A proposito di Girard

[Pubblico questo articolo di Pierpaolo Antonello in risposta a un articolo di Remo Ceserani e a una sua intervista con Joshua Landy, ambedue comparsi sul manifesto e molto critici con la teoria girardiana. mr]

di Pierpaolo Antonello

È assai curioso il fatto che sia proprio Remo Ceserani, eminente comparatista e autore di un recente libro, molto bello e interessante, intitolato Convergenze. Gli strumenti letterari e le altre discipline (Bruno Mondadori 2010), ad attaccare in maniera così diretta, in un articolo apparso su Il manifesto il 22 maggio scorso, una delle pochissime teorie emerse nel campo letterario che abbiano attratto l’attenzione di neurofisiologi, psicologi, antropologi, scienziati sociali, filosofi della scienza, economisti: la teoria mimetica di René Girard. Al di là della discussione assolutamente legittima sui fondamenti e le articolazioni di una teoria che, come tutte le ipotesi scientifiche, nelle intenzioni del suo stesso autore, è aperta e bisognosa di ulteriore raffinamento, mi chiedo cosa motivi uno scetticismo così tranchant. La risposta più semplice è sempre la vecchia questione della dimensione religiosa della teoria di Girard, la sua presunta apologetica del Cristianesimo, che non permette a molti di esprimere dei giudizi che non siano di estrema cautela o di esplicito rifiuto. Eppure ci sono migliaia di scienziati, fisici, biologi, chimici, antropologi che sono credenti, ma nessuna rivista scientifica si porrebbe mai il problema di rifiutare un loro articolo sulla base delle loro preferenze religiose. Non credo Ceserani abbia mai criticato (anzi) il lavoro di grandi maestri della critica letteraria come Northorp Frye (un pastore protestante che In the Great Code, vede ad esempio la Bibbia come grande sottotesto della letteratura occidentale), o Erich Auerbach che inMimesis, da ebreo esiliato a Istanbul, parla dell’incarnazione cristiana come la «causa del più grande mutamento interiore ed esterno della nostra civiltà». Perché Girard dà così fastidio nonostante si sia prodigato negli anni ad affermare che la sua è una antropologia e non una teologia?
Credo che questi irrigidimenti critici siano una ulteriore conferma di come se non riusciamo a liberarci di determinati pregiudizi ideologici (esacerbati nel contesto italiano per il ruolo politico che la Chiesa Cattolica svolge in maniera manifesta, e che da sinistra costringe molti a rifiutare tutto quanto “puzzi” di religioso), rischiamo, come in questo caso, di perdere la possibilità di interrogarci seriamente su una delle ipotesi più interessanti e feconde sull’origine della cultura mai sviluppate in campo umanistico. Non credo di dovere difendere io il lavoro di mezzo secolo di René Girard. Esattamente a cinquant’anni dall’apparizione del suo primo libro, Menzogna romantica e verità romanzesca (1961), le pubblicazioni sul suo conto (ormai svariate centinaia) aumentano continuamente, così come le traduzioni delle sue opere, i convegni internazionali, e gli studenti e studiosi che si interessano al suo lavoro. È tutto un fenomenale abbaglio collettivo?
Josh Landy è famoso nel campo della francesistica, per la sua verve polemica, e per le sue istrioniche presentazioni, ma nel suo funambulismo provocatorio sembra essere caduto in una delle classiche manifestazioni dei doppi rivali ben descritte da Girard nei suoi libri: Landy accusa di falsità e di mancanza di scientificità dell’ipotesi mimetica, e lo fa non in ponderati tomi o in dettagliati articoli scientifici, ma in due paginette di un quotidiano, dove il livello di scientificità è pressoché nullo. Il problema è che Landy ha letto Girard in maniera cursoria e superficiale, senza nemmeno tentare di approfondire il dibattito critico che si sta articolando attorno ai concetti di mimesi, di sacrificio, di violenza originaria, del rapporto fra religione e violenza, o del rapporto fra cristianesimo e secolarizzazione (cioè del Cristianesimo come fine del sacro, come motore sotterraneo della secolarizzazione, posizione discussa tra gli altri da Gianni Vattimo in Italia e da Marcel Gauchet in Francia). Alle obiezioni di Landy e Ceserani si potrebbe semplicemente rispondere che sta per uscire negli Stati Uniti per la Michigan State University Press un volume curato da Scott Garrels, dal titolo Mimesis and Science: Explorations in Mimetic Theory and Imitation Research, con contributi di studiosi laici, non allineati a scuole o gruppi, aperti a un serio dibattito scientifico, come Vittorio Gallese, neurofisiologo parmense tra gli scopritori dei neuroni specchio e che spiega la fondamentale dimensione costitutiva della mimesi, vero e proprio architrave del nostro sistema cognitivo e relazionale; Andrew Meltzoff, psicologo sperimentale di fama internazionale, direttore dell’Institute for Learning and Brain Sciences dell’Università di Washington, tra i primi a occuparsi di imitazione nei neonati e che ha prodotto lavori decisivi sull’argomento, osservando e studiando il comportamento infantile per 25 anni; Melvin Konner, antropologo della Emory University, da sempre interessato al ruolo svolto dalla