EREDITA’ CULTURALI

di FRANCO BUFFONI
Non è poco chiedere di poter crescere senza sentirsi dei mostri. Che è ciò che è sempre accaduto agli omosessuali semplicemente perché le loro famiglie non li aspettavano. Non li aspettavano “così”. L’aspettativa di un figlio non dovrebbe dare per scontato in anticipo il suo orientamento sessuale. Un bambino di orientamento omo non è mai atteso, non è mai nemmeno seriamente ipotizzato. E’ sempre poi solo una sgradita sorpresa.
E se per i famigliari la sorpresa è sgradita, per il bambino oggetto dello “sgradimento” – mentre goffamente tenta di assomigliare al bambino e all’adolescente che i famigliari si attendevano – la sorpresa si trasforma nella consapevolezza di essere una creatura sbagliata, appunto: mostruosa.
In paesi più avanzati del nostro, dove la maternità surrogata e l’adozione da parte di coppie omogenitoriali sono legali, si sono già verificati casi di giovani di sesso maschile con orientamento eterosessuale, figli di coppie omogenitoriali gay. I quali a scuola sono a contatto con giovani omosessuali figli di “normali” coppie eterosessuali. Il paradosso in questi casi è la cultura gay che permea inevitabilmente i primi, e il desiderio gay che invece invade i secondi. Vissute con intelligenza queste situazioni possono solo arricchire entrambi i soggetti e le loro famiglie.
E’ dunque possibile parlare della trasmissione di una identità culturale omosessuale? Solitamente si dice che la cultura, di qualsiasi tipo, si trasmette di padre in figlio. I gay, che per definizione sono sterili, sono stati tuttavia in grado di trasmettere – per filiazione culturale – una cultura e una identità gay. Ma chi si è effettivamente preso cura – in passato – del passaggio dei saperi da una generazione all’altra di omosessuali?
Quanto spreco! Quanti sforzi compiuti in segreto! Come osserva Flandrin, “c’è qualcosa di illogico nello scrutare con tanta attenzione il passato individuale delle persone sottoposte alla cura psicoanalitica, e tanto poco il loro passato collettivo. O almeno ciò che di esso sopravvive nella nostra cultura”. Ci sono milioni di individui figli e nipoti di persone omosessuali. Solo che si tratta di omosessuali velati e dunque attenti a non trasmettere ai figli la cultura omosessuale vissuta in clandestinità.
La storia non si eredita, si impara, la si costruisce. E questo, per gli omosessuali, significa risalire nel tempo fino agli arrusi siciliani, ai ricchioni napoletani, alle checche milanesi. Indietro, indietro attraverso i versi barocchi, i quadri del Rinascimento, il Brunetto dantesco, indietro a Orazio e Catullo, al cinedo della Grecia classica immortalato nella produzione vascolare, agli affreschi etruschi, ai bassorilievi persiani…
Purtroppo non si hanno le testimonianze degli operai gay, dei fattorini gay, ma solo degli scrittori gay: o almeno di quel poco che hanno lasciato: l’omofobo Gadda (1), per esempio, distrusse tutto ciò che riguardava la sua sfera privata; Palazzeschi, pure. Così si rimane senza le testimonianze del popolo perché non sa scrivere (a meno che non vada sotto processo, e allora sono visite mediche militari, referti da compulsare, verbali di polizia). E senza gran parte delle testimonianze degli scrittori, che decisero di “preservare” la propria immagine.
E’ poi abbastanza paradossale che sia solo sulle testimonianze letterarie degli intellettuali che si basi la storia di una cultura omosessuale, di una identità gay. Gli intellettuali sono portati a una visione soggettiva e individualistica. Certo, sono gli unici che scrivono. Eppure, quanta “intelligenza” omosessuale c’è sempre stata nel popolo… e nulla o ben poco è stato registrato! Che spreco!
Si pensi all’uso distorto del latino e del greco che per decenni è stato fatto nei nostri licei! Ridurre a tormentanti sintassi due materie che avrebbero potuto essere il godimento per gli adolescenti gay e non solo! Ma ci rendiamo conto che – quando l’università italiana si deciderà ad aprire ai Gender Studies – dovremo riscrivere interi capitoli di storia della letteratura? Di fatto, la cultura omosessuale è stata colpita proprio e soprattutto nella sua replicazione culturale, privando i ricercatori – come afferma Eleonora Pinzuti – della possibilità stessa di compiere ricerche finanziate in aree considerate “troppo sensibili” per quel “neutro eterosessuale” a cui tanta accademia ancora indulge. Neutro eterosessuale che accomuna Leopardi e Pascoli, Pavese e Montale, e magari – vista l’insistenza dei ciellini – persino Rebora e Tondelli.
Occorre lottare perché sparisca il terrore della diversità; perché ogni adolescente possa di volta in volta scegliersi il fidanzato o la fidanzata liberamente. Mi viene in mente quella famosa conversazione degli anni sessanta, riportata da John Osborne, con Noel Coward, allorché l’anziano commediagrafo chiese all’allora giovane Osborne “quanto sei gay?”, e Osborne senza scomporsi rispose “al trenta per cento”. Al che Coward replicò: “Io al novanta”.
Occorre scrivere una storia dell’omosessualità in Italia che comparatisticamente sappia prendere in esame aspetti di ordine giuridico, politico, istituzionale, letterario, culturale e medico; in grado non solo di rendere coscienti gli omosessuali del loro passato e della loro cultura, ma anche di risvegliare i bisessuali, di stanarli.
Considerando che oggi, con la maternità surrogata, chiunque può diventare padre o madre, forse si può persino concordare – come avvio di una riflessione seria – sulla necessità del superamento della distinzione tra una eterosessualità più legata alla natura, e una omosessualità più legata alla cultura.
Gli studi transculturali e postcoloniali, come quelli sull’economia globale e sulla diaspora, aiutano a leggere il mondo e la storia in modo diverso, per esempio attraverso lo sguardo di chi è sempre stato in posizione subordinata, di chi è stato colonizzato. Questo è un primo sforzo che si deve compiere a scuola per educare i giovani a rispettare e ad accogliere le diversità. Una delle mie più radicate convinzioni, per esempio, è che – accogliendo veramente in sé gli immigrati – la nostra società guadagnerebbe in comprensione di se stessa certamente più di quanto perderebbe in omogeneità.

