’ipotesi che ad essa corrispondano rivolte organizzate da parte delle classi lavoratrici nei paesi sviluppati, gentile Gnech, queste si che potrebbero portare aiuto, Le bombe Nato sembra che cadano solo sulla Libia ma il loro rumore è fatto per terorrizzare anche qui da noi e lo vedremo presto con i negoziati sulla struttura dei contratti in Europa.

    Indymedia è un posto di adolescenti in cui qualsiasi cosa tu scriva c’è sempre qualcuno che dice: “Hidda il fascista”. (Hidda non so che caspita voglia dire) e poi esce un altro che dice che quello di prima era lui il fascista e cosí via ad libitum, sono anche simpatici, a volte ma io parlavo di cose serie.

    genseki

  72. geneki io non ti chiedevo titoli culturali, io ti chiedevo di chiarire la tua frase sulla condotta di vita… sei tu che l’hai scritta non io….

    inoltre:
    “è ovvio che lei appartiene alla classe dominante come intellettuale organico, per qualsiasi immigrato, disoccupato, sfrattato per morositá, operaio di marchionne, viaggiatore in bus eurolines, rom, etc”

    è ovvio? se lo è, perché non argomenti in che modo si capisca che cos’è un intellettuale organico alla classe dominante oggi e come io lo sia…. dire “è ovvio” non è un argomento…

    ora non è problematica l’idea che esistano classi dominanti e classi dominate, è problematico nel mondo attuale tracciare dei confini netti tra queste classi, e che tu venga a dire che a complicare queste categorie sono gli intellettuali organici alla classe dominante mi fa sorridere… la determinazione del concetto di classe e dei criteri per determinanrne l’appartenenza sono stati sempre preoccupazione del pensiero marxista; quando tu metti assieme, nello stessa categoria, operai della Fiat e immigrato, metti assieme due soggetti che, all’interno dell’organizzazione produttiva, si trovano spesso in conflitto; la divisione dei ceti popolari e la creazione di statuti estremamente diversi, dove ognuno ha un qualche privilegio da difendere rispetto al nuovo arrivato, è uno dei capolavori dell’ideologia dominante e dell’organizzazione mondiale del lavoro realizzata tra metà degli anni Settanta e gli anni Ottanta. La questione delle classi è quindi centrale non solo in termini di analisi, ma anche in termini di proposte politiche alternative.

    Ma tutto questo discorso c’entra poco con il punto che avevo sollevato, ossia la composizione di classe delle masse popolari in Libia e negli altri paesi arabi.

  73. Gentile Andrea Inglese,

    effettivamente la frase che lei cita è molto brutta, in realtá io volevo dire che chi appartiene alle classi sociali subalterne ed escluse lo sa molto bene da solo qual è il suo posto nella societá, E anche chi appartiene a quelle alte, quelli che non lo sanno sono gli intellettuali organici alle classi dominanti, invece.
    Il fatto che le classi sfruttate siano frammentarie e conflittuali tra di loro non è un fatto nuovo ma una costante, il marxismo pensó che il partitodi classe doveva elaborare teoricamente la piú ampia unitá possibile tra i diversi spezzoni di classi sfruttate, operai, braccianti ,contadini piccoli artigiani, etc. Ma appunto il partito cioè qualche cosa di esterno, sono del parere che questo strumento vada rivisto e rielaborato ma che i fini siano piú o meno quelli.
    Comunque non voglio insistere, non voglio sembrare petulante e aggressivo nei suoi confronti, lei mi parso una persona cordiale e disponibile a una discussione anche dura, sempre educato, e con molti argomenti, ed è la prima volta che mi è capitato qui su NI dove di solito sono stato insultato al primo post e censurato al secondo, Le nostre posizioni restano divergenti, La saluto senza rancore e con stima.
    genseki

  74. Gli “Stati” o meglio le potenze si ostinano a pensare e ad agire utilizzando schemi e categorie del secolo scorso.
    noi tutti siamo prigionieri di questi schemi e di queste categorie

    “”””Insomma, il nemico è una funzione ambigua, e per certi versi sfuggente, come appunto la politica e la guerra; che sembrano intuitivamente facili da definire e da concettualizzare, e che si rivelano in realtà cangianti e elusive, appena le si scruta un po’ da vicino””””””

    carlo galli da un aggio di qualche anno fa

    “”””””””
    L’età globale è quella in cui la mobilitazione globale e la guerra globale fanno scomparire le linee politico-territoriali di esclusione e di inclusione, per dar luogo a un insieme asistematico di inclusione escludente, a un pullulare – in un ambito amorfo coincidente col globo – di focolai mobili di conflitto, che ovunque si manifestano come improvvise eruzioni. Così, in quel buco nero che è lo spazio globale precipitano tutte le forme della guerra e della politica. Guerre per la terra (come quella fra palestinesi e Israele), guerre tribali (come quelle africane), guerre d’indipendenza (come quella fra Cecenia e Russia), vengono tutte sradicate dal loro contesto, e divengono momenti della guerra globale; che si alimenta anche di guerre non militari, come le guerre economiche e finanziarie, le guerre dell’informazione, le guerre doganali, le guerre per il controllo dei flussi di stupefacenti, le guerre per la tratta degli immigrati, le guerre simboliche per l’identità (anzi, la trascrizione ‘religiosa’ dei conflitti, ad opera di opposti fondamentalismi, oggi sembra inarrestabile). La guerra globale non ha quindi un’unica causa: ogni causa di guerra nell’età globale interagisce immediatamente col Tutto; è la globalità l’origine sistemica della guerra globale, che della globalizzazione è quindi una modalità strutturale. La guerra globale è, infatti, il ‘normale’ modo d’essere del conflitto nello spazio globale, che non conosce più limiti e confini, che non è più messo in forma dalla politica moderna. La guerra globale è una guerra totale priva del continuo parossismo, e della centralizzazione di comando, di questa.

    Alla guerra globale, priva di fronti e di eserciti regolari, incapace di distinguere fra nemico e criminale, fra civile e militare, fra pace e guerra, si è cercato e si cerca di rispondere in vari modi, di trasformarla in un diverso tipo di guerra, più comprensibile e più gestibile. In primo luogo, in una guerra al terrorismo, che sia in grado di stabilire una chiara differenza fra “noi” e “loro”: ma l’esaltazione dell’identità nostra e di quella opposta dei nostri nemici è essa stessa un prodotto della guerra globale, uno dei suoi effetti psicologici e politici più evidenti; il conflitto di civiltà fa più parte del problema che della soluzione. Al tempo stesso, il gioco di specchi fra terrorismo e guerra al terrorismo produce sovrapposizioni e indistinzioni. Il terrorista è infatti già di per sé di difficile definizione politica e giuridica, oltre che di difficile individuazione pratica: è il nemico che si mimetizza, che assume le nostre fattezze, e che anche per questo ci terrorizza; è, inoltre, il nemico che ci costringe ad agire come lui. E quindi nella guerra al terrorismo amico e nemico restano tendono a farsi indistinguibili, per quanto nettamente li si voglia distinguere.

    http://www.archiviobolano.it/bol_aut_cit_carlogalli.html

  75. Andrea inglese:

    “Inoltre, riconosco piena legittimità alle posizioni pacifiste radicali, ossia fondate su una coerente presa di posizione non violenta. Tali posizioni, infatti, rifiutano sempre e comunque ogni forma di azione armata e violenta.

    Il mio discorso vuole avere come interlocutori, nella sinistra radicale pacifista di oggi, coloro che non difendono una posizione radicalmente non-violenta, e ad esempio riconoscono il valore di querre di liberazione, di guerre partigiane, ecc., perché di questo tipo di guerra si parla.”

    Mi pare che finora nessuno si sia fatto avanti in questo senso, e io leggendoti ora non posso sottrarmi.

    Prima però devo ricontestualizzare il tuo discorso.
    Io sono contrario a ogni intervento militare, tranne nei casi di interposizione militare approvata dai due soggetti in guerra.
    Questo però non significa che io non riconosca legittimità
    – alle guerre difensive dei confini di uno stato (art. 11 Costituzione)
    – alle guerre di liberazione fatte da partigiani.
    Infatti, un conto è ciò che è legittimo fare, un altro è ciò che è giusto (in senso etico) e utile fare (nel senso di efficace concretamente) per avere una “pace giusta”. Per un nonviolento, per uno cioè che crede in un legame tra mezzi e fini del tipo seme-pianta, per citare Gandhi, ciò che è giusto non può non essere efficace – il punto è come misurare l’efficacia, e in quale scala temporale.
    Veniamo al concreto. Io non condanno chi ha fatto la resistenza partigiana in Italia né chi oggi fa lotte di liberazione. Non nego neanche che da tali lotte si possa ottenere dei risultati concreti positivi, entro certi limiti. Io, per intenderci, non nego neanche il diritto ai partigiani palestinesi di colpire con le armi le forze di occupazione israeliane, e anche i coloni.

    La mia posizione è alquanto diffusa negli ambienti pacifisti. Non troverai facilmente un pacifista che condanna la lotta partigiana e le lotte di liberazione. Troverai pacifisti che diranno che sarebbe meglio (più giusta e più efficace) una resistenza nonviolenta, questo sì. In alcuni casi la validità della posizione pacifista è evidente: parlo dei casi in cui la lotta armata è perdente per il divario delle forze in campo (esempio: ancora la Palestina). In altri casi la validità della proposta pacifista si manifesta solo se inquadrata in un lasso temporale di lungo termine. Pensa alla guerra di liberazione dell’India, iniziata diciamo nel 1919 e conclusasi nel 1947 (con la complicità della seconda guerra mondiale, certo) con la creazione della più popolosa democrazia del mondo grazie anche alla collaborazione attiva dell’ultimo vicerè inglese (ossia dell’imperialista scacciato), a cui i politici indiani hanno chiesto con amicizia (reale) di restare al suo posto per mesi mentre avveniva la transizione amministrativa del potere.

    Ma veniamo alla Libia. Il fronte pacifista non è insensibile alle richieste dei rivoltosi. Molti hanno auspicato una risoluzione ONU in difesa dei civili (Movimento Nonviolento, Beati i costruttori di pace), salvo poi criticare come la si è messa in atto. Altri hanno criticato la risoluzione, che con la clausola di difendere i civili con “ogni misura necessaria” (salvo l’intervento armato da terra), lascia all’arbitrio dei volenterosi decidere quali misure armate adottare. Tra questi ultimi io: mi sembra del tutto impossibile pensare di difendere i civili, che vogliono ribaltare il regime, sparando soltanto missili agli aerei che passano dalla no fly zone. Pensare insomma in termini di operazioni militari chirurgiche o di polizia internazionale è una falsa coscienza: tutti sappiamo, in fondo, che la situazione inevitabilmente degenera nella guerra, in un modo o nell’altro.
    E questo ammesso e non concesso che i volenterosi agiscano per salvare i civili, ossia a sostegno dei presunti partigiani.

    (Per inciso: ma che cosa sappiamo dei rivoltosi libici? Come possiamo chiamarli con tanta superficialità partigiani e paragonarli ai partigiani europei che lottavano per la democrazia?)

    Voglio dire: se anche la coalizione dei volenterosi agisse per motivi umanitari, sarebbe difficile effettuare una ingerenza militare minima, per motivi direi di forza maggiore.
    In ogni caso, i pacifisti, direi quasi tutti, sono pronti a prendere in considerazione, almeno nella teoria, l’intervento di forze militari consentito dall’ONU per colpire aerei che bombardano su civili armati in rivolta. Con questo voglio dire che si pongono il dilemma del “che fare?”

    E se la coalizione agisse spinta da tutt’altra motivazione?
    La domanda è quasi ridicola.
    La coalizione agisce senz’altro per ben altri motivi: quindi, a maggior ragione, è impossibile non sapere che la risoluzione ONU è solo la foglia di fico per coprire le parole guerra, fine del regime di Gheddafi, petrolio.

    Ieri nel suo primo intervento a Ballarò Lucio Caracciolo ha detto: iniziamo col dire che è assurdo pensare che questa guerra venga fatta per motivi umanitari, per difendere vite umane: solo poco tempo fa in Algeria ci sono state migliaia di persone uccise dal regime di quello stato, e nessuno ha detto nulla; quindi non prendiamoci in giro, se dovessimo intervenire sempre, in ogni parte del mondo, per la difesa dei diritti umani di popolazioni oppresse o uccise dai loro regimi, dovremmo fare la guerra ogni giorno.

    Questo discorso, secondo me, taglia la testa al toro, risponde al tuo dilemma etico. Non siamo di fronte a un genocidio, in Libia. Siamo di fronte a un fatto grave di soppressione di civili, ma non di dimensioni insolite (in verità sappiamo poco delle dimensioni) rispetto a molti altri che tolleriamo, e di cui non sentiamo tanto parlare – anzi, meno ne sentiamo parlare e più li tolleriamo.

    Mi fermo qui.
    Manca tutto il discorso (più difficile) su cosa propongono i pacifisti di alternativo.

  76. provo a fare un ragionamento terra terra:

    1) la minaccia e l’uso della forza militare a partire dall’intervento in afganistan (e a prescindere se fosse giusto o ingiusto efficace o inefficace) a seguire si rivelato inefficace, costoso e soprattutto terribile sotto il profilo umanitario: centinaia di miglia di morti ma soprattutto morti non di militari (come avveniva nelle guerre del secolo scorso) ma di civili inermi.

    2) chimare umanitario un intervento militare è un controsenso.

    3) il modo più efficace e conveniente (si proprio così) per le potenze non solo occidentali, di depotenziare l’orrore dei conflitti e delle guerre civili, delle guerre di religione e delle guerre etncihe che si moltiplicano nel globo (si potrebbero fare numerosi esempi) è quello di smettere di esportare armi verso i paesi satelliti.

    4) se le potenze occidentali invece di ricordarsi dei diritti umani una tantum ne facessaro una questione irrinunciabile nelle relazioni politiche ed economiche, sarebbe sufficiente un accordo per isolare economicamente e politicamente le nazioni che violano i diritti civili e le libertà.
    esempio in libia c’è un signore che fa il dittatore e affama il suo popolo ?
    bene tutte le nazioni dicasi tutte stabiliscono di interrompere tutti i rapporti economici, si rifiutano di acquistare il petrolio e di vendere alcunchè alla libia. Dopo sei mesi il signor dittatore di turno verrebbe fatto fuori dalla stessa classe dominante che l osostiene.

    quanto detto per la libia vale anche per l’arabia saudita, per la nigeria, per la birmania il pakistanm la corea del nord, la cecenia e l’elenco sarebbe lungo.

    utopistico? beh non ci sono alternative. Il giochetto in vigore nel ‘900 in cu ile gRANDI POTENZE SI SPARTIVANO IL MONDO a risiko assoggettando le nazioni satelliti mediante lapietrificazione degli stati (riforniti di armi e soldi) in dittature eterne ed immobili (non era forse così in america latina nell’europa dell’est, in asia e in africa? )

    Al temp odella globalizzazione, gl istati sono solo un eufemismo senza contare i giganteschi flussi migratori (siamo al 10% della popolazione mondiale) che di sicuro non verrano fermate dalle stupide cazzate propinate dalle varie leghe.

  77. Grazie Lorenzo,
    pian piano mi sembra si arrivi a realizzare un dibattito, senza passare per una preliminare discredito di una delle posizioni messe in campo.
    (Breve parentesi: il non riconoscere che partendo da valori condivisi – mettiamo la critica all’imperialismo e al colonialismo – si può giungere a posizioni diverse, mi pare disastroso. Il problema non è solo il settarismo dell’estrema sinistra, che è ben noto. Il problema è quanto questo settarismo nuoce all’elaborazione conoscitiva. Se alla prima divergenza, viene delegittimata la tesi eterodossa, è il meccanismo stesso dialogico e polifonico della conoscenza “laica” che viene bloccato.)

    Premetto che pochissimo ho seguito il dibattito italiano sulla questione libica, ma parecchio ho seguito l’informazione francese. Quindi sono scevro dai discorsi propagandistici italiani e dalle reazioni a questi. E voglio restarlo.

    Il mio ragionamento nasce durante le rivoluzioni tunisine ed egiziane. Di fronte a quella egiziana in particolar modo, ho ben colto uno snodo importante: la reazione di Obama, dopo gli iniziali tentennamenti della Clinton di fronte ai primi scontri manifestanti-polizia. Gli USA avevano due opzioni. Appoggiare comunque Mubarak (in coerenza con i loro interessi economici e geostrategici). Scaricare Mubarak (per preservare i loro interessi ecc.). Nessuno poteva prevedere con certezza che l’opzione 2 sarebbe stata assunta abbastanza tempestivamente.
    Che cosa ha comportato l’opzione 2, invece che l’opzione 1? Ha comportatato che Mubarak se n’è andato abbastanza in fretta, e ciò NEI FATTI ha risparmiato la vita a tanti manifestanti, che in un braccio di ferro prolungato sarebbero stati bersagli della polizia.
    Gli USA, pur perseguendo i loro interessi, hanno fatto una scelta più intelligente da molti punti di vista, anche da quello del prestigio internazionale (e lo si deve ovviamente a una presidenza democratica). Bush non solo ha perseguito gli interessi degli USA, ma lo ha fatto in modo disastroso, alimentando come da tempo non accadeva un sentimento di rivolta e di odio nei confronti degli USA nel mondo.

    Lorenzo, certo nessuno crede che l’intervento in Libia sia un intervento umanitario. Ma questo intervento può determinare o meno la sopravvivenza del regime di Gheddafi e la rappresaglia implcabile che l’esercito sta già portando avanti contro gli insorti.
    Cosa hanno chiesto la maggioranza degli insorti? Aiuto militare, per ribilanciare il conflitto, che altrimenti rischiano di perdere in un bagno di sangue. Questa richiesta è un fatto. Non si può negare. E d’altra parte non sorprende. I tunisini chiedevano l’aiuto della comunità internazionale, e così gli egiziani, e così gli iraniani dissidenti, e così i cinesi dissidenti.

    Ricordiamo un fatto banale: la guerra partigiana in Italia ha avuto successo nel norditalia perché nel frattempo c’erano delle truppe straniere che si battevano contro il potere nazifascista. La stessa unificazione italiana si è realizzata anche in virtù di alleanze con potenze straniere, non certo disinteressate.

    Naturalmente noi abbiamo avuto le basi USA, gladio, i servizi deviati, il rilancio di cosa nostra, e tante belle cosine importate dai nostri liberatori stranieri. Ciò detto la vita sotto la DC era meglio che sotto la Repubblica di Salò per i ceti popolari e non solo.

    Ora è ovvio che Francia, USA, Italia, & company intervengono spinti da diversi interessi, il primo dei quali è mantenere il controllo su una regione strategica per le risorse energetiche. I rischi che gli insorti corrono nel dover appellarsi a queste potenze straniere è molto alto. E però è probabilmente un rischio che un gran numero di loro preferisce correre, piuttosto che rimanere inchiodato sotto il regime di Gheddafi.

    Per ora, non ho preso in considerazione la visuale di me cittadino italiano, ma quella degli insorti.

    Chi sono questi insorti?
    Scusate questa domanda mi fa un po’ incazzare. L’hanno tirata fuori in tanti. I primi a tirarla fuori sono stati gli uomini di destra del governo Sarkozy alle prime avvisaglie di casino in Tunisia e in Egitto. Sono forse “i Fratelli Musulmani”?, si chiedevano. Poi la frase è stata ripresa dai leghisti in Italia. Ora è passata nel nostro campo. Alla sinistra radicale.
    Che cosa vuol dire questa frase?
    Vogliamo forse assicurarci che gli insorti abbiano in tasca una tessara del partito marxista?
    Vogliamo assicurarci che non siano dei rivoluzionari, che poi in nome della rivoluzione impongono una nuova dittatura? (Come lo si può decidere preventivamente? Solo la destra reazionaria lo decide preventivamente, screditando ovunque le rivoluzioni.)
    Siamo forse ossessionati dall’idea dell’arabo come burattino? Prima i burattini tunisini, poi quelli egiziani. E l’impero che – da quel disastro che è, incapace dopo anni di controllare l’Afganistan, di realizzare una situazione pacificata in Iraq, ecc. – diventa di colpo efficacissimo, e manipola intere popolazioni: spinge la gente a farsi sparare adosso dagli aerei e dai carri armati.
    Non so, forse in Italia filtrano poche notizie sul mondo, per via della Berlusconologia imperante e dell’esegesi del Bunga Bunga, ma se uno anche guarda la Repubblica di ieri, c’è uno schemino sulla galassia della dissidenza in Libia. Insomma: non ci sarebbero questi gran misteri.

    Caro Lorenzo, concludo. Ho molti dubbi sull’intervento occidentale. Dubbi non sui motivi, che anch’io non credo essere umanitari. Ma dubbi sul fatto che possano essere utili agli insorti e velocizzare la caduta di Gheddafi o limitare le sue rappresaglie. Dubbi sull’ambiguità del mandato e i margini di arbitrio che sta già consentendo. Però, non condivido alcuni argomenti utilizzati da alcuni del fronte pacifista, per condannare in blocco l’opzione no fly zone e risoluzione ONU.
    Sono però sollevato dal comprendere, grazie al tuo commento, che le posizioni sono più composite e che implicano quindi almeno l’esistenza di un dibattito, che include differenti posizioni. E mi leggerò la seconda parte del tuo commento.

  78. La memoria selettiva di Enzo Biagi – Gaspare e Roberto De Caro – 06/09/2007

    Nell’intervista concessa a Luciano Nigro in occasione dei festeggiamenti per il suo ottantasettesimo compleanno nella natia Pianaccio di Lizzano in Belvedere e pubblicata il 9 agosto scorso sull’edizione bolognese di Repubblica, Enzo Biagi racconta che «Giorgio Pini, cognato di un mio zio che si chiamava come me, incontrò Mussolini alla vigilia del gran consiglio che lo destituì», cioè poco prima del 24 luglio 1943. Nigro chiosa: «Lei in quei giorni scelse i partigiani». Biagi non fa una piega: «E mi trovai con gente di ogni classe…». Non è certo la prima volta che l’illustre giornalista glissa sui particolari, e crediamo sia giusto informare i lettori che non fu affatto «in quei giorni» che «scelse i partigiani», poiché qui le date contano e l’omissione non è innocente.
    In virtù della parentela con il cugino Bruno Biagi – potente ras fascista, deputato dal ’34, presidente della Commissione industria della Camera dei fasci e dell’Istituto nazionale fascista della previdenza sociale, poi sottosegretario alle Corporazioni –, Enzo Marco (così firmava all’inizio i suoi articoli) scriveva già diciassettenne sull’Avvenire d’Italia e su L’Assalto, «organo della federazione dei fasci di combattimento di Bologna», e in seguito su Il Resto del Carlino, dove divenne professionista nel giugno del ’42, quotidiano che per razzismo e fanatismo non era da meno e che fu diretto a partire dal 16 settembre del ’43 proprio da Giorgio Pini. Partecipò anche a Primato, la rivista di Giuseppe Bottai, il ministro delle leggi razziali, che «ha sempre stimato» e nei confronti del quale ha pubblicamente confessato il proprio «dovere di gratitudine» (Enzo Biagi, Ma che tempi, Rizzoli, Milano 1998, p. 43), una di quelle «camicie nere ma teste libere» di cui serba affascinato ricordo (Id., Scusate, dimenticavo, BUR, Milano 1997, p. 12). L’Assalto – «giornale della federazione fascista, dove poi ognuno scriveva quello che voleva» (Id., Ero partito da Bologna piangendo, in Bologna incontri, XIII, 5, maggio 1982, p. 6) – si distinse sin dal luglio del ’38 per la violenza della campagna antisemita, condotta settimanalmente sulla pelle degli ebrei bolognesi e non solo – per esempio invocò con urgenza profetica un’«opera di purificazione indispensabile specialmente nelle maggiori città dell’Italia settentrionale e centrale (Roma, dove ci sono ancora troppi ebrei, compresa)» (23 agosto 1941) – e dal giugno del ’40 per il «tono forsennatamente fascista e bellicoso» (Nazario Sauro Onofri, I giornali bolognesi nel ventennio fascista, Moderna, Bologna 1972, p. 159). Sul periodico Biagi si occupava di critica cinematografica e quando venne il suo turno di fornire un diretto contributo al razzismo nazifascista elogiò Süss, l’ebreo, film la cui visione Himmler impose alla Wehrmacht e alle SS in partenza per le campagne di sterminio in Europa Orientale: «un cinema di propaganda. Ma una propaganda che non esclude l’arte – che è posta al servizio dell’idea», scriveva in implicita polemica con il cinema italiano, che non trovava altrettanto valido. E continuava: Süss, l’ebreo «ricorda certe vecchie efficaci e morali produzioni imperniate sul contrasto tra il buono e il cattivo […], trascina il pubblico all’entusiasmo», l’«ebreo Süss è posto a indicare una mentalità, un sistema e una morale: va oltre il limite del particolare, per assumere il valore di simbolo, per esprimere le caratteristiche inconfutabili di una totalità. Poiché l’opera è umana e razionale incontra l’approvazione: e raggiunge lo scopo: molta gente apprende che cosa è l’ebraismo, e ne capisce i moventi della battaglia che lo combatte» (4 ottobre 1941). Dopo l’8 settembre, i giornali bolognesi passarono sotto il controllo nazista e proseguirono la lotta, compresa quella di sterminio contro le «caratteristiche inconfutabili di una totalità». Furono, quelli, giorni e mesi decisivi, come sanno gli storici. Biagi rimase al servizio della causa repubblichina fino alla tarda primavera del ’44, continuando a svolgere compiti redazionali e a compilare le sue scialbe schedine cinematografiche, cellule staminali delle opere a venire. L’ultimo articolo apparve il 17 giugno su Settimana: Illustrato del «Resto del Carlino», insieme all’intervento, assai più autorevole, di un suo giovane collega, Giovanni Spadolini, che sfoderava una devastante critica del liberalismo, prima di inabissarsi nel refettorio di qualche convento in attesa di risorgere après le déluge liberaldemocratico in altra Repubblica. La caduta di Roma e lo sbarco in Normandia avevano illuminato definitivamente il futuro, e quando giunse, non più aggirabile, la chiamata alle armi nell’esercito di Salò Enzo Marco preferì la montagna, come altri giornalisti, «la categoria che, più di ogni altra, era stata curata, selezionata, vezzeggiata dal regime, oltre che strapagata». Tornò a Bologna dieci mesi dopo, con indosso una divisa dell’esercito statunitense: sempre à la page, il Biagi. Se riscattò con la sua tardiva conversione quegli «anni di servilismo e di abiezione professionale e morale» (Onofri, op. cit., p. 264), non è dato sapere con certezza. Forse. Ciò che invece è sicuro è che fu complice attivo e non accidentale delle nefandezze del fascismo: poteva scegliere e lo fece. Non era il solo? non è un alibi, come ammonisce Hannah Arendt. Era giovane? Non abbastanza: aveva l’età di Piero Gobetti quando fu bastonato a morte e delle decine di migliaia di connazionali che il regime mandò a uccidere e morire mentre lui si assicurava i dividendi di spettanza. E se l’Asse avesse vinto la guerra, che gli sarebbe successo? Be’, questo è facile: Auschwitz o no, avrebbe percorso la sua brillante carriera, come poi ha fatto. All’ombra del potere in fiore.

  79. Semore nella logica di “rompere gli steccati” vorrei che nella discusione in corso venisse valutata anche la posizione antimperialistica stringente, che si legge nel « Comunicato del laboratorio politico Comunismo e Comunità» (http://www.comunismoecomunita.org/?p=2274) che, un po’ come ng nei suoi interventi, parla di una «aggressione, di pieno carattere neocoloniale e imperialistico»:
    «Siamo di fronte ad un vasto tentativo di riposizionamento strategico delle grandi potenze, in primis degli Stati Uniti (il cui ruolo è in apparenza mascherato dal protagonismo anglo-francese) che tramite le continue aggressioni belliche, le rivoluzioni colorate e le pesanti ingerenze negli affari delle nazioni sovrane tentano di mantenere la propria egemonia nel mondo arginando la forza e l’influenza delle nuove potenze emerse».
    E quindi denuncia «l’ennesima guerra “umanitaria” devastatrice ribadendo il principio di sovranità degli Stati e dei popoli», giudica opportunistici slogan del tipo “né Gheddafi, né la guerra” e conclude:«I giudizi per certi versi anche negativi sul governo Gheddafi e le dinamiche, senz’altro complesse, interne al paese libico fanno parte di tutt’altro piano del discorso che non può essere confuso con le urgenze attuali. Se lo si fa si cade nella confusione interpretativa finendo per legittimare indirettamente l’ottica suprematista e la protervia interventista dei paesi occidentali».
    Oggi pomeriggio ho lasciato su quel sito il seguente commento:

    Potrei condividere quasi tutta l’analisi. Trovo però due “rospi” che non so ingoiare:
    1) È troppo sbrigativo il giudizio dato sulla «ribellione dei gruppi dissidenti interni alla Libia». Proprio perché si sa poco, e lo dite anche voi («Lo scenario reale interno, va detto, non é di immediata e semplice comprensione e probabilmente sarà conoscibile pienamente quando gli eventi prenderanno una direzione più chiara»), non si capisce perché cediate più facilmente all’interpretazione ostile. Date cioè facilmente credito ad alcuni dati non del tutto certi («Una ribellione almeno in parte foraggiata fin dal principio con armi, denaro e appoggio logistico dagli stessi paesi oggi in prima fila nel lanciare bombe sulla Libia») anche se forse plausibili ( ma in che misura c’è stato questo appoggio? È l’elemento determinante? Come fanno se non nelle mitologie i rivoltosi (di quasiasi epoca o parte del mondo) ad essere belli, duri e puri al 100%? Anche la nostra resistenza al fascismo non fu «almeno in parte foraggiata» dagli alleati?). Oppure agite solo reattivamente alla propaganda ad essi favorevole: siccome questa ribellione armata « è stata tuttavia presentata falsamente come rivolta popolare generalizzata, alla stregua delle rivolte popolari avvenute in Tunisia ed Egitto» ( ma anche in quei casi era/è tutt’oro quello che luccicava?), voi siete spinti a dire il contrario. Direi almeno: calma e gesso;
    2. È pregiudiziale e non argomentato il rifiuto dello slogan (sintetico come tutti gli slogan) “né con Gheddafi, né la guerra”. Perché sarebbe opportunistico e non può (deve) «trovare spazio»? È uno slogan che viene facilmente in mente a chi non digerisce Gheddafi (come minimo quello degli ultimi tempi) né – da pacifista o da antimperialista – la guerra. E non vuole pensare solo in termini puramente geopolitici, cioè regolarsi solo sulle mosse delle grandi e medie potenze, scegliendo tra esse il “male minore”. Non capisco perché una pista d’analisi di questo tipo voi la scartiate a priori, affermando che farebbe parte di «tutt’altro piano del discorso» (quale?) o dovrebbe essere accantonata, date le «urgenze attuali» (quali?) o legittimerebbe «indirettamente l’ottica suprematista e la protervia interventista dei paesi occidentali». A me non pare. Non mi pare che qualsiasi presa di posizione si possa prendere oggi in Italia da parte di minoranze ancora pensanti debba essere presa “urgentemente” come se potesse pesare nei giochi reali delle potenze che si combattono o sul torpore di massa dovuto alla massiccia propaganda al servizio degli “umanitarismi” bombardatori. Né vedo perché lo slogan suddetto «indirettamente» li agevolerebbe. Se siete in grado di spiegarmelo, sono disposto anche a cambiare idea.

