Gli specchi

[Prime pagine del nuovo libro di Paolo Nori. La meravigliosa utilità del filo a piombo. Un grazie a MarcosyMarcos. che pubblica libri così. G.B.]

di Paolo Nori

Ecco, a me è successa una cosa che secondo me un po’ c’entra, con il discorso. Cioè io, nel 2009, dopo sei o sette anni che non ci andavo, sono andato alla fiera del libro a Torino. Il giorno prima di andare a Torino sono andato a Parma, con mia figlia, abbiamo dormito a Parma, da mio fratello, e poi son tornato a Bologna, ho lasciato mia figlia a sua mamma, in stazione e, senza passare da casa (abito lontano dalla stazione), ho preso un treno che mi ha portato a Torino. Era tutto calcolato andava bene. Solo che, a Parma, a casa di mio fratello, mi sono macchiato i pantaloni. Allora non potevo andare a Torino star via due giorni coi pantaloni macchiati, e mio fratello mi ha prestato un paio dei suoi. Solo che erano dei pantaloni con la vita bassa, che io non mi ero mai messo, e, il mattino dopo, nel tragitto che, in autobus, porta da casa di mio fratello alla stazione di Parma, mi sono accorto che mi sembrava che mi cascassero continuamente, mi sono trovato a tirarmeli su una ventina di volte, e ho pensato che non potevo star via di casa due giorni con quella sensazione lì che ti caschino le braghe che per me è proprio una sensazione sgradevolissima.
Allora quando siamo arrivati nel piazzale della stazione, era giorno di mercato, con mia figlia siamo andati in una bancarella di cinesi, ho comprato un paio di braghe cinesi. Cinque euro. Un affare. Siamo andati nel bagno della stazione, mi sono cambiato le braghe, con mia figlia che mi guardava. Siamo usciti, era tutto a posto, tranne che, d’un tratto, mi è venuto in mente che avevo lasciato lo zaino sull’autobus. Noo, ho detto a mia figlia, ho lasciato lo zaino sull’autobus. Lei mi ha guardato mi ha detto Noo. Mia figlia ha cinque anni, allora ne aveva quattro. Mi ricorderò sempre il modo in cui mi ha detto Noo. Non so perché, è stata una cosa memorabile. Fatto sta che poi mi sono tastato le spalle, lo zaino ce l’avevo sulle spalle. Allora niente. Eravamo così contenti. Dopo è andato tutto come previsto, sono andato a Bologna, ho lasciato mia figlia a sua mamma, ho preso il treno, sono andato a Torino, son stato a Torino e son venuto indietro. Solo che, quelle braghe cinesi lì, che mi era sembrato che mi avessero salvato, e in un certo senso mi avevan salvato davvero, devo dire che mi sentivo a disagio, con quelle braghe lì. Con le tasche sui fianchi, e un elastico in vita e dei lacci, sia in alto che in basso, per stringerle. Ma che braghe ho? mi chiedevo continuamente. Tutti gli specchi e le superfici riflettenti eran l’occasione per veder come stavo, non ero nelle mie braghe, e continuamente pensavo a come sarebbe stato bello tornare a casa e rimettermi nelle mie braghe.
Ecco io, di solito, quando vado in giro, prendo con me dei taccuini, per scriverci sopra le cose che vedo. E uno ce l’avevo anche lì a Torino, e pensavo che mi avrebbero colpito un mucchio di cose, eran degli anni che non andavo a Torino, alla fiera del libro, ero curioso. Ecco, quando son tornato a casa, mi sono accorto che sul mio taccuino non avevo preso neanche un appunto. Ero così concentrato sulle mie braghe, e sull’effetto che facevo, che l’effetto che il mondo faceva a me non aveva quasi importanza. Ecco. Io ho l’impressione che, per scrivere, sia abbastanza importante trovar delle braghe.

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24 Commenti

  1. assolutamente in cima alla lista dei miei libri da comprare, anche per capire se poi le braghe le ha tenute oppure no!

  2. Ma meraviglioso perché? Perché è scritto nel titolo? Leggo questi commenti pensando al manifesto di TRoL…
    Leggere un libro per capire se quello le braghe se le tiene o no?
    “Un grazie a Marcos y Marcos che pubblica libri così!” Ma così come? Che un’apologia bisogna pure articolarla.
    E poi qualcuno si scandalizza “leggendo di pompini reciproci”?
    A giudicare dall’incipit, debolissimo e inconsistente, mi viene in mente la frase rintracciata giorni fa nel blog di qualcuno. Temo infatti che il libro sia tutto così: “Un nulla agitato da un niente.”

