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[1] LE VIE DEI GRANDI CONVOGLI di Vaclav Janovič Dvoržeckij


Dmitrij Dmitrievič Šostakovič [1906-1975]
Opus 107 Cello Concerto No. 1 in E flat major [1959] Moderato

Introduzione, traduzione e cura
di ⇨ Anna Tellini

Noi non eravamo terroristi, anarchici: noi leggevamo

     Cinque ragazzi di 18-19 anni si riunivano la sera per leggere ad alta voce Hegel, Schopenhauer, Spencer, I demoni. Per parlare di libertà di pensiero; di libertà di coscienza, di parola e di stampa. Nessun programma, nessun piano.
     Fu per questa via che Vaclav Janovič Dvoržeckij, futuro attore di teatro, e poi di cinema e televisione, entrò a far parte di quella disfunzionale setta di refrattari che per alcuni decenni affollarono – involontariamente, certo – i campi del Gulag sovietico.
     Frutto dell’inesausta selezione staliniana, i lager raccoglievano – è Dvoržeckij a sostenerlo, in una delle sue ultime interviste – le persone migliori del paese, il fior fiore della scienza, la maggior parte dell’élite creativa, nonché una “enorme concentrazione di onestà, coraggio, bontà e libertà”. Distaccare questo resto inammissibile e inassimilabile – puro scarto di non appartenenti – dalla comunità dei nominabili rientrava, come si sa, nelle procedure previste dall’”utopia modernizzante di un’ingegneria sociale purificatrice e civilizzatrice perfettamente controllata” (N. Werth). Di questo principio precario, debole e indocile, in cui rientravano a buon diritto anche i settari, che sopportavano senza opporsi, con l’entusiasmo dei fanatici, tutte le sofferenze, e morivano infine come andassero in paradiso, di questo fuori-potere gli intellettuali erano probabilmente i più inadeguati, inadatti com’erano a un lavoro fisico pesante, e per giunta vulnerabili spiritualmente.
     Di contro, è proprio il lager a svelare al diciannovenne Dvoržeckij la sua piena adeguatezza, la sua capacità di ribaltare l’orrore.
     Intanto, individuato nel corpo il sito di una possibile linea di resistenza, a dispetto delle circostanze stridenti egli ne veglia l’igiene e l’efficienza.
     Rifugge la disperazione.
     Pianifica costantemente la fuga.
     Soprattutto, rischiara il caos con la passione dell’assurdo: “Il mio destino – sosterrà molti anni dopo – mi pare abbia preso una piega eccezionalmente felice. Là ho osservato molto, molto ho visto e compreso”. Dvoržeckij percepisce la misteriosa circolazione tra i differenti livelli di un’esistenza che pare aver congedato ogni senso. ha inizio la sua biografia scenica: “Io sono attore. Sempre, ovunque e in tutto: un attore. Di nascita, per vocazione. Dovunque io sia stato, di qualunque cosa mi sia occupato, quel che mi circondava l’ho sempre recepito in un modo particolare”.
     Il lager gli insegna gli elementi fondamentali del “sistema”: intuizione ferma, attenzione e concentrazione piena. E lo straniamento: “A tutto quel che mi accadeva io guardavo per così dire a parte”.
     Occorreva sviluppare una ricca immaginazione, una solida fede interiore e avere un grande supercompito, per sopportare quel che ha sopportato… Senza contare che la capacità di osservare, ascoltare, ricordare e immedesimarsi lo aiutarono nel concreto delle situazioni: all’occorrenza, entrando in una baracca sconosciuta Dvoržecki poteva, utilizzando brani di conversazioni sentite, possedendo alla perfezione il gergo della malavita, improvvisare l’étude “io sono dei vostri, sono un capo”…
     Di fatto, le sue memorie sono per così dire non tanto scritte, quanto dette dalla scena: una sorta di monologo, appassionato e a tratti pensoso, tramato di discorso diretto e di dialoghi, talvolta con se stesso. Non prosa, ma drammaturgia: un minimo di didascalie, un massimo di repliche (Lazar Šereševskij).
     Infine, un’annotazione. A differenza di Solženicyn, per troppo tempo incarnazione simbolica del lagernik, quasi interprete unico di tutte le altre vittime, o di Nadežda Mandel’štam, che scrissero sostanzialmente per l’Occidente, i massimi scrittori non conformisti sovietici preferivano rapportarsi al lettore patrio. Šalamov, ad esempio, pensava che puntare sull’opinione pubblica occidentale fosse cosa profondamente amorale, indegna di uno scrittore russo.
     Anche Dvoržeckij fa qui un discorso tutto interno, che mira evidentemente a un disegno di autorigenerazione non modellata su valori altrui, né da altri supportata. Il che non gli impedirà, dopo aver sollecitato i detenuti a combattere con i “liberi” contro il nazismo, di apporre una chiusa piuttosto amara alle sue memorie, né tantomeno di rilevare – nell’intervista di cui si diceva – come, una volta liberato, avesse trovato all’intorno “la stessa zona, solo di dimensioni maggiori, e con un numero minore di persone eccellenti…”.

 
     Vaclav Janovič Dvoržeckij (1910-1993), di famiglia nobile, subisce un primo arresto nel 1929, con relativa condanna a 10 anni di detenzione.
     Un secondo arresto, questa volta con condanna a 5 anni, interviene nel 1941.
     Padre di Vladislav e di Evgenij, attori anch’essi, debutta nel cinema a 56 anni.
     E’ riabilitato – ma solo dalla prima condanna – a un anno dalla morte.