violenza e dalla guerra sia nei gruppi di primati che nelle culture pre-tecnologiche. A Cambridge e a Stanford sono inoltre stati organizzati recentemente dei convegni (l’ultimo proprio questo week-end) sulla convergenza fra la teoria dell’ominizzazione proposta da Girard in Delle cose nascoste fin dalla fondazione del mondo e la teoria evoluzionistica di Darwin. Presenti vari biologi evoluzionisti e antropologi (Scott Atran, D.S. Wilson, David Barash, William Durham, il già citato Konner, Tanya Luhrmann, Joan Roughgarden) ovvero coloro che secondo Ceserani e Landy, dovrebbero progammaticamente disertare il lavoro di Girard, ma che invece si sono posti seriamente il problema di discutere la teoria mimetica alla luce delle evidenze scientifiche disponibili (la lezione magistrale di Durham è disponibile in rete: www.youtube.com/watch?v=QnWbHvU4sL0).
Una ulteriore conferma è proprio l’articolo di Gallese citato da Ceserani, dove si mettono in risalto gli aspetti positivi e culturali dell’imitazione: lungi dal confutare la teoria mimetica (Girard ha parlato diffusamente di imitazione positiva ad esempio in Origine della cultura e fine della storia, Cortina, 2003), la corrobora e ne dà una versione più articolata. Il problema è che la teoria mimetica, che sembra così semplice nella vulgata che Landy utilizza, è in realtà molto complessa, racchiudendo l’eziologia di svariate modalità comportamentali: dalla doppia medazione rivalitaria alla strategia narcisistica, dal mimetismo negativo alla civetteria, dalla strategia masochistica fino alla polarizzazione persecutoria. In questo senso il desiderio mimetico è decisamente più interessante e meno «banale» di quello diretto e oggettuale come professato da Landy, che sa di vecchio «individualismo metodologico» a cui non crede più nessuno. Non si capisce, ad esempio, come potremmo cambiare preferenze, come potremmo essere plastici nella nostra evoluzione identitaria se il desiderio non fosse mobile, cioè mediato. Sulle basi caratteriali e sugli appetiti di base, c’è un mondo sociale che ci costruisce. Sembra quasi banale dirlo. Se il «contagio mimetico non sembra funzionare poi più di tanto», secondo Landy, credo che basti guardare qualche filmato d’epoca sulle adunate fasciste e naziste (o leggere Massa e potere di Elias Canetti), per capire come il contagio sia ben presente e tragicamente visibile nella modernità. Jean-Pierre Dupuy (professore di epistemologia a Stanford e a L’Ecole Politecnique di Parigi, uno della «brutta compagnia» stigmatizzata da Ceserani), ha scritto libri istruttivi su il panico (La Panique, 1991), sulla dimensione ipo-razionale dei movimenti collettivi, dai fenomeni di linciaggio sino ai movimenti speculativi di borsa. Quando Landy parla della scarsità come origine della violenza non si rende conto che sta parafrasando la dimensione acquisitiva del desiderio teorizzata da Girard, non tenendo conto inoltre che i desideri proliferano e si mobilizzano in conformazioni rivalitarie (invidia, gelosia, competizione) anche in un mondo, come quello occidentale avanzato, dove la scarsità non c’è (si veda a proposito uno dei libri citati da Ceserani, Economia dell’invidia di Paul Dumouchel, appena pubblicato per Transeuropa). Non parliamo poi degli studi sul rapporto fra violenza e religione, dove Girard ha prodotto pagine fondamentali, ampiamente utilizzate da scrittori, studiosi, analisti, e che stanno ispirando ad esempio il lavoro di Derick Wilson e Duncan Morrow presso il Northern Ireland Community Relations Council, la piattaforma statale di riconciliazione inter-religiosa dell’Irlanda del Nord. Una ultima nota sul seminario da cui questa discussione è sorta e dedicato al primo libro di Girard, Menzogna romantica e verità romanzesca.
Se alla letteratura richiediamo di non essere puro intrattenimento ma dirci cose fondamentali sull’uomo, la lettura che ci dà Girard dei grandi maestri del romanzo moderno (Cervantes, Stendhal, Flaubert, Proust, Dostoievski) ci guida in interpretazioni affascinanti e decisive sulla nostra umanità e sul nostro desiderio, sulla modernità e sulle sue contraddizioni, sui confini labili e rinegoziabili dell’identità e sugli inferni individuali, sulle mille forme di pseudo-trascendenza che imperversano nel mondo contemporaneo, sulla letteratura come forma degradata del sacro — tutte dimensioni che sono state esplorate anche da Michel Serres, filosofo della scienza molto vicino a Girard, che lo stesso Landy, caso strano, accoglie nel libro da lui curato insieme a Michael Saler sul reincanto del mondo. Forse invece di proporre questi sterili rifiuti categorici, converrebbe ricordare come la rilettura che si sta facendo del primo Girard in questa serie di seminari a livello internazionale (di cui quello di Stanford è solo il primo), ci stia fornendo analisi interessanti e inedite di autori come Pirandello, Vargas Llosa, Samuel Beckett, Charles Dickens, Pasolini, Dante, Machado de Assis, Musil, Christa Wolff e molti altri. Anche senza scomodare i massimi sistemi, credo che questo sia già un motivo sufficiente per comiciare a (ri)leggere il lavoro di René Girard.

