il caso editoriale

di Chiara Valerio

17 marzo 2010, ore 22. Uno dei maggiori agenti italiani riceve un dattiloscritto. È una serata come tante, ma ancora non sa che la routine verrà stravolta da questo libro. Una volta aperto il file, gli occhi scorrono veloci sullo schermo del computer e smettere di leggere sembra quasi impossibile. 18 marzo 2010, ore 10.20. L’agente invia una mail alle maggiori case editrici italiane, definendo il dattiloscritto in oggetto non “un libro” ma “il libro”, quello che tutti gli editori vorrebbero avere nel proprio catalogo e che tutti i librai vorrebbero avere sullo scaffale della propria libreria. Ore 10.22. La casa editrice Longanesi inizia a leggere il dattiloscritto. Il consenso è unanime. Il libro ha in sé una tale forza dirompente, un intreccio narrativo così potente e sapiente costruito che è impossibile non rimanere catturati nella tela intessuta dell’autore. Il Libro deve essere un libro Longanesi. (…) Aprile – Novembre 2010. Mentre John Stephens mette a punto gli ultimi dettagli del romanzo, gli editori di tutto il mondo dell’Atlante di Smeraldo si preparano a un lancio in grande stile, praticamente in contemporanea mondiale… e la storia prosegue, in tutte le librerie, ad Aprile 2011. 21 Aprile 2011, ore 16.30. A l’Unità decidiamo di aggiungere un punto a questa cronologia e così scorriamo voracemente la Brochure consuntiva delle promozioni suddivisa, nell’ordine, nei seguenti punti L’entusiasmo dell’editore, Il giudizio unanime, la cronologia del caso editoriale, la trama, l’autore, i protagonisti, i coprotagonisti, le pagine centrali con un pop-up raffigurante una emisfera armillare culminata da una divinità vagamente indù e il cui cerchio equatoriale è tempestato di gemme verdeggianti che spunta solerte e avvenente appena si sfogliano proprio quelle pagine, le iniziative promozionali (kit vetrina e materiale per il punto vendita), il piano marketing. Due pagine. Infine, in quarta di copertina si legge Emma non ha mai paura. Michael non crede ai propri occhi. Kate ha promesso di proteggerli a ogni costo. Tre fratelli abbandonati a loro stessi, un mondo magico e misterioso, un viaggio oltre le porte del tempo. E un libro dal potere immenso e oscuro. A questo potente paratesto è allegato il segnalibro con web key anche se io, ingolosita dalla pagina 2 del piano marketing contenente il materiale promozionale per librai e giornalisti avrei desiderato il prezioso segnalibro fustellato. Perché amo l’aggettivo fustellato. E mi chiedo che forma avrà la fustella con la quale hanno sagomato il segnalibro? Sarà la stessa utilizzata per le cartoline pop-up che saranno in libreria? La fustella pure aprirà un mondo magico e misterioso?

Io non ho motivi di dubitare dell’eccezionalità del libro – determinativo almeno nel senso dell’articolo – di Stephens. Per due motivi. Uno. Da bambina prima di andare al circo a vedere gli elefanti, che di solito erano molto meno mastodontici dei disegni sui biglietti venduti ai semafori, rimanevo per ore a studiare i cartelloni illustrati che ricoprivano le strade. Due. Essendo nata alla fine degli anni settanta, amo il merchandising – e come ha scritto Valeria Parrella in Mosca più balena (minimum fax, 2003) io ho trent’anni ma quando gioco a nascondino faccio ancora tana, anche se ci sono bambini –, penso che se la scatola è bella, basta anche solo la scatola.

Tuttavia tenendo tra le mani questa scatola della scatola, qualcosa mi stona. E questo qualcosa è la rottura di un incanto. Di un patto silente tra il circo e il lettore, qualsiasi cosa sia il circo – pure letteratura. È come se qualcuno mi avesse condotto per mano, per una foto con l’elefante o con la donna cannone, prima che io potessi vederli sulla pista, che mi ha fatto entrare dal retro mostrandomi la fabbrica dell’opera del circo senza il circo, o comunque prima. Come se ci fosse uno scarto temporale – dovuto forse al viaggio oltre le porte del tempo promesso da L’Atlante di Smeraldo –, tra l’attesa, l’immaginazione e la lettura – un gesto intimo, singolare, ripetitivo, concentrato, spensierato – di questa attesa e di questa immaginazione. Ginevra Bompiani nell’introduzione a La signora dell’angolo di fronte (Il Saggiatore, 1978) ha osservato che Il romanzo del novecento è una specie di anticamera dalla quale si ascolta il brusio della voce, si intravvede una sottana, dove arrivano gli ordini dati in altre stanze. Io non voglio scomodare Virginia Woolf, e nessun altro, ma nemmeno tenerli lontani. Nemmeno pensare che i libri siano anticamere che danno sempre su altre anticamere cercando, con la prospettiva di questi vuoti, incastonati e successivi, di creare quella eco di un altro mondo, che è il motivo per cui leggo i libri. Anche quelli di John Stephens. Se me li fate prima leggere poi compro tutto. Come con Harry Potter (Salani, 1998-2010). Ma lasciatemeli leggere.