 

Vaclav Janovič Dvoržeckij
LE VIE DEI GRANDI CONVOGLI
1

 
     Capitolo X: Medvežka
 
     Il teatro dei servi della gleba all’epoca del lavoro forzato
 
     Carelia. Città di Medvež”egorsk. 1933. Qui c’è la direzione del BBK NKVD: canale del Mar Bianco – Mar Baltico del Commissariato del popolo agli Affari interni. La “tenuta” centrale. La città di per sé è piccola, ma la “tenuta” è un territorio enorme, edificato con uffici, depositi, offcine, baracche, cucine, magazzini munizioni e viveri, bagni, palazzine dei capi. E proprio qui c’è l’edificio del TEATRO.
     Un vero teatro, grande, confortevole! Una scena magnificamente attrezzata, sala, foyer, servizi dietro le quinte – tutto! Anche la troupe è una vera troupe, grande, professionale: un direttore, un regista principale, amministratori, registi, attori, cantanti, artisti del balletto, musicisti, scenografi: tutti detenuti. Anche gli spettatori lo sono. A dire il vero, le due prime file sono separate per i liberi salariati, e i due palchi laterali sono per i capi.
     Nel lager niente sorveglianti, niente scorta. Una tenuta centrale modello, “libera” e… il regime duro.
     Gli attori alloggiano in una baracca a parte, tutti insieme. Le attrici separatamente, nella zona femminile. Ordine esemplare. Per qualunque infrazione al regime o la cella di rigore, o la traduzione ai lavori comuni. Muoversi sul territorio è vietato. E’ permesso recarsi in un ordine organizzato al lavoro: a teatro e ritorno. Si mangiava in baracca. Il comandante destinava dei piantoni, che insieme agli uomini di servizio portavano nelle marmitte il cibo e subito lo distribuivano. Mattina, pomeriggio e sera. Anche il pane lo portavano loro: le “razioni”. Poi nella mensa dell’ITR
2 era individuato il luogo e il momento per “la nutrizione” degli artisti. Non ci si metteva in fila fuori per l’”appello” comune; era l’uomo di servizio del lager ad entrare nella baracca ogni mattina e a ricontare tutti. Avere rapporti coi “liberi” era vietato. I contatti coi detenuti delle altre baracche erano ammessi solo per esigenze di servizio sotto la responsabilità del caposquadra (il regista), con il permesso del comandante. Non c’era steccato o zona reticolata. Il servizio di guardia e il controllo del rispetto del regolamento si notavano poco, ma erano organizzati alla perfezione.
     C’erano anche gruppi di baracche nelle zone chiuse, con vedette e sorveglianza. Anche in bagno si andava in modo organizzato, seguendo un grafico. Il settore approvvigionamento aiutava il teatro con l’organizzazione degli spettacoli. La dirigenza principale (“Ministero della Cultura”) era nel KVO (sezione educativo-culturale), un cui rappresentante presenziava sempre alle prove, come anche quello della “terza parte” – un plenipotenziario operativo dell’NKVD.
     Nella baracca per gli attori, in cui alloggiavano fino a cento persone, trovavano posto anche i lavoratori della redazione del giornale “Perekovka”
3. Tra di loro c’erano persone straordinariamente interessanti: letterati, filosofi, scienziati. Mi è rimasto impresso in modo particolare l’artista Vasilij Vasil’evič Gel’mersen, ex bibliotecario dello zar, un vecchietto piccolo, magrolino, sui 90, sempre sorridente, affabile, spiritoso, energico. Un tempo membro onorario di varie accademie straniere, Gran Maestro, dottore in filologia, possedeva liberamente molte lingue straniere, conosceva in modo sbalorditivo la storia di tutti i tempi e di tutti i popoli, poteva citare a memoria per ore capitoli della Bibbia, declamava Deržavin, Puškin, Blok e per di più ritagliava dalla carta nera delle silhouette stilizzate dall’Evgenij Onegin: Tat’jana, Ol’ga, Lenskij… ad occhi chiusi! Si trovava nei lager dal 1920… Era stato alle Solovki. 4
     Reclutare qualcuno per il teatro era possibile solo col permesso del comandante del lager, su istanza del regista e dell’ispettore del KVO. Gli spettacoli erano di alto livello. Le scenografie erano costruite in modo eccellente, si cucivano dei costumi degni di questo nome, di buona fattura, sulla base degli schizzi di un artista. L’illuminazione, come in qualunque teatro della capitale, era sotto la guida di specialisti di alta qualificazione. E tutti gli altri elementi, come i campanelli, il gong, il sipario, le ouverture, e il resto, tutto era autentico, come in un teatro “libero”.
     Il rigoroso direttore del teatro, Kachidze, abitava a parte, nella baracca dell’ITR e mangiava in mensa. Correlazione con la dirigenza: il repertorio, il rifornimento, le “missioni”, la composizione della troupe, i premi, le sanzioni, tutto era nelle sue mani. Il direttore poteva mandare qualunque attore nella squadra ai lavori comuni, poteva intercedere per la concessione di un colloquio con i familiari, permettere di inviare una lettera in più liberamente (era concessa non più di una lettera ogni due mesi), richiedere la diminuzione della pena o la liberazione anticipata di un lavoratore del teatro. (Naturalmente, questo poteva riguardare solo i condannati per gli articoli comuni e accessori.      All’articolo 58
5 non era mai applicata nessuna agevolazione).
     Ci sono stati dei casi eccezionali, quando lo stesso direttore del BBK Rappoport personalmente, dimostrativamente, alla presenza di molti testimoni ha dato disposizione di ridurre il periodo di reclusione a qualche eminente specialista. Quali siano stati i risultati definitivi non si sa, ma ciò ha prodotto su tutti gli astanti un’impressione molto forte. Mentre per quanto concerne l’”elemento socialmente vicino” – ladri e prostitute, Rappoport molto spesso ordinava di liberare un “lavoratore d’assalto”, una “lavoratrice d’assalto del Grande cantiere” come “emendatisi prima del termine”. Su questo immediatamente si facevano uscire “giornali murali”, “titoli strillati”, e i giornali “Perekovka” e “Zapoljarnaja perekovka” ospitavano i ritratti dei lavoratori d’avanguardia, che il giorno prima con un consapevole lavoro d’assalto avevano meritato la libertà! La patria li aveva perdonati! Che tutti prendano esempio da loro! Il lavoro è una questione d’onore!