    Eppure, malgrado queste mie obiezioni agli antimperialisti più “geopolitici”, temo che essi abbiano più ragione di quanta io stesso sia disposto a riconoscergli.
    Per fare un’analogia storica rischiosa ma non assurda, penso o “sento” (anch’io!) che l’intervento armato in Libia dei “volenterosi” corrisponda alle bombe di Piazza Fontana del 1969 e abbia già fatto perdere l’”innocenza” ai movimenti del Maghreb e in particolare a quello libico.
    Per cui mi pare che la via “utopica” sognata da Andrea, ma nostalgicamente ripresa anche da ng («O forse, a dirla diversamente, l’esito positivo di questa vicenda potrebbe essere quello di prendere atto della necessità di organizzarsi autonomamente, al di là delle grandi potenze “imperiali”»), sia bloccata.
    Se è ormai in primo piano la« guerra generata dallo scontro tra diverse potenze per il controllo dell’area», la posizione più realistica mi pare quella di chi sostiene che la partita si gioca tra l’imperialismo maggiore (gli Usa e gli europei che stanno bombardando Gheddafi) e Gheddafi (o suoi sostenitori più o meno occulti (la Russia di Putin? La Cina?).
    Sarei curioso di sentire le vostre opinioni (scandalizzate, credo, visto gli ultimi interventi).

    @ maria e @ Federico Gnech: indovinato!( il primo è Weltroni, l’altro è Sallusti, entrambi apparsi su IL GIORNALE)

  80. @ Ennio
    Nel mio primo intervento ho scritto che l’intervento militare è (anche) in funzione anti-Russa e anti-cinese. E cioè, per dirla in breve, anch’io credo che si stia giocando una partita per il controllo dell’area tra due porzioni di mondo. Solo che non parteggio per nessuna, anzi: sono avverso a tutte. Nostalgia? No. Realismo di chi crede che nessuna delle parti sia “progressiva”. (E l’unica speranza la ripongo, da sempre, nelle contraddizioni).

    @ Andrea
    Mi dà da pensare l’enfasi positiva che poni su Obama. Prova a guardare cosa fa in Afghanistan (ben peggio del suo predecessore Bush!) e cosa sta combinando in America Latina (non ti dice niente che i movimenti di base brasiliani lo abbiano contestato?). La propaganda buonista ha attecchito così a fondo? In Egitto, la “transizione morbida” era l’unica strada percorribile dagli USA per non perdere il controllo: l’unica. Non ci voleva particolare intelligenza o “spirito democratico” per capirlo.

    ng

  81. a nevio,
    non ho dato un giudizo su Obama in generale, l’ho dato sulla situazione egiziana; in quello scenario, il fatto che decidesse in tempi brevi di scaricare Mubarak non era per nulla una scelta evidente o l’unica percorribile; come al solito lo è après-coup, una volta che la storia ha preso un certo corso, subito sembra che tutto si sia svolto secondo necessità…
    inoltre, io faccio la differenza tra un bush repubblicano e l’obama democratico; non c’entra nulla l’immagine buonista; è importante leggere i fatti e sapere cogliere analogie e differenze;

    come giudizio su Obama in generale, invece, è l’ennesima controprova che non esistono grandi alternative in politica estera tra un presidente repubblicano e uno democratico; qualche differenza invece esiste a livello di politica interna, nonostante tutte le difficoltà che hanno bloccato in passato e ostacolano le riforme relative alla sanità, ecc

  82. Proseguo nel mio mestiere (gratuito) di “contrabbandiere” e, riferito al mio commento 24 marzo ore 01:48, incollo qui la risposta ricevuta da “Comunismo e comunità”:

    # Lorenzo Dorato marzo 24th, 2011 10:51

    Obiezioni interessanti e sensatissime, cui provo a risponderti:

    1- La situazione interna, come è stato specificato, non è di immediata interpretazione. Tuttavia alcuni elementi fanno riflettere e permettono di prendere una (almeno provvisoria e sicuramente prudente) posizione al riguardo. In primis il movimento è geograficamente limitato ad un’area del paese storicamente ostile a Gheddafi, la Cirenaica. Questo di per sé è un fattore che non lascia pensare ad una ribellione a carattere popolare diffusa. Si potrebbe però obiettare che potrebbe trattarsi di una genuina ribellione pur sempre popolare quand’anche localizzata. Ebbene qui emergono altre obiezioni. I ribelli erano armati fin dal principio, anche massicciamente e appare quanto meno strano che una rivolta popolare inizi come rivolta armata senza una fase propedeutica prolungata di manifestazioni di piazza. Viene il forte sospetto che i rivoltosi siano stati organizzati dall’esterno (ciò non toglie che abbiano “le loro ragioni”, ma deve fra riflettere sul loro ruolo puramente strumentale e il loro totale asservimento, se così fosse, agli interessi stranieri).
    Inoltre vi è un ultimo elemento importantissimo. I rivoltosi non hanno al momento mai espresso un “programma” benché minimo di carattere politico e dei riferimenti. Non si capisce assolutamente che posizioni abbiano e le ragioni della loro ribellione armata, poiché tali ragioni non sono state espresse mai (e si sono limitate al generico abbattimento del dittatore). Questo vuoto simbolico e politico (colmato solo dall’inquietante presenza costante della bandiera della Libia monarchico filo-britannica) non lascia ben pensare circa il carattare genuino e popolare che la ribellione potrebbe avere in linea teorica.
    Infine l’ultimo elemento è lo scorrere degli eventi ex-post che rende la lettura meno difficile di quanto potesse esserlo prima dell’attacco. Il fatto che, almeno ufficialmente, parte dei ribelli stiano accettando senza colpo ferire l’intervento straniero dimostrerebbe la totale subalternità degli stessi alla volontà di potenza neo-coloniale. Questo è un punto decisivo che non ha nulla a che vedere con la complessità e la non purezza di una rivolta. E’ chiaro che le rivolte e le rivoluzioni non sono mai state e mai saranno pure. Lenin prese i soldi dai prussiani; la resistenza antifascista e, soprattutto, antitedesca in quel frangente scese a patti (non tutta per la verità) con gli invasori angloamericani; e di esempi se ne possono fare a decine. Tuttavia accettare un intervento armato straniero da parte di potenze coloniali per liberarsi di un proprio governo (che comunque sia resta legittimo, per quanto possa non piacere e gode di un favore relativamente ampio del popolo libico) è un’aberrazione concettuale che può avere due cause: o una totale subalternità politica “ingenua” e suicida a forze esterne; oppure una reale compromissione d’interessi con queste ultime. In entrambi i casi qualcosa di non difendibile.
    Naturalmente la natura esatta della ribellione sarà molto più chiara con il trascorrere dei giorni e soprattutto con il trascorrere dell’aggressione neo-coloniale. Sarà più chiaro soprattutto se è vero che i ribelli stanno accettando felicemente l’intervento imperialista oppure se parte di essi (come tra l’altro sembrava alla vigilia) sono ostili a tale intervento e rifiutano le ingerenze (e magari sono solo oscurati dalle televisioni e dalle notizie).

    2- Per quanto riguarda il secondo punto la risposta è più immediata. Gli slogan “né….né” sono una costante che si ripete dall’aggressione alla Serbia nell’ormai lontano 1999. 12 anni di “né …né” da parte di una sinistra più concentrata sul problema dei cosiddetti “dittatori” genericamente intesi che sulla violenza, arroganza e criminalità dell’imperialismo.
    I piani del discorso qui sono, molto sinteticamente due:
    Nel momento in cui un paese sovrano in tempo di pace (quindi non in caso di guerre mondiali o guerre giò in atto avviate) viene aggredito a suon di bombe non ci può essere ambiguità nello schierarsi. Nel 99,9% dei casi ci si deve schierare con il paese aggredito e bombardato anche se il suo governo ci fa ribrezzo. Ho lasciato uno 0,01 % aperto perché le cose cambiano quando la sovranità di un paese è lesa non da parte di interessi imperialistici, ma (e i casi sono rarissimi) nell’ambito di operazioni di solidarietà internazionale (che tra l’altro seguono, e questo è un punto importante, ad altre invasioni). Il caso emblematico è l’intervento cubano in Angola a seguito dell’invasione dello Stato criminale sudafricano in appoggio all’UNITA. Ma si tratta di intervento non imperialistico e soprattutto avvenuto a seguito di una violazione della sovranità già avvenuta da parte di altri. Casi più complessi possono essere quelli dell’invasione dell’Unione Sovietica in Ungheria (a mio avviso quest’ultimo in buona parte esecrabile), in Afghanistan e dell’intervento sempre dell’URSS in Spagna durante la guerra civile. Complessi perché si è di fronte ad interessi in certa misura di carattere parzialmente imperiale, ma completamente diversi da quelli dell’imperialismo capitalistico. Inoltre, nel caso dell’Afghanistan, si trattò di intervento a seguito di altra chiara ingerenza esterna da parte dei guerriglieri sostenuti dalla CIA (interventi 6 mesi prima dell’ingresso delle truppe sovietiche) e sulla base di un trattato di reciproco soccorso tra governo legittimo dell’Afghanistan socialista e URSS. SItuazione dunque molto molto difficile da giudicare e dirimere.
    Ma tolte queste eccezioni (che appartengono tra l’altro ad un altro mondo che oggi non c’è più, quella della guerra fredda e dell’equilibrio di potere tra due blocchi eterogenei), in linea generale non può esservi ambiguità in caso di attacco imperialistico contro qualsiasi paese. Va difeso senza se e senza ma il paese attaccato e, indirettamente, il suo legittimo governo (che piaccia o meno). Difeso non nel senso di appoggiato moralmente e politicamente tout court, ma sul piano tattico della contingenza.
    Se invece si comincia a tentennare lanciano slogan né..né si sta in una certa misura relativizzando il torto degli aggressori sminuendolo con una presunta immoralità dell’aggredito. Il torto degli aggressori, in caso di aggressione in tempo di pace, è invece totalmente indipendente dal giudizio politico e morale dell’aggredito. Per questa semplice ragione lo slogan né..né è uno slogan opportunistico che ha la funzione di tenere pulita l’anima di chi lo usa. Ma è una pulizia pericolosa che si infanga subito nel momento in cui assume le sembianze apparenti (magari anche oltre le intenzioni) di un’equidistanza tra le parti non tollerabile.

  83. per avere informazioni sul carattere della rivolta libica, consiglio un semplice, ma certo impegnativo lavoro di ricerca su fonti che possono essere reperibili: 1) prospettiva storica: fonti sull’opposizione libica degli anni passati; (vedi link più sopra di Human Right Watch, ad esempio), ma anche gli studi in proposito, di storici dell’area; 2) così pure raccolta fonti sulla galassia dell’opposizione; io ho messo qualcosa recuperato al volo; ma questo sarebbe un lavoro molto utile da fare;

    finché non si parla a partire dalle fonti, siamo tutti costretti a rimanere vaghi e nel registro dell’illazione; io qualche piccola fonte l’ho recuperata; mi piacerebbe che altri lo facessero, e dopo aver visionato un certo numero di fonti, si può iniziare a ragionare con più fondatezza;

  84. Ancora il “contrabbandiere”: Mia risposta a Lorenzo Dorato di “comunismo e comunità”:

    Gentile Lorenzo Dorazio,
    grazie della risposta. Dico però:
    1. non si vede perché lo slogan “né…né” sia opportunistico o tentennante o magari equidistante. Dice un doppio NO, non un mezzo no o un mezzo sì. Dice: No alla guerra; e quindi no all’aggressione di un paese sovrano a suon di bombe. E dice: No a Gheddafi. Non perché in questo momento reprime gli insorti, che facendosi aiutare da Usa e Europei mirano al suo abbattimento e sui quali sospendo il giudizio per mancanza di dati sicuri. (Ma se risultassero meno “asserviti allo straniero” di quello che ci appaiono e producessero un programma antimperialista, dovremmo sostenerli, no?). Dice No a Gheddafi, perché, anche prima di questa crisi (guerra civile manovrata del tutto o solo in parte dagli “interventisti”) la sua politica interna ed estera (lasciando dunque fuori ogni discorso morale) era inaccettabile per una parte almeno del popolo libico e per i migranti di passaggio per la Libia e priettati verso il “sogno europeo”. E quindi perché, come ha scritto Sandro Mezzadra, egli « ha imprigionato migliaia di oppositori, ne ha fatto strage, ha aperto – su mandato e con finanziamenti italiani – i campi di concentramento dove uomini e donne provenienti dall’Africa subahriana sono stati percossi e uccisi, stuprati e umiliati». Non si capisce perché la difesa «sul piano tattico della contingenza» di un paese attaccato e anche del suo legittimo governo (e, dunque, nel caso della Libia, di Gheddafi) debba comportare il silenzio sulla politica repressiva che egli ha fatto fino al momento in cui è stato aggredito. In teoria posso difendere un prepotente dall’aggressione di uno più prepotente di lui. Ma perché devo dimenticare o sorvolare sul fatto che sto difendendo un prepotente e non un giusto? Mi si potrà rispondere: «perché di giusti non ce ne sono e non ce ne saranno mai; e tu dovrai scegliere sempre fra appoggiare un prepotente piccolo (Gheddafi) contro un prepotente grande ( Obama, Sarkozy, ecc.) o viceversa. Non puoi prendere due piccioni con un NO. Questo significa rinunciare per sempre a quello che B. Brecht chiamava la “tentazione del bene” e io, per quel che conto, ancora non ce la faccio.
    2. Posso invece concordare con te sul fatto che molti guardano solo ai “dittatori” e non ai “dittatori plus”, cioè agli imperialisti veri e propri. Ma costoro non usano lo slogan “né…né”. Sono per la guerra mascherata da intervento “umanitario”. Posso dubitare piuttosto (e sono il primo a farlo) sull’efficacia dello slogan “né..né”. Ma questo, mi concederai, vale anche per lo slogan da voi adottato « Contro l’interventismo “umanitario” bombardatore. Fuori l’Italia dalla guerra, no alle ingerenze imperialiste. Solidarietà alla Libia». Entrambi purtroppo sono slogan di minoranze. Mica da buttar via, eh! Entrambi si sottraggono alla presa dello slogan dominante dei “volenterosi” o dei “liberatori” (««Far finire una guerra che già c’è»). Non vedo, dunque, la superiorità teorica o la maggiore efficacia propagandistica del vostro slogan rispetto a quello di chi dice “né..né”. E aspetto ancora di essere convinto.

  85. stacchetto musicale

    E adesso che farò, non so che dire
    e ho freddo come quando stavo solo
    ho sempre scritto i versi con la penna
    non ordini precisi di lavoro

    Ho sempre odiato i porci ed i ruffiani
    e quelli che rubavano un salario
    i falsi che si fanno una carriera
    con certe prestazioni fuori orario

    Canterò le mie canzoni per la strada
    ed affronterò la vita a muso duro
    un guerriero senza patria e senza spada
    con un piede nel passato
    e lo sguardo dritto e aperto nel futuro

    Ho speso quattro secoli di vita
    e ho fatto mille viaggi nei deserti
    perchè volevo dire ciò che penso
    volevo andare avanti ad occhi aperti
    adesso dovrei fare le canzoni
    con i dosaggi esatti degli esperti
    magari poi vestirmi come un fesso
    per fare il deficiente nei concerti

    Canterò le mie canzoni per la strada
    ed affronterò la vita a muso duro
    un guerriero senza patria e senza spada
    con un piede nel passato
    e lo sguardo dritto e aperto nel futuro

    Non so se sono stato mai poeta
    e non mi importa niente di saperlo
    riempirò i bicchieri del mio vino
    non so com’è però vi invito a berlo
    e le masturbazioni celebrali
    le lascio a chi è maturo al punto giusto
    le mie canzoni voglio raccontarle
    a chi sa masturbarsi per il gusto.

    Canteròòòòòòòòòò le mieeeeeeeeee canzoniiiiiiii per la strada
    ed affronterò la vita a muso duro
    un guerriero senza patria e senza spada
    con un piede nel passato
    e lo sguardo dritto e aperto nel futuro.
    E non so se avrò gli amici a farmi il coro
    o se avrò soltanto volti sconosciuti
    canterò le mie canzoni a tutti loro
    e alla fine della strada
    potròoooooooo direeeeeeee che i miei giorniiiiiii li ho vissutiiiiiiiiiii

    baci baci baci

    la fu

  86. Ecco, Abate e il suo interlocutore ci danno finalmente un bell’esempio di Nuova Scolastica Antimperialista. Li ringraziamo entrambi. Ricorderemo di Abate la tesi illustre della doppia negazione che è preferibile alla negazione assoluta e monovalente. In effetti, una certa disposizione dei “Nec” agisce in profondità sugli equilibri geopolitici euro-americani, come non farebbe la semplice negazione. D’altra parte Dorazio ricorda che il nec nec è autoinfangante, e ricade sull’enunciatore una volta enunciato. I libici intanto mandino al più presto attestati di genuina revoluzionarità proletaria ai Commessari suddettio, in modo che il bollino Rivoluzione DOC sia approntato.

  87. No Funambola, scriviamo poesie. Che non fa male a nessuno. E poi un po’ di scolastica antimperialistica, per rimettere il mondo a posto.

  88. Andrea,
    provo a inoltrarmi nel modo più semplificato possibile (e me ne scuso in anticipo, ma la carne al fuoco è davvero tanta) nella spiegazione delle molteplici posizioni pacifiste.

    Prima preciso però due cose:
    – riguardo al settarismo della sinistra radicale, allo squalificare in partenza le posizioni eterodosse, io vedo come principale settarismo “squalificante” quello della sinistra “moderata”, quello del: o per la guerra o con Gheddafi. Cohn Bendit mi pare sostenga questa posizione, di fatto, e non è bello sentirsi dare degli “stalinisti” (questo il termine che ha usato, a sentire Radio popolare) perché ci si rifiuta di inneggiare alla guerra.
    Chi sostiene che non si ha il diritto a fare la guerra, o che la guerra è sempre sbagliata senza se e ma esprime una legittima opinione o è automaticamente un settario? A me pare che sia più settario chi di fatto vorrebbe escludere questa posizione dal dibattito: ma l’essere intransigenti su queste idee non vieta a nessuno di esprimersi né impedisce il confronto.

    -gli insorti chi sono? questa domanda è legittima se si vuole aiutarli. Occorre infatti distinguere i civili inermi che, se aiutati, vanno aiutati a prescindere dalle loro idee politiche, da rivoltosi armati e politicizzati.
    In Libia inoltre non abbiamo insorti in lotta per liberare la loro terra da un invasore (questi sì vanno aiutati, se si decide di farlo, senza valutare che idee politiche hanno), come potevano essere i partigiani italiani, ma insorti libici contro un regime libico (a meno che si voglia considerare la Cirenaica in mano a un invasore), quindi in questo caso aiutare gli insorti militarmente significa anche dar loro un appoggio politico e ciò non può prescindere da chi sono e cosa vogliono.

    Veniamo al punto.

    1. Non intervenire in modo militare non significa per forza restare al di fuori del conflitto, essere indifferenti. Non intervenire può essere una scelta consapevole. Consapevole che
    – non si ha diritto all’intervento armato
    – l’intervento armato peggiora la situazione.
    Prima questione. L’ONU ha il diritto di intervenire per problemi interni a uno stato sovrano? Danilo Zolo dice di no (grazie del link). Peraltro, credo che questo sia il primo caso in cui l’ONU abbia dato il via libera a un simile intervento, dato che in Serbia, in Afghanistan e in Iraq l’ONU non aveva deliberato a favore.
    Questa guerra non è troppo diversa da quella all’Iraq di Bush. Lì si colpiva uno stato sovrano che non minacciava nessuno, come ora la Libia. Con la differenza che gli oppositori del regime di Saddam non si erano rivoltati, certo. Ma per il diritto questo c’entra poco. Io credo anzi che la guerra all’Iraq e la collaborazione ONU all’occupazione americana abbia creato il precedente per favorire questa guerra. E mi chiedo come si sarebbero comportati i molti, a sinistra, sostenitori di questa guerra, se a patrocinarla fosse stato Bush e non Obama.
    Se si sancisce il diritto di interferire nei problemi interni di un paese, dove si va a finire? Tutto diventa arbitrario. Quando intervenire, e quando no?
    Perché non intervenire in Cina, di fronte alla repressione dei tibetani? L’ONU è quell’organizzazione imparziale e obiettiva in grado di agire in modo equo in ogni caso? Sappiamo la risposta, visti i poteri in mano agli stati del Consiglio di sicurezza.
    Curiosamente, gli ambienti pacifisti che si sono occupati della questione del diritto dell’ONU di approvare una missione di guerra sono pochi, per es. solo Zanotelli ha firmato l’appello di Fini e Chiesa che giudica contrario al diritto approvare un intervento militare contro la Libia.

    Seconda questione. La guerra, migliora la situazione? Può impedire massacri, nell’immediato, certo. Ed è appunto questo il nocciolo della questione: il tempo. Noi occidentali ragioniamo a partire dal qui e ora. C’è una crisi? Dobbiamo fare qualcosa. Certo, ma se c’è una crisi e fai qualcosa di sbagliato, non è detto che si esca dalla crisi, puoi anche peggiorarla. Ma supponiamo che la migliori. Come valuti il miglioramento in termini temporali? La guerra dà subito dei risultati se sei il più forte, nessuno lo nega. E quindi la guerra è il mezzo elettivo di chi ragiona all’insegna del qui e ora e valuta i risultati sempre nel presente. Più si vuole fare in fretta, più si vogliono risultati tangibili e immediati, e più si farà la guerra. Occorre uscire da questa logica di pensiero. I mezzi della pace richiedono più tempo. Ti faccio un esempio arrischiato di fantastoria, ma tant’è.
    Hai citato l’esempio degli alleati che ci hanno liberato nel ’43-45. Non erano disinteressati, ci hanno lasciato Gladio ecc. ma meglio loro della Repubblica di Salò. Tutto vero. Ora, a parte il fatto che gli alleati erano entrati in guerra perché attaccati da Germania o Giappone, la domanda è: ma senza di loro, la Repubblica di Salò non sarebbe crollata, o implosa ugualmente una volta sconfitti i nazisti? Non sarebbe stata meglio una lotta interna, magari più lunga, che ci avrebbe garantito, forse, un’Italia meno portaerei americana, per avere una reale liberazione e indipendenza politica? Certo, non si fa la storia con i se, ma finché non ci sono termini di paragone… Tutto questo solo per dire che noi ragioniamo sempre in termini di risultati immediati, a breve termine. E così che diamo per inevitabili le guerre. Però se analizziamo quel che lasciano le guerre, sempre per prendere quelle considerate inevitabili, non è forse vero che la guerra fredda (a partire dalle evitabilissime bombe atomiche americane) e la pulizia etnica della Palestina (con creazione dello stato di Israele) sono l’eredità della vittoria sul nazifascismo? E le operazioni e le guerre post 1989, a partire da quella all’Iraq del 1991 non sono il risultato dell’abuso di potere garantito ai 5 membri del Consiglio di sicurezza ONU ossia ai vincitori sempre della guerra al nazifascismo? Insomma, una lettura pacifista della storia, secondo me, impone diversi criteri di giudizio rispetto a quelli che utilizziamo normalmente.

    2. Il secondo punto, riguarda l’intervento immediato auspicato dai pacifisti in caso di paesi invasori – e per alcuni pacifisti in caso anche di guerre civili interne con grandi stragi, come quelle avvenuto in Kossovo, o come questa della LIBIA.
    Questo si ricollega sostanzialmente alle richieste che fece Alex Langer, ossia
    -creazione di una forza militare di polizia gestita dall’ONU
    -creazione di corpi di pace ossia disarmati gestiti dall’ONU.
    Entrambi i corpi dovrebbero operare per lo più con una missione di interposizione.
    Per esempio, perché non si presa in considerazione l’idea dell’interposizione militare?
    E perché non si sono mandati ispettori ONU in Libia per cercare una soluzione diplomatica, come chiesto da Emergency?
    La verità è che la guerra non è più l’extrema ratio, è la prima, e Gino Strada lo denuncia da 15 anni.
    Si dirà: ma non c’era tempo di farlo ora, vista l’urgenza della situazione in Libia. Ma è proprio il continuo fare guerre da parte di paesi del Consiglio di sicurezza ONU, e il rinnovare i loro finanziamenti che impedisce di parlare di queste proposte! Dal che viene il dubbio sul come considerare il Consiglio di sicurezza dell’ONU: è un interlocutore? o un nemico della pace.
    Anche con una ONU riformata, comunque, resterebbe sempre il problema dell’arbitrarietà dell’intervento. Perché oggi noi sentiamo come urgente discutere sul se e come intervenire in Libia, e non per esempio a Gaza o in Costa d’Avorio?

    Qui un bell’articolo su Libia e Costa d’avorio.
    http://it.peacereporter.net/articolo/27572/Libia-Costa+d%27Avorio.+Il+walzer+dell%27ipocrisia

    3. Poi, i pacifisti, sostengono da sempre il disarmo (in Libia combattono anche con carri armati italiani), e la non collaborazione con i regimi dispotici. Non è che non si faccia niente, quando non si è in guerra: si decide sempre di prepararla, la guerra, in America e in Europa, e poi si chiede ai pacifisti, che denunciano continuamente la vendita di armi e la collaborazione economica con i regimi dittatoriali da parte dell’Occidente, che soluzione propongono qui e ora di fronte a una possibile guerra, e perché si ostinano a difendere delle dittature…

  89. caro il mio politologo :)
    raccolgo il tuo invito e ti dedico queste perle

    “tutte le vie, tutti i metodi della conoscenza sono validi: ragionamento, intuizione, disgusto, entusiasmo, gemito
    una visione del mondo sorretta da concetti non è più legittima di un’altra scaturita dalle lacrime: argomenti e sospiri
    forme egualmente probanti ed egualmente nulle
    io costruisco una forma di universo: ci credo, e quello è il mio universo
    eppure esso si sgretola sotto l’assalto di un’altra certezza o di un altro dubbio
    l’ultimo degli illetterati e aristotele sono parimenti inconfutabili
    e fragili
    l’assoluto e la caducità caratterizzano l’opera maturata per anni
    come la poesia sbocciata in un istante
    c’è forse più verità nella “fenomenologia dello spirito” che “nell’epipsychidion”?
    l’ispirazione folgorante non meno dell’approfondimento laborioso
    presenta risultati definitivi
    e irrisori…
    le nostre verità non valgono più di quelle dei nostri antenati
    avendo sostituito ai loro miti e ai loro simboli dei concetti
    ci riteniamo “progrediti”
    ma quei miti e quei simboli non esprimono meno dei nostri concetti
    l’Albero della Vita, il Serpente, Eva e il Paradiso non significano meno di Vita, Conoscenza, Tentazione, Incoscienza
    le raffigurazioni concrete del male e il bene nella mitologia
    non sono meno eloquenti di quanto lo siano il Male e il Bene nell’etica
    il Sapere
    in ciò che ha di profondo
    non cambia mai: varia soltanto lo scenario
    l’amore continua senza Venere
    la guerra senza Marte
    e se gli dei non intervengono più negli avvenimenti
    non per questo gli avvenimenti sono più comprensibili
    o meno sconcertanti
    un apparato di formule sostituisce soltanto la pompa delle antiche leggende
    senza che le costanti della vita umana ne siano modificate
    dato che la scienza non le coglie più intimamente
    di quanto non facciano i racconti poetici…
    per quello che concerne i grandi problemi
    noi non abbiamo alcun vantaggio rispetto ai nostri antenati
    o ai nostri predecessori più recenti
    si è sempre saputo “tutto”
    almeno per ciò che riguarda l’essenziale…
    sedotti dal demone dell’Inedito
    dimentichiamo troppo spesso
    che siamo gli epigoni
    del primo pitecantropo
    che ebbe la pretesa
    di riflettere”

    ma

    “il paradiso dipende da noi
    chiunque voglia
    vive nell’Eden, nonostante Adamo
    e la cacciata”

    baci e pissssenlove :)
    la fu

  90. caro lorenzo,

    sul settarismo: d’accordo; diciamo, in generale, che dovrebbe essere rigettata l’attitudine che discredita e denigra l’interlocutore al posto di argomentare contro la sua posizione.

    Mattere a fuoco le ragioni nel campo pacifista io credo sia importante, perché ci sono degli argomenti non convincenti nel caso libico. Ed è importante evitare automatismi.

    Il punto della legittimità dell’intervento è un punto chiave. L’ho appreso da Zolo e dalla guerra in Kosovo. E’ una faccenda insidiosissima, perché si usa qualcosa che dovrebbe regolare i conflitti nel mondo – il diritto internazionale – per avvantaggiare una parte in causa (generalmente gli USA). D’altra parte, anche se in forma di organismi inefficenti o fantasma, delle istituzioni come l’ONU mostrano la necessità che un tale diritto esista, anche se ad oggi non vi sono i mezzi per farlo rispettare.

    Ora, non esiste ad oggi, come ricorda Zolo, un articolo della carta dell’ONU che legittimi l’intervento in un paese sovrano, anche se in esso è in corso una guerra civile. Ciò detto lo stesso Zolo mi sembra considerare che su questo punto varrebbe la pena riformare la carta dell’ONU, in un’ottica più favorevole alla democrazia. Il tema è già stato sollevato tra gli altri, come ricordavo nel link a un mio vecchio pezzo sul Ruanda, da Todorov, che si chiedeva come circoscrivere il “diritto d’ingerenza”.

    Come tu stesso dici, nel caso di un genocidio in corso, il diritto d’ingerenza sarebbe per ragioni etiche legittimato. Naturalmente nei fatti, il genocidio ruandese – l’ultimo del XX secolo – si è compiuto sotto gli occhi dell’ONU e delle grandi potenze militari. La Francia inviò tardi delle truppe, che ebbero una condotta ambigua.

    Il dilemma però sollevato dalla guerra civile libica non può essere semplicemente liquidato ricordando che si tratta di massacri che avvengono all’interno di uno stato sovrano. Non ci troviamo di fronte a una guerra civile scatenata da clan rivali per la presa del potere. Quella di Gheddafi è una dittatura, come altre che prosperano in Medio Oriente e in tutta l’Africa. La guerra civile è nata in seguito a un tentativo rivoluzionario, che è stato bloccato e combattuto. Il tutto all’interno di un contesto politico chiaro: l’effetto domino prodotto inaspettatamente dalla rivoluzione tunisina. Ripeto, che siamo di fronte a degli avvenimenti epocali per molte ragioni, la principale – per quello che ci riguarda in quanto occidentali – è che la tanto diffusa, anche a sinistra, islamofobia tocca qui un suo limite evidente.

    Ma deve cambiare anche l’attitudine paternalistica di tanta sinistra, anche radicale, che vede le popolazioni arabe come eterne vittime dell’Occidente e dei suoi dittator fantoccio. Innazitutto, quei dittatori il mondo arabo gli ha prodotti in proprio. E successivamente hanno trovato accardi convenienti con il mondo occidentale: corrotti e corruttori hanno fatto ognuno la sua parte. Ora il popolo decide, senza che nessuna intelligence lo avesse previsto e senza che neppure gli antimperialisti europei se lo aspettassero, di chiedere “democrazia”, “libertà”, “uguaglianza”.