  3. (Paolo Nori è simpatico, a parte quando parla(va) di Libero. Ora pare abbia scoperto che l’onestà intelletuale non è di casa, Borgonovo gli ha cambiato un pezzo, e allora non collabora più – meglio tardi che mai. Scusate l’excursus, non c’entra un tubo ma certe sue posizioni mi erano rimaste lì.)
    Chiusa parentesi: spero il libro sia bello e abbia fortuna

  4. …(((pardon per la ripetizione da ripetente ma non vedevo l’apparizione (eppure a mio modo son credente) del primo commento… il libro è molto bello e pure la confezione editoriale, la qualità e il colore della carta, l’ironia del risvolto, l’eleganza della copertina, il carattere, lo stile, la personalità dell’inchiostro, il profumo della pagina, la polarità del dorso (il dorso polare), un testo tutto scritto in bianco e nori, da vincere, cioè, da non perdere, volevo sinteticamente dire))…

  5. il libro è bellissimo. si fa leggere come se lo si stesse ascoltando, con emozione. e poi a uno che da parma, arriva a san pietroburgo, dopo quattro giorni di macchina, ascoltando musica per ballare il liscio, non si può che volergli bene. paolo nori è paolo nori.

  6. Antonio, sa, ad alcune persone piace leggere libri senza per forza dover articolare un giudizio. A qualcuno può interessare sapere che fine hanno fatto un paio di braghe.
    Così, per curiosità.

  7. Sì, Silvia, ad alcune persone piace leggere libri senza articolare giudizi, lecitissimo ci mancherebbe. Ma Antonio chiedeva di articolare appunto il giudizio a chi di libri – qui sopra – ha scritto. Mi pare altrettanto lecito, no?

  8. ha ragione lorini. magari sbaglio, ma da quel pezzo che avete postato io sento del ritmo, del ritmo e basta. il contenuto è quello che è. non diverte, non emoziona, non fa pensare. magari il resto del libro è altra cosa, ma se è stato pubblicato questo pezzo una ragione ci sarà. e se tutto il libro è così, beh, credo che gridare al capolavoro sia un tantino – ma un tantino, eh?- esagerato.

  9. Antonio, perdona se non articolo, ma ho passato la giornata a fare pompini e ora mi sento la mandibola disarticolata assai.

  10. A me questo pezzo sembra di averlo gia’ letto. Non faceva mica parte di “Baltica 9”? Si plagia da solo?

  11. “un grazie a marcos y marcos, che pubblica libri così”.

    è vero, non si parla di capolavoro. si ringrazia pubblicamente un editore per un libro come se fosse qualcosa di straordinario. o no?:-)

  12. Prendi una ruota di bicicletta, mettila su uno sgabello in un museo, è arte dice Marcel Duchamp, 1902.

    Prendi una psicologia da giovanottone, un linguaggio da perito aziendale, stampalo con una copertina, è letteratura dice lo Zeitgeist, 2012.

    Un disco rotto.

  13. Franz.
    No.
    Si ringrazia l’editore perché pubblica non “un libro così”, ma: “libri così”.

  14. E infatti, Biondillo, Franz Krauspenhaar citava alla lettera il ringraziamento per l’editore “che pubblica libri così”.
    Sbrigate tali precisazioni su capolavoro vs. non capolavoro, libro vs. libri ecc… è possibile chiedere qualche chiarimento sull’essenza di quel “così”?
    Mi pare che qui sopra più d’uno si interrogasse in merito…

  15. Teo, perdonami, ma non ne ho la forza. Sono abbastanza stufo di dover discutere sempre con questi toni sopra le righe.
    Il piacere innocente di condividere una pagina che (a me) pare bella, aggraziata, elegante… la voglia di contattare un editore che non è il mio, col quale non ho alcun rapporto economico, né amicale… il tempo perso per organizzare il post e pubblicarlo… l’entusiasiasmo un po’ infantile per libri comunque “differenti” da quelli da monorotaia dell’editoria italica, quelli mainstream – romanzi a tutti i costi – (libri così, insomma, forse imperfetti ma che preservano la bibliodiversità)…
    e finisce sempre in merda, in insulto, in dietrologia.
    Echeppalle.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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