     Anche a teatro, nei “concerti”
6 (ed erano frequenti), celebravano questo avvenimento. Mentre al cantiere gli istruttori del KVO organizzavano un meeting. Si esibivano i “liberati” e da un pezzo di carta leggevano “discorsi infiammati”, tipo: “Ho rubato per tutta la vita, non sono sgattaiolato via dalle carceri e così: grazie al potere Sovietico, grazie al compagno Stalin, che mi hanno insegnato a lavorare onestamente e a diventare un uomo utile. Ho deciso di restare nella mia cara brigata ancora un mese per dimostrare a tutte le canaglie, ai nemici del popolo, che nessun loro sabotaggio impedisce a noi, classe operaia, di realizzare il piano con successo e portare a termine il grande cantiere del comunismo – il nostro caro Belomorkanal [canale del Mar Bianco – Mar Baltico N.d.T.]! Chiamo tutti a non perdere di vista la vigilanza e a smascherare i sabotatori, che anche qui si sono annidati e vogliono mandare a monte i nostri piani. Viva il compagno Stalin! Viva il nostro direttore del cantiere, compagno Rappoport!”.
     Non lontano dal teatro si trovava una casa a due piani: l’”albergo”. Là si fermavano i forestieri, e là portavano i reclusi per un’ora, un giorno, una settimana – quel che avrebbe autorizzato la dirigenza. Per incontrare l’attore di operetta Armfel’d è venuto da Leningrado Jurij Michajlovič Jur’ev, famoso attore dell’Aleksandrinka
7. E’ rimasto una settimana intera. Entrare nella baracca degli attori non gli era permesso. Ogni giorno conducevano Armfel’d all’appuntamento. A quanto pare, Jur’ev non ha frequentato anche gli spettacoli. Tutti sapevano che era qui, ma nessuno è riuscito a vedersi con lui, eppure Rachmanov, Svorožič e Litvinov erano suoi buoni conoscenti. Anche Aleksej Grigor’evič Alekseev, direttore artistico, conosceva bene Jurij Michajlovič. Alekseev abitava insieme a tutti nella baracca comune, mangiava anche insieme a tutti, ma spesso riceveva pacchi da Mosca, si distingueva sia per il vestiario che per il comportamento. Non era “accessibile a tutti”, non ammetteva rapporti da “amiconi”, nè bestemmie, scurrilità e villanie. Era un regista colto, fine, intelligente e di talento. Di solito gli “abitanti della baracca degli attori” discorrevano poco dell’articolo [in base al quale erano stati condannati, N.d.T] e del periodo di pena. Era noto che tra gli attori non c’erano né ladri, né assassini. C’era l’art. 58 e la pena di 10 anni. Tutti giudicati dalla “commissione speciale” 8, tutti nell’identica situazione, e le sfumature del caso personale, del “foglio matricolare”, i “punti” non hanno alcun significato. Punto 6: spionaggio; 8: terrore; 10: agitazione; 11: organizzazione; 12: mancata delazione. E’ noto che non c’era niente di questo, e questo non stupiva nessuno. C’era ancora semplicemente il 58: “corruzione dell’armata e della flotta”. Era comico, dato che si riferiva a peculiarità fisiologiche o ad anomalie biologiche, e più precisamente agli omosessuali. In teatro queste persone non si distinguevano in niente dalle altre, solo, probabilmente, subivano di più per sorrisetti d’occasione e allusioni prive di tatto.
     Spesso partivamo con i “concerti” per zone lontane. Partivamo col treno per Belomorsk, Segeža, Sosnovec e perfino Kem’, benché là ormai non ci fosse un canale, ma una base di trasbordo, una base di legname. In treno andavamo senza scorta, accompagnati dal plenipotenziario operativo.
     Per tutta la linea ferroviaria – una sorveglianza occulta. Acchiappavano i fuggiaschi. Gli zeki
9 sono visibili da lontano: rapati, magri, puzzano di zolfo. In treno il controllo e la verifica da Murmansk a Petrozavodsk è incessante, non te la svignerai, e da qualunque parte – continuamente dei lager – dove nascondersi? Dei delinquenti sono scappati. Li hanno acchiappati, percossi, fatti ritornare. Se invece scappava un 58 lo fucilavano, appendevano il “ritratto”: un ammonimento. E per quelli che dormivano sul tavolaccio accanto ai fuggitivi – cella di rigore, cella di isolamento, inchiesta, supplemento di pena per “collaborazione”, per “mancata delazione”. Avevamo paura. Ci sorvegliavamo l’un l’altro… Se scappavi dalla squadra – tutta la squadra in cella di rigore. Responsabilità! Ordine!
     E’ venuto Gor’kij, Aleksej Maksimovič. Quel giorno la brodaglia fu senza cavolo marcio e rassettarono i letti nelle baracche. Ma lui non è andato da nessuna parte. Al meeting al cantiere fece un intervento proprio qui, accanto all’ultima chiusa, accanto al golfo di Povenec. Ha pianto. Per la commozione…
     Parlava di grande entusiasmo, della trasformazione della natura, di accerchiamento capitalistico, di emulazione socialista, del fatto che il lavoro nobilita.
     Gli attori hanno declamato La procellaria, e tutti gridavano: “Gloria a Stalin!”
     Non è venuto, Gor’kij, nemmeno in teatro: dicevano che fosse partito per Apatity o per le Solovki… Ma in teatro per lui avevano preparato un programma speciale con brani dagli spettacoli La madre e Egor Bulyčëv, con Il canto del falco, ma poi questo programma è andato in scena anche senza di lui. Nell’introduzione si diceva: “E’ dedicato al grande scrittore proletario”, e la sala sempre piena urlava “Gor’kij urrah!”.
     Lo spettatore era bravo, diretto, avido, affamato di spettacoli, multiforme e insaziabile. Bisognava vederla questa “babele”! In genere molti erano a teatro per la prima volta. Tutte le repubbliche sovietiche, dell’Unione e autonome. Tutte le età. Tutti gli articoli del codice penale.
     Va in scena lo spettacolo Anche il più saggio ci casca
10. La sala reagisce tempestosamente. Con inverosimile entusiasmo sostiene Glumov! Fischi, risate fragorose, esplosioni di risate, e all’improvviso… silenzio totale… Meraviglioso spettatore!
     Gli spettacoli del “teatro dei servi della gleba” a Medvežka erano sempre una festa, sia per gli spettatori che per gli attori.
     Ecco i cognomi (l’elenco è ben lungi dall’essere completo) di coloro che nel 1933-34 lavoravano a Medvežka:

