l’Agnus Dei di Nanni Moretti

di Chiara Valerio

Habemus papam di Nanni Moretti racconta la storia di un uomo che, più di ogni altro, deve fare i conti con le proprie debolezze, le proprie incapacità, le proprie passioni. Quelle che gli sono state negate, quelle che lo hanno indebolito, quelle che, pure, gli hanno donato, se non fascino, dolcezza. Quest’uomo, più di ogni altro, è il ruolo che ricopre. È un Amleto anziano la cui Danimarca è il mondo intero e al quale i ricordi, per il mero fatto di essere il ruolo che gli è stato assegnato, sono stati cancellati. Quest’uomo, senza più ricordi, diventa nessun uomo, quando, per il compito al quale è stato chiamato, per l’esempio che è, dovrebbe essere tutti gli uomini.

Il film si apre su un conclave, porporati che camminano recitando una litania e che vengono chiusi nella Cappella Sistina coi loro appunti e le loro penne tutte di plastica argentate per eleggere il nuovo papa. E il papa, dopo qualche fumata nera, che nemmeno pare una indecisione ma solo cerimoniale, viene eletto. È lì, sta, papabile, tra quegli ottanta cardinali ciascuno dei quali spera di non essere il ruolo, l’esempio, colui che indosserà il vestito bianco. Solo che, il novello Pietro, vestito e preparato per la benedizione al balcone, non riesce ad affacciarsi, a guardare la folla. Urla, scappa e va a chiudersi nella Cappella Sistina.

Se il film si fermasse qui, se fosse un corto, sarebbe già un potentissimo loop nel quale chiudersi. Sarebbe il contro esempio, il granello di sabbia che sbiella un ingranaggio dal quale ci si aspetta che ripeta se stesso indefessamente, che rassicura perché ripete se stesso indefessamente, che fa sospettare che il tempo non passi e che dunque nessuno muoia, che l’eternità sia lì a due passi, in Vaticano, dove la benzina costa meno, dove si trovano i medicinali che a Roma non ci sono, dove c’è tutto, anche attrezzi ginnici, anche un cardinale che fa i puzzle, dove ci sarà anche un torneo di pallavolo. Dove sta, come un bambino curioso, uno psicanalista, il più bravo di tutti, a tentare di capire, insieme al papa, e senza parlare di sogni, di sesso, di infanzia, di rimosso, senza chiamarlo per nome, perché l’elezione al soglio di Pietro la ha annichilito.

In un tourbillon di intelligenza, di tenerezza, di umanità, di gesti quotidiani, di piccole follie fresche e spensierate, incredule e incredibili, che tutte scardinano la struttura temporale, facendola diventare spaziale e dunque abitabile (modificabile) e soprattutto attraverso il volto titubante, concentrato e universalmente nonnesco di Michel Piccoli, Nanni Moretti mette in scena una liberazione. L’ineluttabilità sì delle imperfezioni umane, la potenza sì delle nostre debolezze, ma pure la possibilità definitiva, anche al massimo grado dell’esposizione mediatica, di poterle nominare, di condividerle pure.

Habemus papam è un film tutto, raffinatamente, spavaldamente, ironicamente en abime. Perché il papa voleva fare l’attore ma non l’hanno preso all’accademia, perché fino a quando puoi recitare una fede? E en abime en abime. Perché il papa è un attore, è Michel Piccoli. Perché Margherita Buy ha quei difetti d’accudimento che tanto ce l’hanno fatta amare sullo schermo ma che qui sono addirittura una teoria psicanalitica. Perché Jerzy Stuhr, attore e regista, con la sua aria polacca, colta e folle, proteggendo l’autocoscienza solitaria del papa appena eletto ne protegge la rappresentazione. Perché Manuela Mandracchia è un’attrice due volte grandissima, nel film e nel teatro di Cechov che ci sta dentro. Perché Nanni Moretti, è sempre sé stesso, ma inedito e più commovente. Perché lo psicanalista che interpreta, il professore, è invero psicanalizzato dai pazienti quando dice Li avverta con urgenza, sono sei anni che non salto una seduta.