    Il nostro sostegno deve andare a questi popoli. Mi sono convinto anch’io che lasciando mano libera agli USA e ai francesi, oltre al rischio di stragi di civili, la possibilità di pervertire per la Libia, e anche per possibili altre situazioni, il processo rivoluzionaria sia troppo alto.

    Il problema numero uno del campo antimperialista e democratico dovrebbe essere allora quello di trovare dei mezzi autonomi per sostenere l’opposizione libica contro Gheddafi. Fabio Teti parlava di brigate internazionali. Non era una battuta. In che modo allora si pensa di aiutare i libici, che Gheddafi minaccia? E questa è una domanda che ti faccio. Sono state organizzate manifestazioni per protestare contro l’intervento militare occidentale… bene… ma sono state organizzate carovane di aiuti ai libici? C’è qualcuno che ha preso contatto con gli insorti? Almeno quelli di area più esplicitamente democratica? Esiste un progetto del genere?

    Io ribadisco la mia critica hai fantasmi del controllo imperiale assoluto, che vede ovunque false rivolte in atto, popoli pilotati, ecc. ecc.

    (continua)

  91. @Lorenzo Galbiati

    “Ora, a parte il fatto che gli alleati erano entrati in guerra perché attaccati da Germania o Giappone, la domanda è: ma senza di loro, la Repubblica di Salò non sarebbe crollata, o implosa ugualmente una volta sconfitti i nazisti? Non sarebbe stata meglio una lotta interna, magari più lunga, che ci avrebbe garantito, forse, un’Italia meno portaerei americana, per avere una reale liberazione e indipendenza politica?”

    “non è forse vero che la guerra fredda (a partire dalle evitabilissime bombe atomiche americane) e la pulizia etnica della Palestina (con creazione dello stato di Israele) sono l’eredità della vittoria sul nazifascismo?”

    Che cosa sarebbe, il nuovo romanzo di Wu Ming?
    E’ veramente bizzarra e contraddittoria la visione del mondo di certa gente piazzatasi forse per caso a sinistra. Da una parte l’ossessione del ‘controllo imperiale assoluto’ cui faceva riferimento Inglese, dall’altra le grandi fantasticherie (da non confondere con le utopie!) nelle quali non si sa bene di che soggetti sociali o politici si parli. Di politica ne vedo proprio pochina e forse, prima di “saldare le lotte” delle due sponde del mediterraneo potremmo tentare, più realisticamente, di saldare qualche sinapsi un po’ andata, dalle nostre parti.
    Buonanotte.

  92. @Gnech,
    non capisco di cosa tu stia parlando, stai dicendo che hai bisogno di un elettroshock per saldare le tue sinapsi? Credo che sia vietato, come strumento terapeutico, e quindi non so come aiutarti, intanto potrei proporti di associare le parole che usi tipo “controllo imperiale assoluto” “soggetti sociali” “saldare le lotte” ai commentatori che ne hanno parlato.

    @Andrea
    alcune aggiunte:
    – nel caso dell’Italia, c’è anche l’articolo 11 a proibire la partecipazione a una guerra, consentita o no dall’ONU – certo, c’è il secondo comma: ma è proprio quello che viene più frainteso, secondo le posizioni dei pacifisti, e di molti politici e giuristi. E non mi sembra cosa da poco: non si può continuamente parlare di difesa della Costituzione e poi violare bellamente uno dei suoi articoli più importanti (e più progressisti).
    – per quanto riguarda l’islamofobia e il come porsi verso gli insorti.
    Proprio oggi è circolato un sondaggio secondo cui a sinistra si è divisi al 50% tra il voler sostenere questa operazione di guerra o no, mentre a destra più del 50% della gente è contraria. Una vera novità. Come mai?
    Ipotesi: Perché a sinistra si è solidali con gli insorti ma comunque si è sensibili alla questione del se esiste o no il diritto di ingerenza. A destra invece non ci si vuol sporcare le mani con gli islamici. L’unica preoccupazione è che non arrivino troppi profughi.
    Non a caso il tg1 ieri ha avanzato la sua ipotesi. Gli insorti hanno come capo un ex amico e collaboratore di Gheddafi che vive in Francia. Arrestato su richiesta di Gheddafi, doveva esser rimandato in Libia, ma i francesi al contrario l’hanno liberato, e ora lui sarebbe la mente della rivolta. Non ricordo il nome, tu lo saprai, visto che vivi a Parigi (scusa ma non ho ancora letto i tuoi link). Parola cmq del tg1 di Minzolini…
    La mia domanda sul chi sono gli insorti, è una semplice domanda scaturita dal fatto che prima di ieri non avevo mai sentito un’ipotesi su di loro in tv, mai nessuno spiegava chi fossero: sembrava che per il solo fatto che si oppongono a Gheddafi siano per la democrazia. Quindi, la mia è una semplice richiesta di conoscenza. Io non penso siano eterodiretti, così come non lo pensavo per gli egiziani – peraltro, quando si è parlato in Italia dei Fratelli musulmani a comandare gli insorti egiziani? Quando si è data notizia che Israele metteva in guardia su questo. Israele che era ben contenta di avere un partner come Mubarak, complice dell’assedio di Gaza.

  93. l’assurdità reale è costituita dal fatto che la comunità internazionale lasci alla Francia, per motivi elettoralistici e di rinnovata grandeur, la possibilità di portare a termine il lavoro iniziato trent’anni fa, con l’abbattimento del jet civile dell’Itavia nel tentativo di far fuori Gheddafi
    (fonti, le ricerche del giudice Priore e la testimonianza dell’ex presidente Cossiga). L’Italia, che ha tutto da perdere in questo colpo di testa neocolonialista, ha mostrato di nuovo il suo doppiogiochismo per non scontentare l’onnipotente alleato americano ; se Gheddafi resisterà al potere, saremo poi di nuovo pronti a nuovi baciamano.
    Il quadro è perfetto : l’importante è leccare i piedi a qualcuno ; anzi, volta per volta, a tutti.

  94. All’etichettatore (filoLOGO o filoUSA?)
    [Pubblicato 24 marzo 2011 alle 15:12]

    Ed io ringrazio te, caro filologo
    inviandoti in anticipo un bollino:
    «scodinzolante USA-barboncino».

    *
    Credo d’aver individuato anche la tua razza e perciò ti consiglio: d’Holbach, «Saggio sull’arte di strisciare ad uso dei Cortigiani»

  95. Non a caso il tg1 ieri ha avanzato la sua ipotesi. Gli insorti hanno come capo un ex amico e collaboratore di Gheddafi che vive in Francia. Arrestato su richiesta di Gheddafi, doveva esser rimandato in Libia, ma i francesi al contrario l’hanno liberato, e ora lui sarebbe la mente della rivolta

    lorenzo se ti interessa è Nouri Mesmari, uno degli uomini più fidati di gheddafi. Ne parla franco bechis in un articolo su Libero.L’articolo fa parte di una campagna contro la francia messa in atto dai berlusconiani, questo non toglie però che la notizia sia vera e pure interessante. Dire che Mesmari sia la mente di tutto è troppo ma sicuramente è un personaggio importante visto che conosceva tutti i segreti di gheddafi.
    Chi siano gli insorti è complicato diciamo che una manifestazione organizzata via rete dagli esuli (di ogni tipo) si è saldata con una la protesta locale, protesta che dopo i bombardamenti di gheddafi (e l’uso di mercenari) ha portato il 20 febbraio molti rappresentanti delle due delle tribù più importanti (warfalla in tripolitania, ‘ubaydad in Cirenica), anche sull’onda di un’informazione un po’ enfatizzata, a dichiarare di non riconoscere più l’autorità del governo di Tripoli e di appoggiare la protesta. Da lì la defezione di molti diplomatici, militari ecc. che sono passati dalla parte della protesta. Poi è nato il Consiglio di transizione nazionale libico che ha fatto anche un sito in rete (forse è la prima repubblica che nasce in rete ;-) i maligni dicono che il sito sia nato in inghilterra, ma a me sembra sia stato fatto prima in lingua araba e pure con una vasta discussione, fra vari siti, di ordine giuridico. Il consiglio è composto di circa 30 persone (rappresentative di tutte le tribù più importanti uno è anche della tribùdi gheddafi) è stato reso pubblico solo il nome di 9 o 10 di loro perchè gli altri vivono ancora in territori controllati da gheddafi. Questo consiglio è stato riconosciuto da sarkozy e poi dall’inghilterra e dagli usa, l’italia non so cosa abbia fatto, ma penso di no visto che li chiama ancora “ribelli”. Questo naturalmente non risolve i tuoi dubbi perchè si tratta di un consiglio nazionale e non politico (in libia non esistono partiti).
    I due portavoce/emissari in europa sono Ali Zeidan e Mansour Saif el Nasser.
    Su l’unità una intervista a ali zeidan
    Se appoggiarli o meno? lo ignoro, detesto i cacciabombardieri e i missili più o meno intelligenti, detesto anche gheddafi che se fosse arrivato a bengasi avrebbe fatto un vero macello (e non sarebbe la prima volta che lo fa) … non so, però la guerra (e un no fly zone è una guerra, obama non lo voleva e Gates aveva spiegato per filo e per segno in cosa consisteva un No fly zone) non la vorrei mai.

  96. Questo testo riporta alcuni indicatori sociali ed economici che possono interessare
    maria

    CHE COSA SUCCEDE IN LIBIA
    I RIBELLI LIBICI E I PONZATORI ITALICI,
    CHE GUARDANO L’ALBERO, E NON VEDONO LA FORESTA
    DINO ERBA

    Nel 1917, il governo tedesco fornì a Lenin e ai
    bolscevichi un treno per recarsi in Russia. Gli
    imperialisti tedeschi pensavano che i bolscevichi
    avrebbero fomentato rivolte, facendo così uscire
    l’impero zarista dalla guerra. La Russia, dalla
    guerra uscì, ma prima, i bolscevichi fecero la rivoluzione.
    Via via che il vento delle rivolte del Nordafrica si è spostato in Libia, gli iniziali entusiasmi di
    molti «sinistri» italiani si sono smorzati. E sono prevalse le capziose analisi sui contrasti e sulle manovre
    degli immancabili imperialisti. Ci sono spunti e osservazioni apprezzabili, che tuttavia finiscono
    per oscurare il movimento d’insieme delle masse popolari libiche, che qualcuno considera
    addirittura del tutto strumentale e funzionale a circoli affaristici locali, legati alle «multinazionali
    europee e statunitensi» (emblematico, tra i tanti: SERGIO CARARO, Libia. Dalla guerra civile alla
    guerra del petrolio, «Contropiano»).
    La Libia sta sollevando scottanti questioni, e non solo politiche, ma soprattutto di metodo e di
    analisi. Mettiamo allora i puntini sulle i e, per prima cosa, cerchiamo di capire che cos’è la Libia.
    Ma prima ribadiamo che l’aspetto principale di questa vicenda è l’insorgenza delle masse popolari
    del Nordafrica, che si inscrive nella crisi sistemica del modo di produzione capitalistico. Il cui esito,
    ci auguriamo, sarà la rivoluzione proletaria (altrimenti ci aspetta un orrore senza fine). E questo è
    un motivo più che sufficiente, per stare dalla parte dei ribelli della Libia, senza se e senza ma.

    COS’È LA LIBIA
    A differenza dei Paesi vicini (Algeria, Tunisia ed Egitto) la formazione nazional-statale libica è
    molto più recente, risale agli ultimi quarant’anni, che coincidono con il governo di Muammar
    Gheddafi. In precedenza, sotto il regime coloniale italiano (1912-1943), la Libia era stata sconvolta
    prima dalla sanguinaria guerra di occupazione (1930-31), che causò più di centomila morti, e poi
    (1936-1940) dall’arrivo di 120mila coloni italiani (il 13% della popolazione totale), che dissestò la
    precedente vita economica.
    La formazione nazional-statale gheddafiana è avvenuta grazie allo sfruttamento delle immense
    risorse petrolifere, iniziato all’inizio degli anni Sessanta, che sconvolse, nuovamente, la preesistente
    compagine economica, caratterizzata da una modesta agricoltura e da piccole attività commerciali e
    industriali, esercitate in buona parte dalla comunità italiana che, alla fine degli anni Sessanta, ammontava
    a circa 35.000 persone, il 2% della popolazione libica (allora di 1.700.000).
    Grazie al petrolio, dagli anni Settanta, il Prodotto lordo pro capite della Libia passò dalla soglia
    di povertà, agli attuali 14mila$, che collocano il Paese a un livello medio alto. Inoltre, il welfare libico
    assicura assistenza sanitaria e istruzione, a livelli molto più alti rispetto ai Paesi vicini. Ma,
    come poi vedremo, non è tutto oro quello che luccica.
    Grazie al forte sviluppo economico, nel quarantennio gheddafiano la popolazione libica è cresciuta
    notevolmente, è più che triplicata. Oggi conta circa sei milioni e mezzo di abitanti, cui si aggiungono
    un milione/due milioni di emigrati, provenienti da Egitto, Medio Oriente e dall’Africa
    subsahariana. Questi immigrati, che costituiscono circa la metà della forza lavoro della Libia, sono
    impiegati nei grandi complessi petrolchimici, nell’edilizia e in parte anche nei servizi (ospedali,
    scuole, alberghi).
    L’86% della popolazione abita nelle grandi città della costa, tra cui: Tripoli (oltre un milione),
    Bengasi e Misurata.

    2
    PRINCIPALI INDICATORI SOCIALI ED ECONOMICI (2010)
    – Il 32% della popolazione ha meno di 14 anni (Italia 13,8%)
    – Aspettativa di vita: 77,6 anni (Egitto 72,6; Italia 81,77)
    Attività:
    – Agricoltura: 2,6% del PIL e occupa il 17% della popolazione
    – Industria: 63,8% del PIL e occupa il 23% della popolazione
    – Servizi: 33,6% del PIL e occupa il 60% della popolazione
    Commercio estero:
    – Export: 44,89 M$
    – Import: 24,47 M$
    Istruzione (anni 2000):
    – Investimenti: circa il 3% del PIL
    – Analfabeti: 17% (Tunisia 25%; Egitto 28%)
    – Scuole primarie: circa 800mila
    – Scuole secondarie (tecniche e professionali): circa 750mila
    – Università: 300mila
    – Insegnanti: 100mila

    Nel commercio estero libico, l’Italia fa la parte del leone, con il 40% dell’export petrolifero e
    con circa il 30% dell’import; di gran lunga davanti a Germania, Spagna, Francia e a tutti i Paesi arabi.
    Per le sue caratteristiche economiche, legate alla rendita petrolifera, la Libia è stata definita uno
    Stato rentier, la cui particolarità è l’assenza o la marginalità di entrate generate dall’imposizione fiscale
    interna (in realtà, in Libia, è tra il 5% e il 10%, comunque molto bassa), poiché la ricchezza,
    di origine «naturale», riduce la necessità di prelevare reddito dalla propria popolazione.
    Tutti questi fattori, hanno fatto sì che, in Libia, i movimenti politici e sindacali abbiano una debole
    tradizione (sempre in rapporto ai suoi vicini); gli organismi sindacali e i partiti di sinistra, sorti
    dopo la guerra, furono stroncati prima dall’Inghilterra, che dal 1943 al 1951 amministrò il Paese,
    furono poi perseguitati dalla monarchia e quindi dal regime di Gheddafi.

    IL GRANDE BALZO IN AVANTI DEGLI ANNI 2000
    Dall’abolizione (1999) delle sanzioni ONU contro lo Stato canaglia (così gli USA definivano la
    Libia), il settore petrolifero ha conosciuto un fortissimo balzo in avanti. Secondo i dati disponibili,
    nel 2007 il settore energetico ha rappresentato il 98% dei redditi delle esportazioni e il 90% delle
    entrate governative e ha contribuito per il 69% alla formazione del PIL nominale (nel 2000 il suo
    contributo alla formazione del PIL rappresentava appena il 39%). Di conseguenza, i contributi
    dell’industria manifatturiera non petrolifera e del settore agricolo nello stesso periodo sono scesi rispettivamente
    dal 5% e dall’8,1% del PIL del 2000, all’1,1% e al 2,6% (2010). La crescita del settore
    petrolifero ha eroso il contributo alla formazione del PIL degli altri settori (edilizia, trasporti e
    servizi), sebbene anch’essi siano in crescita. E così, si sono accentuate le stimmate dello Stato rentier,
    alle quali, con l’accordo italo-libico sui flussi migratori dell’agosto 2004 (ampliato nel novembre
    2006 e perfezionato nel settembre 2010), si è aggiunto il marchio infame di Stato poliziotto
    (per non essere più Stato canaglia).
    Il PIL, che per tutti gli anni Novanta era attorno ai 30M$, dal 2000 ha registrato un’impennata,
    toccando nel 2008 i 93,168M$; quindi, è triplicato (nel 2009, in
    seguito al crash, è sceso a 63,26M$, per poi risalire, nel 2010, a
    79,283M$).
    Il rapido boom di inizio millennio ha accresciuto la già forte
    polarizzazione della ricchezza nelle mani di un ceto governativo
    (burocratico e militare), che, per trent’anni, ha controllato in toto
    3
    la vita economica libica: monopolio del commercio interno ed estero, dell’industria e dei servizi,
    con il quale garantiva: l’ap-provvigionamento della popolazione urbana, in vertiginosa crescita; la
    creazione di una rete di strade, scuole, università, ospedali e altre strutture pubbliche; lo sviluppo di
    costosissimi progetti di trasformazione agraria e l’impianto di alcune grandi industrie di base; la nascita
    del Grande Fiume Sotterraneo, colossale sistema di acquedotti ed invasi che alimenta con
    l’acqua tratta dalle profondità del deserto del Fezzan le assetate città della costa; infine, il mantenimento
    dell’esercito, della guardia presidenziale nonché della miriade di burocrati riuniti nei Comitati
    Popolari, istanze locali del potere statale.
    Dal 2001, questa posizione di monopolio è stata in parte ridimensionata dalle privatizzazioni,
    che, nella vita economica libica, vedono l’ingresso massiccio di gruppi esteri (le multinazionali del
    petrolio in primis), soprattutto inglesi, francesi e spagnoli, che tentano di scalzare il predominio italiano.
    Ma sono entrati in lizza anche gruppi affaristici locali, fino a ora emarginati, in cerca di un
    posto al sole, con tutta la manna che cade dal cielo. Ma, ovviamente, i vecchi gruppi dominanti non
    sono disposti a cedere le loro posizioni.
    A tutto ciò, si aggiungono le ricadute locali delle speculazioni finanziarie, che connotano la scena
    economica internazionale, di cui, la Libia, è stata, forse, all’avanguardia e oggi può contare su
    107,3 M$ di riserve valutarie, che attendono impieghi.

    SQUILIBRI ECONOMICI E TENSIONI SOCIALI
    Nel nuovo clima economico, tra balzi in avanti e brusche frenate, sono aumentati squilibri e tensioni
    sociali, che hanno acceso contrasti di tipo «localistico», da cui la ribellione del 2006 a Bengasi
    [Cfr. La rivolta anti-italiana di Bengasi, «La Rivoluzione Comunista», gennaio-marzo 2006].
    Malgrado gli indicatori economici siano considerati «buoni», in Libia la disoccupazione tocca il
    30%. Come abbiamo visto, quasi metà dei lavoratori sono immigrati, costretti a lavorare con salari
    molto bassi, a tutto vantaggio del profitto e della rendita. Questo significa anche che una consistente
    parte della popolazione libica non accetta o meglio non può vivere con salari, che sono sotto lo
    standard locale, e quindi, finché possibile, si barcamena con attività marginali e precarie. Per inciso,
    il 59% degli occupati è impiegato nel settore pubblico e sociale, connesso al welfare.
    Alla forte sperequazione sociale (il 7,4% della popolazione è sotto la soglia di povertà), si aggiunge
    l’inflazione: attorno al 10,5%, superiore quindi alla crescita del PIL, circa 6,3% (dati del
    2008). Il salario medio mensile è di circa 270 dinari (al tasso ufficiale di cambio pari a 750$, a quello
    non ufficiale, ma più realistico, pari a 100$). Un’altra fonte ci dice che il salario medio annuale è
    di circa 1.785$, quindi molto al disotto del PIL pro capite, che è di 14mila$; il monte salari corrisponde
    al 13% del PIL, in Francia al 53% (i dati sui salari sono puramente indicativi, poiché le fonti
    presentano variazioni; la notevole sperequazione è comunque univoca). Per avere un’idea del potere
    d’acquisto dei salari, facciamo qualche esempio: un kilo di zucchero costa 1 dinaro, un kilo di riso
    (o di couscous, di pasta, di patate) 1,5; un kilo di arance 2; un litro di latte 1,5; un litro di olio di oliva
    6; un kilo di agnello 14; un kilo di pollo 3; biglietto del bus a Tripoli 0,50 (fonte Tehmeu
    /http://www.temehu.com/Prices.htm/, 30 agosto 2010).
    Le privatizzazioni, varate in questi anni, hanno abolito i prezzi politici di acqua, gas, elettricità,
    favorendo l’aumento dei prezzi dei beni di consumo. La debole agricoltura non è in grado di assicurare
    il fabbisogno nazionale, gran parte (circa il 75%) dei prodotti alimentari proviene dall’estero,
    ed è quindi soggetta ad aumenti di prezzo che, ultimamente, sono stati estremamente elevati, da cui
    le rivolte in Algeria, Tunisia ed Egitto.
    Il 25 febbraio scorso, dopo aver usato il bastone contro le manifestazioni di protesta, Gheddafi
    ha cercato di placare l’ira delle piazze con la carota. Il Governo libico ha annunciato un aumento
    dei salari dei funzionari e dei contributi alle famiglie, per coprire l’aumento dei prezzi dei generi alimentari:
    ogni famiglia avrebbe dovuto ricevere 500 dinari (pari a 290 euro) e la paga per determinate
    categorie sarebbe dovuta crescere del 150%. Il 9 gennaio 2011, il governo aveva già abolito le
    tasse sui generi alimentari di base, compreso il latte per bambini; nel 2010, aveva speso 6 miliardi
    di dollari, sotto forma di sovvenzioni per i prodotti di prima necessità, per il carburante e i farmaci.
    4
    Queste misure hanno ottenuto solo in parte il risultato sperato, nonostante che il welfare libico
    sia un forte ammortizzatore sociale, che spiega, inoltre, come sia stato possibile sostenere, fino a
    oggi, l’altissima disoccupazione.

    MOLTI ANTAGONISTI, SOTTO IL CIELO DI LIBIA …
    Volendo tirar le somme di quanto avviene in Libia, ci troviamo di fronte a una situazione assai
    intricata, e dinamica. Come abbiamo visto, la Libia presenta una struttura socio-economica diversa
    da quella degli altri Paesi del Nordafrica, e altrettanto diversa è la situazione politica, ma questa non
    è una buona ragione per dire castronerie.
    Il profilo politico delle forze ribelli è molto variegato (e non potrebbe essere diversamente), ci
    sono i monarchici senussiti, gli islamici di diversa osservanza e i notabili gheddafiani dissidenti,
    spalleggiati dai servizi segreti «imperialisti». Ma fermarsi a questa visione (come per es. il solito
    Cararo) sarebbe molto miope (per non dir reazionario), sarebbe come dire che la Resistenza partigiana
    in Italia era fatta dai badogliani e dagli agenti segreti Alleati; certamente, c’erano i partigiani
    badogliani, c’erano gli agenti segreti Alleati, ma c’erano anche i partigiani comunisti, e c’erano anche
    i proletari, e se poi le cose sono andate male, non fu certo per merito dei primi …
    Cerchiamo allora di districarci in questo ginepraio, e vediamo quali sono i principali fattori
    all’origine dei contrasti, delle tensioni e dell’insorgenza popolare.
    – La frazione borghese gheddafiana, che fin’ora ha tenuto il potere e le leve dell’economia, rappresentata
    dai ceti burocratici, militari e affaristici di Tripoli, invischiati nelle intermediazioni (tangenti)
    con i gruppi economici esteri, vuole mantenere i propri privilegi.
    – La frazione borghese legata agli ambienti imprenditoriali emergenti, soprattutto di Bengasi, aspira
    a una diversa ripartizione di rendita e profitti, visto che la torta è cresciuta. E, a livello internazionale,
    intravede la possibilità di nuove alleanze.
    A questo riguardo, qualcuno (per es. il solito Cararo) riesuma i contrasti tribali, un po’ come se,
    a proposito del Roma Ladrona della Lega Lombarda, si parlasse di tribù celtiche … Dovrebbe esser
    chiaro anche ai ciechi che, in seguito ai profondi sconvolgimenti economici e sociali avvenuti in
    Libia, e tutt’ora in corso, i contrasti tribali sono una reminescenza del passato che, nella più cauta
    delle ipotesi, può agire solo ai margini.
    – I lavoratori e i disoccupati libici, stretti tra sperequazione e caro-vita, che erodono salari e stipendi,
    chiedono una ripartizione del reddito a loro più favorevole.
    – I lavoratori immigrati, condannati a salari e a condizioni di vita e di lavoro schiavistiche, sicuramente
    vorrebbero vedere la loro situazione migliorata.
    – Gli immigrati e i rifugiati, ora rinchiusi nei lager, e destinati a crescere sull’onda della miseria
    dilagante nell’Africa subsahariana (e prima o poi approderanno sulle coste italiane). Anch’essi, sicuramente,
    vorrebbero vedere la loro situazione migliorata.
    – Infine, abbiamo i Paesi imperialisti che cercano di portare acqua (o meglio petrolio) al proprio
    mulino e lo fanno a suon di bombe. Il loro intervento avviene però in ordine sparso: prima si è mossa
    la Francia, seguita dall’Inghilterra, poi sono arrivati gli USA, che non potevano stare a guardare,
    tirando per le orecchie l’Italia (che avrebbe preferito stare a guardare, con la Germania). Così come
    si sta configurando, l’intervento potrebbe essere fonte di nuovi sconquassi, per il fronte imperialista,
    che è alle prese con la crisi sistemica del modo di produzione capitalista. E nuovi crash sono in agguato,
    con conseguenza devastanti.
    Come si vede, gli interessi in campo sono difficilmente conciliabili, secondo la logica del profitto,
    che domina i rapporti tra le classi nella società del capitale. E che, attualmente, rendono i margini
    di compromesso quasi inesistenti. Non per nulla, la parola è stata data alle bombe.
    Nell’immediato, è ipotizzabile una sorta di «somalizzazione», ma la Libia non è la Somalia (è
    evidente), e sarebbe una soluzione dagli esiti imprevedibili. Resta poi l’incognita di un’insorgenza
    che, per quanto potrà essere smorzata, coverà comunque sotto la cenere, così come già ora cova, si
    accende e si diffonde dal Marocco allo Yemen, passando per la Siria …
    Milano, 25 marzo 2011
    5
    Fonti:

    CIA: https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/index.html/
    Banca Mondiale: http://data.worldbank.org/italian?cid=GPDit_29/
    ISPI: http://www.ispionline.it/it/index.php/
    Mondoimprese: http://www.mondimpresa.it/infoflash/scheda.ASP?st=216/
    Enit: http://www.enit.it/it/studi-ricerche/focus-paese/category/9-pp.html?download...

  97. Mi pare molto ipocrita affermare che la situazione attuale in Somalia o le divisione della Bosnia sia causati dagli interventi militari esterni, tra l’altro tutti eseguiti sotto l’egida ONU. In Somali ci fu un primo intervento nel 1992 da parte di osservatori ONU per monitorare un accordo di cessate il fuoco raggiunto tra le parti, seguito da un secondo intervento più ampio finalizzato al disarmo delle fazioni e allo ristabilire di un stato e di un governo in Somalia. Senonché le fazioni rifiutarono di farsi disarmare, massacrando in una circostanza caschi una ventina di caschi blu pakistani, e preferirono una guerriglia contro la missione ONU, con perdite da entrambe le parti e tra i civili. A fine 1993 fu chiaro che la missione era fallita e iniziò il ritiro. Il caos e l’anarchia in Somalia da allora non sono finiti, ma affermare che sono causati da Restore Hope, missione tra l’altro eseguita dall’inizio alla fine in base a risoluzioni ONU, è profondamente sbagliato.

    Nella ex-Jugoslavia la missione ONU, anch’ essa guidata e vincolata da risoluzioni ONU, ha visto i caschi blu operare come forza di interposizione operante sul terreno, dispersa in molti reparti e non in grado di fronteggiare e di imporre alcuna regola alle parti combattenti. Ne sono prova le stragi di Srebrenica, i caschi blu presi in ostaggio e incatenati alle infrastrutture militari serbe, l’assedio e il bombardamento di Sarajevo, le 320 vittime uccise sul campo tra le forze ONU. La missione ONU non è stata in grado di imporre la fine delle ostilità, nonostante i continui negoziati di facciata di fatto finalizzati a far guadagnare tempo alle operazioni militari. Di fatto il conflitto è terminato solo quando:
    1) i caschi blu furono ritirati dal terreno, raggruppati e messi in condizioni di sicurezza
    2) iniziarono i bombardamenti aerei NATO sulle forze serbe in Bosnia
    3) la forza di intervento rapida FrancoInglese raggiunse Sarajevo e impose la fine dell’assedio.
    Il cambiamento di strategia fu imposto dalla consapevolezza che la semplice interposizione non avrebbe portato alla fine del conflitto e che avrebbe solo esposto le forze ONU alle rappresaglie. E la divisione della Bosnia non è figlia dell’intervento per porre fine alla guerra, ma della guerra stessa e delle ragioni storiche che hanno portato alla guerra.

  98. Esercitandomi anch’io sulla fantastoria, direi che una sconfitta dei partigiani e degli alleati avrebbe portato a 40 anni almeno di dominio nazista dall’Atlantico agli Urali e dal Mar Mediterraneo al Circolo Polare, a una colonizzazione giapponese della Cina, dell’India e dell’Estremo Oriente Australia inclusa, al passaggio dei domini coloniali inglesi e francesi in Africa al controllo nazista. Forse gli USA avrebbero retto arrocandosi. Le contraddizioni all’interno della RSI sarebbero sfociate senz’altro in lotte di corridoio tra i gerarchi per sposare in seconde nozze Edda Mussolini vedova Ciano.

  99. Non sono un esperto internazionale, ma la lettura di Danilo Zolo della Carta delle Nazioni Unite mi pare molto parziale. Zolo cita l’articolo 2 comma 7, che afferma che “Nessuna disposizione del presente Statuto autorizza le Nazioni Unite a intervenire in questioni che appartengano alla competenza interna di uno Stato”

    La citazione è pero parziale, visto che il teso completo (http://www.un.org/en/documents/charter/chapter1.shtml) recita:

    Nothing contained in the present Charter shall authorize the United Nations to intervene in matters which are essentially within the domestic jurisdiction of any state or shall require the Members to submit such matters to settlement under the present Charter; but this principle shall not prejudice the application of enforcement measures under Chapter Vll.

    In altre parole quando scritto nel Capitolo VII prevale su quanto scritto nell’articolo 2 comma 7.