 

Direttore artistico: Aleksej Grigor’evič Alekseev.
Direttore: Kachidze.
Attori: Nikolaj Parfent’evič Litvinov, Konstantin Grigor’evič Svorožič, Rachmanov, Viktor Remarovič Armfel’d, Vasilij Il’ič Lichačëv, Michail Filippovič Nadol’skij, Michail Vasil’evič Subbotin, Michail Markovič Ančarov, Ivan Efimovič Bogoslovskij, Nikolaj Romanov, Ivan Bomčinskij, Michail Molodjašin, Leonid Molodjašin, Ivan Nikolaevič Rusinov, Vladimir Fëdorovič Peleckij, Vaclav Janovič Dvoržeckij, Nikolaj Alekseevič Volynskij, Igor’ Sergeevič Alander, Dmitrij Petrovič Polkovnikov, Vasilij Aref’evič Mazenkov.
Attrici: Marija Ivanovna Garčinskaja, Zinaida Aleksandrovna Malachova, Nina Bržozovskaja.
Artisti del balletto: Georgij P. Tamancev, Leo Zass, Fëdor Polujanov, Vadim Kozin, Rybakov, Grivkov, Vejs, Dukstul’skij, Pšibyševskij, Frejdman.

 
     Questo teatro era anche per così dire “di corte”. Molto spesso venivano degli “ospiti”. Molti capi del GULAG, il governo, commissioni varie, corrispondenti, e perfino degli stranieri capitavano.
     I capi del BBK ostentavano tutte le “bellezze del luogo”, compresa la principale: il teatro. Per rappresentanza abbigliavano gli attori in modo conveniente, e tutto aveva un’aria “comme il faut”! Provavamo L’intervento e La rottura, recitavamo Il treno blindato 14-69 e La riforgiatura
11 ecc., e inoltre concerti dell’orchestra sinfonica, arte vocale e divertissement.
     Nel marzo 1934 a partire dalla compagine della troupe fu formata una brigata culturale, con alla testa l’ex regista del MChaT2
12 Igor’ Alander, per una spedizione nel nuovo cantiere del BBK – la stazione idroelettrica di Tuloma. Così ebbe inizio un nuovo teatro, il teatro sulla Tuloma, “Tu-Teks”, come lo chiamavano per scherzo gli attori, “Tulomskaja Teatral’naja Ekspedicija” (Spedizione teatrale della Tuloma).
 
 
     Capitolo XI: la Tuloma.
 