(1) Esemplare il caso del premio di poesia “Le Grazie”, promosso a Firenze nel 1948 da Piero Santi, che si concluse con un ex-aequo tra Margherita Guidacci e Sandro Penna. Contro Penna, vincitore designato da Santi e dal resto della giuria – si scatenò infatti la furia di Gadda. Che sostenne a spada tratta la superiorità di Guidacci (della quale ovviamente gli importava meno di zero) purché non passasse la tenue, geniale, purissima voce di “Pennino”. Il quale, per altro, veniva da un’altra pesantissima censura messa in atto contro di lui dall’”amico” Montale. La solerzia montaliana nell’invocare la censura del regime fascista per giustificare la mancata pubblicazione dei testi di Penna, era infatti preventiva. Montale non presentava nemmeno quei testi per la pubblicazione a “Campo di Marte” o a “Solaria”: li teneva nel cassetto, e basta. Come uomo pubblico non desiderava assolutamente che il suo nome fosse in qualche modo collegato a quei versi (per non dire del tentativo di impedire a Saba di venirne in possesso). Solo in privato, da giovane, Montale aveva scambiato con Penna qualche confidenza sul suo intimo sentire.

(Come anticipato nel post “Omosessualità e letteratura” del 20 marzo scorso, nei giorni 17 e 18 si è tenne a Firenze il convegno “L’arte del desiderio. Omosessualità, letteratura, differenza”, organizzato dall’Istituto di Scienze Umane e dalla Provincia di Firenze, e presieduto da Nadia Fusini, Valeria Gennero e Gian Pietro Leonardi. In quella occasione presentai una relazione dal titolo “I diritti civili come scelta di vita e di scrittura” articolata in cinque parti: 1 L’aggettivazione tematica, 2 Genealogie, 3 Scelte di libertà, 4 Differenze allo specchio, 5 Eredità culturali.
Presento oggi l’ultima parte. Nelle scorse quattro domeniche sono apparse le altre quattro parti.)

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7 Commenti

  1. E se per i famigliari la sorpresa è sgradita, per il bambino oggetto dello “sgradimento” – mentre goffamente tenta di assomigliare al bambino e all’adolescente che i famigliari si attendevano – la sorpresa si trasforma nella consapevolezza di essere una creatura sbagliata, appunto: mostruosa.

    E una verità tristissima.

    La chiesa ha contribuito in modo determinante a questa cultura omofoba
    l’omossessualità è considerata un peccato contronatura, ma papi,cardinali e sacerdoti la praticano e anche questa è una verità.

    Grazie sig. Buffoni

  2. Cara Vanna, grazie a te! Dopo anni di post, capita che ogni tanto io mi chieda se abbia senso continuare. Poi è sufficiente un intervento come il tuo per capire che il senso c’è. Grazie, un caro abbraccio fb

  3. Grazie anche da parte mia, signor Buffoni. ho letto tutte le parti della sua relazione al convegno, anzi sono proprio da questi articoli che l’ho scoperta, anche se l’avevo già sentita nominare in passato, e che ho cominciato ad apprezzarla. C’è ancora molto da fare, in Italia, anche in quegli ambienti che si vorrebbero più progressisti, all’avanguardia, sganciati dai pregiudizi comuni, come osserva a proposito dei gender studies che qui da noi non decollano, almeno in ambito accademico (forse perché anche oggi gli accademici velati si comportano come Gadda con Penna, che ne pensa?).
    Grazie del suo impegno.
    Un saluto affettuoso,
    Dino

  4. A me pare impossibile che si possa fare storia letteraria senza storia dell’identità, dell’identificazione, delle formazioni culturali, e solo grazie a uno spettrale strascico di malinteso formalismo e a una bella dose di sfacciata malafede si continua a parlare di letteratura italiana schivando le questioni che riguardano la differenza sessuale (anche quella etero, certo), come è inscritta nel testo, nella sua ricezione, nella sua vita intertestuale – la critica che viene non potrà rinunciarvi, io credo, a meno di non rinunciare a significare alcunché (in questo, Franco, stai aprendo una strada esemplare, e penso di dirlo a nome di molti)

  5. Grazie a Renata. Trovo singolare che questo post venga così poco commentato, mentre ci si accapiglia su quello successivo dedicato alla “resurrezione”. Senza considerare che, se li ha scritti la stessa persona, e li ha messi vicini, una ragione magari c’è.

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franco buffoni
franco buffonihttp://www.francobuffoni.it/
Franco Buffoni ha pubblicato raccolte di poesia per Guanda, Mondadori e Donzelli. Per Mondadori ha tradotto Poeti romantici inglesi (2005). L’ultimo suo romanzo è Zamel (Marcos y Marcos 2009). Sito personale: www.francobuffoni.it
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