Ho amato Illuminata di John Turturro quando, dichiarava Sono nata imperfetta, cresciuta imperfetta, modellata imperfettamente da mani imperfette, se vuoi essere amata da una donna imperfetta, amami, io sono lei, perché siamo tutti imperfetti e tutti innamorati. Ho amato Natura morta di Antonia S. Byatt dove sta scritto Ecco sono io Amleto il danese, e gli manca meno di un atto, perché l’autocoscienza arriva sempre tardi. Ho amato molti altri libri, o cose, in cui ho trovato una declinazione delle imperfezioni, dell’ansia, degli abbrivi comuni alle umane faccende. Alcune di queste cose erano e sono persone, alcune altre non le ricordo nemmeno più. E amo definitivamente Habemus papam di Nanni Moretti che ha trasformato in maniera laica, esatta, delicata, questo “essere comune” in una reale comunione, pure in senso cristiano. Perché non essere, esitare, non resistere, incrinarsi, sorridere improvvisamente e improvvisamente beneficiare della benevolenza o dell’attenzione di uno sconosciuto, e poi perderlo, è qualcosa che tutti conosciamo. E attraverso questo non essere all’altezza, ma più in generale attraverso questo “non essere”, Moretti salva tutto, assolve quasi, e con un passo filosofico, e una narrativa appassionante, con una eco morantiana di Io credo a tutto e con una variazione Pasoliniana su La normalità che ci fece stupendi, trasfonde quel “nessun uomo” in “tutti gli uomini”. E questa è la cosa più liberatoria, più evangelica (quanto sono umani i Vangeli a leggerli da bambini?), che io abbia mai sentito. Ogni uomo ha il destino delle proprie debolezze. Amen.

A latere

1. Senti, ma che tipo di film è, non è che usciti state tutti a parlarne in girotondo, io sto buttato in un angolo, no… ah no: se poi se ne parla usciti dalla sala non vengo. No, no… allora non vengo. Che dici vengo? Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Vengo. Vengo e mi metto cosí, vicino all’ingresso di profilo in controluce, voi mi fate: “Chiara vieni a discutere con noi dai…” e io: “andate, andate, vi raggiungo dopo…” Vengo! Ci vediamo là. No, non mi va, non ne parlo, no. Ciao, arrivederci.

2. Io che ho avuto i genitori comunisti e morettiani ho sempre avuto la tendenza ad apprezzare e a emulare chi vuole educare il popolo. Senza farsi notare. Perciò tornerò ripetutamente a vedere questo film. Traghettandoci amici e passanti. Uno alla volta.

3. Cardinale, sono cinquantanni che non si gioca a palla prigioniera. Vorrei dire a Moretti che io nel 1982 ci giocavo ancora. Grazie per avermi fatto capire che cos’è la provincia.

4. quanto fa due alla meno uno? (Trentuno). E Oceania vs. America Latina quanto stanno? (…)

5. Mi fermo, potrei andare avanti per pagine.

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34 Commenti

  1. Non so come vi ostiniate ad incensare un film che è talmente sciatto, inconcludente, fallimentare nelle sue ambizioni non colte, da non avere giustificazioni. Si ha l’impressione che dietro quella lentezza dei dialoghi, quelle scene slegate che fungono da riempitivi, vi sia solo l’intenzione di far passare l’ora.
    Nessun personaggio è approfondito, ha spessore. La figura del Papa è inverosimile. La critica alla Chiesa suona quasi infantile.
    Apprezzo tantissimo Moretti, molti dei suoi film sono dei capolavori, ma questo tradisce ogni aspettativa. Eppure l’idea di partenza era geniale ed i primi 20 minuti sono bellissimi. Ma poi… l’occasione persa più clamorosa.

  2. Allora aspettero’ che si giri un altro film su un anziano Papa gay feroce nemico del riconoscimento delle unioni omosessuali.

  3. due alla meno uno è come due alla carbonara, fa uno, te tu prova a togliere uno da due e vedi cosa ti resta…., soprattutto se due si mettono su un solo piatto.