     La Tuloma è un fiume nella penisola di Kola, non lontano da Murmansk, stazione Kola, villaggio Murmaši. Il cantiere è a quaranta chilometri dal villaggio, non c’è strada.
     La prima impressione: molta gente. Moltissima! Centinaia di migliaia. Costruiscono baracche, alloggiano in grandi tende disposte dappertutto. Cucine da soldati, da campo, piccoli vagoni per i capomastri, i dirigenti, una nuova grande casa appena costruita per il direttore del lager. Tutto questo su un terreno tutto buchi, come impennato, di massi e di ceppi, in un’enorme gola tra rocce e pini radi, vicino a un fiume freddo, rapido. Si costruisce un lager.
     La prima estate passò interamente nella costruzione degli alloggi. Lavoravamo tutti. Ma erano richiesti interventi della brigata culturale per “sollevare lo spirito”. C’era qualcosa del repertorio pronto: letture, l’armonica, canto, chitarra, ma qualcosa bisognava prepararlo d’urgenza “sul materiale del posto”. Per la preparazione davano dapprima un giorno a settimana, poi due. Scrivevamo e provavamo in una tenda, di materiale riforniva l’ispettore della KVČ
13. Ci si esibiva all’aria aperta, su un palcoscenico provvisorio, se il tempo lo permetteva.
     Estate. Zona artica. Fa luce a lungo.
     Verso l’inverno già si traslocò in una baracca, e il club era pronto, ma faceva un freddo tremendo. Gli spettatori siedono con le giubbe, i cappelli, pestano i piedi – si scaldano. Il vapore di centinaia di respiri e il fumo della cattiva stufa si alzano al soffitto, c’è nebbia in sala; le deboli lampadine illuminano timidamente, come in un bagno a vapore. Sulla scena non c’è nessuna luce : ardono delle lampade, ma lo stesso non si vede niente. Davamo un vaudeville. L’attrice con l’abito scollato si congelò i capezzoli (poi ci furono degli ascessi). La temperatura sulla scena arrivava a 20 gradi sottozero (in strada meno 35 e tormenta). E l’indomani al lavoro, allo sterro, a scavare la roccia, a portare le carriole.
     Gelo, tormenta, notte polare, falò per illuminare e scaldare. Caricare, trasportare è ancora tollerabile, ti muovi, ci si può riscaldare, ma ecco la trivellazione: è molto difficile. Sei accovacciato, tieni in mano la trivella-scalpello (è una verga d’acciaio lunga un metro, a forma di esaedro, come un piccone, affilato in punta), la tieni nelle manopole, certo, verticalmente, mentre il compagno colpisce con una grande mazza questa trivella: tu giri, e lui colpisce. Le mani intirizziscono. Poi tu vuoti con un apposito “cucchiaino” la polvere dal buco, e di nuovo colpisci ancora, finché il buco non diventerà profondo mezzo metro. Così facevano i “trivelli” nella roccia, per poi caricarci l’ammonale e far brillare. Tutto il giorno caricano nelle carriole e portano via le pietre, quelle grandi le spezzano con la mazza, e dopo il cambio fanno brillare i “trivelli” preparati nella giornata. L’indomani di nuovo tutto daccapo.
     Il profondo scavo per la deviazione delle acque l’hanno fatto in due anni. Ma poi divenne difficile portar fuori gli strati. La carriola è pesante, le passerelle strette, su una sola tavola, si scivola, la carriola salterà via, si ribalterà, e tu dietro di lei… Ma qui c’è la “norma”. Il computista annota tutto: se la norma non è realizzata, non riceverai la razione piena. Per gli attori la “norma” è la metà. E lavoravamo solo tre, ma anche due giorni a settimana (ecco qual è la gioia!).
     Ci sono moltissimi operai nello scavo – un formicaio! Il terzo anno ci fu un crollo. Alcune migliaia di uomini restarono sotto i rottami, sei mesi dopo li disseppellirono, li estrassero a pezzi. Spiegarono agli zeki: “Sabotatori! Dappertutto sabotatori!”. E ancora: “Le grandi imprese non mancano di vittime!”.
     Fucilarono l’ingegnere capo. Fecero venire un nuovo convoglio sotto scorta. Il lavoro continuò.
     La maggior parte dei reclusi erano non russi: uzbeki, tadžiki, karakalpaki, moltissimi basmači
14. D’altronde, chissà perché, ritenevano tutti i non russi dei basmači… I delinquenti, come sempre, lavoravano male, i contadini, come sempre, lavoravano bene. La zona 15 si trovava lontano oltre il bosco, e non era permesso avvicinarcisi – sparavano.
     Il primo anno, finché non ci fu il club, trasportavano la cultbrigata nelle filiali del lager vicine, “in tournée”. Una volta eravamo a Kem’. Là avevano appena portato un convoglio di “cannibali” dall’Ucraina
16. Donne di tutte le età, selvagge, semifolli, magre o gonfie, cupe, silenziose. Si diceva che ci fossero quelle che avevano divorato i propri figli. Come se ragionassero così: “O moriremo tutti, o io sopravviverò e genererò di nuovo…”. Ne portarono molte.
     Là, a Kem’, subito scomparve il chitarrista della cultbrigata. Dopo due ore lo trovarono nella baracca femminile… Lo avevano violentato. Giacque in ospedale per due settimane, proprio là, a Kem’.
     Anche sulla Tuloma succedevano dei “portenti”. Ora si rinverrà una ragazza appesa a un ramo per i piedi, la gonna legata sulla testa, e là è pieno di sabbia e schegge. Ora un ragazzo nudo nel sottotetto, il ventre massacrato, imbottito di stracci, aveva cominciato a puzzare. Alle carte i delinquenti perdevano, “punivano”, una volta persero perfino l’appartamento del direttore del lager’
17. Nessuna guardia venne in aiuto – di notte svaligiarono l’appartamento. Anche le prostitute “lavoravano”, nessun ufficio di amministratore poteva farvi fronte, nessuna cella di rigore era di aiuto. Una ragazza in qualche modo si preparava alla libertà, decise di “arrotondare”, si organizzò nella toilette ai margini della zona. Prendeva cinquanta copeche o un pacco di machorka 18. Quando la arrestarono c’erano già dieci pacchi di machorka e 15 rubli.
     E la bestemmia! Una costante, quotidiana ingiuria… Parolacce sporche erano la normale lingua del lager’. Il gergo della malavita, i modi, sono un tremendo contagio per tutti i reclusi. L’atmosfera del lager “tirava dentro” tutti! Era difficile preservare se stessi.
     Il rapporto quotidiano, prolungato con i criminali, i delinquenti, la feccia depositava invincibilmente un’impronta anche su persone beneducate, colte, intellettuali.
     Il teatro in verità condusse una battaglia ininterrotta contro questa bruttura – per la cultura, per la bellezza! Era incredibilmente difficile preservare quest’”oasi”. Ma ancor più difficile rendere il teatro finalizzato e combattivo. Da una parte è complicato trovare un linguaggio comune con gli spettatori, per essere comprensibili e accettati, e dall’altra c’è l’incessante e meticoloso controllo del KVČ e del plenipotenziario, che tentava di mantenere il teatro in un “certo alveo”. Bisogna considerare anche il contingente: all’incirca 10% di criminali – recidivi – lo strato più influente e corruttore, 10% di intellighenzia – la parte più isolata e oppressa, e 80% di “sgobboni” – contadini analfabeti e “minoranze nazionali”. Per giunta nella stessa troupe del teatro c’erano solo 15 attori e intellettuali, gli altri erano criminali anch’essi.
     Non sempre si riusciva a superare le abitudini, i modi, le “complessità” del linguaggio dei nostri artisti dilettanti. Una volta in Chirurgia di Čechov l’interprete del ruolo del dottore “fece un errore di lingua”, suscitando la reazione entusiasta degli spettatori. Cavando un dente al Sagrestano, doveva dire: “Questo, fratello, non devi leggerlo nel coro!”. Ma l’attore a voce alta e con temperamento esclamò: “Questo, troiona, non devi leggerlo nel poro!”
19. Tuono di applausi! I marinai nella scena di massa de La rottura bestemmiavano furiosamente! Era molto organico…
     Girare per il lager di sera era pericoloso. Dopo gli spettacoli accompagnavamo le attrici insieme al comandante. E… tuttavia non preservammo la nostra Julija! Era una meravigliosa, tenera, bella studentessa diciottenne di Leningrado. I genitori, “nemici del popolo”, li avevano fucilati, e lei l’avevano deportata nel lager – né articolo, né termine, una specie di libera-deportata, una specie di reclusa. L’avevamo presa con noi. Era arrivata senza bagaglio, con un cappottino leggero… cappello, scarpette, guanti, borsetta. Julija Jacevič. Era con noi da due anni. Provava, interpretava delle parti, ma non poteva in nessun modo liberarsi del trauma, non poteva abituarsi alla situazione. Ai lavori comuni non la mandavano. Noi la proteggevamo e salvaguardavamo in ogni modo. Ma non ci riuscimmo… La violentarono dieci canaglie: l’avevano persa a carte. Di notte dalla zona femminile la trascinarono imbavagliata nel cortile (le altre donne videro tutto, avevano paura di suonare l’allarme!). La mattina la scoprirono priva di conoscenza, dietro le cataste di travi… In ospedale dopo una settimana si impiccò. Con un fazzoletto da testa alla spalliera del letto. La portarono nella discarica. Così non la vedemmo… Cara Julija.
     Ecco, in questa situazione si mettevano in scena gli spettacoli. Il club diventò più caldo, anche se come prima gli spettatori sedevano in sala vestiti. Misero a punto l’illuminazione. Si costruivano autentiche scenografie. Si aggiunsero molte persone di talento: musicisti, scenografi, letterati, attori.
     Ecco l’elenco degli attori e dei collaboratori del teatro del cantiere della Tuloma GES BBK NKVD (anni 1934-1937).