    Il Capitolo VII dal titolo “CHAPTER VII: ACTION WITH RESPECT TO THREATS TO THE PEACE, BREACHES OF THE PEACE, AND ACTS OF AGGRESSION” (http://www.un.org/en/documents/charter/chapter7.shtml), comprende anche l’articolo 38 così citato da Zolo:
    “l’articolo 39 della Carta delle Nazioni Unite prevede che il Consiglio di Sicurezza può autorizzare l’uso della forza militare soltanto dopo avere accertato l’esistenza di una minaccia internazionale alla pace, di una violazione della pace o di un atto di aggressione (da parte di uno Stato contro un altro Stato). Questa è dunque una seconda ragione che rende illegale la risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza, visto che nessuno può pensare che la guerra civile in atto in Libia possa essere una minaccia internazionale contro la pace.”

    Il testo dell’articolo 39 è più stringato, non fa riferimento a guerre internazionali o civili e recita:

    The Security Council shall determine the existence of any threat to the peace, breach of the peace, or act of aggression and shall make recommendations, or decide what measures shall be taken in accordance with Articles 41 and 42, to maintain or restore international peace and security.

    Peraltro se l’interpretazione di Zolo fosse autentica, allora sarebbero contro la carta ONU le risoluzioni ONU riguardo i conflitti interni a una nazione, come quelle relative all’intervento in Somalia, Jugoslavia, Congo, Sierra Leone, Angola, Est Timor, Ruanda, Sudan e così via.

    Ciò detto, si può essere più o meno d’accordo con Zolo sull’indipendenza dell’ONU e sull’efficacia del suo operato, sapendo che questo comporta l’accettazione del fatto che non esiste un Tertium sopranazionale neanche sotto la forma dei caschi blu e che le contese internazionali non sono regolate o regolabilit in nessun modo, perlomeno allo stato attuale delle cose.

  100. Arduino,
    non so se riferisce a me, ma nel caso:
    1. io non ho parlato di Somalia, ma è chiaro che ho semplificato nell’attribuire le colpe di ogni guerra agli stati membri del Consiglio di sicurezza
    2. Riguardo alla fantastoria mi sono limitato a osservare che la Repubblica fantoccio di Salò era in mano ai nazisti, che spesso rastrellavano e deportavano giovani in Germania a lavorare (o nei lager), nazisti che avrebbero perso in due anni la guerra su tutti i fronti, fino a perdere Berlino; e tale Repubblica aveva al suo interno una rivolta partigiana. Poteva durare molto, anche senza l’invasione alleata?
    3. Sulla guerra nella ex Jugoslavia ha le idee un po’ confuse: l’intervento Nato del 1999 non ha avuto il via libera dell’ONU.
    4. Ciò che ha riportato dell’ONU dà ragione a Zolo.

  101. Geo
    grazie, con il quadro che hai tracciato mi hai semplificato molto il lavoro di ricerca sugli insorti, finora mi sono concentrato sull’uso delle armi e sulle posizioni dei pacifisti.

  102. intanto ringrazio georgia e maria, e tutti quelli che stanno contribuendo a questa dicussione, che è diventata una ricerca di dati e di riflessione comune su di essi… accade raramente, ma se accadesse più spesso, soffriremmo meno del degrado dei grandi media generalisti…

    non ho ancora letto i materiali di maria; su quanto dice Georgia, io innanzitutto non darei alcun credito al duo Mindzolini-Libero, con i soliti loro scoop costruiti in sgabuzzino…. ed inoltre è contrario al buon senso, che se anche la Francia mandasse un suo uomo dagli insorti, questi lo metterebbero a capo della loro insurrezione, sapendo bene i trascorsi tra Gheddafi e Sarkozy; non saranno dei professionisti della rivoluzione gli insorti, ma non saranno neanche imbecilli;

    tutte le altre informazioni fornite da Georgia, le confermo al dettaglio, perché sono quelle disponibili in Francia ormai da parecchio tempo sui vari media, che a differenza che in Italia sono “naturalmente” critiche dell’operato di un presidente repubblicano, quale sia il suo colore…

    Aggiungo a ciò che dice Georgia, che in termini di posizioni politiche, nel Consiglio di Transizione, si va dai monarchici ai democratici, passando per i liberali e gli islamisti. Non è infatti una rivoluzione marxista-leninista per la liberazione dalle potenze coloniali o per la socializzazione dei mezzi di produzione, è una rivolta popolare che chiede la fine della dittatura, e un sistema democratico, fatto di partiti, elezioni, dibattiti, libero giornalismo, ecc. Insomma, quello che abbiamo noi.
    Inoltre, sia gli insorti, sia la lega raba che ha appoggiato la risoluzione ONU, non vogliono sentire parlare di truppe di terra occidentali in Libia. Non vogliono insomma eserciti stranieri a casa loro.

    Aggiungo: durante gli anni Novanta, i professionisti della rivoluzione nei paesi arabi c’erano eccome. Si chiamavano jihadisti. Ora, non solo diplomazione occidentali e polizia politica dei dittatori arabi sono stati presi di sorpresa dalle rivolte arabe, ma anche loro.
    Mi rendo conto che per i marxisti di casa nostra, sopratutto di una certa generazione, quelli che sono over 50, una rivoluzione così poco ideologica non è tanto attraente.
    Ma è proprio questo il carattere innovativo e rivoluzionerio di questo soggetto: che è innanzitutto giovane e scolarizzato. E’ chiaro che le ideologie non le vuole: ha subito una triplice inculata dalla storia:
    Inculata 1: il colonialismo occidentale
    Inculata 2: il finto socialismo dei leader anti-colonialisti, che hanno poi instaurato dittature, però compiacenti con i neo-colonialisti occidentali
    Inculata 3: i jihadisti, che promettendo un riscatto dalle miserie del presente, e contrapponendo solidarietà di base a neoliberismo di stato (o mafia di stato), hanno imposto un controllo insopportabile sulla vita dei singoli individui.

    Le generazione rivoluzionaria è sì islamica praticante, ma vuole la democrazia non la teocrazia; e ha una visione laica e plurale della pratica islamica (su questo un bell’articolo su Le monde 14 febbraio 2011, di un politilogo francese esperto di Islam, Olivier Roy).

  103. @andrea inglese
    1) le mie osservazioni su Somalia e Bosnia non erano indirizzate a lei, ma a tutti coloro che in numerosi interventi, anche fuori di questo forum, derivano il caos somalo e la divisione della Bosnia dagli interventi esterni
    2) circa la fantastoria ho frainteso il senso della sua osservazione, me ne scuso, anche se il suo punto di vista mi pare piuttosto debole, visto che gli alleati che da ovest e est attaccavano la Germania nazista erano gli stessi alleati che muovevano verso nord in Italia
    3) i bombardamenti NATO di cui parlo sono quelli dell’agosto/settembre 1995 che misero termine alla guerra di Bosnia e all’assedio di Sarajevo, dopo che per quattro anni tutte le iniziative diplomatiche e le operazioni dei caschi blu sul terreno non avevano ottenuto rilevanti risultati. Questi interventi non furono preceduti da una formale approvazione dell’ONU, ma furono coordinati con i contingenti ONU in Bosnia, garantendone infine la sicurezza.
    4) a me pare che Zolo ometta nel suo intervento le parti delle Nazioni Unite che consentono l’intervento ONU anche in conflitti interni a una nazione e dimentica tutte le missioni ONU che nel passato sono intervenute in questo tipo di conflitti

  104. Arduino,
    credo occorra distinguere
    -gli interventi in cui l’ONU ha mandato i caschi blu, che non possono partecipare a una guerra, dagli
    -interventi in cui l’ONU, che chiariamolo, NON ha il potere di approvare alcuna guerra, ha in qualche modo dato il via libera a una guerra dicendo, con il formalismo giuridico, che si sarebbero adottati i mezzi necessari per… (mezzi che NON sono mai solo o necessariamente quelli militari), lasciando poi l’onere della guerra agli eserciti degli stati nazionali.

    Quindi, cominciamo col dire che quest’ultimo caso NON è avvenuto per la ex Jugoslavia, né prima né dopo il 1999.
    Quando, secondo lei, sarebbe avvenuto per conflitti interni a uno stato?
    Quale è il pezzo che lei ha riportato che contraddirebbe Zolo? Io non lo vedo.

  105. @Andrea Galbiati
    La invito a leggere per esteso il Capitolo VII della Carta ONU

    http://www.un.org/en/documents/charter/chapter7.shtml

    e soprattutto gli articoli 42, che parla di operazioni a guida ONU per cielo, terra e mare (lo so, suona male …) e l’articolo 44, che cita gli obblighi degli stati membri quando l’ONU richiede l’uso della forza. l’ONU può fare e decidere la guerra e l’esempio più clamoroso è la guerra di Corea, combattuta su mandato ONU in seguito all’invasione dell Corea del Sud da parte di quella del Nord. Anche durante la guerra di Bosnia, l’ONU legittimò a più riprese l’uso della forza da parte dei caschi blu, come nel caso delle risoluzioni sulla no fly zone sulla Bosnia e quelle per definire le aree di sicurezza di Sarajevo, Žepa, Srebrenica, Goražde, Tuzla and Bihać, per la cui difesa le truppe ONU erano autorizzate a ricorrere all’uso delle armi. E poi noto che l’equilibrio delle forze sul campo e la debolezza intrinseca delle forze ONU per la loro distribuzione sul terreno, svuotarono di ogni efficacia le risoluzioni.

    Chiarito quindi che in base alla Carta delle Nazioni Unite l’ONU può decidere per l’uso della forza, l’ONU può anche intervenire, con opzioni che vanno dalla diplomazia, all’interposizione al peace enforcing, anche in conflitti interni a una nazione, come ad esempio accadde in Jugoslavia, in Somalia e negli altri casi che ho citato, possibilità questa che Zolo sembra escludere.

  106. Arduino,
    prima si è rivolto ad Andrea Inglese ma stava rispondendo a me, ora si rivolge ad “Andrea Galbiati”: le comunico che io e Inglese siamo due entità distinte.

    Non sono per niente convinto di quel che dice: al di là di Zolo, conosco persone esperte di ONU che dicono esattamente il contrario di lei, e la stessa letteratura di cui ho fatto conoscenza dice il contrario.
    Vedrò di interessarmi e di fornirle risposte puntuali, speriamo non sia un’impresa da giuristi, ammesso e non concesso che i giuristi siano tutti d’accordo su cosa possa o non possa fare l’ONU.

  107. Mi scuso con tutti quanti per la mia dislessia in fatto di nomi, cognomi e altre questioni anagrafiche

  108. ma lei, signor arduino, personalmente, cosa ne pensa?
    grata per la risposta
    bacio
    la fu

    lo posto per dare una mano a georgia :)

    SARKOZY MANOVRA LA RIVOLTA LIBICA

    DI FRANCO BECHIS
    libero-news.it

    Prima tappa del viaggio. Venti ottobre 2010, Tunisi. Qui è sceso con tutta la sua famiglia da un aereo della Lybian Airlines Nouri Mesmari (nella foto sopra), capo del protocollo della corte del colonnello Muammar El Gheddafi. È uno dei più alti papaveri del regime libico, da sempre a fianco del colonnello.

    L`unico- per capirci- che insieme al ministro degli Esteri Mussa Koussa aveva accesso diretto alle residence del raìs senza bisogno di bussare.
    L`unico a potere varcare la soglia della suite 204 del vecchio circolo ufficiale di Bengasi, dove il colonnello libico ha ospitato con grandi onori il premier italiano Silvio Berlusconi durante le visite ufficiali in Libia. Quello sbarco a Tunisi di Mesmari dura poche ore. Non si sa chi incontri nella capitale dove ancora la rivolta contro Ben Ali cova sotto le ceneri.
    Ma è ormai certo che proprio in quelle ore e in quelle immediatamente successive Mesmari getti i ponti di quella che a metà febbraio sarebbe diventata la ribellione della Cirenaica.
    E prepara la possibile spallata a Gheddafi cercando e ottenendo l`alleanza su due fronti: il primo è quello della dissidenza tunisina. Il secondo è quello della Francia di Nicholas Sarkozy.
    Ed entrambe le alleanze gli riescono.

    Lo testimoniano alcuni clamorosi documenti della Dgse (direzione generale della sicurezza estera), il servizio segreto francese e una clamorosa serie di notizie fatte circolare in ambienti diplomatici francesi da una news letter loro dedicata, Maghreb Confindential (di cui esiste una versione sintetica e accessibile a pagamento).

    Mesmari arriva a Parigi il giorno successivo, 21 ottobre. E da lì non si muoverà più. In Libia non ha nascosto il suo viaggio in Francia, visto che si è portato dietro tutta la famiglia. La versione è che è a Parigi per delicate cure mediche e probabilmente per un`operazione. Ma di medici non ne vedrai mai nemmeno uno. Quel che vedrà invece ogni giorno sono funzionari del servizio segreto francese.

    La riunione Sicuramente ai primi di novembre sono visti entrare all`Hotel Concorde Lafayette di Parigi, dove Mesmari soggiorna, alcuni stretti collaboratori del presidente francese Sarkozy. Il 16 novembre c`è una fila di auto blu fuori dall`hotel. Nella suite di Mesmari si svolge una lunga e fitta riunione. Due giorni dopo parte per Bengasi una strana e fitta delegazione commerciale francese. Ci sono funzionari del ministero dell`Agricoltura, dirigenti della France Export Cereales e della France Agrimer e manager della Soufflet, della Louis Dreyfus, della Glencore, della Cani Cereales, della Cargill e della Conagra.

    Una spedizione commerciale, sulla carta, per cercare di ottenere proprio a Bengasi ricche commesse libiche. Ma nel gruppo sono mescolati anche militari della sicurezza francese, travestiti da business man.

    A Bengasi incontreranno un colonnello dell`aereonautica libica indicato da Mesmari: Abdallah Gehani. È un insospettabile, ma l`ex capo del protocollo di Gheddafi ha rivelato che è disposto a disertare e che ha anche buoni contatti con la dissidenza tunisina.

    L`operazione è condotta in gran segreto, ma qualcosa giunge agli uomini più vicini a Gheddafi. Il colonnello intuisce qualcosa. Il 28 novembre firma un mandato di cattura internazionale nei confronti di Mesmari.

    L`ordine viene trasmesso anche alla Francia attraverso i canali protocollari.

    I francesi si allarmano, e decidono di eseguire formalmente l`arresto.

    Quattro giorni dopo, i12 dicembre, viene fatta filtrare la notizia proprio da Parigi. Non si indica il nome, ma si rivela che la polizia francese ha arrestato uno dei principali collaboratori di Gheddafi. La Libia si tranquillizza sulle prime. Poi viene a sapere che Mesmari è in realtà agli arresti domiciliari nella suite del Concorde Lafayette. E il raìs comincia ad agitarsi.

    La furia del raìs Quando arriva la notizia che Mesmari ha chiesto ufficialmente alla Fancia asilo politico, Gheddafi si infuria fa ritirare il passaporto perfino al suo ministro degli Esteri, Mussa Kussa, accusato di responsabilità nella defezione e nel tradimento di Mesmari.
    Poi prova a inviare suoi uomini a Parigi con messaggi per il traditore: “torna, sarai perdonato”. Il 16 dicembre ci prova Abdallah Mansour, capo della redio-televisione libica. I francesi però lo fermano all`ingresso dell`Hotel. I123 dicembre arrivano altri libici a Parigi. Sono Farj Charrant, Fathi Boukhris e All Ounes Mansouri.

    Li conosceremo meglio dopo il 17 febbraio: perché proprio loro insieme ad Al Hajji guideranno la rivolta di Bengasi contro i miliziani del colonnello.
    I tre sono autorizzati dai francesi a uscire a pranzo con Mesmari in un elegante ristorante sugli Champs Elysèe. Ci sono anche funzionari dell`Eliseo e alcuni dirigenti del servizio segreto francese. Tra Natale e Capodanno esce su Maghreb Confidential la notizia che Bengasi ribolle (in quel momento non lo sa nessuno nel mondo), e perfino l`indiscrezione su alcuni aiuti logistici e militari che sarebbero arrivati nella seconda città della Libia proprio dalla Francia. Oramai è chiaro che Mesmari è diventato la levain mano a Sarkozy per fare saltare Gheddafi in Libia. La newsletter riservata su Maghreb comincia a fare trapelare i contenuti della sua collaborazione.

    Mesmari viene soprannominato ” Libyan Wikileak”, perché uno dopo l`altro svela i segreti della difesa militare del colonnello e racconta ogni particolare sulle alleanze diplomatiche e finanziarie del regime, descrivendo pure la mappa del dissenso e le forze che sono in campo.
    A metà gennaio la Francia ha in mano tutte le chiavi per tentare di ribaltare il colonnello. Ma qualcosa sfugge. Il 22 gennaio il capo dei servizi di intelligence della Cirenaica, un fedelissimo del colonnello, generale Aoudh Saaiti, arresta il colonnello dell`aeronautica Gehani, il referente segreto dei francesi fin dal 18 novembre.

    Il 24 gennaio viene trasferito in un carcere di Tripoli, con l`accusa di avere creato una rete di social network in Cirenaica che inneggiava alla protesta tunisina contro Ben AL. È troppo tardi però: Gehani con i francesi ha già preparato la rivolta di Bengasi.

  109. @ Andrea Inglese

    «Ora, non solo diplomazie occidentali e polizia politica dei dittatori arabi sono stati presi di sorpresa dalle rivolte arabe, ma anche loro.
    Mi rendo conto che per i marxisti di casa nostra, soprattutto di una certa generazione, quelli che sono over 50, una rivoluzione così poco ideologica non è tanto attraente.
    Ma è proprio questo il carattere innovativo e rivoluzionario di questo soggetto: che è innanzitutto giovane e scolarizzato. E’ chiaro che le ideologie non le vuole: ha subito una triplice inculata dalla storia:
    Inculata 1: il colonialismo occidentale
    Inculata 2: il finto socialismo dei leader anti-colonialisti, che hanno poi instaurato dittature, però compiacenti con i neo-colonialisti occidentali
    Inculata 3: i jihadisti, che promettendo un riscatto dalle miserie del presente, e contrapponendo solidarietà di base a neoliberismo di stato (o mafia di stato), hanno imposto un controllo insopportabile sulla vita dei singoli individui.
    La generazione rivoluzionaria è sì islamica praticante, ma vuole la democrazia non la teocrazia; e ha una visione laica e plurale della pratica islamica (su questo un bell’articolo su Le monde 14 febbraio 2011, di un politologo francese esperto di Islam, Olivier Roy)».

    Da vecchio quale sono, devo tornare a polemizzare (non paternalisticamente spero) con il giovane Andrea. Non per ripicca generazionale. Non per difendere «i marxisti di casa nostra etc..». Ma perché mette il carro (democrazia) davanti ai buoi (arabi). I quali sono per lui senz’altro un “soggetto rivoluzionario”, tra l’altro «giovane e scolarizzato», che «le ideologie non le vuole». Come se la democrazia, che essi pare – direi io – vogliano al posto della teocrazia, non fosse pur’essa anche ideologia. Come lo è pure «una visione laica e plurale della pratica islamica».
    Una smania di vedere negli eventi del Maghreb qualcosa che noi desideriamo lo ritrovo anche nell’articolo, pur ricco di dati economici e politici intressanti, firmato da Dino Erba: «CHE COSA SUCCEDE IN LIBIA I RIBELLI LIBICI E I PONZATORI ITALICI, CHE GUARDANO L’ALBERO, E NON VEDONO LA FORESTA» [riportato nel commento pubblicato il 25 marzo 2011 alle 08:47]. Egli pure, pare mettere il carro ( la «rivoluzione proletaria» stavolta) davanti ai buoi quando scrive:

    « Ma prima ribadiamo che l’aspetto principale di questa vicenda è l’insorgenza delle masse popolari del Nordafrica, che si inscrive nella crisi sistemica del modo di produzione capitalistico. Il cui esito, ci auguriamo, sarà la rivoluzione proletaria (altrimenti ci aspetta un orrore senza fine). E questo è un motivo più che sufficiente, per stare dalla parte dei ribelli della Libia, senza se e senza ma».

    Ma almeno Erba la rivoluzione proletaria se la augura (o magari finge e già la vede spuntare?), Inglese invece la dà per sicura. Queste credenze, ideologie o speranze (nel caso migliore) o deliri e miraggi (nel caso peggiore) agevolano o complicano una lettura e una interpretazione adeguata dei dati reali (accertati, accertabili) e delle potenzialità (ipotizzabili) racchiuse negli eventi del Maghreb, della Libia e di altri paesi (Yemen, Bahrein, Siria adesso) in ebollizione?
    Penso che nessuno di noi sia esente da qualche ideologia e, ancora più in profondità, da un immaginario “di partenza”. Per me può essere un immaginario legato al comunismo (di una volta), per un altro gli Usa “liberatori”, per un altro lo Stato forte sovietico di una volta, per un altro la Sinistra ideale di una volta, per un altro il pacifismo cattolico o gandhiano di una volta, ecc. Quindi nessuno si scandalizzi, ma teniamole/li presenti piuttosto che mascherarle/li o vederle/li solo nelle parole degli altri. E confrontiamole/li con i dati della realtà che man mano riusciamo a procurarci.

    Ideologie e immaginari “di partenza” sono emersi finora in questa discussione attorno a una domanda spesso implicita nei vari interventi: «con chi stare?». Penso sia utile riassumere le risposte che sono state date (almeno quelle che io ho registrato) per valutarle meglio:

    1. quella di genseki: «stare dalla parte delle classi oppresse e sfruttate e vedere le cose come le si vedono da laggiú in fondo, e poi quando le abbiamo ben apprese dal basso in alto, vedere un po’ di ragionare su come si puó abbattere una societá mondiale». Mi pare una risposta religiosa, francescana, com’è stato detto. Perché sollecita una sorta di conversione («bisogna peró spogliarsi di prestigio sociale, privilegi e magari anche un certo benessere e lavorare con umiltá e tenacia ad organizzare»). E fa venire in mente le esperienze dei populisti russi o quelle latino-americane della teologia della liberazione degli anni ’60-’70 e forse quelle più recenti del subcomandante Marcos e del Chiapas. Genseki ha posto in primo piano la solidarietà con una comunità di oppressi e sfruttati, alla quale quanti su questi blog scrivono, in possesso (davvero?) di «privilegi che dà l’appartenenza al mondo della borghesia, magari per nascita» potrebbero accedere solo rinunciandovi. Egli ha accennato anchea un problema epocale («come si puó abbattere una societá mondiale») su cui ragionare, ma non ha chiarito il tipo di ragionamento da fare e, più in particolare, non ha detto molto sugli eventi nel Maghreb o ora in Libia.

    2. quella ng che, non sa bene – mi pare – dove trovarlo nel Maghreb il “proletariato” con cui vorrebbe simpatizzare (ed è infatti costretto a virgolettare il termine) ed è meno entusiasta di Andrea, più cauto e un po’ pessimista: questo “proletariato”- egli ha scritto – « non è in grado, allo stato, di “prendere la testa” del movimento, e tutte le energie meravigliose che ha messo e metterà in campo si perderanno o si indirizzeranno contro i suoi stessi interessi, funzionando da manovalanza per un nuovo sistema di potere». E perché? Perché «trattasi di una guerra “imperialistica”», «di una guerra generata dallo scontro tra diverse potenze per il controllo dell’area». E fa una serie di domande, che a me paiono legittime, ineludibili e non necessariamente ostili o prevenute sugli «insorti» (quasi simili a quelle presenti nell’articolo di Tommaso Di Francesco da lui citato). Il fatto, ricordato da Inglese, che i primi a tirar fuori la domanda «chi sono gli insorti?» siano sono stati «gli uomini di destra del governo Sarkozy alle prime avvisaglie di casino in Tunisia e in Egitto» non la squalifica. Non la si fa (o almeno io non la faccio) perché essi «mostrino la tessera del partito marxista» o si vuole accertare dalle loro dichiarazionise sono dei “veri rivoluzionari” o perché si pensa che ogni arabo può essere solo un «burattino». Io resto dell’opinione di Fortini (e prima di E. Bloch) che va stilata con cura la lista degli amici e la lista dei nemici.

    3. la terza è quella, in parte già anticipata, di Inglese, che ha chiesto da subito di stare con gli «insorti», di non ridurli «a controfigura degli onnipotenti occidentali» e che continua ad enfatizzareil fatto che si tratti di «popolazione giovane [che] ha un livello di scolarizzazione alto (dalla maturità alla laurea)», che ha familiarità «con le varie possibilità offerte dal mondo attuale dell’informazione, supporti elettronici inclusi».. A me pare che egli faccia una scommessa ad occhi chiusi. E esagera a fidarsi troppo di quello che “sente” o “crede”: che «qualcosa di nuovo si sta muovendo» in tutto il Maghreb; che «questo qualcosa non potrà essere riassorbito», che i paesi arabi «stanno conoscendo moti rivoluzionari», arrivando fino ad ipotizzare che «in una tale situazione imprevedibile non è escluso che le intenzioni di controllo e di conservazione dell’esistente proprie degli USA e degli Europei non possano tornare utili, in certi casi, a queste nuove generazioni di ribelli».

    Per concludere e continuare a discutere, ricordo che la mia posizione l’ho espressa nel commento pubblicato 24 marzo 2011 alle 13:39. Dice: No alla guerra, No a Gheddafi.

  110. a ennio,

    caro ennio ti rispondo volentieri, perché ho apprezzato il modo di esporre posizioni diverse, senza caricaturarle…

    preciso solo alcune cose:
    “Ma almeno Erba la rivoluzione proletaria se la augura (o magari finge e già la vede spuntare?), Inglese invece la dà per sicura.”
    A dire il vero non mi pongo il problema della rivoluzione proletaria ora. Mi pongo un problema di più corto raggio. Mi sembra proprio di vedere la “fine dell’eccezione arabo-musulmana”. Questa eccezione arabo-musulmana è naturalmente una costruzione in gran parte immaginaria dell’occidente, e delle classi dirigenti occidentali, particolarmente alimentata dalle destre.
    Ma questa immagine è stata assorbita da molti di noi. Anche da chi continua a vedere nelle popolazioni arabi delle pure vittime – qui non mi riferisco a te, parlo in generale – ossia dei non-soggetti politici.
    L’eccezione araba-islamica dice, con un fondo razzisra chiaro, quelli non sono come noi, non potranno mai essere democratici, non potranno mai essere laici, non potranno mai essere rivoluzionari, ecc ecc.
    Ora nell’ottica di una rivoluzione degli sfruttati tutto questo è fondamentale: è fondamentale che si avvicinino le condizioni di vita, perché la divisione tra le varie componenti delle classi subalterne mondiali non possa essere portata avanti.
    In Tunisia ora gli operai chiedono il raddoppio dei salari, e gli imprenditori sono incazzatissimi. Anche solo una riduzione della disparità dei salari tra coste opposte del mediterraneo avrebbe conseguenze politiche importantissime.
    Insomma, sulla rivoluzione proletaria mondiale non faccio scommesse di sorta. Le faccio sulla fine dell’eccezione arabo-musulmana.

    Quando poi sottolinei che faccio una scommessa ad occhi chiusi, hai in parte ragione. Ma tu che sei un buon conoscitore di Fortini, ti ricordi la vice “Comunismo”, che compilò in anni tardi non so più per quale pubblicazione. Lui ribadiva il fatto dell’elemento “speranza”, rischio in parte cieco, in ogni atto rivoluzionario, e anche in ogni lettura di quell’atto. Visto che io di rivoluzionario, allo stato attuale, non ho fatto un granché.

    Ma non è una scommessa ad occhi chiusi, ma ad occhi semichiusi. Ho già ricordato dei dati per me importanti, che hanno meno carattere direttamente politico, e sono di natura per così dire più antropologica: scolarizzazione, massa giovanile, tecnologie moderne e decentrate dell’informazione, diffidenza dei libri sacri (di ogni colore).

    Sull’ideologia, spero di essermi fatto capire. Hai ben ragione a ricordare che anche gli arabi siriani, tunisini ecc. hanno un’immaginario ideologico. Dico solo che questo immaginario ideologico non si è cristallizzato in dottrine troppo solide, sia quella dell’islamismo politico, quella del marxismo-leninismo magari coniugato con il nazionalismo, come negli anni Sessanta. E questo non solo è comprensibile, ma forse è anche un vantaggio. Non a breve termine. Ma a medio-lungo termine. E’ un vantaggio perché saranno ora più difficili da manipolare per qualsiasi tipo di soggetto forte: che siano i soggetti religiosi, quelli autocratici, quelli neo-colonialisti.

  111. cara gina,

    ti ringrazio molto dei tuoi link (qui siamo sulla stessa lunghezza d’onda)…

    prego nevio, ennio, e gi altri di leggersi i pezzi segnalati (l’ultimo link “fortress europe”) dove si scrive:

    “Non sono assolutamente d’accordo con chi grida al complotto. In Libia, come in Tunisia, in Egitto, in Yemen, e adesso anche in Siria, le rivolte sono state spontanee e popolari e non sono il frutto di complotti americani, ma piuttosto la risposta più naturale che potevamo aspettarci dopo decenni di dittature sostenute dalle grandi potenze in nome della stabilità e dei buoni affari. Stupisce che certe teorie cospirazioniste arrivino dagli ambienti di sinistra. Ma forse è anche perché queste rivoluzioni trascendono e superano le categorie della sinistra.”

    Ecco, io non conosco questo Gabriele Del Grande, che certo è un testimone secondario più affidabile di me. Ma legge i fatti esattamente nell’ottica in cui li leggo io.