  4. Non so se preoccupa di più la nostalgia della normalità borghese rappresentata da Moretti nei suoi ultimi quattro film oppure queste recensioni degne de Il messaggero – Roma. Concita De Gregorio sta mettendo su proprio una bella nuova generazione di mentalità medie.

    A latere
    Ve lo meritate Nanni Moretti!

  5. Non credo che lo spazio per i commenti debba essere solo un luogo di sfogo. Eppure, da anni ormai, il cinema di Moretti genera tensioni, idiosincrasie, sfoghi infantili come nessun altro. Sarà perché siamo in Italia, dove lo spazio per il dibattito approfondito spesso è un po’ ristretto (con qualche eccezione per fortuna!) e il “giornalismo di provocazione” ormai ha fin troppo spazio (in Palombella rossa Moretti ci aveva già messo in guardia dall’uso poco meditato delle parole).
    Cosa c’entrano le “mentalità medie”? Non prendiamocela con Concita De Gregorio, ce ne fossero… Il cinema di Moretti ha sempre generato queste accuse di un cinema troppo “borghese”… Piuttosto, penso che per commentare il cinema di Moretti non ci si debba lasciar andare alle impressioni epidermiche, meglio sarebbe approfondire un po’ come viene fatto nel bel testo di Chiara Valerio.
    Sì, perché questo suo film, che forse è un film di passaggio ma comunque importante, altro non fa se non proporre un discorso umile, liscio, piano sui nostri limiti di soggetti gettati in un mondo spesso poco comprensibile e che non sempre è coerente con i nostri desideri…

  6. prendi l’intelligenza di Chiara, aggiungici un papa disarmante e una disarmante trasgressione, un Vaticano fanciullo e un Moretti all’altezza, mescola ben bene con Cechov e otterrai un rarissimo stato di godimento: puro

  7. La recensione di Chiara è bella, cristallina, e dice cose che anch’io avrei tanto voluto vedere e percepire nel film, ma non ci sono riuscito, nonostante l’amore che provo da sempre per Moretti. Anch’io quoto Stefano.

  8. Il peso fatale che grava su questo film è, a mio avviso, la totale mancanza di ispirazione. Un fenomeno del tutto comprensibile per un regista dalla carriera ormani trentennale, nella quale ha prodotto anche capolavori. Ciò che mi atterrisce è la mancanza di coraggio di certa critica nel criticare un lavoro tanto effimero e inconcludente (non parlo dell’autrice di questo intervento, anche se ritengo accrediti al film meriti gratuiti). Una certa subalternità culturale che è, a prescindere dal soggetto, sempre un brutto segno.

  9. Forse non è subalternità culturale ma semplicemente empatia, il che non vuol dire recensire nel modo sbagliato…
    E non credo sia subalternità culturale, perchè recensire un film è prima di tutto mettere in luce in che modo l’oggetto analizzato dice qualcosa sul nostro rapporto con la realtà. I grandi registi sanno sempre dirci qualcosa su questo, anche in film non perfetti.

  10. Gabriele, parlo della prosopopea giornalistica che anticipa, accompagna e segue l’uscita di un film di Moretti, regista che sembrerebbe – per un certo ambiente culturale – infallibile, proprio come il Papa è per i cattolici. Non ho niente contro “Habemus Papam”: semplicemente lo ritengo superficiale, vuotamente ammiccante, narcisistico questa volta senza giustificazioni, perfino noioso (diversi gradini sotto il tuo “non perfetto”). Il lavoro di un regista che sembra ormai avere solo sé stesso (ossia i suoi precedenti lavori, ben più autentici, che a mio avviso neppure NM può permettersi, se non vuole scadere così come credo abbia fatto, di citare con tanta gratuità), e la rappresentazione televisiva, quindi piatta e ingannevole, come unico orizzonte espressivo.