 

Direttore artistico: Igor’ Sergeevič Alander.
Regista, attore: Vladimir Fëdorovič Peleckij.
Attori: Nikolaj Alekseevič Volynskij, Vaclav Janovič Dvoržeckij, Vasilij Aref’evič Mazenkov, Dmitrij Petrovič Polkovnikov.
Maestro di ballo: Georgij P. Tamancev.
Artisti del balletto: Leo I. Zass, Fëdor Polujanov.
Attore, regista: Nikolaj Ivanovič Gorlov.
Attori: Panna Ivanovna Vremenskaja, Marija Ivanovna Garčinskaja, I. N. Čečel’nickij, A. D. Volodčenko, V. I. Kasjukov, Julija Ju. Jacevič, Z. I. Galibina, N. V. Starostina, L. V. Grozmani, A. Kločkov, G. A. Tartakov, L. A. Michajlova, N. M. Rassadina, V. A. Kulikov, I. O. Fingrut, V. A. Bogdanov, E. G. Gruznova, I. A. Romanovič, P. P. Suslova.
Direttore dell’orchestra a fiati: V. A. Suchodol’skij.
Pianista, compositore: N. P. Zabelin.
Scenografo: Z. I. Chajkin.
Chitarrista: P. V. Korčakovskij.
Pianista: V. N. Kurnykov.
Scenografo: B. A. Varn-Ekk.
Altri collaboratori del teatro: I. A. Černjaev, S. Cejtlin, S. M. Kotikov, V. Z. Eršov, I. M. Sabirov, A. G. Nesterov, M. S. Bukatov, A. M. Rabinovič.

 
     Producevamo un nuovo spettacolo all’incirca ogni due mesi.
     Ecco il repertorio del teatro del cantiere della Tuloma GES dall’aprile 1934 al giugno 1937:
     Don Chisciotte, Avanti, tempo!, Il bambino degli altri, La lega meravigliosa, I soldati della Tuloma, Afrodite, L’avocat Pathelin, Il principe Mstislav Udaloj, Platon Krečet, Colpevoli senza colpa, Slava, Vassa Železnova, La rottura, La locandiera, e altre
20.
     Vaudevilles:
     “Gli zigzag dell’amore”,”Quando appare una fanciulla”, “Il bravo soldato Švejk”, “L’amico segreto”, “L’uniforme”, “La strega”, “Il cappello verde”, “Il lilla persiano”, “Chirurgia”, “GTO”.
     E ancora decine di programmi da “concerto”: canti, danze, lettura, scenette, sketch, una presentazione costruita su temi locali di attualità.
     Il direttore del cantiere GES, Vladimir Andreevič Sutyrin, aiutava molto il teatro.
     Bisogna ammetterlo, Sutyrin era una personalità eccezionale. Funzionario del partito con pratica prerivoluzionaria, nella guerra civile comandava una divisione, più tardi in altri tempi aveva guidato la RAPP
21. Scrittore, poeta, drammaturgo, amico personale di Kiršon e Afinogenov, fu inviato negli organi dell’NKVD, in un cantiere del piano quinquennale. Si può immaginare come si rapportasse al teatro.
     Presenziava sempre alla consegna degli spettacoli insieme al plenipotenziario dell’NKVD e al dirigente del KVČ, e talvolta compariva anche alle prove. Si avvertiva sempre il suo appoggio, il suo patrocinio (benché fosse proibito rivolgersi personalmente a lui, solo con una domanda scritta attraverso il dirigente del KVČ).
     Mettevamo in scena gli spettacoli una volta la settimana, talvolta due, mentre “concerti” e singoli interventi nelle baracche li davamo quasi quotidianamente.
     Nel lager esisteva il “sistema di competizione e lavoro d’assalto”… I “premi” per i vincitori erano attribuiti sotto forma di “consegna” di prodotti alimentari o di un nuovo “vettovagliamento vestiario”: scarponi, giubbotti militari, giubbe. Anche alla cultbrigata toccavano riconoscimenti e ricompense. Consegnavano “diplomi”, “libretti di lavoratore d’assalto”, registravano il cognome sulla “bacheca rossa”, collocavano il ritratto nella Bacheca dei lavoratori d’avanguardia, sul giornale “Zapoljarnaja perekovka”. Tutto come in libertà!
     Nel dicembre 1935 morì Igor’ Sergeevič Alander, direttore del teatro. Si suicidò, gettandosi in un bacino di scarico delle acque. Aveva allora 32 anni. Uomo di talento, intelligente, bello, meraviglioso! Tutti lo amavano. A Mosca aveva una famiglia, moglie e un figlio. Pare che all’inizio ci fossero delle lettere, poi però un lungo intervallo. Infine, dicono, ricevette la notizia che la moglie l’aveva rinnegato, aveva divorziato, si era sposata e aveva cambiato cognome al figlio. Tutto questo fu scoperto dopo, dopo la sua morte, ed era incerto, basato su delle voci. Per il teatro fu una grande perdita.
     Regista principale divenne Nikolaj Ivanovič Gorlov. Era un “confinato-libero”, ma viveva con tutti qui, nel lager, solo in un’altra baracca. Era regista e attore professionista. Mise in scena alcuni spettacoli di successo, gli attori lo rispettavano, ma Alander rimase nei cuori per sempre.
     E qui capitò un’altra disgrazia: a tutti gli articoli 58 fu dato un supplemento di durata, abolirono cioè gli “sconti di pena”. Questa fu, come spiegarono, la risposta agli attacchi dei “nemici di classe”, dopo l’assassinio di Kirov nel dicembre 1934
22. Allora, né più né meno, aggiunsero due anni a Dvoržeckij, Volynskij, Peleckij. Ad alcuni aggiunsero un anno, a qualcun altro un anno e mezzo.
     Nel periodo inquieto, in cui si avvicina la fine della pena, in cui ti prepari alla libertà – ogni giorno dura un anno, ogni ora e ogni minuto sono occupati dai pensieri su ciò che sarà. Come sarà? Dove andare? Che ne è di casa?
     Quando disegni nella tua immaginazione i quadri della futura vita libera così a lungo attesa, di notte non dormi, di giorno non vedi l’ora – all’improvviso sei convocato dal plenipotenziario. Di corsa, con un sentimento di felicità… pronto ad abbracciare il mondo intero!
– Salve!
– Firmate.
– Dove? Qui? – ho firmato -. Di che si tratta?
– Leggete…
– “… su delibera della commissione dell’NKVD… togliere gli sconti… riconsiderare i periodi di reclusione… aprile 1937…”
– Non ho capito niente!
     Ho capito.
     Cuore di ghiaccio: ancora due anni.
– Andate. Il prossimo!…
     Ecco tutto. Passarono sei anni. Ho lavorato, atteso, sperato. Sul Vajgač
23 due anni di lavoro infernale tuttavia sono stati ripagati da tre anni di sconto. E qui, nella zona artica, ci sono stati gli sconti: un giorno per uno e mezzo. Dove sono mai tutti questi giorni, mesi, anni stentati, sofferti, calcolati uno a uno? Ancora due anni! Aspetta… ma non quattro, dunque, qualcosa tuttavia è rimasto?! Ecco quali pensieri, ecco quali sentimenti… Ma che fare? Bisogna andare a lavorare. E giudicare e ragionare di meno. Qualcuno “busserà” 24 – e toglieranno gli sconti residui.
     Meno male che c’è il teatro. IO STESSO VOGLIO RESTARE IN QUESTO TEATRO, nella cerchia dei miei buoni amici. E meno male che non va peggio, che non sono ai lavori comuni pesanti, che è possibile occuparsi della cosa preferita ed aiutare con l’arte gli uomini a restare uomini, a mantenere o acquisire la dignità, a non abbrutirsi definitivamente, a non trasformarsi in bestie! Ditemi se non è la felicità! E’ una missione sacra! Non bisogna tradire la causa cui si è chiamati dal DESTINO! Bisogna lavorare!
 