  112. Ringrazio Ennio per la sintesi. Entro nel merito.

    Il “proletariato” non è un’idea che si possa trovare (nel Maghreb o in altri posti) o non trovare. Il proletariato esiste, ed è la classe dei “senza proprietà”. Il mio pessimismo, quasi cronico, ormai, è basato sulla consapevolezza dell’assenza della classe “per sé”: quella “in sé” è viva e vegeta e aumenta a dismisura (stante l’irrisolta crisi). Ora, so bene che questa mia distinzione è un retaggio “ideologico” dovuto alla mia formazione e alla mia antica militanza; allo stato, però, non riesco a trovare di meglio, non riesco, cioè, a trovare una sintesi (di pensiero e politica) che possa accantonare questa forma di “ortodossia” marxista. Può darsi che questa forma mentale non sia in grado di rispondere ai tempi nuovi. Eppure, continuo a non trovare meno “vecchio” appellarsi a un generico “fronte democratico” o ad un qualcosa che non sia definito secondo una prospettiva “di classe”: tutte forme ideologiche e politiche che pre-esitono al marxismo stesso. Nessuno, su ciò, è “nuovo”. Sono dunque pessimista perché ritengo che ciò che viene proposto oggi, per lo meno nell’ambito dell’analisi e delle soluzioni politiche, è anni-luce indietro rispetto a quanto di meglio il marxismo ha, pur con tutte le sue deficienze, elaborato. Sono altresì convinto che la crisi, e le contraddizioni che apre, spingeranno molti ad attivarsi per superare le forme di gestione dell’esistente. E qui torno alle domande su chi sono e cosa esprimono i rivoltosi libici. È ovvio che una linea politica propone una soluzione ad una crisi. Solo che non tutte le soluzioni la risolvono, e ce ne sono alcune che la peggiorano. Ci sono, certo, e bene evidenti, le “cause materiali”, quelle che hanno spinto alla sollevazione i popoli nordafricani: povertà (non tanto in Libia, quanto nei paesi vicini), disoccupazione, fame. In Egitto ciò era molto evidente: nessuna richiesta astratta di “democrazia”, ma pane, latte, zucchero, trasporti e, a livello politico, basta con la corruzione. Sono i media occidentali che hanno puntato sulla voglia di “democrazia” di quei popoli, in realtà, così facendo, omettendo proprio quello che potrebbe unificare quelle lotte a quelle greche, italiane, spagnole, inglesi, etc.. Le motivazioni che hanno spinto alla rivolta sono “di classe”. Qui si gioca la partita: sul come gestire questo protagonismo. Non ho mai creduto alle rivolte eterodirette da servizi segreti (CIA od altro). È normale che i servizi segreti cerchino di spostare, a proprio vantaggio, gli eventi, e che si attivino per fare prevalere una certa direzionalità a scapito di altre; ma le motivazioni di partenza sono reali, così come reale è la spontaneità della rivolta. E qui si inserisce la natura politica dei rivoltosi, con cui bisogna fare i conti senza né esaltarli “a prescindere” (come, in fondo, fa Andrea) o senza “condannarli” preventivamente. La rivolta è importante e, come ho già scritto, positiva. È però innegabile che la partita è ancora aperta e che l’intervento militare ha lo scopo di spostare gli eventi a vantaggio di Francia e Inghilterra (ma gli USA sono i veri burattinai) a scapito di Italia e, in seconda battuta, di Russia e Cina. È ovvio che il “controllo” della rivolta è importante per tutti. Perché, almeno da ciò che appare nei media (non ho altre fonti, purtroppo), i rivoltosi partecipano a questo gioco? Le loro posizioni politiche prevalenti coincidono con quelle degli USA? Ecco, diciamo che, dal mio punto di vista “antico”, non vedo sbocchi positivi perché non mi pare che esista una espressione politica della classe “per sé”, e che quindi prevarrà una soluzione “a perdere”. A differenza di Andrea, non credo proprio che gli USA e gli altri stati possano rispondere positivamente alle richieste profonde della rivolta: i popoli nordafricani continueranno ad avere fame e a restare sotto-occupati, a scapito dell’accentramento in sempre meno mani di ricchezze e proventi del petrolio. Non a caso gli occidentali puntano tutto sulla “democrazia”: perché tanto un po’ di partecipazione non la si nega a nessuno, figuriamoci! È il resto, quello che permette il dispiegamento totale della vita delle persone, che verrà negato. Da quanto ho capito, una parte minoritaria dei rivoltosi si pone problemi di natura “sociale”, mentre le altre solo quelli di una diversa gestione del potere. Ma, davvero, ammetto la mia ignoranza. In ogni caso, abitando in Italy, non posso fare i conti con la situazione libica se non in relazione al governo che ho di fronte. Quello italiano si è dimostrato poco lungimirante rispetto ai suoi stessi interessi; le sanzioni contro Gheddafi colpiranno prima di tutto l’Eni (contratti ottenuti grazie a Berlusconi) … Forse per paura, o magari per qualche “ricatto” segreto, il governo si è dimostrato (era già accaduto, anche se in forme diverse, per l’affaire Fiat-Crysler) troppo succube del “padrone yankee”. Ma anche l’opposizione si è dimostrata poco lungimirante, accodandosi ancora una volta alla volontà imperiale degli USA attraverso una squallida posizione militarista (come ci sia ancora qualcuno che pone speranze o anche possa dare solo un voto a Bersani e personaggi simili sfugge alla mia capacità di comprensione). Dopodiché, c’è il nulla o quasi. Ieri ho partecipato ad una manifestazione contro la guerra in Libia. Dopo venti minuti me ne sono andato. C’erano le stesse facce di sempre, gli stessi “impiegati” della politica in cerca di riconfermarsi nel mercato dei voti; poche persone nuove, estranee alle “consorterie militanti” … Se devo partecipare per leggere un volantino di Rifondazione o dei vendoliani: no, grazie. Hanno già distrutto il patrimonio (anche di milioni di voti) che avevano a disposizione, e proprio perché votarono anch’essi, ai tempi di Prodi, a favore dei “crediti di guerra” … Insomma, anche nel “fronte interno” il mio pessimismo si acuisce (pessimismo della ragione, è proprio il caso di dirlo). Certo, dentro di me, diciamo in quel fondo “religioso”, quasi mistico, del pensiero, mi dico che la crisi è tale da imporre alla “vecchia talpa” una nuova uscita; poi mi guardo intorno e vedo un pressapochismo sconcertante: analisi assenti, prospettive politiche ridotte a un anti-berlusconismo idiota, luoghi comuni elevati a filosofia, etc.. Insomma, se dovessi riprendere a farmi attraversare dall’ “ottimismo della volontà” comincerei proprio dallo stilare quella “lista degli amici e dei nemici” di cui parla Ennio: chissà, almeno smetterei di perdere tempo con chi, oggi, completamente accecato dalla propaganda, continua a riporre speranze in uno come Obama …

    ng

  113. leggo solo ora Andrea … Non ho mai parlato di “complotto”. Ma il mio precedente commento contiene una frase su ciò …

    ng

  114. a nevio,

    su questo preciso punto, mi trovo in completo dissacordo con te.

    “In Egitto ciò era molto evidente: nessuna richiesta astratta di “democrazia”, ma pane, latte, zucchero, trasporti e, a livello politico, basta con la corruzione. Sono i media occidentali che hanno puntato sulla voglia di “democrazia” di quei popoli, in realtà, così facendo, omettendo proprio quello che potrebbe unificare quelle lotte a quelle greche, italiane, spagnole, inglesi, etc..”

    1) sul piano fattuale, quanto dici non è vero. Ci sono sufficienti fonti disponibili sulla rivolta egiziana che contraddicono la tua tesi. Preciso solo una cosa: le rivolte del pane precedono, nel tempo, e sedimentano i germi della rivolte politiche ultime. T’incollo qui la parte finale di un mio pezzo apparso sull’ultimo alfabeta sulla questione:

    “Sfugge, insomma, agli uni e agli altri, il carattere autenticamente libertario di questa rivoluzione, che affonda le sue radici negli scioperi operai del settore tessile e nei tumulti del pane del 2008. In quel contesto di rivendicazioni sociali e salariali nasce, tra l’altro, il “Movimento del 6 aprile”, che ha avuto un ruolo guida nelle mobilitazioni promosse attraverso il web a partire dal 25 gennaio scorso. Quella egiziana non è, quindi, né una rivoluzione acefala né ingenua. La richiesta di una vita democratica nasce come conseguenza di lotte operaie e studentesche nate in anni passati contro le politiche neoliberiste adottate da Moubarak negli anni Novanta. Queste rivendicazioni hanno prodotto una cultura della contestazione e della libera discussione che si è radicata ed estesa in fasce sempre più ampie della popolazione, ed è difficile immaginare come tale cultura possa essere, oggi, sradicata da un’ulteriore politica puramente repressiva.”

    La questione salari e disoccupazione è presente ovunque, e in Egitto è stata determinante proprio a formare alcuni gruppi, che poi hanno avuto un carattere determinante. Ma non vedere la richiesta di democrazia della rivoluzione egiziana è davvero una mistificazione (che farai senz’altro in buona fede… non è questo il punto).

    2) sul piano interpretativo: il fatto che tu parli di una richiesta “astratta” di democrazia mi fa rabbia. Devo ammetterlo. Ci vedo una mancanza di empatia umana, che mi scuote.
    Ma perché non vuoi riconoscere un’esigenza basilare e concretissima: questa gente vuole magari avere un blog come NI e mille altri dove può parlare in modo duro e senza mezzi termini delle malefatte del presidente del consiglio (o del presidente tout court), senza rischiare di: finire in carcere, aver il blog oscurato, subire interrogataori con tortura, perdere il posto di lavoro.
    Come fai, Nevio, a dire che queste sono richieste astratte!!!!!!!!

    Per il resto convido molto di quello che dici, ma questo disprezzo della democrazia – che noi abbiamo, anche malandata finché si vuole – e loro no, mi sembra inverosimile.

  115. mah, Libia a parte, dove le cose sono più difficili da leggere, a me pare che questa gente voglia prima di tutto pane e salari migliori, poi alcune élites scolarizzate e cittadine anche maggiore democrazia, ma sono davvero ancora troppo poveri perché sia la “prima” richiesta popolare, e se lo è, è richiesta di democrazia in quanto volano di sviluppo, democrazia per una nuova classe media e produttiva, questa è la mia impressione, democrazia funzionale

    sono andata da turista, e perciò da cieca, in alcuni di questi paesi, negli anni scorsi, in particolare in Siria e in Egitto, ma non tanto cieca da non vedere le “cose”, gli oggetti, gli attrezzi, le merci in vendita, trasportate sui carretti, i mercati dei paesi, la differenza tra città e campagna, la differenza tra la strada e la bottega, tra bottega e bottega, la cosa più impressionante è la miseria, e soprattutto in Siria la presenza piuttosto spiazzante per me della speculazione edilizia di fascia medio alta intorno a Damasco

    ricordatevi la Cina, guardate – con tutte le ovvie differenze, e non mi metto a elencarle – cos’è diventata

    tutte queste discussioni mi paiono traballanti per difetto di conoscenza, abbiamo qualche link, certamente, ma mi pare pochino e io aspetto per capire che cosa succederà

  116. Sul blog MOLTINPOESIA:

    CONTRIBUTI
    Scrivere al presente 8:

    Ennio Abate

    Marzo 1821 – Marzo 2011

    «Fra un secolo si immaginerà che in questa nostra Assemblea, mentre si discuteva sulla nuova costituzione repubblicana, seduti su questi scranni non siamo stati noi, uomini effimeri, di cui i nomi saranno cancellati e dimenticati, ma sia stato un popolo di morti, di quei morti che noi conosciamo ad uno ad uno, caduti nelle nostre file nelle prigioni e sui patiboli, sui monti e nelle pianure, nelle steppe russe e nelle sabbie africane, nei mari e nei deserti, da Matteotti a Rosselli, da Amendola a Gramsci, fino ai giovanetti partigiani »

    (da un discorso di Pietro Calamandrei all’Assemblea Costituente nel 1947)

    Cancella, o Marcella
    la Libia, stantio pane nostro quotidiano televisivo.
    Le facce belle di uomini e bambine
    ridevano per noi (ma anche di noi)
    nell’attimo delle foto di allora.
    Poi nelle notti tremarono, urlarono
    disfatte tra le macerie.

    [«L’ultimo è il W-80 3, utilizzato,
    a quanto pare, anche come carico
    per i moderni bombardieri B-52.
    A tutt’oggi, fonti statunitensi militari
    e scientifiche, calcolano la sua potenza
    di esplosione intorno ai 200 kt.»]

    «Li lasciamo tutti ammazzare?», chiedesti
    ansiosa. «Nulla per loro possiamo più fare»,
    ti risposi. Perché eravamo già tutti morti.

    « Finché permettiamo alla guerra
    (che è sempre cosa molto diversa
    dalla resistenza) di tracciare
    il solco tra il giusto e l’ingiusto,
    siamo già tutti morti.
    Siamo cadaveri che pontificano.
    Che danzano sui teschi di tutti
    gli insorti che verranno».

    Luca ebbe ragione a scrivercelo
    in quel lontano, amaro, marzo 2011.

    “Volenterosi” bombardammo Tripoli
    e tornammo popolo dei morti semper
    presdellarep in testa, benedicente:
    «Non siamo entrati in guerra.
    Siamo impegnati in un operazione
    autorizzata dal Consiglio di sicurezza
    dell’Onu».

    Erano 150 anni esatti dal primo
    albeggiante nostro Risorgimento,
    ricordi?

    *
    Marcella è Marcella Corsi di Roma.
    Luca è Luca Ferrieri di Milano.

  117. “tutte queste discussioni mi paiono traballanti per difetto di conoscenza, abbiamo qualche link, certamente, ma mi pare pochino e io aspetto per capire che cosa succederà”

    sì certo alcor, ma il punto, visto che non sappiamo mai abbastanza del come e del perchè, il punto è a mio avviso lo sguardo che ognuno ha sul mondo
    c’è uno sguardo che indaga il particolare della storia e in questo particolare ci si perde sempre senza trarre un insegnamento universale
    se la maggior parte delle persone, il popolo, l’opinione pubblica non ha strumenti di decodificazione ed esprime consenso o dissenso principalmente a livello emozionale, di pancia insomma, allora il messaggio che deve mandare chi si definisce di sinistra, deve essere un messaggio chiaro che prende le distanze da colori i quali fanno dell’intervento in libia una questione solo di opportunità politica contingente e sprezza fondamentalmente i diritti fondamentali di quelle popolazioni.
    comunque, avanti così
    io vi leggo sempre con molta attenzione e gratitudine
    baci
    la fu

  118. @funambula

    solo due cose: prima, non ho nessuna intenzione di farmi avviluppare in una discussione sulla posizione da prendere rispetto alla Libia per dimostrare se sono di sinistra, quanto sono di sinistra e via discorrendo, le trovo discussioni accademiche, tipicamente nostrane, assai libresche e molto sgradite da me, di fronte alle situazioni complesse sento più forte l’esigenza di capire, di più, è stata questa declinazione del dibattito che soprattutto all’inizio mi ha tenuta lontana, ho addirittura temuto che si andasse verso uno show già messo in scena in passato sui diverbi tra Preve e La Grassa, per fortuna poi non è stato così.

    seconda, se leggi con attenzione come dici, nel commento qui sopra non ho parlato della Libia

  119. cara alcor
    bene ci hai comunicato legittimamente che a parer tuo qui si discute, principalmente, per ostentare un qualche primato sinistro
    io ho espresso un pensiero che trascende l’oggetto del “dibattito” (l’aggressione dei volenterosi alla libia)

    baci
    la fu

  120. @ Andrea (e non solo):

    Ripeto: non voglio convincere nessuno. Siamo tutti adulti e in grado di farci una nostra idea sulle cose. Però, però, però … La maggior parte delle immagini, la maggior parte dei cartelli esposti, delle richieste avanzate, etc., hanno a che fare, soprattutto in Egitto, con questioni “sociali” e non con questioni di “democrazia” … Che certo poi entrano in gioco, ma solo in seconda istanza. La causa delle rivolte in Nord Africa è, primariamente, SOCIALE. Possiamo girarla come vogliamo, ma a me questa sembra una verità evidente. Che poi gli egiziani volessero la possibilità di aprire un blog senza essere censurati, bene, ne sono contento; però ti chiedo: ora che la pax americana è arrivata (con il contributo di quella istituzione democratica che è l’esercito), ne hanno davvero la possibilità?

    Io non disprezzo la democrazia. La democrazia è una puttanata, ma è anche una grande occasione. Dipende da che cosa intendiamo con questa parola così onnicomprensiva. Anche Bush parlava di democrazia, così come ne parla Berlusconi (non c’è uomo politico, anche il peggiore, che non parli positivamente della democrazia). Mi dispiace, mi tengo fuori dall’esaltazione (o dalla denigrazione) di una “parola” che ha bisogno di troppe spiegazioni per essere compresa. Qui mi richiamo anch’io a Fortini: senza una verifica dei nomi, non c’è discussione possibile …

    Se poi per “democrazia”, nel caso libico, intendi quella dei “ribelli”, bene, ti chiedo: che tipo di democrazia può perseguire la sua “direzione politica”? Tu che sei un fine osservatore, non ti sarà sfuggita l’informazione che il “comitato” che sta prendendo decisioni per conto dei ribelli è composto, in gran parte, da esponenti del vecchio apparato di Gheddafi (il presidente è l’ex ministro della giustizia, poi ci sono l’ex ministro degli interni e una serie di generali). Democratici? Almeno non prendiamoci in giro. Ah, certo, ci sono poi una serie di ex ambasciatori, guarda un po’ presso l’Onu e alcune nazioni occidentali (Francia – !!! – Inghilterra Spagna …). Ripeto: questi sono quelli che stanno decidendo della politica dei rivoltosi … Sì, ammetto il mio “disprezzo” per la loro “democrazia” (e spero, anche se non mi faccio illusioni, che la “base” si sbarazzi di loro) …

    ng

  121. alcor,

    ovviamente concordo con l’esigenza di capire e non di dibattere pro o contro (per dimostrare… ecc.)

    sulla questione informazioni, direi il contrario: almeno vedendo tutta la faccenda araba dalla Francia, ma non solo. In Francia alla lettura puntuale dei fatti, realizzata dagli inviati sul posto o nelle principali città, si è sempre affiancata in quotidiani generalisti o riviste specifiche, come jeune afrique, dei dossier di taglio sociologico o politico-economico. Vi sono poi un quantita di blog di fuoriusciti o francesi d’origine nordafricana che seguono le vicende. Dalla visuale italiana non mi meraviglia un’informazione a macchia di leopardo o molto legata al fatto puntuale. Non è solo che i francesi sono più bravi, è che i francesi sono costituiti di popolazione che ha origine araba, parentele nei paesi del maghreb, e sopratutto degli studiosi del mondo arabo attivi nelle università e presente nei giornali. Rispetto a tanto fatti storici di trenta, quarant’anni fa, abbiamo una copertura mediatica molto più varia ed estesa.

    Poi, diverso è – e sono d’accordo con te – interpretare e mettere in ordine questi dati, cogliere dinamiche locali o culturali meno appariscenti, o per noi meno decifrabili.

    Pero’ ribadisco: come si puo’ pensare che una dinamica di rivendicazione e protesta salariale non si accompagni, ad un certo punto, ad una richiesta di istituzioni democratiche? Se vige da quarant’anni lo stato d’emergenza, è ovvio che scioperare diventa un crimine, cosi’ come quella di riunirsi autonomamente per decidere un volantinaggio, cosi come quella di inviare un invito alla mobilitazione tramite FB, ecc ecc.

    Certo se sovrapponiamo a queste masse rivoltose l’immagine delle rivolte rurali del contadino analfabeta, allora si, tutto si riduce ai tumulti della fame. Ma quell’immagine è grandemente riduttiva. Non corrisponde alla realtà. Anche qui i dati che abbiamo parlano sufficientemente chiaro. Mobilitazioni metropolitane, giovani scolarizzati, personaggi provenienti da differenti fasce sociali – impiegati e piccoli commercianti – quadri dell’esrcito (in diversi casi), ecc.

  122. a nevio
    al volo:

    “La causa delle rivolte in Nord Africa è, primariamente, SOCIALE.” D’accordo al 100 per cento con te. Quindi… affinché sia possibile impostare delle lotte, rivendicazioni, ecc., senza venir bastonati, gettati in carcere, ammazzati durante le manifestazioni, ecc. è necessario cambiare il regime, e chiedere istutuzioni democratiche. Vedi cosa rispondo ad alcor.

    Che poi questa richiesta vada a buon fine oggi, o domani, questa è tutt’altra faccenda.

    Sul resto abbiamo già avudto modo di esprimerci. Osservo solo una cosa a margine. Secondo me alcune incomprensioni o distanze, Nevio, dipendono da due atteggiamenti di partenza diversi. Cosi almeno mi sembra. Tu mi sembri in un dialogo reattivo costantemente stretto con Bush, Berlusconi, per cui ogni volta devi depurare le parole che usi dagli echi che loro ci hanno messo. Io molto meno. Forse sbaglio. Ma credo che invece di dover ogni volta triangolare il mio discorso con le intenzioni di Bush, Berlusca, ecc., posso svolgere un ragionamento con persone che credo condividano molti miei valori – che non sono quelli di Bush, Berlusca, ecc. Allo stesso modo cerco di capire cosa succede nel mondo arabo, senza per forza dover rispondere ad ogni passo alle ipotesi che su di esso fanno Larussa o Sarkozy, ecc.

    Magari non c’entra nulla, ma ho avuto questa sensazione.

  123. la maggior parte dei cartelli esposti, delle richieste avanzate, etc., hanno a che fare, soprattutto in Egitto, con questioni “sociali” e non con questioni di “democrazia”

    non generalizzare :-)
    Io poi darei ai cartelli ecc. una importanza limitata visto che quello che succede è indubbiamente una Rivoluzione MEDIATICA ( e dicendo questo non do una marcatura nè positiva, nè negativa prendo solo atto di una realtà) e ti fanno vedere solo i cartelli che vogliono.
    In tunisia la protesta è indubbiamente ANCHE sociale, e conseguenza delle lotte sindacali del 2008 (e anche prima), in parte è così anche in egitto, una delle cose in comune è proprio che la protesta inizia in periferia nelle zone più industrializzate e nelle zone minerarie, e non nelle grandi città, dove arriva dopo. Ma la differenza che ha reso vincente queste proteste del 2011 è proprio che non sono SOLO sociali, ma coinvolgono tutti (in egitto, anche se fino al referendum hanno tenuto un profilo basso, fratelli musulmani in testa) e tutti vengono coinvolti emotivamente dai nuovi media, aljazeera in testa.
    In libia è tutto un altro discorso, in bahrein ancora un altro e poi c’è l’anomalia dell’algeria che si sveglia per prima, ma che ora stranamente tace.
    Ma una delle caratteristiche che lega queste proteste è prima di tutto l’uso dei media come la rete e, soprattutto, i nuovi telefonini che permettono di far circolare in tempo reale foto e piccoli video (alcuni anche strumentali come quello delle fantomatiche fosse comuni) che rendono reale solo la porzione di realtà che veicolano e facendola diventare un tutto. E poi il tentativo (fino ad ora riuscito) di provocare una reazione brutale dei regimi (che non hanno capito una mazza della novità). Più brutale è la reazione e e più alte sono le probabilità di una vittoria delle proteste e di un coinvolgimento globale che può arrivare fino al naturale intervento dell’onu che si è visto per la Libia (dove la reazione del regime è stata la più brutale di tutte).
    Ora tocca alla siria, se hanno capito la lezione terranno un profilo basso e cercheranno di essere flessibili … cosa che certo farà, e sta facendo il presidente, ma che NON fa il partito. E sono pronta a scommetteci che le azioni del partito saranno in prima pagina ;-).
    Una cosa è sicura in ogni posto dove la protesta approda si sviluppa in maniera diversa (ma in base agli stessi meccanismi) e imprevedibile e non ci sarà da annoiarsi ;-).

  124. Lo so, Andrea, ho cominciato ad andare in Francia e in particolare a Marsiglia, nel 1958, anno cruciale, e non ho mai smesso di frequentarla, lì ho amici e parenti, hanno sempre avuto un occhio attentissimo al Nord Africa, e non per caso.

    Non mi ha sorpreso il sostegno di Bernard-Henri Lévy a Sarkozy, nonostante i distinguo, il sentimento fondamentalmente anti-arabo dei pieds noir lo ho ben presente.

    Comunque, sto a guardare.

  125. Dentro il fronte pacifista, sempre più frammentato (e settario, nel senso che pare ogni associazione coltivi il suo orticello), si è levata la voce di Gino Strada, che ha indetto la manifestazione del 2 aprile:

    Appello ai cittadini e alle associazioni per una giornata di mobilitazione nazionale sabato 2 aprile 2011.

    Ancora una volta i governanti hanno scelto la guerra. Gheddafi ha scelto la guerra contro i propri cittadini e i migranti che attraversano la Libia. E il nostro Paese ha scelto la guerra “contro Gheddafi”: ci viene presentata, ancora una volta, come umanitaria, inevitabile, necessaria.

    Nessuna guerra può essere umanitaria. La guerra è sempre stata distruzione di pezzi di umanità, uccisione di nostri simili. Ogni “guerra umanitaria” è in realtà un crimine contro l’umanità.

    Se si vuole difendere i diritti umani, l’unica strada per farlo è che tutte le parti si impegnino a cessare il fuoco, a fermare la guerra, la violenza, la repressione.

    Nessuna guerra è inevitabile. Le guerre appaiono a un certo punto inevitabili solo quando non si è fatto nulla per prevenirle. Appaiono inevitabili a chi per anni ha ignorato le violazioni dei diritti, a chi si è arricchito sul traffico di armi, a chi ha negato la dignità dei popoli e la giustizia sociale. Appaiono inevitabili a chi le guerre le ha preparate.

    Nessuna guerra è necessaria. La guerra è sempre una scelta, non una necessità. E’ la scelta assurda di uccidere, che esalta la violenza, la diffonde, la amplifica, che genera “cultura di guerra”.

    “Questa é dunque la domanda che vi poniamo, chiara, terribile, alla quale non ci si può sottrarre: dobbiamo porre fine alla razza umana o deve l’umanità rinunciare alla guerra?”

    Dal Manifesto di Russell-Einstein, 1955

    Perché l’utopia diventi progetto, dobbiamo innanzitutto imparare a pensare escludendo la guerra dal nostro orizzonte culturale e politico. Insieme a tutti i cittadini vittime della guerra, della violenza, della repressione, che lottano per i diritti e la democrazia.

    “La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire.”
    Albert Einstein

    Primi firmatari:

    Gino Strada, Carlo Rubbia, Luigi Ciotti, Renzo Piano, Maurizio Landini, Massimiliano Fuksas, Luisa Morgantini.

    Firma l’appelloGuarda chi ha firmatoLe associazioni possono aderire scrivendo a dueaprile@emergency.it

    http://www.dueaprile.it

  126. Libia, chi sono gli insorti? Come hanno potuto organizzarsi? Chi ha dato le armi?

    Non è solo Libero a vedere la mano di Francia e GB dietro (o dentro) l’insurrezione. Io non credo l’insurrezione sia stata pianificata a tavolino all’estero, sia chiaro, ma forse tra le due tesi estreme: insurrezione spontanea, insurrezione telecomandata, non è che la verità possa stare (più o meno) nel mezzo?

    Si legga questo articolo:

    25/03/2011
    LIBIA, RIVOLUZIONE TELECOMANDATA

    Rivelazioni sul coinvolgimento dei servizi segreti francesi nella pianificazione delle rivolte anti-Gheddafi e sulla presenza in Cirenaica di forze speciali angloamericane fin dalle prime fasi della ribellione, se non da prima
    Se non fosse per l’aspro scontro diplomatico in atto tra Italia e Francia sulla Libia, difficilmente saremmo venuti a conoscenza degli imbarazzanti retroscena della ‘rivoluzione libica’ pubblicati ieri dalla stampa berlusconiana, che dimostrano come la rivolta popolare contro Gheddafi sia sta orchestrata da Parigi fin dallo scorso ottobre.

    Il quotidiano Libero, citando documenti riservati dell’intelligence francese (ottenuti dai servizi italiani) e basandosi su notizie pubblicate dalla newsletter diplomatica Maghreb Confidential, racconta come l’uomo più fidato del Colonnello, il suo responsabile del protocollo Nouri Masmari (nella foto con Gheddafi), lo abbia tradito rifugiandosi a Parigi lo scorso 21 ottobre.

    Lì, nel lussuoso hotel Concorde Lafayette, questo inquietante personaggio ha ripetutamente incontrato i vertici dei servizi francesi, fornendo loro informazioni politiche e militari utili per rovesciare il regime libico e contatti libici fidati per organizzare una rivoluzione.

    In base a queste indicazioni, il 18 novembre agenti francesi al seguito di una missione commerciale a Bengasi hanno incontrato il colonnello dell’aeronautica Abdallah Gehani, pronto a disertare. Gheddafi scopre qualcosa e dieci giorni dopo chiede alla Francia di arrestare Mesmari, ma lui chiede asilo politico e continua a tessere le sue trame.

    Il 23 dicembre arrivano a Parigi altri tre libici: Faraj Charrant, Fathi Boukhris e Ali Ounes Mansouri, ovvero al futura leadership della rivoluzione libica. Mesmari, sempre sorvegliato/protetto dai servizi francesi, si incontra con loro in un lussuoso ristorante degli Champs Elysèe.
    Subito dopo Natale arrivano a Bengasi i primi ”aiuti logisitici e militari” francesi.

    A gennaio Mesmari, soprannominato dagli 007 francesi ‘Wikileak’ per tutte le informazioni che rivela, aiuta Parigi a predisporre i piani della rivolta assieme al colonnello Gehani. Ma i servizi segreti libici scoprono le intenzioni di quest’ultimo e lo arrestano il 22 gennaio.

    Qui finiscono le rivelazioni di Libero, ma cominciano quelle sull’arrivo di commando di forze speciali britanniche e statunitensi a Bengasi.
    Tra il 2 e il 3 febbraio, secondo ”informazioni raccolte in ambienti ben informati” dal blog Corriere della Collera (del massone Antonio De Martini, ex responsabile del movimento repubblicano di destra ‘Nuova Repubblica’), uomini delle Sas e delle Delta Force sarebbero giunti in Cirenaica per inquadrare e addestrare i futuri ribelli.

    Il 17 febbraio scoppia la rivolta in Cirenaica.
    Secondo fonti di stampa vicine ai servizi segreti israeliani e pachistani, una settimana dopo, nelle notti del 23 e 24 febbraio, sbarcano a Bengasi e a Tobruk centinaia di soldati delle forze speciali britanniche, statunitensi e anche francesi per aiutare i rivoltosi a sostenere la dura reazione militare del regime di Gheddafi: i gruppi ribelli vengono organizzati in unità paramilitari e addestrati all’uso delle armi pesanti catturate dai depositi governativi.
    La consistente presenza di forze militari inglesi in Cirenaica fin dalle prime fasi della rivolta anti-Gheddafi (almeno da fine febbraio) verrà successivamente confermata dal giornale britannico Sunday Mirror.

    I primi di marzo, secondo il settimanale satirico francese Le Canard enchainé, i servizi segreti francesi della Dgse hanno fornito ai ribelli libici un carico di cannoni da 105 millimetri e batterie antiaeree camuffato come aiuto umanitario e accompagnato da addesratori militari.

    I mesi di pianificazione portata avanti dall’intelligence francese e il tempestivo, se non preventivo, sostegno militare anglo-americano-francese sul terreno, gettano nuova luce sulla natura della ‘rivoluzione libica’.