  11. L’ho visto ieri sera. Proverò a sintetizzare le mie impressioni. Un che film procede come un contrappunto emotivo di note gravi (il senso di inadeguatezza del papa, la fuga, la ricerca di una identità che non conosce) e lievi (lo spazio ludico che si concedono i cardinali e lo psicanalistica nell’attesa che il papa si assuma le proprie responsabilità). I momenti migliori, quelli che sono sicuro che ricorderò anche a distanza di anni, riguardano i primi dieci minuti del film, la fuga del papa e l’incontro con la compagnia di teatro (poco sviluppata questa parte, peccato). I peggiori, il momento in cui Nanni Moretti comincia a gigioneggiare con i cardinali: questo stona all’interno di un film che sa dare il meglio di sè nel detto-non detto del papa, nei timori dei cardinali al momento dello scrutinio, nella solitudine di un uomo anziano che vaga per le strade della città come un sonnambulo. Un film riuscito solo in parte, in cui l’idea di fondo spesso resta soffocata da una facile ironia che alla lunga sembra rivolta più a un gioco fine a se stesso che a una sua funzionalità narrativa.

  12. Il difetto di questo film è la semplificazione. Il pensare che i potenti (della politica, della chiesa e dell’economia) decidano secondo la loro psicologia, mentre questa non è che il residuo umano, impotente e stravolto, di esistenze totalmente votate al calcolo e alla decisione razionale per il raggiungimento dei fini delle istituzioni cui appartengono. Si trascura che l’istituzione tiene d’occhio i suoi e non permette a nessuno di arrivare a certi livelli se non dimostra quotidianamente quanto sia tutt’uno con essa e con i suoi scopi, rendendo praticamente impossibile l’eventualità che qualche persona schiava della propria psicologia – che cioè si muova in base a impulsi autonomi – arrivi ai gradi più alti della scala gerarchica. Insomma, passano solo quelli che sono disposti a trasformarsi in puri elementi dell’organizzazione, e a sacrificare la propria autonomia e libertà di giudizio. Se questo è vero, i cardinali e il papa del film di Moretti non esistono, e infatti non sono credibili. A chi imputare l’errore? Alla sceneggiatura, certo, ma anche a Moretti che l’ha fatta sua. Detto questo, rimane il fatto che il film tiene, e tiene perché Moretti è uno dei maggiori registi italiani. Solo uno bravo come lui poteva salvare un film gravato da tali errori. Come? Risucchiando per così dire il suo stesso film nel suo universo interiore, cioè esibendone il carattere di arbitraria invenzione artistica, togliendogli la pretesa di rappresentare la realtà che pure non può fare a meno di avere, trasformandolo in un gioco di livello superiore, che è poi il gioco dell’arte. Lo strumento con cui toglie realtà al suo film e lo affranca così dai suoi gravi errori è l’ironia, il paradosso e l’assurdo. Con una mano fornisce rappresentazioni della realtà che sono semplicistiche e sbagliate, ma con l’altra le trasforma in fantasmi della sua mente, per cui è impossibile imputargli alcunché, tanto più che la tensione narrativa che lo spettatore segue non è la vicenda improbabile del papa pentito, ma è appunto quella del regista – psicanalista che combatte con un film che gli sfugge da tutte le parti, come è evidente nella scena finale della partita di pallavolo. Pretendere nel mondo di oggi che un’opera d’arte sia perfetta è una cosa assurda, basta guardare il mondo di oggi. E il film di Moretti contraddice precisamente questa pretesa. E’ imperfetto, certo, poteva evitare errori, certo, ma il suo nucleo è vero. Si chiudono gli occhi sulle scene sbagliate e si va avanti, trascinati dalla imperterrita spontaneità del regista. La sintesi tra reale e mentale, tra rappresentazione e fantasma, non si attua mai. L’errore non è cancellato dalla correzione ed entrambi giacciono desolatamente separati. E così li lascia Moretti, forse stanco di inseguire un’inutile e insensata perfezione.

  13. Ah, ecco, un film da guardare ad occhi chiusi. Un po’ come turarsi il naso quando si vota…

    :-)))

    Un film fuori tempo massimo. Altre sfide ci attendono.