La seconda parte con i capitoli XII E XIII uscirà lunedì 18 aprile 2011 alle ore 16

 

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NOTE
  1. Si traducono qui gli ultimi quattro capitoli di Puti bol’šich etapov: zapiski aktëra, (Le vie dei grandi convogli: memorie di un attore), Moskva – Nižnij-Novgorod 1994, il cui testo è anche presente (con alcune varianti di cui si è fatto tesoro) in www.dvorjetsky.ru.
  2. Acronimo di Inženerno-techničeskie rabotniki: lavoratori tecnici e ingegneri, categoria di detenuti che godeva di diversi privilegi in termini di vitto.
  3. Ossia “riforgiatura”, il termine – derivato dalla metallurgia – con cui all’epoca si indicava la “rieducazione” del detenuto mediante il lavoro e la detenzione.
  4. Il monastero delle Solovki è oggi “Patrimonio mondiale dell’umanità”. Nel XV secolo monaci ortodossi avevano scelto proprio queste isole deserte nel Mar Bianco per il loro romitaggio. In seguito gli zar avevano scelto le sue celle per rinchiuderci scismatici e settari. Con impressionante continuità, nel 1922 il governo sovietico fa del monastero un lager, con il saccheggio e le conseguenti profanazioni. Dal 1923 al 1939 i campi delle Solovki, o SLON, celebri per la crudeltà dei capi, sono il laboratorio privilegiato per la messa a punto della repressione nei suoi preziosi distillati di lavoro forzato, delazione, violenza psicologica. Tale fu il successo che filiali vennero aperte sulle coste del mar Bianco, in Carelia, negli Urali e sulla penisola di Kola. Nel 1933 il campo delle Solovki venne assorbito dal campo del mar Bianco e del Baltico, ribattezzato prigione a destinazione speciale delle Solovki. Il canale del mar Bianco – mar Baltico, alla prova dei fatti troppo stretto e poco fondo, bloccato dal ghiaccio per metà dell’anno, e dunque di importanza economica marginale, fu uno dei primi cantieri del comunismo ad essere realizzato dai detenuti. Per ordine di Stalin, circa 120 tra scrittori e giornalisti vennero portati a visitarlo, e alcune decine ne scrissero poi con entusiasmo
  5. Consistente di 14 punti, l’articolo 58 fa parte della sezione particolare del Codice penale del 1926 e, rubricato nel capitolo dei “delitti contro lo Stato”, marchia i criminali “politici”. Per dirla con Solženicyn, “in verità non v’è trasgressione, pensiero, azione o inazione sotto il sole che non possa essere punita dalla mano dell’articolo 58”.
  6. Il russo koncert vale qui pubblica esecuzione di opere musicali vocali e strumentali, ma anche di numeri di danza e di varietà.
  7. Così, familiarmente, veniva chiamato il teatro Aleksandrinskij di San Pietroburgo, costruito tra il 1828 e il 1832 da Carlo Rossi (1775-1849). Di questa scena imperiale Jurij Michajlovič Jur’ev (1872-1948) fu attore dal 1893 al 1917, tra l’altro stringendo un clamoroso sodalizio artistico con Vsevolod Mejerchol’d, il cui apice fu il lermontoviano Un ballo in maschera, spettacolo che annunciava la fine del teatro borghese, la morte di un’era, l’avvento prossimo della rivoluzione. Su questa prima redazione dello spettacolo si possono vedere le Memorie dello stesso Jur’ev, parzialmente tradotte in appendice a Vs. E. Mejerchol’d, Un ballo in maschera, a cura e con un saggio di A. Tellini, Roma 2003, pp. 191-229.
  8. Istituita già da Alessandro III, era un organo extragiudiziale della Sicurezza, che emetteva sentenze – dal 1937 anche di condanna a morte – in assenza dell’imputato. Abolita nel 1953.
  9. Dall’abbreviazione z/k di zaključënnyj kanaloarmeec (ossia il detenuto che lavorava nei cantieri del mar Bianco-mar Baltico dal 1931 al 1933). Nell’uso corrente zek indica il detenuto tout court.
  10. Commedia del 1868 di Aleksandr Nikolaevič Ostrovskij (1823-1886). Glumov è un intrigante che cerca di far carriera e di concludere un buon matrimonio, sposando una ricca ereditiera.
  11. L’intervento, di Lev Isaevič Slavin (1896-1984), ha per tema l’unità internazionale dei lavoratori contro le potenze interventiste; La rottura, di Boris Andreevič Lavrenëv (1891-1959), la “rottura” che ha luogo nella coscienza di ogni eroe della pièce e nella vita dell’intero paese; Il treno blindato 14-69, di Vsevolod Ivanov (1895-1963), gli avvenimenti della guerra civile; nel caso dell’ultima pièce dovrebbe trattarsi de Gli aristocratici, di Nikolaj Fëdorovič Pogodin (1900-1962), che tratta dei fasti della “riforgiatura” dei detenuti del cantiere del mar Bianco-mar Baltico.
  12. Teatro nato nel 1913 dal I Studio del Teatro d’Arte di Mosca.
  13. Acronimo di kul’turno-vospitatel’naja čast’: settore culturale ed educativo.
  14. Dall’uzbeko basma, “brigante, picaro”,il termine indicava chi aveva partecipato al movimento patriottico contro l’imperialismo sovietico in Asia centrale: i sopravvissuti alla repressione furono condannati a 10 anni nei campi del nord della Russia. Cfr. Jacques Rossi, Manuale del Gulag, Napoli 2006, p. 39.
  15. “Spazio nel lager delimitato da recinzioni, filo spinato e palizzate, e tenuto sotto tiro da guardie e sentinelle dall’alto delle torrette d’osservazione e dai posti di guardia; ma anche qualsiasi spazio di rispetto: può essere la zona delimitata con segni convenzionali dalla scorta durante un trasferimento e che i detenuti non devono oltrepassare pena la morte”. Voce “ZONA”, del Glossario in V. Šalamov, I racconti di Kolyma, a cura di I. P. Sirotinskaja, Torino 1999, p. 1305.
  16. Tra il 1932 e il 1933 una gravissima carestia colpì vaste zone dell’Urss. Deciso a forzare la collettivizzazione delle campagne, Stalin prese di mira soprattutto l’Ucraina, dove la resistenza dei contadini alla scomparsa della proprietà privata si univa al nazionalismo. La fissazione di quote altissime di prodotti agricoli da consegnare allo Stato fece il resto. Secondo la versione russa si contarono tre milioni di morti, secondo quella ucraina dieci.
  17. E’ frequente, tra i delinquenti incalliti, giocarsi indumenti o proprietà altrui, o «anche “il quinto che entrerà nella baracca” o “il ventottesimo che fa la fila per la sbobba”, eccetera: chi perde deve immediatamente uccidere la persona corrispondente. Oppure ci si gioca una donna […] Molto quotate le detenute giovani e ancora vergini». Jacques Rossi, op.cit., p. 65.
  18. Tabacco molto forte e a buon mercato. “Nel mondo del Gulag la machorka è la valuta più stabile. Una razione di pane standard vale due scatole da fiammiferi di machorka”. Jacques Rossi, op.cit., p. 176.
  19. “Eto tebe, brat, ne na klirose čitat’!”/”Eto tebe, bljad’, ne na krylose čitat’!”
  20. Avanti,tempo!: romanzo (1932) di V. Kataev (1897-1986); Il bambino degli altri: pièce (1933) di V. Škvarkin (1894-1967); La lega meravigliosa: pièce di V. Kiršon (1902-1938, giustiziato); I soldati della Tuloma: di S. Cejtlin, collaboratore del teatro; L’avocat Pathelin, farsa anonima francese del XV secolo; Il principe Mstislav Udaloj: pièce (1932) di I. Prut (1900-1996); Platon Krečet: pièce (1934) di A. Kornejčuk (1905-1972); Colpevoli senza colpa: pièce (1884) di A. Ostrovskij; Slava: pièce (1935) di V. Gusev (1909-1944); Vassa Železnova: pièce (1910) di M. Gor’kij.
  21. Acronimo di Rossijskaja Associacija Proletarskich Pisatelej, Associazione russa degli scrittori proletari, nata nel 1925 e forzatamente confluita nel 1932 nell’Unione degli scrittori, dopo la risoluzione del Comitato Centrale del Partito Comunista sulla letteratura e le arti.
  22. Membro del Politbjuro e considerato da molti il futuro successore di Stalin, Kirov fu assassinato il primo dicembre 1934. Ne scaturì l’invio nei campi o al confino di circa 100.000 abitanti di Leningrado, per la maggior parte accusati di “trockismo” e condannati a 5 anni di confino o 5-10 di lager.
  23. Isola polare dove, dal 1930 al 1936, i detenuti lavorarono per lo sfruttamento dei giacimenti di zinco e di piombo, ricevendo un trattamento che, per la qualità complessiva delle condizioni di vita, non ebbe eguali nell’universo del Gulag. Qui dal 1931 al 1933 Dvoržeckij scontò parte della pena.
  24. Ossia, alla porta del carcere per presentare la propria delazione.