    Enrico Piovesana

    http://it.peacereporter.net/articolo/27597/Libia,+rivoluzione+telecomandata

  127. dal sito comunismo e comunità 10 marzo 2011

    Il ritorno di tutta la vecchia gang
    Libia e il Ritorno dell’Imperialismo Umanitario
    Di JEAN BRICMONT
    da CounterPunch (trad. di Piero Pagliani)

    Tutta la vecchia gang ritorna: I partiti delle Sinistra Europea (che raggruppano i partiti comunisti europei “moderati”), il “Verde” José Bové ora alleato con Daniel Cohn-Bendit che non c’è stata guerra USA-NATO che non gli sia piaciuta, vari gruppi trotzkisti e, ovviamente, Bernard-Henry Lévy e Bernard-Henry Lévy, tutti ad esortare a qualche tipo di “intervento umanitario” in Libia o ad accusare la sinistra latino-americana, le cui posizioni sono molto più ragionevoli, di essere degli “utili idioti” per il “tiranno libico”.
    Dieci anni dopo siamo di nuovo al Kosovo. Centinaia di migliaia di Iracheni morti, la NATO bloccata in Afghanistan in una posizione impossibile, e non hanno capito nulla! La guerra in Kosovo fu fatta per bloccare un genocidio inesistente, la guerra afgana per proteggere le donne (andate a vedere la loro situazione ora) e la guerra in Iraq per proteggere i Curdi. Quando capiranno che tutte le guerre proclamano di avere una giustificazione umanitaria? Anche Hitler “proteggeva le minoranze” in Cecoslovacchia e in Polonia.
    Dalla parte opposta, Robert Gates avverte che ogni futuro segretario di stato che consigliasse ad un presidente USA di inviare truppe in Asia o in Africa “dovrebbe farsi esaminare la testa”. L’ammiraglio Mullen, similmente, invita alla cautela. Il grande paradosso del nostro tempo è che i quartier generali del movimento pacifista devono essere cercati nel Pentagono o nel Dipartimento di Stato, mentre il partito della guerra è una coalizione di neo-conservatori e di progressisti interventisti di varia specie, inclusi guerrieri umanitari di sinistra, così come Verdi, femministe e comunisti pentiti.
    Così ora tutti devono tagliare i loro consumi per via del riscaldamento globale, ma le guerre della NATO sono riciclabili e l’imperialismo è diventato parte dello sviluppo sostenibile.
    Ovviamente gli USA andranno o non andranno ad una guerra per ragioni che sono del tutto indipendenti dai consigli offerti dalla sinistra guerraiola. Il petrolio non sembra essere uno dei fattori più importanti nelle loro decisioni, dato che ogni futuro governo libico dovrà vendere petrolio e la Libia non è sufficientemente grande per influire in modo significativo sul prezzo del greggio. Chiaramente i disordini in Libia danno il destro alla speculazione, che invece influenza i prezzi, ma questo è un altro paio di maniche. I sionisti hanno probabilmente due opinioni riguardo la Libia: odiano Gheddafi e lo vorrebbero vedere rimosso, come Saddam, nel modo più umiliante possibile, ma nemmeno sanno se la sua opposizione gli piacerà proprio (e dal poco che sappiamo, non sarà così).
    L’argomento principale a favore della guerra è che se le cose andranno velocemente e facilmente gli interventi umanitari della NATO saranno riabilitati, dato che la loro immagine è ora appannata dall’Iraq e dall’Afghanistan. Una nuova Grenada o, al più, un nuovo Kosovo, è proprio ciò che ci vuole. Un altro motivo per intervenire è quello che così si controllano meglio i ribelli, poiché si arriva per “salvarli” nella loro marcia per la vittoria. Ma questo è proprio difficile che funzioni: Karzai in Afghanistan, i nazionalisti kosovari, gli Sciiti in Iraq e, ovviamente, Israele, sono perfettamente felici di ricevere l’aiuto americano, quando serve, dopo di che lo sono di seguire la loro proprio agenda. E un’occupazione della Libia a tutto campo dopo la sua “liberazione” sembra tutto tranne che sostenibile, cosa che ovviamente rende l’intervento poco attraente per gli USA.
    D’altro canto, se le cose si dovessero mettere male, si tratterebbe dell’inizio della fine dell’impero americano; da qui la cautela della gente che è realmente in posizione di decidere e non solo di scrivere articoli su Le Monde o sbraitare contro i dittatori davanti alle telecamere.
    E’ difficile per un normale cittadino conoscere esattamente cosa sta succedendo in Libia, dato che i media occidentali si sono completamente screditati in Iraq, Afghanistan, Libano e Palestina e le fonti alternative non sono sempre affidabili. Questo, chiaramente, non impedisce alla sinistra pro-guerra di essere assolutamente convinta della verità dei peggiori resoconti su Gheddafi, così come lo erano dodici anni fa riguardo Milosevic.
    Il ruolo negativo della Corte Internazionale dell’Aja è di nuovo evidente in questo caso così come lo fu quello del Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia per il caso del Kosovo. Uno dei motivi per cui c’è stato un relativamente modesto spargimento di sangue in Tunisia ed Egitto è che c’è stata una via d’uscita per Ben Ali e Mubarak. Ma la “giustizia internazionale” vuole assicurarsi che non ci sia una via d’uscita per Gheddafi e probabilmente per le persone vicine a lui, così da costringerli a lottare a tutti i costi.
    Se un “altro mondo è possibile”, così come la sinistra europea continua a ripetere, allora anche un altro Occidente dovrebbe essere possibile e la sinistra europea dovrebbe lavorare in quel senso. Il recente incontro dell’Alleanza Bolivariana dovrebbe servire da esempio: la sinistra latino americana vuole la pace e vuole evitare ogni intervento da parte degli USA, poiché sanno che sono nelle mire degli USA e che il loro processo di trasformazione sociale richiede innanzitutto la pace e la sovranità nazionale. Per cui hanno suggerito di inviare una delegazione internazionale, possibilmente guidata da Jimmy Carter (difficilmente definibile un tirapiedi di Gheddafi) per iniziare un processo negoziale tra il governo e i ribelli. La Spagna ha espresso interesse per l’idea, che ovviamente è stata rifiutata da Sarkozy. Questa decisione può sembrare utopistica, ma non sarebbe così se fosse sostenuta da tutto il peso delle Nazioni Unite. Questo sarebbe il modo per onorare la propria missione, cosa che ora è resa impossibile dall’influenza statunitense ed occidentale. Tuttavia non è impossibile che oggi, o in qualche crisi futura, una coalizione di nazioni non interventiste, includente la Russia, la Cina, l’America Latina ed eventualmente altri, possa lavorare assieme per costruire alternative credibili all’interventismo occidentale.
    A differenza della sinistra latino americana, la sua patetica versione europea ha perso ogni idea di cosa significhi fare politica. Non cerca di proporre soluzioni concrete ai problemi ed è solo capace di prendere posizioni morali, in particolare denunciando dittatori e violazioni dei diritti umani con tono magniloquente. La sinistra socialdemocratica insegue la destra se va bene con qualche anno di ritardo e non ha nessuna idea propria.
    La sinistra “radicale” spesso riesce a denunciare i governi occidentali in ogni modo possibile e chiedere contemporaneamente che quegli stessi governi intervengano militarmente in tutto il globo per difendere la democrazia. La sua mancanza di riflessione politica la rende altamente vulnerabile alle campagne di disinformazione facendola diventare una passiva ragazza pon-pon delle guerre della NATO.
    Questa sinistra non ha un programma coerente e non saprebbe cosa fare nemmeno se un dio la rimettesse al potere. Invece di “sostenere” Chávez e la Rivoluzione Venezuelana, una affermazione priva di senso che alcuni amano ripetere, dovrebbero umilmente imparare da loro e, prima di tutto, re-imparare cosa significhi fare politica.

    Jean Bricmont insegna Fisica in Belgio ed è membro del Tribunale di Bruxelles. Il suo libro “Imperialismo Umanitario” è pubblicato dalla Monthly Review Press. Può essere contattato all’indirizzo Jean.Bricmont@uclouvain.be.

  128. @ Andrea Inglese

    1. “A dire il vero non mi pongo il problema della rivoluzione proletaria ora.”.

    C’è un equivoco dovuto al salto di una parola: avendo scritto prima «Ma perché [Andrea] mette il carro (democrazia) davanti ai buoi (arabi).», avrei dovuto poi scrivere: «Ma almeno Erba la rivoluzione proletaria se la augura (o magari finge e già la vede spuntare?), Inglese invece [‘la democrazia’ o la ‘voglia di democrazia’] la dà per sicura».

    2. La voce «Comunismo» di Fortini apparve per la prima volta su «L’Unità”» (16 gennaio 1989 e quindi prima della caduta del muro di Berlino del 9 novembre di quello stesso anno).
    La si legge(va) ancora due ann dopo in F.F, NON SOLO OGGI ( Editori Riuniti 1991). Non so più dove oggi la potete trovare. Fu subito sbeffeggiata, ricordo, sullo stesso giornale «fondato da Antonio Gramsci» da un giornalista un po’ “goliarda”, un bolognese (faceva di cognome Roversi, credo, da non confondere assolutamente con lo scrittore Roberto Roversi). Se lo rileggi attentamente, ti accorgerai – e tanto più oggi – che in quello scritto il «principio speranza» (E. Bloch) era, a mi parere, presente ma in sordina; e poco assimilabile alla «scommessa ad occhi chiusi», che tu fai sugli eventi sicuramente straordinari, ma in gran parte ancora indecifrabili nei loro possibili sviluppi del Maghreb.
    Tutti sanno che Fortini non confondeva il comunismo con le esperienze, che a quel nome si erano richiamate nel Novecento (in Urss e Cina ad es.) e lo proiettava nel futuro.
    Da precisare con forza, però, è che lo collegava a lotte reali, in corso o da fare: «Il combattimento per il comunismo è il comunismo».
    Queste lotte avevano per lui un chiaro uno scopo: il comunismo, appunto. Sia pur come «possibilità». E qui c’era la scommessa e il rischio. Ma non una scommessa “ad occhi chiusi”. Perché Fortini parlava di «scelta»: la scelta di lottare per il comunismo, imparando a «riconoscere e promuovere la lotta delle classi».
    Non riduceva, duqnue, il comunismo a una semplice credenza nella sua possibilità futura, a un ideale consolatorio e indistruttibile al tempo stesso (“sì il comunismo è morto in Urss o in Cina, ma resta l’Idea”), che è presente in tutte le religioni.
    Anche se, a differenza delle correnti althusseriane del “comunismo come scienza”, Fortini sottolineava che di scelta (e non di semplice conoscenza scientifica di un processo già in atto nella società capitalistica) si trattava; e che la si poteva fare solo «in nome di valori non dimostrabili» ( mentre la scienza solo sui dimostrabili si poggia). E qui la vicinanza con un atteggiamento religioso è forte.
    E’ però – altra precisazione importante – un atteggiamento religioso attivo, non di semplice attesa più o meno messianica o irenica. E, infatti, Fortini sottolineava che «la lotta per il comunismo […] comporta durezza e odio per tutto quel che, dentro e fuori degli individui, si oppone alla gestione sovraindividuale delle esistenze [semplificando: all’egoismo, all’individualismo]; e flessibilità e amore per tutto quello che la promuove e la fa fiorire».
    Inoltre, in implicita polemica con il pacifismo, egli in questo scritto diceva con estrema chiarezza che «il comunismo in cammino (un altro non ne esiste) è […] un percorso che passa anche attraverso errori e violenze […] comporterà che uomini siano usati come mezzi per un fine che nulla garantisce; invece che, come oggi avviene, per un fine che non è mai la loro vita».
    E ancora: «Ma chi sia dalla lotta costretto ad usarli [gli uomini] come mezzi mai potrà concedersi buona coscienza o scarico di responsabilità sulla necessità e la storia». M’immagino quanta irritazione o repulsione queste parole possano suscitare oggi anche tra i frequentatori di NI.
    Per concludere su questo punto venuto fuori di striscio ma per me importante, ti dico schiettamente che a rendere debole il tuo riferimento al «principio speranza» fortiniano-blochiano è un semplice fatto: tu parli (o sei costretto a parlare) di «democrazia» e a volte con venature – permettimi di dirlo – davvero un po’ “obamiane”. Fortini invece parlava di «comunismo» e fu sempre polemico, come ben sai, con i “filoamericani” d’ogni tipo. (Basterebbe rileggersi «Filoamericani di sinistra colonizzati e contenti» – Talpa/Manifesto 3 mag 91).

    @ ng (nevio, no?)

    Quanto ho ricordato sopra di Fortini e della sua voce sul ‘comunismo’ mi pare in sintonia con quello che hai scritto e che ricopio:

    «A differenza di Andrea, non credo proprio che gli USA e gli altri stati possano rispondere positivamente alle richieste profonde della rivolta […]Non a caso gli occidentali puntano tutto sulla “democrazia”: perché tanto un po’ di partecipazione non la si nega a nessuno, figuriamoci! È il resto, quello che permette il dispiegamento totale della vita delle persone, che verrà negato».

    Concordo anche con quasi tutte le altre tue considerazioni. Sul fatto che per le lotte del Maghreb si possa parlare di rivolte «”di classe”» sarei più cauto.
    Fossero pure di classe, ma se manca – e tu stesso lo riconosci – la classe “per sé”, pur concedendoti che « ciò che viene proposto oggi, per lo meno nell’ambito dell’analisi e delle soluzioni politiche, è anni-luce indietro rispetto a quanto di meglio il marxismo ha, pur con tutte le sue deficienze, elaborato», non posso dire che i conti tornano.
    Tenersi saldi a una qualche «forma di “ortodossia” marxista» può servire ad aver la meglio nelle polemiche coi “democratici” o i neoliberisti d’ogni tipo, ma non a intervenire nelle lotte in corso. Diciamo provvisiramente che Marx è “necessario ma non sufficiente” e cerchiamo quel che manca…

    * Nota.
    Vedo che per la logica dei blog o altri motivi la discussione sulle vicende libiche sta traslocando nel post firmato da Farid Adly. Che si fa, si trasloca lì?…

  129. @ Ennio
    Sono le cause “di classe”, non la rivolta in sé … Ma alla fine ci intendiamo (anche sulla “necessità” di Marx e sulla sua “insufficienza”).

    Direi, a questo punto, anche a fronte della nuova rivolta in Siria, che la situazione si fa veramente interessante: sta per essere ridisegnato tutto lo scacchiere geo-politico dell’area. E allora assume ancora più importanza l’aggressione militare alla Libia, che non a caso è il primo produttore africano di petrolio ed occupa una posizione centrale. Da qui all’Iran il passo è breve (con un occhio rivolto alla “riottosa” Turchia). Da non sottovalutare i richiami di Putin alla necessità di riarmo della Russia.

    Al di là della “bontà” o meno dei rivoltosi, oggi possiamo dire che un obiettivo dell’aggressione militare alla Libia è quello di bloccare sul nascere “la marcia della democrazia” nel Nord Africa. Agli americani (che sono i veri burattinai della fase, col gioco delle parti tra Obama-il-riflessivo e Sarkosy-l’interventista) non interessa la “democrazia”: cercano un governo “amico” con cui fare affari. E così come in Iraq o in Afghanistan, non interessa tanto “vincere” la guerra, ma installarsi sul territorio con basi militari, in modo da tenere costantemente nel mirino i “competitor” …

    Ng (scusate, ma nelle discussioni politiche resto un convinto assertore dell’anonimato bordighiano)

  130. uno sguardo al femminile, l’altra metà del cielo

    significativo questo passaggio!
    “Esemplare della forza raggiunta dalle donne, della profondità e dell’efficacia della loro presenza a tutti i livelli decisionali. Del modo sicuro, non da mammolette, con cui esercitano potere e competenza.
    Le donne di potere non vengono dalla pacifica Venere, ma sono figlie di Marte il guerriero. Come e più degli uomini”

    se non ora quando: VAFFANCULO!

    di Lucia Annunziata

    «Men are from Mars, women are from Venus» (gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere) scrisse nel 1992 lo psicologo e saggista John Gray, intitolando nello stesso modo un fortunato libro che, in era post-femminista, rispolverava l’idea che fra donne ed uomini ci siano differenze fondamentali in quanto a sensibilità, modo di comunicare e di percepire il mondo. Nel 2003 Robert Kagan, studioso di politica estera, ha ripreso lo stesso concetto – maschi e femmine così diversi da sembrare provenienti da differenti pianeti – applicandolo alle relazioni transatlantiche.

    Nel suo libro, anche questo di gran successo, Paradise and power: America and Europe and the new world order (Paradiso e potere. America ed Europa nel nuovo ordine mondiale), Kagan cercava di spiegare così le difficili relazioni fra Stati Uniti e Vecchio Continente dopo l’attentato del 2001 alle Torri gemelle e la guerra in Iraq. Figli di pianeti diversi, gli europei vengono da Venere e gli americani da Marte: «Mentre l’Europa rifiuta il potere e taglia le sue spese per la difesa, gli Usa lo abbracciano, anche grazie al fatto che la loro capacità militare e i loro muscoli finanziari sono ampiamente superiori», ha scritto Kagan.

    In questi giorni sembra che Marte e Venere vengano di nuovo scomodati dopo l’intervento congiunto nei cieli di Libia. In questo caso, però, le parti sono invertite: le femmine diventano figlie guerriere di Marte e i maschi figli pacifici di Venere. Infatti, com’è noto, a Washington un cospicuo numero di donne molto potenti si è schierato a favore di un’azione militare contro Gheddafi. Sono il Segretario di Stato Hillary Clinton, l’ambasciatore Usa all’Onu Susan Rice e due membri del National Security Council, i direttori Samantha Power e Gayle Smith. Contrari invece all’intervento nel Mediterraneo i membri del più esclusivo club maschile di Washington, quello della Difesa, primo fra tutti lo stesso Segretario alla Difesa, Bob Gates, ex membro della Cia.

    Questa schieramento netto è stato interpretato dai media come la prima decisione di “genere” in politica estera. Lo sostiene Andrea Mitchell, della Nbc. E lo ha scritto anche Ben Smith sul suo blog http://www.politico.com: «Ragazze contro ragazzi alla Casa Bianca per quel che riguarda la Libia?».

    I commenti in questo senso sono stati alimentati anche da una serie di indiscrezioni secondo le quali le due donne del National Security Council avrebbero sfidato direttamente i loro capi in sede di discussione. Altre notizie provenienti dall’Onu raccontano di una Susan Rice così decisa a ottenere il voto di tutti contro Gheddafi al punto da aspettare il delegato del Sudafrica fuori dal bagno, per riuscire a convincerlo in separata sede.

    Indubbiamente, una versione divertente dei fatti, ma in molti si domandano quanto ci sia di vero. Smentite sono arrivate infatti da tutte le parti. Ma se è difficile pensare a una sorta di simbolico ratto delle Sabine alla rovescia, la storia rimane esemplare. Esemplare della forza raggiunta dalle donne, della profondità e dell’efficacia della loro presenza a tutti i livelli decisionali. Del modo sicuro, non da mammolette, con cui esercitano potere e competenza. Insomma, se oggi Marte e Venere facessero un salto a Washington, rimarrebbero di sicuro perplessi.

    di Lucia Annunziata – Editorialista de La Stampa, ogni domenica conduce In 1/2 h su Raitre. Vive tra l’Italia e gli Stati Uniti.

  131. Cara funambola,

    “una Susan Rice così decisa a ottenere il voto di tutti contro Gheddafi al punto da aspettare il delegato del Sudafrica fuori dal bagno, per riuscire a convincerlo in separata sede”.

    Chissà quale sarà stata la “separata sede”!
    Ma tu prendi sul serio questa minchionata salottiera( posso usare il termine?) della [Mal]Annunziata?
    Davvero pensi che, quando si sale in cima agli olimpi statali, conti ancora la differenza tra “sguardo femminile” e “sguardo maschile”?
    Sveglia! Abbiamo a che fare con grandi Astrazioni (Stato, Capitale, Burocrazia, Multinazionali, ecc.) con leggi proprie
    che hanno macinato tutte le differenze o le specificità presenti “in partenza” negli uomini e nelle donne lì pervenuti/e.
    Avere la gonna o i pantaloni a quel livello non conta nelle decisioni che vengono prese. E Marte e Venere, essendo dei, collaborano e fanno il gioco delle parti.

    Siccome mi vengono in mente delle citazioni di Fortini chiarificatrici di tanti falsi dilemmi, in cui ci lasciamo tanto facilmente invischiare perchè oggi siamo tutti/e “aideoloigici” e”democratici”, ti copio questa:

    “Costoro […] fingono di non vedere che ogni cozzo di interessi e di passioni traspone, sì, anche quelli sedimentati o rimossi negli individui e nei gruppi umani ma che nelle società moderne tanto le strategie del piccolo negoziante quanto quelle delle grandi potenze assegnano un’importanza sempre minore ai motivi e agli interessi non formulabili in forma razionale.
    Quando il generale Schwarzkorp [quello della Guerra del Golfo del 1991] ordina di sventrare diecimila irakeni non lo fa perché da piccolo la mamma gli negava il seno o il padre lo minacciava di busse; tanto più che egli è probabilmente un uomo di buon cuore, pronto magari ad adottare un orfano di quegli irakeni e amante della musica popolare, dell’Arkansas o della lirica trovadorica o dell’allevamento dei criceti. Lo fa perché NON SAREBBE A QUEL POSTO OVE NON FOSSE STATO SELEZIONATO AI SUOI COMPITI DA UN SISTEMA COMPLESSO DI CUI FANNO PARTE INDUSTRIALI, ECONOMISTI, STORICI, PSOCOLOGI, SOCIOLOGI, UOMINI POLITICI, INSOMMA, TUTTA UNA CULTURA”

    (F. Fortini, Parola chiave: conflitto, in DISOBBEDIENZE II, pp.167-168, manifestolibri 1996]

    *il maiuscolo l’ho usato io per evidenziare

  132. Davvero pensi che, quando si sale in cima agli olimpi statali, conti ancora la differenza tra “sguardo femminile” e “sguardo maschile”?

    caro ennio
    assolutamente no :)
    sono convinta che a certi livelli ci arrivi perchè fai tuo un modello violento e fallocratico ma lo fai tuo anche dal basso, in famiglia, nel posto di lavoro, a scuola, in tutti gli ambiti relazionali.
    le donne non sono geneticamente immuni dal fascino del potere e queste donne con le palle ne sono la dimostrazione.
    ma il discorso è complesso e l’ho affrontato alla nasuea indi per cui accontentati di un bacio e di un abbraccio :)
    la fu

  133. Quando il generale Schwarzkorp [quello della Guerra del Golfo del 1991] ordina di sventrare diecimila irakeni non lo fa perché da piccolo la mamma gli negava il seno o il padre lo minacciava di busse; tanto più che egli è probabilmente un uomo di buon cuore, pronto magari ad adottare un orfano di quegli irakeni e amante della musica popolare, dell’Arkansas o della lirica trovadorica o dell’allevamento dei criceti. Lo fa perché NON SAREBBE A QUEL POSTO OVE NON FOSSE STATO SELEZIONATO AI SUOI COMPITI DA UN SISTEMA COMPLESSO DI CUI FANNO PARTE INDUSTRIALI, ECONOMISTI, STORICI, PSOCOLOGI, SOCIOLOGI, UOMINI POLITICI, INSOMMA, TUTTA UNA CULTURA”

    però qualcosa in merito a questo pensiero la voglio dire

    credo che educare alla non violenza, alla com passione, alla tolleranza, al “comunismo” sia compito non facile perchè richiede la consapevolezza, da parte dell’adulto, che un tale “insegnamento”, prima di tutto testimoniato, porterà tuo figlio inevitabilmente al “fallimento” in questa società, in questo mondo che fa della competizione e del successo la sua nota fondante, il motore della storia
    chi ha il coraggio di far votare i propri figli al fallimento? chi se lo può permettere?
    il passo che mi citi non esclude nessuno e le atrocità commesse in nome del comunismo ne sono la prova provata
    credo, ancora ci credo, che le donne, in quanto portatrici di vita, siano gli unici soggetti in grado di “riflettere” senza sovrastrutture ideologiche sul significato della parola “fallimento”, contrapposto alle parole del “Cazzo”: vincere, combattere, arrivare, emergere,merito, farsi largo, farsi strada, sorpassare, sacrificio,eroismo, patria, bandiera, nemico…le parole della paura, le parole dell’universo maschile avvalorate dalla complicità di quello femminile
    io ci sto provando ad insegnare il “fallimento” e mi si stringe il cuore ma sai, il nostro viaggio è talmente breve che non possiamo permetterci di “tradirci” e di “tradire” questi figli che non hanno avuto la possibilità, come noi del resto, di scegliere di nascere o meno in questo mondo di merda

    credo ma non spero perchè ne ho le prove :)

    baci
    la fu

  134. e ti regalo questo

    “la crudeltà
    nostra più antica caratteristica
    raramente la si dice posticcia, simulata, apparente
    termini appropriati invece alla bontà che
    recente e acquisita
    non ha radici profonde
    invenzione tardiva, non trasmissibile
    che ciascuno si sforza di reinventare
    riuscendovi solo a tratti
    nei momenti in cui la sua natura si eclissa
    e si trionfa dai propri antenati e di sè”

    perchè, come dice tash, la natura è di destra, la “cultura” di sinistra :)

    bacio
    la fu

  135. cara la fu ti invito a un viaggio in 4 tappe, sembreremo profughe, ma viaggeremo su un battello di linea.IL FUTURO è QUI. può darsi che partoriremo. amo l’africa visceralmente, perché non conosce metafore. che delle metafore e dei fini analisti ne ho piene le ovaie (a proposito di politica internazionale, far west e barili banda larga diamanti e farmaceutiche, mi diceva a gennaio, laggiù, un rasta coi capelli rasi e tutti i bolli in regola, compreso quello dei diritti d’autore pagati in anticipo perché in possesso di una autoradio quasi funzionante, now we have all to fight for rights e in quel tutti noi non c’erano solo gli africani e all’annunziata, alla clinton, a tutte le pseudometaveneri pallute cheddire, se non che la loro scalcinata alleanza imperiale è quanto di più grottesco a tutt’oggi si sia mai visto, che l’impero è nudo “persino” in africa, e che al super qualsiasi ho trovato pure gli spazzolini della trisa e le cozze di tamaris e che se scendono dalla noflyzone qualcuno sulla terra, sul battello di linea qualsiasi gli farà posto ma solo se se lo guadagnano e che occhio quando vai a cagare, venere palluta, che anche a te scappa che anche te non ti sottrai, occhio alle eliche terrestri in 4 tappe mentre caghi o marziana)

  136. >>> perchè, come dice tash, la natura è di destra, la “cultura” di sinistra

    provi a rileggere Todesfuge, cara funanbola,

    nella casa abita un uomo i tuoi capelli d’oro Margarete
    aizza i suoi mastini contro di noi ci regala una tomba nell’aria

  137. sempre cara mi fu questa gina!
    ti bacio
    grazie
    la fu

    signor arduino, lei non mi vuole “capire”
    mi capita spesso, non posso farci niente :)
    baci

  138. Francamente non mi sento cosí francescano e nemmeno tanto narodniko!Davvero! Forse è una buona maniera di caricaturare la mia posizione, ma quello che evidentemente io avevo in mente era il militante e non il francescano. In realtá i punti di contatto tra il militante e il monaco sono evidenti e pienamente riconosciuti da Lenin, Gramsci o Bordiga solo che piú che ai francescani si riferivano ai domenicani o ai gesuiti. A questo proposito ci sono anche delle belle pagine di Althusser a proposito di Engels! Io non offrivo spunti sulla Libia perché quello che mi intgeressava esprimere era

  139. una considerazione su come il ceto intellettuale o i gruppi intellettuali vadano rapidamente schierandosi con i propri imperialismi a misura che il conflitto mondiale per il controllo delle fonti energetiche, e per il posizionamento strategico va accentuandosi. Nazione Indiana e Andrea Inglese mi parevano e mi paiono una buon esempio di questo insensibile scivolamento. Non ho informazioni particolari sulle rivolte arabe e sulla situazione libica ma non bisogna avere molte informazioni per capire come l’intervento Francia Usa con o senza Nato sia un momento dell’accentuazione della conflittualitá tra le potenze principali per posizionarsi strategicamente nella lotta feroce per il cointrollo delle fonti energetiche. Che cosí debba essere considerato se si vuole essere intellettualmente corretti e che non si possono attribuirgli altri fini morali o progressisti. Se lo si fa in realtá ci si schiera con le classi dirigenti che vanno posizionando le potenze che appunto esse dirigono in un quadro di conflitto sempre piú teso in cui quelli che pagheranno il prezzo piú alto in vite umane e in perdita di diritti saranno i lavoratori salariati, i disoccupati e, in generale, tutti coloro che appartengono alle classi subalterne. E in questo ragionamento non ci vedo niente di cosí francescano, scusate. In uno dei post di Andrea Inglese vi è un’altra frase illuminante, quella in cui distingue tra una politica interna euna esterna di Obama vedendole come contrapposte. Un Obama progressista e benevolo all’interno e uno imperialista all’estero, è evidente che una politica imperialista all’estero si puó portare avanti solo se anche all’interno si sviluppa una politica altrettanto imperialista. Perché una societá sostenga lo sforzo di una politica imperialista globale è evidente che deve essere organizzata fin nei minimi particolari a questo scopo, dalla scuola elementare fino alla pubblicitá televisiva, devono essere organizzati a questo scopo i servizi sociali e la gestione delle imposte, etc. Poi uno come intellettuale è libero di schierarsi con l’imperialismo che crede meglio, questo si, ma sempre mi stupisce cpon quanta naturalezza e candore ció avvenga sempre. Per questo invocavo la figura del militante, ed è indicativo che questa sia stata immediatamente caricaturata nella figura del francescano. In realtá vi é poco di religioso nella richiesta di assumere il punto di vista “dal basso” e, invece, un evidente pragmatismo: i gruppi dirigenti delle nazioni imperialiste, i grandi gruppi industriali ed economici, le banche, etc dispongono di intelligenze, informazioni, dati, organizzazione, cervelli al lavoro per un quantitá di tempo tale che non si puó pensare di contarpporsi ad esse se non si riesce a mettere in campo qualche cosa del genere, qualche cosa che abbia una analoga capacitá di analizzare, comprendere e modificare la realtá sociopolitica e storica verso un certo fine. Non basta leggiucchiare qualche chomskata e farsi qualche concerto alternativo e qualche allegra manifestazione di protesta. Ora le classi dirigenti dell’imperialismp mondiale i cervelli, l’informazione e il tempo se li comprano a peso d’oro, Coloro che vogliano lottare per una societá senza classi e senza imperialismo non possono comprare cervelli, né tempo. E alloro come fare? Giá come fare? Ebbé devono cercare di formare militanti cioè persone che dedichino la stessa energia di coloro che lavorano per l’imperialismo a lottare per una societá senza classi e siccome non saranno pagati per questo ecco che dovranno farlo in base ad altre motivazione che se volete chiamare religiose fate pure ma è un po’ ridicolo.
    genseki

  140. a ennio,

    “tu parli (o sei costretto a parlare) di «democrazia» e a volte con venature – permettimi di dirlo – davvero un po’ “obamiane”.”

    Della democrazia, hanno parlato tunisini, libici, iraniani, cinesi, tutti quelli che non c’hanno neppure la democrazia liberale, con la divisione dei poteri e le libere elezioni, e tutti i suoi limiti “formali”, non io…

    io la democrazia ce l’ho già (sgangherata, nei fatti oligarghica, ecc.)

    MA la preferisco a gheddafi alla teocrazia iraniana e anche al partito comunista cinese

    poi la democrazia, quella che ho io e hai anche tu, non ha abolito lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo; questo è un dato certo…

    per il resto ti ringrazio dell’attenzione, ma credo di aver detto tutto quello che mi premeva dire, e di aver ascoltato una sacco di cose per me importanti, molto spesso proprio perché non le condividevo

    oggi, anche grazie a questo ascolto, sono più pessimista di ieri

    un caro saluto

    a.