[questo articolo è stato pubblicato su l’Unità giovedì 21 aprile 2011]


J. Stephens, L’Atlante di Smeraldo, Longanesi (2011), pp. 460, eu 18,60. (in libreria da oggi, 28 Aprile 2011)

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9 Commenti

  1. Eh, per il prossimo lancio editoriale bisognerà aumentare un po’ l’intensità, se no ci si fa l’abitudine. Per dire, l’agente, travolto dall’entusiasmo per il più grande romanzo di tutti i tempi, 48 secondi dopo avere iniziato la lettura si butta dalla finestra, come la leggenda narra sugli utilizzatori di LSD, ma si salva perché il manoscritto (manoscritto e non file darebbe un tono old fashion non male) fa da ombrello-paracadute.

    ecc

  2. E’ la spettacolarizzazione, l’effettistica : creare l’evento per curiosità con il fine di vendere di più. Non si sta promuovendo un libro con una narrazione ma un prodotto commerciale. Si creano sempre eventi finchè poi l’evento per concetto diviene normalità, a meno che non si alzi d’intensità con il prox. “evento”. Come i summit politici e le nuove leggi insomma : sarà un successo !

  3. La lettura è un atto intima.
    Un atto di passione.
    Si accoglie una voce nella stanza della sua propia storia.

  4. Interessante segnalazione, caso istruttivo.

    C’è un po’ di tutto: l’approssimarsi sempre più accurato del libro a oggetto di marketing, un po’ di autoreferenzialità del mondo dell’editoria come da insegnamenti della tv, compressione dei tempi, simultaneità degna di un evento in streaming.

    Ma non ne farei un dramma. Il grande Erwing Goffman forse direbbe che la “retroscena” editoriale è diventata “ribalta”, una ribalta funzionale ed essenziale al lancio del prodotto.

  5. D’accordo che l’abito non fa il monaco e la copertina non fa il libro, però se mi dicessero che, dietro la classica copertina kitsch-cosmica dell’ennesimo fantasy, ci sta il caso editoriale dell’anno, penserei o che gli editori non abbiano saputo valorizzarne la singolarità o semplicemente che questa singolarità sia un tantinello gonfiata.
    Evidentemente per il prodotto-libro non vale la norma contro la pubblicità ingannevole.

  6. La professionalizzazione della C/cultura ne fa un prodotto.
    Il capitalismo delle idee che mercifica il pensiero originario iniettando altro botulino nelle pieghe flaccide di società decrepite.
    Redazioni, Assessorati e Fiere diventano Mostri Sacri come Testate, Titoli e Titolati.
    E poi basta per non sembrar grillino.

  7. Nel 1987 – presso le Edition du Seuil, Paris – esce il saggio di Gérard Genette “Seuils”, che Einaudi pubblica due anni dopo, per la cura di Camilla Maria Cederna, col titolo “Soglie – I dintorni del testo”.
    Penso a Genette perché Chiara Valerio parla di “paratesto” riferendosi al lancio del libro di Stephens, e il termine sarebbe tecnicamente esatto se però il suo essere stato concepito entro il confine storico che precede l’89, non lo esponesse al rischio di obsolescenza, per quanto nei ventidue anni trascorsi da allora la Storia (con tutte le sue storie) ha subito accelerazioni e forzature che, senza scomodare Fukuyama, obbligherebbero a qualche utile aggiornamento nel maneggiare materiali nati all’interno del secolo breve, almeno quelli votati a leggere il presente del presente con strumenti di un presente del passato divenuto rapidamente inattuale.
    La mia impressione è che la copertina de “L’atlante di smeraldo”, con il suo zumpappazum esibito, con l’assordante venghino signori non rimanghino di fuori che emana da ogni suo dettaglio, connoti così bene a quale palato di lettori si rivolge da non richiedere neanche l’acutezza con cui Chiara Valerio denuncia la rottura di un incanto, perché per rompersi, un incanto, deve prima formarsi, e qui, francamente…
    Cosa scriverebbe Genette, oggi, di un “paratesto” così faziosamente divenuto arma impropria nelle strategie di quelle potenti macchine da guerra che sono le operazioni di marketing editoriali?
    La quarta di copertina di “Soglie – I dintorni del testo”, dopo aver definito il “paratesto, l’area di transizione tra il dentro e il fuori, la soglia, insomma, del testo letterario” conclude dicendo che “Questo studio […] vuole essere […] un’esortazione a considerare più da vicino ciò che regola nascostamente le nostre letture. Una soglia, del resto, può essere solo attraversata”.
    Ecco, la mia impressione è che nel caso del libro di Stephens si possa fare tesoro di quanto, involontariamente allusiva, scrive con la sua bella prosa Carla Vasio nell’incipit di “Invisibile” (Empiria 2003-2011): “Non oso avanzare verso l’oscurità raccolta sotto gli alberi, dove mi trascinerebbe questo nuovo desiderio di andare oltre la presente tranquillità, oltre la bordura delle hoste, forse oltre la cancellata del giardino.
    Se scendessi i due gradini della pedana avrei sotto le suole la terra battuta, scura per l’umidità della notte, macchiata da zolle di muschio che so colorate di un verde cupo e spento ma nell’oscurità sono diventate nere. Su tutto scivolano veloci le ombre pallide della Luna: attraverso gli interstizi fra rami e foglie la luce bianca stampa mutevoli e mobili segni privi di consistenza, e questo m’inquieta. Sono frammenti senza corpo, eppure visibili, di cui temo il significato.
    Può darsi che sia questa l’inspiegabile ragione per cui non vado oltre la soglia e rimango col piede sollevato nel passo che mi porterebbe al di là del margine di luce proiettato dalla lampada accesa alle mie spalle, fuori dalla stanza comoda e ben ordinata dove le nitide ombre dei mobili non hanno misteri”. Restare col piede sollevato nel passo – quindi, in certi casi – e non andare oltre la soglia. A proposito di paratesto. Nel libro della Vasio c’è un’epigrafe da Giorgio Manganelli che merita citare: “Era assai competente in fatto di cose che non esistono”. Il caso, a volte; oppure l’ora, così tarda da essere già prossima al presto, chissà.

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