2 Commenti

  1. Bellissima la lotta tra la notte polare e la luce del teatro.
    C’è una drammaturgia del dolore sotto la nebbia,
    una resistenza dell’intelligenza,
    una parola nata dei frammenti della sopravvivenza:
    stanchezza, freddo,mano, fame, albero deserto,
    giorno, inverno, suicidio, vento, canto, corpi.
    Dove era l’anima, in quel ricordo d’infanzia?
    Orsola fa vibrare la musica degli uomini che vedevano un sole.

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orsola puecherhttps://www.nazioneindiana.com/author/orsola-puecher/
,\\' Nasce [ in un giorno di rose e bandiere ] Scrive. [ con molta calma ] Nulla ha maggior fascino dei documenti antichi sepolti per centinaia d’anni negli archivi. Nella corrispondenza epistolare, negli scritti vergati tanto tempo addietro, forse, sono le sole voci che da evi lontani possono tornare a farsi vive, a parlare, più di ogni altra cosa, più di ogni racconto. Perché ciò ch’era in loro, la sostanza segreta e cristallina dell’umano è anche e ancora profondamente sepolta in noi nell’oggi. E nulla più della verità agogna alla finzione dell’immaginazione, all’intuizione, che ne estragga frammenti di visioni. Il pensiero cammina a ritroso lungo le parole scritte nel momento in cui i fatti avvenivano, accendendosi di supposizioni, di scene probabilmente accadute. Le immagini traboccano di suggestioni sempre diverse, di particolari inquieti che accendono percorsi non lineari, come se nel passato ci fossero scordati sprazzi di futuro anteriore ancora da decodificare, ansiosi di essere narrati. Cosa avrà provato… che cosa avrà detto… avrà sofferto… pensato. Si affollano fatti ancora in cerca di un palcoscenico, di dialoghi, luoghi e personaggi che tornano in rilievo dalla carta muta, miracolosamente, per piccoli indizi e molliche di Pollicino nel bosco.
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