  141. La democrazia di tipo rappresentativo anglosassone è un buon metodo per il mantenimento del potere delle classi che ora lo detengono, I paesi in cui questo meccanismo di centralizzazione delle decisioni e di mediazioni tra differenti interessi delle classi dominanti non si è instaurato, non è che non lo capsicono è che sono troppo deboli per adottarlo, perché la loro centralizzazione e l’articolazione delle loro societá non sono adeguate, per arcaismo, povertá, ritardi di vario tipo e colonialismo. L’instaurazione di una democrazia non è quasi mai un passo avanti verso una societá senza classi anche se puó costituireico , in alcuni casi, un ambiente politico piú favorevole all’autoorganizzazione dei ceti subalterni. La variazione della diferenza nei salari dei lavoratori la stabilisce il mercato, non la politica. Le rivolte arabe comunque assolutamente non si inseriscono nel ciclo di lotte per il welfare, semplicemente perché quelle societá e quegli stati non sono in quello stadio. Le lotte per il welfare, le lotte operaie si che si stanno svolgendo con grande forza in Cina! Ma prima che il Maghreb sia la Cina ce ne vuole.
    genseki francescano

  142. a genseki

    mio caro: hai perfettamente ragione: io sono un imperialista.
    Ora che hai stabilito questo, tutto ok? Hai vinto la tua battaglia telematica? Dormi più tranquillo?
    Adios

    a.

  143. beh, se t ifa dormire un po’ tranquillo, anche a me sti francescani non stanno mica poi tanto antipatici specie quei due che parlavano ai passeri con i saltelli nel film di Pasolini
    Ricordami nelle tue preghiere vespertine
    genseki a compieta

  144. PER RIFLETTERE PIU’ A FONDO SUI “GIOVANI” PROTAGONISTI DELLA “RIVOLUZIONE”:

    DA: http://www.sinistrainrete.info/geopolitica/1303-piero-pagliani-la-libia-e-limperialismo-un-deficit-di-analisi

    Dati gli avvenimenti che si susseguono e non da adesso nel fu Terzo Mondo, è necessario invece approfondire il ruolo e gli interessi dei giovani della emergente e composita classe media (che è quella di Twitter, non quindi “generazione Twitter” come scrissero sul Manifesto in occasione del tentativo di rivoluzione colorata in Iran, ma generazione e classe Twitter) e le loro relazioni con le “masse” suddette. Di solito sono relazioni strumentali, perché i loro interessi sono divergenti, e qui si vede quanto fuori dalla realtà siano i discorsi che accomunano l’Illuminismo antifeudale o i risorgimenti a quanto avviene nel Maghreb e nel Makresh, perché nel caso delle rivoluzioni borghesi europee il proto-proletariato era alleato alla proto-borghesia e la borghesia aveva una strategia nazionale. Qui invece sembrerebbe che la borghesia (per lo meno quegli strati che hanno accesso ai media) sia alleata col capitale internazionale e con chi ne tira le fila o li abbia come punti di riferimento, quanto meno culturali. Per questo le “opposizioni” vogliono l’intervento armato “democratizzante” occidentale (buona ultima la cosiddetta “opposizione siriana”). Per questo i loro slogan sono in Inglese. Il contendere è più liberismo, non meno liberismo. Questo è quanto si capisce, anche se dobbiamo tenere conto che solitamente la comunicazione coi nostri media avviene tramite una lingua occidentale e questo già filtra la posizione sociale e politica degli interlocutori locali.

    [SELEZIONATO DA “IL CONTRABBANDIERE”]

  145. un pericoloso e feroce psicopatico eretto a grande patriota arabo da una mente che si definisce comunista
    roba da chiodi!
    la fu

    Sull’attacco alla Libia
    di Costanzo Preve – 21/03/2011 Fonte: Arianna Editrice

    Al di la del giudizio che si può dare sui quarant’anni della direzione politica di Gheddafi, oggi Gheddafi si comporta come un grande patriota arabo e come un patriota libico. Si comporta come ʿAbd el-Krīm, si comporta come Nasser e come Omar al-Mukhtar. Per tanto è doverso essere totalmente al fianco del popolo libico aggredito e della direzione politica di Gheddafi.
    No alla violazione, della Costituzione italiana e dell’Italia in guerra!
    No alle dichiarazioni di Napolitano, Bersani, Casini e La Russa!
    No alle ipocrite dichiarazioni alla Vendola di equidistanza fra Gheddafi e i bombardamenti colonialisti e imperialisti!

  146. “un pericoloso e feroce psicopatico eretto a grande patriota arabo da una mente che si definisce comunista
    roba da chiodi!”

    Nel senso: da mettere in croce?

    No, non ci sto. Discutiamone. Non mettiamola sullo psichiatrico facile, ma sul politico. Smonta la sua opinione.
    Dì perché non sei d’accordo…
    Non sei una funambola?

  147. @Lorenzo Galbiati.
    Ho letto il contributo Walzer, che di cui condivido i dubbi circa i limiti dell’intervento, ma anche le risoluzioni dell’ONU sulla crisi libica.

    Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU si è espresso una prima volta sulla repressione in Libia il 26/02/2011, con la risoluzione 1970, approvata all’unanimità (http://www.un.org/News/Press/docs/2011/sc10187.doc.htm), dove tra l’altro si legge:
    1) In their explanations of vote, Council members welcomed the unanimity of the action and expressed solidarity with the people of Libya, hoping that their “swift and decisive” intervention would help bring them relief. Many expressed hope that the resolution was a strong step in affirming the responsibility of States to protect their people as well as the legitimate role of the Council to step in when they failed to meet that responsibility.
    Quindi tutti i membri del Consiglio di Sicurezza affermano il diritto di ingerenza dell’ONU negli affari interni di un stato quando questi non onora la responsabilità di difendere i propri cittadini. Tornando alla discussiono di qualche giorno prima, non c’è alcun dubbio circa la piena legalità del diritto di ingerenza.
    2) The Security Council Demands an immediate end to the violence and calls for steps to fulfil the legitimate demands of the population
    3) Decides to refer the situation in the Libyan Arab Jamahiriya since 15 February 2011 to the Prosecutor of the International Criminal Court
    La Corte Penale Internazionale è incaricata di indagare sulle violazioni dei diritti in Libia. Questo indica che la dimensione del problema supera quella di una repressione interna e raggiunge le caratteristiche di fenomeni degni dell’attenzione della ICC. Questa valutazione, accolta all’unanimità nella risoluzione 1970, è in netto contrasto con quella di Walzer: “Ecco, appunto, una repressione, non un massacro, o un genocidio. Una repressione dell’opposizione libica sarebbe stata un fatto drammatico, tragico. Ma purtroppo, non spetta alla comunità internazionale intervenire ogni volta che una rivolta democratica non raggiunge i suoi obiettivi.”
    4) Decides that the Libyan authorities shall cooperate fully with and provide any necessary assistance to the Court and the Prosecutor pursuant to this resolution and, while recognizing that States not party to the Rome Statute have no obligation under the Statute, urges all States and concerned regional and other international organizations to cooperate fully with the Court and the Prosecutor

    Passando alla risoluzione 1973 (http://www.un.org/News/Press/docs/2011/sc10200.doc.htm), osservo nuovamente che non emerge da parte delle nazioni che si sono astenute alcun dubbio circa la legalità dell’intervento, visto che le ragioni della loro astensione riguardano essenzialmente l’efficacia e l’opportunità della risoluzione. Nella risoluzione si legge tra l’altro:
    1) The Security Council considering that the widespread and systematic attacks currently taking place in the Libyan Arab Jamahiriya against the civilian population may amount to crimes against humanity,
    2) Reiterating its concern at the plight of refugees and foreign workers forced to flee the violence in the Libyan Arab Jamahiriya, welcoming the response of neighbouring States, in particular Tunisia and Egypt, to address the needs of those refugees and foreign workers, and calling on the international community to support those efforts,
    3) Deploring the continuing use of mercenaries by the Libyan authorities

    A me pare che ai membri del Consiglio di Sicurezza sia chiaro il problema posto da Walzer e che ritengano che la situazione libica, classificata come crimine contro l’umanità, caratterizzata da ondate di profughi e dal ricorso ai mercenari, vada oltre una semplice repressione e assuma le dimensioni di un fenomeno che richieda l’intervento ONU.

  148. “Nel senso: da mettere in croce?

    No, non ci sto. Discutiamone. Non mettiamola sullo psichiatrico facile, ma sul politico. Smonta la sua opinione.
    Dì perché non sei d’accordo…
    Non sei una funambola”?

    caro ennio
    mi inviti a nozze :)
    però, però se tu avessi letto i miei pensieri, un pochino sopra, e avessi capito, non mi sfideresti in un duello dialettico, che non porta in alcun luogo se non appunto in quello delle opinioni, ed io invece ti manifesto un sentire, che non è prerogativa dei poeti e non può essere scisso dalla realtà, quella che vuoi che io ti racconti
    bene
    gheddafi è un criminale da ascrivere nell’elenco di tanti altri innumerevoli psicopatici criminali che costellano e hanno costellato la storia, la storia, odissea del rancore, come la definisce il mio “amico”

    questo speciale ruolo non potrebbero e non avrebbero potuto rivestirlo, questi aborti della natura, senza la complicità miserabile, interessata, prona, servile di un vasto entourage di cortigiani corrotti nel “profondo”
    e non sufficientemente dotati per aspirare ad essere, criminali con la C maiuscola come, in questo caso, gheddafi

    gli uomini fanno la storia e alcuni uomini la studiano, la pensano, la scrivono e la tramandano,così, come l’hanno interpretata
    ma la storia la puoi scrivere in tanti modi, tanti quanti sono gli sguardi, tanti quante sono le consapevolezze, ed io non conosco nessuno che sia veramente “consapevole” e che sappia dirmi cosa sia la “storia”
    mi racconterà la sua di storia, il suo di sguardo, ma non potrà mai essere la mia di storia, perchè la mia di storia me la devo leggere io

    questo per dire che la storia, gli uomini che scrivono la storia, la dedicano a queste “forti personalità” (infatti la suprema ambizione è quella dell’immortalità, del passare appunto alla storia) che tutti dobbiamo imparare a memoria (imparare a memoria il nome di assassini è davvero molto singolare) mentre la massa, la moltitudine, gabbata nella vita, viene gabbata anche dalla storia
    e quella moltitudine, quella massa, sono vite che gli pulsa il sangue e gli batte il cuore

    ma a loro la storia concede solo il pretesto, il corollario, la cornice entro cui si sviluppano le gesta di eroi o di tiranni col loro seguito di cortigiani, aspiranti eroi o tiranni senza il talento del “capo”
    bene
    io mi dò dignità, mi riconosco unica e irripetibile come riconosco te, ennio, come essere unico e irripetibile
    orbene
    l’uomo che decide della tua vita e della tua morte è un criminale
    gheddafi è un uomo che ha deciso della vita e della morte di altri da lui
    gheddafi è un criminale

    è un sillogismo facile e incontestabile a meno che tu non abbia dentro di te un piccolo gheddafino ( e tutti ce l’abbiamo dentro il male, basta “saperlo”)

    la storia dell’imperio della forza come necessità, concetto caro al teologo mancuso, è trasversale, è l’autolegittimazione del potere, qualsiasi potere, religioso o politico
    io non ci sto:) io mi sottraggo a questa perversa logica che “convince” tutti ed è accettata da tutti, e per tutti intendo uomini e donne di ogni ceto ed estrazione sociale

    io obbedisco al mio di “imperativo” profondo : non fare ad altri quello che non vorresti fosse fatto a te, non mi servono categorie particolari per attenermi a questo “comandamento”

    gheddafi, nella fattispecie, ha fatto ad altri quello che non avrebbe voluto per sè, gheddafi
    ha tradito orribilmente questo semplice “imperativo universale”
    gheddafi è un criminale

    la vita degli altri non è astrazione, è unica e irripetibile, come la tua, cui tieni tanto, tutto

    il mio aspirare ad essere “comunista” non può prescindere dal rispetto per ogni vita fuori di me
    la crudeltà la puoi declinare in infiniti modi, non c’è limite all’orrore, e gheddafi, perchè è di questo povero essere che si parla, entra con merito nella variegata categoria dei “grandi” folli sanguinari

    i nostri bambini imparano a conoscerli fin dalle elementari: siamo bravi a prepararli all’assuefazione all’orrore sotto forma di “così va il mondo”
    facciamo sgranare battaglie, guerre, genocidi, olocausti con una “leggerezza” da fiaba
    la storia infatti è una materia, non un “insegnamento”
    li prepariamo a sostenere l’insostenibile, li prepariamo alll’osceno
    e gheddafi è osceno

    se ti aspettavi un ‘argomentazione con le palle, mi spiace deluderti, io ne sono fieramente sprovvista
    sono una madre io, ho un seno morbido e accogliente e ringhio come una cagna a chi insidia i miei cuccioli

    …poi abito questa terra e scelgo tra il minore degli orrori

    spero di essermi capita ma se hai dubbi, dimmi, cercherò forse di chiarirti meglio, mica bau bau micio micio :))

    molti baci
    la fu

  149. A Ennio Abate,

    in Egitto, in reatà è abbastanza chiaro che un progetto coerente e concreto di liberalizzazione economica era proprio quello di Gamal e del gruppo di banchieri e uomini d’affari a lui vicini. Il gamalismo è stato il tentativo di una parte dei gruppi economici egiziani di inserirsi in maniera più organico nel mercato mondiale. Il tentativo gamalista ha suscitato timore e allarme nei gruppi più legati al capitalismo di stato nasseriano e del’esercito che è una specie di gruppo economico molto importante in un capitalismo tanto arretrato come quello egiziano. Poi soprattiuto l’inflazione che ha causato l’aumento spropositato dei generi alimentari, lo scontento di strati giovanili urbani, e dei piccoli commecianti tormentati dall’arbitrio poliziesco ha dato origine ale manifestazioni cairote che però sembra che non abbiano mai coinvolto più dell’1% 2% della popolazione. Alle manifestazioni si sono sommate le ondate di scioperi nel cuore industriale del paese. I gruppi in contrasto sulla necessità e i dosaggi della liberalizzazione egiziana e la riduzione della presenza publica hanno cinicamente tentato di usare le manifestazoni a loro vantaggio. Poi l’estendersi degli scioperi e dell’insicurezza urbana ha dato il pretesto per il colpo di stato militare che ha avuto soprattutto la funzione di una immediata brutale repressione sindacale, schiacciando le rivendicazoni operaie. Questo più o meno è quanto i può trarre da una lettura della stampa internazionale. I manifestanti egiziani non sembrano quindi essere principalemnte e in modo militante adepti del neoliberismo che era piuttosto rappresentato dall’ala gamalista del partito-stato.
    genseki

  150. […] sotto un piccolissimo florilegio delle varie letture. E’ la parafrasi di alcuni commenti ad un post su Nazione Indiana (tra i quali trovate anche la mia posizione, espressa, spero, in modo accettabilmente serio). A […]

  151. Mentre la coalizione dei volenterosi bombarda il territorio libico bruciando milioni e milioni di dollari ogni giorno, tra ieri ed oggi 2000 migranti dei 6000 presenti a lampedusa sono rimasti senza mangiare!
    L’inettitudine di questo governo che si lascia cogliere di sorpresa da un’ondata prevedibile di fuggitivi si intreccia con l’ipocrisia e la malafede della coalizione internazionale, e dell’europa in particolare ,che non si fa carico dei civili presenti sul suo suolo e in particolare di quelli che per motivi logistici sbarcano sulla costa siciliana.
    E’ una vergogna!
    maria

  152. per federico gnech :)

    concedici/mi almeno un giro di ballo con te, chissàmai che si riesca a cogliere qualcosa che ci unisce, suspicious mind :)

    bacio
    la fu

    suspicious mind

    We’re caught in a trap
    I can’t walk out
    Because I love you too much baby

    Why can’t you see
    What you’re doing to me
    When you don’t believe a word I say?

    We can’t go on together
    With suspicious minds
    And we can’t build our dreams
    On suspicious minds

  153. @la fu

    Ma stiamo già ballando larghi giri di (michael) walzer qui, non vedi? Comunque grazie, a me che non son proprio un fan del pelvicaro, quell’Elvis lì, panzone e avviantesi al declino, piace molto.

  154. @ genseki

    Concordo con le tue ultime osservazioni. Sull’altro post di NI dedicato alla Libia (La mia sconfitta, la nostra salvezza di Farid Adly) ho inserito una citazione di Pagliani che va, credo, nella direzione da te indicata.

    @ la funambola

    Gentile (e a me ignota) funambola,
    io a nozze non posso più invitarti. Sappi però che neppure ti ho sfidato a dialettica tenzone: non siamo in una scuola di gesuiti o di partito (di una volta). E’ che, navigando nell’oceano della “democrazia internettizzata”, se trovo qualcuno/a che attacca bottone su un argomento che mi sta a cuore, provo a ribattere. Per ragionare, malgrado lo “stile blog” faccia male ai ragionamenti. Per capire, dialogando, qualcosa di più, se possibile. E perciò ora ti dico:

    1. M’aspettavo argomenti contro la definizione di Preve (Gheddafi patriota). Deluso. Ti limiti ancora a ribadire che è soltanto un «criminale». E senza un riferimento alla cronaca o alla storia. Fraterno mio suggerimento, allora: dai, leggi almeno qualche articolo che possa riportare il discorso sul “mostro” del momento alla realtà.

    2. (Ce ne sarebbero tanti di libri e di articoli. Mi permetto di segnalarti i libri di Angelo Del Boca. O almeno il suo articolo PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI (http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/ricerca-nel- manifesto/vedi/nocache/1/numero/20110319/pagina/01/pezzo/299507/?tx_manigiornale_pi1[showStringa]=Del%2BBoca&cHash=d9fe105c85762268d4dd56706482201b).
    O quello riportato giorni fa su NI nel post LA MIA SCONFITTA, LA NOSTRA SALVEZZA (https://www.nazioneindiana.com/2011/03/26/la-mia-sconfitta-la-nostra-salvezza/) in un commento di maria, pubblicato 27 marzo 2011 alle 09:39. Mosso dal mio sacro fuoco vetero-illuminista e di “cultore della storia”, ho anche cercato sul Web, in fretta e a casaccio. E ti ho trovato un’altra intervista sempre di Del Boca (http://www.nigrizia.it/sito/notizie_pagina.aspx?Id=7260) del 1998.
    «Nigrizia», si sa, non è una rivista pro-criminali. Mi permetto qui anche uno stralcio per i più pigri:

    «Gheddafi prende il potere nel 1969, spodesta una monarchia corrotta e inetta. È giovanissimo e sconosciuto. Cos’è la rivoluzione di Gheddafi?
    Gheddafi era giovane, ma non sprovveduto. Si stava preparando da anni, ascoltava le radio arabe, il suo esempio era Nasser. Era un nazionalista e doveva creare una nazione libica che ancora non esisteva. Sapeva di dover fare subito tre cose e le ha fatte. Prima chiude le basi militari americane e inglesi, restituendo la sovranità al paese. In pochi mesi, già nel 1970, i soldati stranieri sono costretti a lasciare la Libia. Poi, in tre anni, riesce a recuperare le chiavi della sua economia, cioè del petrolio. Idris si accontentava delle briciole della ricchezza libica: un miliardo di dollari l’anno. Gheddafi, già nel 1981, fa affluire nelle casse dello stato ben 23 miliardi di dollari. E allora i libici non erano che due milioni e mezzo di persone. Terza operazione: la cacciata degli italiani. Un fatto doloroso per gli italiani che l’hanno subito, ma Gheddafi non poteva non farlo. Forse una politica più accorta dell’Italia avrebbe evitato l’esodo, ma Roma non capì Gheddafi, Aldo Moro non fece nessun gesto verso il nuovo leader libico e ventimila italiani dovettero andarsene.»

    3. Gheddafi – dice Del Boca – «era un nazionalista e doveva creare una nazione libica che ancora non esisteva». Cioè un patriota. E qui torniamo alla “scandalosa” definizione di Preve che hai sventolato nel tuo primo commento.
    Se negli ultimi decenni, in Italia, non ci avessero rubato la politica e imposto un suo surrogato (il moralismo, che ci stuzzica a controllare e a discutere di quanto accade nelle mutande di B. o delle sue “ragazze” e ci ha fatto dimenticareogni riflessione sui rapporti di produzione e sui rapporti conflituali fra gli Stati o le classi sociali) e ci si ricordasse appena, con Machiavelli, che una cosa è la politica e altra cosa la morale, la definizione di Preve non ti avrebbe scandalizzato.

    4. ‘Patriota’, infatti, è una definizione politica, non morale. Un patriota non è un santo. E il patriota Gheddafi può, come gli altri patrioti che a lui si sono ribellati (speriamo non a comando…), essere anche responsabile di crimini.
    Né oggi né in passato – questa la tremenda verità – nessuno che sia stato o sia ai posti di potere in uno qualsiasi dei vari Stati del mondo è un santo. In misura maggiore o minore (il che non è irrilevante neppure per me) nessuno di loro è esente direttamente o indirettamente dalla responsabilità per un qualche “crimine”.
    Tien an men, Abu Grahib, la repressione dei ceceni, i bombardamenti su Gaza stanno lì a ricordarlo a chi sa ricordare.

    4. Vogliamo allora, senza dimenticare tutto il resto (risultati economici, tenore di vita, dialettica politica, ecc.), parlare anche dei crimini commessi nella storia dai patrioti, dai capi di Stato, dai leader politici?
    Facciamolo. Ma non parliamo solo di quelli di Gheddafi. E non solo quando qualcuno molto in alto dà il via qui da noi a una campagna “anti-crimine” o per i “diritti civili”, preparando il terreno per eliminare un “dittatore” di uno Stato, che viene d’improvviso dichiarato “canaglia” (ricordi Saddam e le sue “armi di distruzioni di massa”?), mentre fino a pochi giorni prima era considerato un buon socio in affari e un fido alleato.
    Vogliamo parlare dei crimini nella storia umana? Facciamolo a 360°, però. Elenchiamo quelli di Hitler. Leggiamoci anche quelli messi in fila nel LIBRO NERO DEL COMUNISMO. Non trascuriamo però – perché mai? – quelle degli sterminatori di indios dell’America Latina o di pellirosse dell’America del Nord o degli sganciatori USA di bombette atomiche su Hiroshima e Nagasaki, ecc.
    Si vedrà che, oltre ai dittatori crudeli e “psicopatici”, molti cordiali e inappuntabili capi di Stato democratici hanno molti scheletri negli armadi. E tu dovresti convenire che, sì, Gheddafi «ha deciso della vita e della morte di altri da lui». Ma lo stesso fanno gli Obama, i Putin, i Sarkozy. Solo Gheddafi è un «criminale»? E perché non lo fu il presidente degli Usa, che diede l’ordine di sganciare le bombe atomiche a Hiroshima e Nagasaki, quando ormai la Seconda guerra mondiale era agli sgoccioli? E, se scavi oltre i miti fondativi di ogni libera nazione, non ci trovi una bella catasta di morti? Gli Usa, attualmente ritenuti campioni di libertà, non sono nati dallo sterminio dei pellirosse e da una sanguinosissima guerra civile?

    5. Tu (ma tanti oggi), saltando a più pari i fatti e le valutazioni storiche dell’operato di Gheddafi, rischi di parlare di un «criminale» immaginario e di confonderlo facilmente con gli archetipi dei Grandi Criminali della Storia, da Caino in poi.
    Non va bene, se vogliamo ragionare. C’è sia l’immaginario sia la realtà storica. Ma non possiamo fare confusione tra le due cose.
    Sarebbe meglio allora – anche se, lo so, è noioso, ci vuole tempo e fatica – dare più ascolto agli storici. Ti scandalizzeresti meno della definizione di patriota per Gheddafi. Avresti meno certezza sulla bontà delle categorie “psicopatologiche” che usi. Ti accorgeresti che spesso sono le circostanze storiche pesantissime a rendere interi popoli e i loro leader “psicopatici”. Ti accorgeresti che forse è la stessa storia umana ad essere “psicopatica”, capricciosa o comunque irriducibile agli ideali: il progresso, la pace universale, il comunismo.

    6. Di fronte all’«eterogenesi dei fini» della storia o al “Male nella storia” anche i più attrezzati cervelli contemporanei balbettano. «Odissea di rancori» (Mancuso?). Irredimibile valle di lacrime, dove puoi solo «far torto o patirlo» (Manzoni). Ferreo scenario “preistorico”, entro il quale da secoli avviene un’oscura e sanguinosa «lotta tra le classi» (Marx), che – si sperava, si diceva, in quell’Ottocento così progressista e troppo ottimista! – il proletariato, unica classe che aveva da perdere soltanto “le proprie catene”, avrebbe abolito e sostituito con una razionale e veramente libera società comunista.
    Queste filosofie della storia hanno ancora un certo fondamento, ma quanto ci appaiono sempre più insufficienti! Non sono la “verità” o la “realtà” scientificamente afferrata e dominata per sempre. Penso tuttavia (forse mi sbaglio) che la storia umana non possa ridursi a sola “storia criminale”.

    7. Ma tu sei una funambola e mi pare che sulla storia ti piace volteggiare. Perciò insisti su «un sentire, che non è prerogativa dei poeti» e che «non può essere scisso dalla realtà». Sentimento contro Realtà, dunque. Ancora il caro Sturm und Drang dei buoni licei di sempre!
    Liberissima, ma t’avverto: vedi che non te la cavi dicendo «la storia la puoi scrivere in tanti modi, tanti quanti sono gli sguardi, tanti quante sono le consapevolezze, ed io non conosco nessuno che sia veramente “consapevole” e che sappia dirmi cosa sia la “storia”».
    Eh, no! La storia (intesa come sapere dei fatti storici, documentati e interpretati dallo storico) non si scrive in mille modi, ma solo in alcuni.

    8. Non te la puoi cavare nemmeno dicendo «la mia di storia me la devo leggere io». Non esiste una storia “tua”, a meno di non intendere l’autobiografia che non può essere confusa con la storia.
    Non è neppure più vero (da pedante ti chiedo: avrai sentito parlare della scuola storica francese delle Annalès e della storia sociale e della storia materiale o della microstoria?) che gli storici fanno ancora e soltanto la storia delle «“forti personalità”». Oltre alla storia dei re, dei leader politici, dei “Grandi” ci sono in circolazione storie dei cavalieri, delle donne, della Chiesa, della sessualità, del rock, ecc.

    9. È per me un’illusione che la «dignità» uno/a se la dà da solo/a. O che da sola tu ti riconosci «unica e irripetibile» e, bontà tua, riconosci anche me. Resta purtroppo un fatto soggettivo o un riconoscimento confidenziale, amicale. Mentre gli altri, specie quelli che ci comandano, continuano a non riconoscerci come unici e irripetibili. Continuano perciò a fare guerre inviando “multipli” in armi a uccidere e a farsi uccidere, a costruire centrali nucleari inaffidabili in zone sismiche, a spostare con un clic capitali da un paese all’altro mandandone in rovina intere popolazioni (Grecia docet), fregandosene della nostra unicità e irripetibilità e trattandoci come numeri, “anime morte”, merci, servi sia pur “democratizzati”.
    Ti auguro di tutto cuore di non doverti ritrovare in una situazione tanto drammatica in cui potrai solo decidere, anche tu come tanti, soltanto di «fare torto o patirlo» o di dover fare ad altri quello che non vorresti mai facessero a te. Questo – kantiano, bellissimo, ma impraticato e impraticabile da milioni di umani – «imperativo universale» è (tra l’altro) meno universale di quanto, da colta europea quale sei, tu creda.

    10. E, permettimi per ultimo, di dirti una cosa che forse ti urterà: con queste tue idee più che «aspirare ad essere “comunista” » tu sei già una brava “cattocomunista”.
    Perché i comunisti, di cui oggi si è persa ogni traccia in Italia (li vede solo B.!) amavano sì, come te, la vita, ma non credevano di doverla solo “rispettare”.
    Senti cosa scriveva uno che il comunismo l’aveva preso sul serio senza mai annacquarlo (alla Bertinotti) o cancellarlo senza dare spiegazioni del “mutamento di pensiero” (come Weltroni, D’Alema, Bersani & C.) per passare sotto altro più stellato padrone:

    Forse il tempo del sangue…
    (1958)

    Forse il tempo del sangue ritornerà.
    Uomini ci sono che debbono essere uccisi.
    Padri che debbono essere derisi.
    Luoghi da profanare bestemmie da proferire
    incendi da fissare delitti da benedire.
    Ma più c’è da tornare ad un’altra pazienza
    alla feroce scienza degli oggetti alla coerenza
    nei dilemmi che abbiamo creduto oltrepassare.
    Al partito che bisogna prendere e fare.
    Cercare i nostri eguali osare riconoscerli
    lasciare che ci giudichino guidarli esser guidati
    con loro volere il bene fare con loro il male
    e il bene la realtà servire negare mutare

    Tu – mi dici – sei una madre. Io sono padre e persino nonno. Abito io pure (malvolentieri) questa terra. Ma ringhiare (e solo per i propri cuccioli) proprio non basta.
    Bisogna- ripeto – pensare dentro la storia non sopra:

    Cercare i nostri eguali osare riconoscerli
    lasciare che ci giudichino guidarli esser guidati
    con loro volere il bene fare con loro il male
    e il bene la realtà servire negare mutare

    Ciao

  155. caro ennio
    mi hai bacchettata a dovere nè! :)
    mi spiace ma io sono una cattiva alunna
    ma le dritte che mi hai dato me le segno, non tutte che molte le ho già frequentate, con gli esiti che hai, per le tue ragioni, fortemente stigmattizzato :)
    però io ti capisco più di quanto tu creda che io capisca
    sì, non sono modesta, ma neanche tu scherzi, visto che mi vuoi fare da maestro :)
    e ben venga, io accetto tutto quello che vuoi essere e ti sono grata per questa risposta lunga e articolata e per il tempo che mi hai dedicato
    ti lascio, da cattocomunista, un pensiero di un “cattocomunista” speciale che dice così: ogni tanto bisogna fermarsi, contemplare l’altra sponda, misurare la distanza, con malinconia e speranza
    molte grazie e molti baci
    la fu

  156. e anche questo che mi casca a fagiolo :)

    “si diventa tolleranti soltanto nella misura in cui si perde di vigore
    si cade amabilmente nell’infanzia
    e si è troppo stanchi per tormentare gli altri con l’amore e con l’odio”

    ed io desidero cadere amabilmente :) concedimelo, sii indulgente

    bacio
    la fu

  157. @Arduino,
    è evidente che:
    1)
    è evidente che l’ONU non ha uno statuto in cui si possa distinguere tra
    – intervento in caso di genocidio interno a uno stato,
    – intervento in caso di repressione interna a uno stato,
    in modo da considerare legale il primo e illegale il secondo.
    Walzer applica parametri etici, non legali, nel giudicare le guerre.

    2) che tra repressione e genocidio c’è in mezzo il mare (non solo il Mediterraneo) e quindi il caso libico è un caso che solo ARBITRARIAMENTE può essere considerato degno di intervento rispetto ad altri simili (perché non imporre una no-fly-zone a Israele che bombarda una popolazione inerme e senza via di uscita che avrebbe il dovere di preservare, stante a Ginevra, e causa 1400 vittime quasi tutte civile in 3 settimane?), se si prende in considerazione la repressione interna a un paese.