  14. Ma che stronzate scrive la Valerio? Questa è la nuova generazione di scrittori e giornalisti culturali made in L’Unità? Un tempo si andava alla scoperta dell’arte sconosciuta e si scoprivano gli spettacoli di Carmelo Bene e i film di Alberto Grifi, quando avevano 30 anni, i giornalisti come Siciliano e Moravia andavano per bettole alla ricerca della perla sconosciuta da lanciare, oggi si attende l’ovvio e si loda l’ovvio, il libro Mondadori che va allo Strega, il film di Nanni Moretti… Andiamo bene! Questo anche è berlusconismo.

  15. E qui su NI se attacchi una boiata di film come Black Swam, pluripremiato, chiudono anche i commenti, dopo che ti hanno attaccato personalmente. Volgarmente. Insomma si ergono a difensori dello status quo, notoriamente una merda. Ma si sentono rivoluzionari.

  16. effettivamente Black Swan è veramente brutto…
    davvero hanno chiuso i commenti?
    direi che HP non merita di accapigliarsi: difficile non percepirne la vuotaggine.
    eppure ho un sacco di amici che ne sono rimasti entusiasti.
    me lo rivedrò a tempo debito, chissà che non ci trovi qualcosa che adesso mi sfugge.

  17. mi piace giulia perché segue in integrale la mia produzione per l’unità. nn le sfugge un pezzo. grazie per l’attenzione e il tono colto. soprattutto adoro che un’opinione contraria, non porti a nessuna confutazione, ma solo all’esclamazione “stronzata”. e questo, per vero, è quello che io penso essere il manicheismo fondativo del berlusconismo. che appunto fa avvizzire il contraddittorio. chiara valerio

  18. Un film penoso. Non nell’accezione dell’italiano antico – dolente, tribolato, triste, malinconico. Ma nel senso che fa proprio pena.

  19. Volevo solo aggiungere che la recensione è bella, scritta benissimo. Ma il film è talmente superficiale e macchiettistico che mi sembra inutile anche parlarne.

  20. Il peggior film di Nanni Moretti.

    Poteva continuare su un registro serio, alla Stanza del figlio, e cercare di approfondire la psicologia del Papa e, tramite questa, far critiche alla Chiesa che andassero oltre il banale bisogno di amare e comprendere di più la gente. Poteva al contrario usare fin dall’inizio un registro più allucinato, alla Palombella rossa, e costruire una storia senza perdere tempo in tante scene didascaliche del Vaticano e di Roma, bensì concentrandosi sulla caratterizzazione di pochi personaggi emblematici, metafore di una critica alla Chiesa.

    Invece ha fatto un film che inizia in modo serio (a parte il giornalista a caccia di scoop, pausa surreale che ci sta bene perché misurata) e che poi va letteralmente in vacca con la fuga del Papa e la trasformazione dello psicoterapeuta Moretti in stile Stanza del Figlio nel Michele di Bianca, o nel Michele di altri film. Segue la scoperta che il Papa, persona sempre più vicina al limite della demenza, più che della depressione, voleva fare l’attore e… nient’altro. Il Papa sparisce perché ha bisogno di essere guidato – e forse anche internato (ci si chiede come abbia potuto fare il cardinale fino ad allora, se lo si prende sul serio). Metafora, si presume, che sia la Chiesa a dover essere guidata.

    Ci sono delle scene liriche belle, nel film, anche più d’una, ma nel complesso mi sembra davvero un’opera poco ispirata, troppo indecisa sul registro da adottare e che tutto sommato “dice”, o se preferite “rappresenta”, ben poco – inconcludente.

  21. Mi piace/Non mi piace. E’ una stronzata/E’ un capolavoro. Il miglior film di Moretti/Il peggior film di Moretti. Forse anziché affidarsi alla frase secca, varrebbe la pena scrivere due righe, una pagina, mettere in fila tre concetti. Come fa Chiara. Però per quello bisogna lavorare.

  22. E’ una storia comune- in un contesto lontano e complesso – di uomo potente che perde la sua strada, che si smarrisce. Credo che la credibilità o meno dei personaggi cardinali/papa non abbia poi così tanta importanza.

    Un bel film.

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