    3) che i membri del consiglio di sicurezza ONU agiscono nella più palese violazione delle norme ONU e delle risoluzioni che loro stessi si cuciono ad hoc per il loro operato, quindi deliberano come fosse pacificamente legale ciò che legale pacificamente non è, e non rispettano né nella forma né nella sostanza la loro stessa delibera (si veda quanto sta succedendo ora in Libia), come è (dovrebbe essere) sotto gli occhi di tutti.

  158. @ la funambola

    “mi spiace ma io sono una cattiva alunna”…ed io un “cattivo maestro” che, come si sa, non cercano alunni né alunne ma compagni e compagne.

    Un caro saluto

  159. perché non imporre una no-fly-zone a Israele che bombarda una popolazione inerme e senza via di uscita che avrebbe il dovere di preservare, stante a Ginevra, e causa 1400 vittime quasi tutte civile in 3 settimane?

    Domanda un po’ retorica e che va per la maggiore in rete. Però ha una risposta tecnica semplicissima: Perchè, lorenzo, gli Usa in questo caso metterebbero, com’è loro diritto, il veto a qualsiasi risoluzione Onu del genere, altrimenti l’Onu avrebbe cercato di impedire il massacro. Stop.
    Però va anche detto che Russia e Cina che apparentemente sono così contrarie all’intervento bastava mettessero il veto e il No fly zone non ci sarebbe stato, e invece NON lo hanno fatto. E non mi dite che pensavano che No fly zone non fosse un atto di guerra con tanto di missili, ma solo un bel cielo azzurro mediterraneo, vuoto di nemici e pieno di rondini in volo verso il nord e accettabile anche dai pacifisti, perche gates, per tempo, lo aveva spiegato per filo e per segno in un articolo sul NYT (e Obama infatti non era affatto entusiasta del no fly zone). Il NFZ è un atto di guerra in piena regola e le guerre sarebbe bene non iniziarle mai, perchè poi non finiscono più e trasformano gli uomini e mai in meglio.
    geo
    P.S
    Semmai, nessuno ha qualcosa da dire sulla legge approvata lunedì in israele sulla cittadinanza? non ci sono molti esempi nel passato e quei pochi non sono nè eclatanti ne tanto meno democratici. E’ un vero e proprio no fly zone istituzionale ;-)
    Insomma mentre le masse arabe chiedono (a costo della vita) più democrazia, e mentre cacciabombardieri e missili vengono addirittura in loro aiuto nessuno ha qualcosa da dire su una legge veramente poco democratica (eufemismo) come quella?

  160. INTERVISTA A DEL BOCA SUL DOCUMENTO DELLA MONTAGNA

    Tommaso Di Francesco
    Dal Jebel-Nefusa ultimatum contro Gheddafi

    Allo storico del colonialismo italiano, Angelo Del Boca, è arrivato un documento importante: quello della costituzione del Consiglio provvisorio delle città «liberate» e delle storiche tribù del Jebel-Nefusa, la montagna intorno a Tripoli. Una dichiarazione che si richiama alla «rivoluzione del 17 febbraio» e schiera questi organismi direttamente «sotto la direzione» di Moustafa Abd al-jalil, ex ministro della giustizia di Gheddafi ora tra i leader degli insorti di Bengasi. Appoggiando perdipiù l’intervento della coalizione dei «volenterosi». Un documento esplicito che chiede l’immediata fine del regime di Tripoli.

    Cosa rappresenta questo documento?

    Non è il primo, stilato invece il ad Al Zintan il 29 febbraio. Ora, di fronte alla difficoltà militare di Gheddafi, hanno deciso di riunirsi sabato scorso a Jado, cioè al centro della montagna del Jebel-Nefusa, in Tripolitania. Lì si sono ritrovati i rappresentati delle città di Nalut, Kabau, Awlad Mahmud, Al-Hawamid, al-Rujaban, Jado, al-Zintan, al-Qalaa e Kikla. E hanno inviato questa loro dichiarazione in sette punti a tutti gli stati del mondo ma in modo particolare agli stati arabi e africani, dichiarando costituito il Consiglio del Jebel-Nefusa.

    Come definiresti queste realtà?

    Sono tutte le tribù della montagna. È importante perché Gheddafi ne ha una paura folle, sa che se si muovono questi succede quello che è successo agli italiani che da loro sono stati ricacciati a mare e sconfitti come nella battaglia di Shara-Shat cento anni fa. È importante perché sancisce che passano sotto la bandiera del Consiglio transitorio di Bengasi e si pongono sotto il comando di Moustafa An Al Jalil, ex ministro della giustizia di Gheddafi passato con gli insorti, ricordando che il regiome di Tripoli ha ormai perso legittimità nazionale, nel mondo arabo e internazionale. Inoltre, ed è la prima volta per un documento politico dei ribelli che di fatto non hanno mai fatto arrivare nessuna presa di posizione politico-ideale, insistono che vogliono uno stato rispettoso della legge, interessato alla giustizia e legalità dotato di istituzioni civili e che difenda i diritti umani. Parole assolutamente nuove per la dizione libica. Non è secondario poi certo l’appoggio alla Risoluzione 1973 dell’Onu sulla «protezione dei civili», come la condanna di Gheddafi per avere usato mercenari nella repressione sanguinosa del popolo libico. Appare significativa, ma contorta, la felicitazione al governo del Qatar, degli Emirati Arabi e al Consiglio di cooperazione del Golfo, per l’appoggio dato agli insorti. Mentre giudico rilevantissima la sottolineatura che la Libia deve rimanere una ed una sola, qui diversaamente da qualche istanza separatista che in Cirenaica c’è. La Libia sarà una sola e, dicono, la guerra civile sarà evitata. Eppure c’è già. la conclusione poi richiama dio, ma l’impronta è assolutamente laica e di prospettiva, perché insiste sul superamento degli odi dei quali è stato responsabile Gheddafi.

    Come influisce questo documento sulla sorte della crisi libica nella fase attuale, con i ribelli che, aiutati dai bombardamenti dei «volenterosi», adesso combattono sulla strada per Sirte, e mentre si apre oggi il vertice di Londra che di fatto insedia il comando della Nato

    Oggi c’è la riunione a Londra alla quale partecipa anche l’intellettuale e dissidente Anwar Fekini in qualità di oppositore, probabilmente ispiratore della «dichiarazione del Jebel-Nefusa». Fekini parlerà a Londra e dirà che le città della montagna, in Tripolitania, sono anche loro in rivolta contro Gheddafi e pronte a scendere a Tripoli. Da questo punto di vista, l’ultimo punto della dichiarazione, quello che rifiuta ogni dialogo e accordo che non sia da loro deciso, è un chiaro ultimatum a che il Colonnello se ne vada al più presto. Altrimenti «quelli della Montagna» stanno per arrivare. È probabilmente l’atto politico più forte, in quanto a pressione, che sia mai stato fatto finora in Libia per chiedere la fuoriuscita di Gheddafi. Anche perché, se guardi la cartina della Libia, il Jebel-Nefusa è una striscia di montagna enorme e popolata da almeno trecentomila persone che rappresentano anche una bella marea di popolo che può davvero arrivare nella capitale libica. E sono l’avanguardia storica anticoloniale del paese. Sono quelli che, surclassando i turchi che dovevano difendere Tripoli, hanno sbaragliato il 26 ottobre del 1911 bersaglieri e alpini italiani. Li guidava il nonno di Fekini che si chiamava Mohamed Fechini, che è sceso con tutti i suoi montanari a cavallo e così hanno praticamente distrutto due reggimenti di nostri soldati.

    ECCO IL TESTO DEL “DOCUMENTO DELLA MONTAGNA”

    I sette punti della dichiarazione delle città e tribù del Jebel-Nefusa

    1) (…) Noi ci impegnamo a lavorare sotto la bandiera del Consiglio transitorio (Cnt) sotto la direzione di Mustafà Ab Al Jalil, (ex ministro della giustizia di Gheddafi, ora passato agli insorti ndr.), pronti ad applicare le raccomandazioni e gli ordini del Cnt considerato come unico rappresentate legittimo del popolo libico dopo che il regime di Gheddafi ha perso ogni legittimità locale, araba ed internazionale.

    2) Vogliamo costruire uno stato rispettoso della legge, della giustizia e della legalità, dotato di istituzioni civili che rispettino i diritti dell’uomo.

    3) Ci felicitiamo per la risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza dell’Onu e in particolare per il suo quarto paragrafo che tratta la protezione dei civili (…).
    4) Noi condanniamo l’impiego da parte di Gheddafi dei mercenari sul territorio libico di origine africana e anche non africana.
    5) Ci felicitiamo della posizione coraggiosa del governo e del popolo del Qatar, degli Emirati arabi uniti e degli altri paesi membri del Consiglio di cooperazione del Golfo, della Lega araba, come noi salutiamo la posizione degli stati del mondo libero che si sono accostati a noi in modo particolare la Francia, l’Inghilterra, gli Stati uniti, con i quali aspiriamo di avere delle relazioni fruttuose, dense e costruttive.
    6) Affermiamo il nostro attaccamento deciso all’unità del territorio libico testando, e lo deve sapere tutto il mondo, che la Libia è una sola e stessa famiglia e che la guerra civile non avrà luogo. Inoltre quella di Al Qaeda è una storia inventata da Gheddafi il quale continuerà fino all’ultimo a disseminare discordia e zizzania.
    7) Respingiamo tutto quello che può sviare questa nostra rivoluzione o farla abortire a favore di Gheddafi e dei suoi clienti, rifiutiamo in modo assoluto tutti i tentativi menzogneri che si appellano al dialogo; non accettiamo nessun accordo al di fuori di quello che noi decideremo. Invitiamo a non ascoltare i media che non hanno mai cessato di praticare il terrorismo, la menzogna, la falsificazione, ecc..
    In conclusione, in questa ora decisiva, ci rivolgiamo a tutti gli abitanti delle regioni che subiscono ancora la pressione delle forze di Gheddafi e combattono per la salvezza e per mantenere l’unità nazionale, a serrare i ranghi per costruire una Libia che si sbarazzi di tutti gli ostacoli, gli odi e i rancori che il regime di Gheddafi ha cercato di impiantare negli animi da più di quarant’anni.
    Dio è grande ed è la sorgente di ogni soccorso e risorsa.
    Jado, sabato 26 marzo 2011.
    http://www.ilmanifesto.it/archivi/fuoripagina/anno/2011/mese/03/articolo/4373/

  161. @lorenzo galbiati
    >>>
    1)
    è evidente che l’ONU non ha uno statuto in cui si possa distinguere tra
    – intervento in caso di genocidio interno a uno stato,
    – intervento in caso di repressione interna a uno stato,
    in modo da considerare legale il primo e illegale il secondo.
    Walzer applica parametri etici, non legali, nel giudicare le guerre.
    >>>
    Lo statuto ONU ammette l’ingerenza nei conflitti interni di un paese e non mancano i precedenti, da Cipro, alla Somalia, al Ruanda, così come ammette (vedi capitolo 7 della carta) azioni repressive su chi mette a repentaglio la pace o minaccia popolazioni civili, come è accaduto in Bosnia e per la guerra di Corea. Ciò detto, il discriminante di Walzer non mi pare etico ma quantitativo (termine sinistro e sgradevole quando si parla di vite umane), e discrimina tra repressione e guerra civile (per cui l’ONU è intervenuto ad esempio con la missione a Cipro del 1964, la missione in Somalia del 1994, la missione in Libano del 1978) o tra repressione e genocidio (interventi ONU in Bosnia e Ruanda). Considerando il numero delle vittime, già da una settimana almeno si parla per le vicende della Libia di 8000 perdite di vite umane (come il massacro di Srebrenica, 6-7 volte il numero delle vittime di Cast Lead a Gaza), ci sono testimonianze di uso di mercenari, di massacri di civili, di uso di civili come scudi umani, di esecuzioni di soldati che non vogliono unirsi alla repressione. Quindi la valutazione del Consiglio di Sicurezza è (10 a favore, 5 astenuti) che “widespread and systematic attacks currently taking place in the Libyan Arab Jamahiriya against the civilian population may amount to crimes against humanity”. Quindi in base alle notizie ricevute, la valutazione è che non di repressione si tratta, ma di eventi la cui scala è quella dei crimini contro l’umanità.
    Questo per il passato, vediamo cosa potrebbe riservare il futuro. Gheddafi ha dichiarato che avrebbe mandato a morte i ribelli, che avrebbe ripulito la Libia casa per casa, che chi non lo ama non è degno di vivere. Eccessi retorici o proclami che si sarebbero tradotti in realta? Vogliamo aspettare che una città di 700000 abitanti come Bengasi torni nelle mani di Gheddafi per scoprire se si tratta di vuota retorica o di proclami in stile Radio Mille Colline? Orbene nessuno dei membri del Consiglio di Sicurezza ha avuto dubbi (risoluzione 1970, embargo e deferimento a ICC) e nessuno si è opposto alla successiva risoluzione 1973 (no fly zone). La mia personalissima sensazione è che dopo Srebrenica, Sarajevo e Kigali, ci sia meno voglia da parte dell’ONU di correre il rischio di verifiche sul campo della effettiva volontà di dispiegare la sinistra retorica del massacro promesso e che, a scanso di tragici e tardivi pentimenti successivi, tali promesse e minacce siano sempre prese per fondate.
    Infine considerando che le masse arabe sono in rivolta dal Marocco all’Iran e che altri despoti sembrano inclini a adottare le modalità violente di repressione del dissenso di Gheddafi (Siria, Bahrain e non solo), l’intervento contro Gheddafi vuole nelle intenzioni scoraggiare altre repressioni violente/guerre civili nei paesi arabi. Poi non sempre i fatti si accodano con disciplina alle intenzioni.

    >>>
    2) che tra repressione e genocidio c’è in mezzo il mare (non solo il Mediterraneo) e quindi il caso libico è un caso che solo ARBITRARIAMENTE può essere considerato degno di intervento rispetto ad altri simili (perché non imporre una no-fly-zone a Israele che bombarda una popolazione inerme e senza via di uscita che avrebbe il dovere di preservare, stante a Ginevra, e causa 1400 vittime quasi tutte civile in 3 settimane?), se si prende in considerazione la repressione interna a un paese.
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    Mi rifaccio a quanto ha già osservato georgia in proposito, concordando anche sulla preoccupazione circa l’involuzione della democrazia israeliana

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    3) che i membri del consiglio di sicurezza ONU agiscono nella più palese violazione delle norme ONU e delle risoluzioni che loro stessi si cuciono ad hoc per il loro operato, quindi deliberano come fosse pacificamente legale ciò che legale pacificamente non è, e non rispettano né nella forma né nella sostanza la loro stessa delibera (si veda quanto sta succedendo ora in Libia), come è (dovrebbe >essere) sotto gli occhi di tutti.
    >>>
    La sua affermazione mi sembra apodittica e non supportata da alcun elemento, le palesi violazioni delle norme ONU sono affermate con forza ma non sono dimostrate in alcun modo, non indicando neppure quali sarebbero le norme violate.

  162. arduino,
    su Walzer siamo d’accordo, io dico solo che Walzer non dice quando l’ONU può e quando non può intervenire, dice quando è opportuno intervenire, applicando un criterio quantitativo, che è però etico (in linea teorica, se si parla di genocidio le vite che si possono salvare sono di più di quelle messe in pericolo con l’intervento, in caso diverso non è detto).

    punto 2)
    lei e @georgia
    mi state dando ragione: dicendo che per Israele non si interviene per i veti USA, non fate altro che dimostrare quanto sia arbitrario il decidere se e come intervenire, e quanto all’ONU si facciano gli interessi dei 5 paesi del consiglio di sicurezza. E si potrebbero fare molti altri esempi: lo sterminio russo in Cecenia, per esempio.
    Consiglio questo articolo di Massimo Fini sull’arbitrio delle decisioni ONU.
    http://temi.repubblica.it/micromega-online/libia-le-ragioni-della-guerra-e-della-pace-le-opinioni-di-paolo-flores-darcais-e-massimo-fini/
    I dati dei morti in Libia al momento secondo me non sono minimamente da prendere in considerazione, visto che viviamo in uno dei paesi belligeranti quelli uccisi dal regime di Gheddafi sono, scommetterei, gonfiati, e si vedrà quando si inizierà a parlare di quelli civili uccisi dai bombardamenti e dagli insorti.

    3) le risoluzioni ONU prevedono solo la difesa dei civili, non prevedono
    – truppe francesi o inglesi a sostegno degli insorti (come è probabile che ci siano, vedi i link di Peacereporter, che cita il Sunday Mirror)
    – armare gli insorti, come sta ipotizzando Obama (e come è ovvio supporre stia già accadendo)
    – fare una missione con lo scopo di ribaltare il regime di Gheddafi
    E’ del tutto evidente che questo sta avvenendo e che questo non è scritto sulle due risoluzioni ONU.
    E’ cioè evidente che l’ONU ha approvato in grande fretta un intervento francese preparato da tempo, che aspettava giusto la firma della 1973 per diventare effettivo, come ha fatto a tempo record.

    PS che lo statuto ONU preveda l’intervento in uno stato che non minaccia altri stati, come già detto, a me non risulta, ma ribadisco
    – dovrei far ricerche
    – il diritto internazionale è farraginoso ed ellittico, e si presta a mille interpretazioni, da quel che capisco io. Del resto, lo stesso vale per l’articolo 11 della Costituzione italiana.

    PPS Arduino, lei è anonimo o identificabile con nome e cognome, recapito o altro su internet?

  163. @lorenzo galbiati
    >>>
    PPS Arduino, lei è anonimo o identificabile con nome e cognome, recapito o altro su internet?
    >>>
    Vista la sua esplicita richiesta, vi sento in dovere di declinare le mie generalità e di presentarmi quindi come tal Mauro Gorrino. Ho ritenuto opportuno non firmarmi con nome e cognome proprio per evitare che il mio essere men che nessuno inficiasse la pur minima credibilità che le mie osservazioni potessero guadagnare.

    Ribadisco di non essere un esperto di politica internazionale anche se sono molto curioso del mondo e che la mia principale vocazione si estrinseca in una tenace e tignosa tensione analitica volta a verificare le affermazioni e a scavare oltre gli slogan, gli schemi e i taglia/incolla troppo automatici.

    Infine, anche se ne capisco poco pure di elettronica, la scelta dello pseudonimo Arduino mi deriva casualmente da questa oggetto http://www.arduino.cc/ che in mano a gente fantasiosa diventa motore di estrosa creatività.

  164. @lorenzo galbiati
    Tornando al merito della discussione e cominciando dalla fine del suo intervento, il testo dello Statuto delle Nazioni Unite si trova qui:
    http://www.un.org/en/documents/charter/

    Leggendolo mi sembra di capirlo, anche se non credo di poterne fare una seria esegesi. L’articolo 2 comma 7 indica chiaramente che le faccende interne dei vari paesi non riguardano l’ONU, ma con i limiti imposti dal Capitolo 7. E la prassi di 70 quasi anni di vita dell’ONU (Cipro, Libano, Somalia ecc.) mi fa pensare che il diritto di ingerenza in caso di gravi rischi per le popolazioni e per il mantenimento della pace sia riconosciuto.

    Considerando le abitudine manesche e la brutalità di Gheddafi, già dimostrate in precedenti circostanze, le cifre relativi alle vittime, benché non verificate/verificabili, non mi sembrano inverosimili.

    Ritengo poi un po’ troppo meccanico e non documentato il collegamento tra un presunto pianificato intervento francese e la risoluzione del Consiglio di Sicurezza, quasi fosse venuta a forzato traino della predefinita strategia di Sarkozy.

    Infine, anche se probabilmente non ha bisogno delle mie raccomandazioni, vorrei invitarla a evitare lo schema forzato di interpretazione in 3 atti che viene spesso adottato nel caso di crisi internazionali. Schematizzando parecchio, arrivando forse al limite della messa in caricatura, accade che:
    1) A opprime B, scatta la crisi umanitaria
    2) l’Occidente non interviene e quindi si assume la responsabilità della crisi, non impedendo a B di opprimere A
    3) l’Occidente si decide a intervenire e quindi si assume la responsabilità della crisi, B diventa il campione dell’anti-imperialismo e tutte le magagne di A, complice dell’Occidente imperialista, vengono denunciate.

  165. @lorenzo galbiati
    Tornando al merito della discussione e cominciando dalla fine, lo Statuto ONU è sul sito dell’ONU stessa http://www.un.org/en/documents/charter/. L’articolo 2 comma 7 e il capitolo 7 pecificano le condizioni e le modalità di intervento dell’ONU e una prassi consolidata (Cipro, Somalia, Libano, Bosnia, Biafra) dimostra la liceità dell’ingerenza nei conflitti interni a un paese.

    Ritengo poi un po’ troppo meccanico il nesso tra le strategie francesi e la risoluzione 1973, il Consiglio di Sicurezza si era già espresso sulla Libia con la risoluzione 1970 e l’approvazione della no fly zone è arrivata quasi all’ultimo secondo utile prima del dilagare dei mercenari e delle truppe di Gheddafi a Bengasi. Quanto al numero delle vittime (8000), per quanto non verificato e al momento non verificabile, non mi pare improbabile vista la spietatezza delle repressioni di Gheddafi nel passato e i soui proclami che profetizzavano stragi per gli insorti.

    Infine vorrei invitarla a evitare lo schema forzato di interpretazione in 3 atti che viene spesso adottato nel caso di crisi internazionali. Schematizzando parecchio accade che:
    1) A opprime B, scatta la crisi umanitaria
    2) l’Occidente non interviene e quindi si assume la responsabilità della crisi, non impedendo a B di opprimere A e rivelandosi complice se non mandante dell’oppressore
    3) l’Occidente si decide a intervenire e quindi si assume la responsabilità della crisi, B diventa il glorioso campione dell’anti-imperialismo e tutte le magagne di A, ora servo dell’imperialismo, vengono denunciate

  166. Ritengo poi un po’ troppo meccanico e non documentato il collegamento tra un presunto pianificato intervento francese e la risoluzione del Consiglio di Sicurezza, quasi fosse venuta a forzato traino della predefinita strategia di Sarkozy.

    maria
    arduino lei è persona molto precisa ed esperta, la pensavo quasi un funzionario dell’onu:-) invece fa parte, a quanto leggo, di quella gente comune tanto cara alla funambola e anche a me, però devo dirle che lei nutre troppa fiducia nella forza e nell’autonomia dell’ONU che come saprà funziona in base a precisi rapporti di potere fra gli stati che la compongono. Anche lì non si muove foglia che Dio non voglia.

    Non saprei dirle come affrontare i gravi conflitti che scoppiano tra stati e dentro gli stati, ma penso che non sia questione regolabile soltanto con norme giuridiche ma dall’equilibrio che via via viene a crearsi tra gli stati del mondo dominato, per adesso, da una sola ideologia, quella capitalistica, per cui all’occorrenza non si va tanto per il sottile.

  167. Grazie Arduino per essersi esposto personalmente. Per inciso, non capisco perché un anonimo dovrebbe essere preso più sul serio di chi, sconosciuto come lei e me, si espone di persona.

    Ecco la conferma di quanto le risoluzioni ONU servano a ratificare un’impresa già pianificata da tempo, in Libia.

    http://it.peacereporter.net/articolo/27653/Truppe+Usa+in+Libia+gi%E0+da+settimane

    Per ora, di fretta, nel suo schema a 3 punti, io direi che se B opprime A e scatta la crisi umanitaria, nella maggioranza dei casi lo fa già in partenza con la complicità dell’Occidente.

    Le risponderò sul resto.

  168. @maria

    Non credo che i comportamenti dell’ONU siano unicamente determinati dalla rigorosa osservanza dello Statuto delle Nazioni Unite, ma per chiarezza ritengo opportuno tenere ben distinte le discussioni sulla legalità delle risoluzioni ONU da quelle sulla realpolitik che si muove dietro le quinte, per me sono due cose ben distinte affermare che una risoluzione è illegale o che la risoluzione è stata presa sotto la spinta interessata di una o più superpotenze.

    Senz’altro sono d’accordo con lei che l’economia capitalistica giochi un ruolo essenziale nell’equilibrio e nelle scelte globali, ma non credo sia l’unico motore della politica attuale. Nella competizione per le materie prime e per le fonti energetiche gioca un ruolo sempre più importante la Cina, che non so quanti dei lettori e dei commentatori di N.I. inquadrerebbero sotto l’etichetta di economia capitalistica, perlomeno non nell’immagine tradizionale e sclerotizzata del capitalismo cattivo europeo e nordamericano. Il Sudamerica si è in gran parte emancipato dalla sudditanza economica e politica dagli Stati Uniti ed è in grado di discutere alla pari con gli ex-padroni yankees, così come l’India e altri paesi dell’Estremo Oriente stanno guadagnando in peso politico e economico. Proprio non credo all’annunciato, da molti auspicato, dallo spesso annunciato a breve ma ancora non realizzato Armagheddon del capitalismo classico, ma credo che il mondo sia animato da tensioni contrastanti che vanno oltre al modello dell’unica superpotenza planetaria.

    A questo aggiungo che là dove l’informazione è più libera e dove i governanti devono periodicamente presentarsi davanti agli elettori, la soglia di tolleranza rispetto a massacri, crimini contro l’umanità, repressioni è ancora relativamente bassa, per cui i governanti stessi sanno che è per loro controproducente presentarsi inetti e indifferenti rispetto alle violazioni più atroci dei principi democratici e di rispetto della vita cui ispirano i loro proclami politici. Insomma le pubbliche opinioni esistono e, per quanto manovrabili, per quanto selettive nelle loro scelte di indignazione, sono in grado di condizionare i comportamenti dei loro governi. E magari un po’ di sincera adesione a quei principi rimane sia nei governanti dei paesi democratici e sia nelle elefantiache burocrazie dell’ONU.

    Insomma per me la partita si gioca tra tensioni contrastanti di realpolitik, tra (residui di) tensioni ideali, tra organizzazioni internazionali dagli altissimi obiettivi e dalle più limitate capacità operative. Comunque una realtà troppo complessa per essere affrontate a botte di slogan e di taglia/incolla.

    @lorenzo galbiati

    Circa il punto B della mia semplicistica sceneggiatura di crisi umanitaria internazionale, lei sopravvaluta le potenzialità dell’Occidente, il mondo, come scritto prima, è più frammentato di quello che sembra e anche Cina, Russia, Iran tra gli altri hanno già dimostrato una buona capacità di oppressione. E purtroppo il know how dello sterminio è ben distribuito e non esige raffinate tecnologie, si legge che per il genocidio del Ruanda bastarono 750mila dollari per acquistare un’enorme partita di machete importati apposta dalla Cina.

    Circa l’invio di contingenti di terra americani in Libia prima della risoluzione ONU, ammesso che la notizia sia confermata (la fonte Fox Television è la forza trainante dell’opposizione repubblicana più dura e estremista contro Obama), tendo a interpretare questa manovra più come necessità operativa che come piano predefinito. Quando tra gli scenari possibili dell’evoluzione di una crisi c’è anche l’intervento militare, allora si rende necessaria una azione preventiva di raccolta di informazioni sul terreno o attraverso altri canali in modo tale di essere pronti nel caso in cui la faccenda prendesse quella piega. Questo non vuol dire che l’intervento militare sia a priori l’evoluzione desiderata e pianificata tra quelle possibili, anzi continuo a pensare che uno scenario all’egiziana o alla tunisina sarebbe stata di gran lunga preferita da Obama e dai suoi, che si è subito trovato contro i repubblicani e una parte importante dell’opinione pubblica sull’intervento in Libia.

    Aggiungo una ulteriore osservazione, si vede proprio che oggi sono ispirato a banfare sui massimi sistemi. Che i nostri tentativi di comprensione del mondo passino talvolta attraverso la costruzione di una narrazione costruita con i materiali che vogliamo ordinare è cosa ben nota, ma è bene ricordare che le possibili narrative alla fin fine si basano su di un numero ristretto di schemi. Lo schema narrativo più semplice prevede il villain, il bad guy cui si oppone l’eroe, uno schema diretto e efficace che nella sua dichiarata dicotomicità tra bene e male è molto insidioso perché spesso tende ad attirare i migliori, quelli cioè animati da forti pulsioni etiche e molto sensibili a discernere ciò che è giusto e ciò che è ingiusto. Di mio penso che la tendenza verso narrative gratificanti dal punto di vista etico porta spesso a una comprensione troppo semplificata del mondo e non credo a una narrazione che preveda in ogni crisi umanitaria un ruolo fisso di villain incarnato dalla stessa entità corrisponda a quello che nel mondo realmente accade. (Scrivendo questo devo riconoscere di essere in difficoltà con me stesso, perché la narrativa che elaboro sulle vicende italiane ha un interprete fisso per il ruolo negativo, cioè il ben noto e miserrimo satrapo di Arcore, ma in qualunque modo io affronti il problema, mi ritrovo a giungere alla stessa conclusione …)

  169. La sfida dei migranti all’ispettore Clouseau
    Alessandro Robecchi
    Chiedo scusa ai critici cinematografici de Il manifesto, ma sono
    costretto a rubargli il lavoro.

    Recensione: I tunisini sfidano l’ispettore Clouseau (Italia, 2011, con
    Roberto Maroni, Silvio Berlusconi e qualche migliaio di comparse).
    L’ispettore Clouseau (Roberto Maroni) strilla da mesi che il paese sarà
    invaso da pericolosissimi immigrati clandestini, ma quando gli immigrati
    previsti arrivano, l’ispettore Clouseau viene colto di sorpresa: «iete
    sgià qui? Tropo velosci!». Con una mossa di rara astuzia li lascia senza
    cibo, seduti su un molo a Lampedusa. Poi arriva il suo principale
    (Silvio Berlusconi) e dice che lì deve fare un campo da golf e un
    casinò, quindi bisogna spostare i clandestini. L’ispettore Clouseau
    appronta in fretta e furia una tendopoli dove deporta migliaia di
    clandestini. Quelli, con mossa astuta, scavalcano la rete metallica e se
    ne vanno. «Maledisione! Non sci avevo pensato!». Allora l’ispettore
    Clouseau appronta altre tendopoli in tutta Italia, manda i pompieri su è
    giù come pendolari, ma sindaci e governatori gli fanno chi marameo, chi
    il gesto dell’ombrello, altri ridono. Infuriato, l’ispettore Clouseau
    parla di respingimenti. Stavolta ridono i giovani tunisini. Allora,
    mossa a sorpresa, Clouseau va in Tunisia con Berlusconi e un po’ di
    soldi per chiedere alla Tunisia di riprendersi i tunisini. Interessa un
    campo da golf? Interessa un casinò? E se mi compro una villa a Tunisi?
    Ridono anche in Tunisia. Si chiude in un tramonto mediterraneo, con
    Clouseau e il suo capo che chiedono un passaggio a un barcone per
    tornare in Italia. Il film appare sconclusionato, senza regia e
    piuttosto improvvisato. Unica nota positiva, lo straordinario talento
    comico del protagonista (azzeccati gli occhialini rossi), mentre la sua
    spalla, Silvio Berlusconi, sembra imbolsita e stanca. Ottime, invece, le
    comparse tunisine: molte di loro non hanno avuto nemmeno il cestino per
    il pranzo, hanno capito che il cinema italiano è in crisi e vogliono
    andare in Francia.
    (una moltitudine di sfide all’ispettore: http://www.youtube.com/watch?v=RMxzN-WB_0E&feature=player_embedded
    siamo… tutti tunisini)

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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