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5 Commenti

  1. Molto interessante. Grazie.
    In effetti Girard può stare sulle balle per la sua vicinanza “politica” alla Chiesa Cattolica.
    Per molti questa cosa è imperdonabile.

  2. Bell’articolo di Pierpaolo Antonello!… Contribuiamo tutti, affinché si lacerino inquinanti filtri e filtrini ideologici. La teoria e la critica letteraria hanno solo da imparare da un onesto e serio confronto con le altre discipline…

  3. Pierpaolo Antonello ha ragione su tutta la linea.
    La teoria mimetica e le teoria sacrificale proposta da René Girard è, in campo umanistico, l’equivalente della teoria darwiniana in campo biologico. E le commistioni tra le due sono affascinanti e da portare avanti nella ricerca quanto più è possibile.
    In calce, breve notazione personale.
    Da cattolico à la carte (nel senso di battezzato, comunicato, confessato, cresimato, sposato qual sono, con Girard ho scoperto una nuova lettura, forse per me la più autentica (antropologica?) del cristianesimo.
    Ciò nonostante – sempre con Girard e anche e soprattutto a causa dell’«idea pericolosa di Darwin» – quel che resta della mia fede si trova in un angolo della mia mente.
    In estrema sintesi: io rifiuto in toto la posizione di cattolico ortodosso di Girard; ma do a una spiegazione a tutto ciò: Girard è un francese espatriato in America. Non è un italiano. Io credo che se fosse stato italiano non avrebbe partorito la sua “teoria”, non avrebbe avuto tutta questa fede, non sarebbe stato così papista. Forse, chissà.

  4. Davvero interessante, soprattutto per un motivo: io sono convinto che la teoria di Girard sia valida (naturalmente sempre come teoria e prova, mai come un assoluto sistema inamovibile e immutabile) proprio nel momento in cui viene sganciata dalle sue (false) pretese teologiche: Girard, credo, come spesso accade, ha costruito una fondamentale visione ma attraverso una “dis-lettura” del dato teologico e soprattutto biblico. Insomma, a livello biblico e teologico la sua teoria non sta in piedi nemmeno un po’ … soprattutto da una prospettiva cristiana (ma, a pensarci bene, nemmeno con gran parte dell’ebraismo). Liberarla da tutto questo sottotesto (ammesso che lo stesso Girard “lo voglia” eh!) sarebbe credo, paradossalmente, un modo per recuperarla a livello antropologico e sociale.

  5. Non sono un addetto ai lavori ma ho letto tutte le opere di Girard tradotte in italiano. E devo dire che secondo me le sue teorie sia quella del capro espiatorio che il principio di rivalità mimetica funzionano ( potrebbero vivere separatamente ma la loro interazione è veramente geniale e descrive perfettamente la realtà), a parte alcuni punti, che pero sono stati sviluppati da altri integrando le sue ipotesi e ampliando il raggio d’azione delle sue teorie in svariati campi. Poi in quanto alla resistenza nell’accettare la sua teoria o un semplice confronto con essa di una parte numericamente magari non esigua di intellettuali (forse etichettabili con il termine di sinistra) risponderei citando lo stesso Girard (anziché opporsi con franchezza al cristianesimo il nuovo totalitarismo vuole scavalcarlo a sinistra. Il nazismo e le ideologie ad esso affini, che si opponevano apertamente alla sensibilità per le vittime riconoscendone volentieri l’origine giudaico-cristiana, non sono mai stati la forza mimetica più potente de XX secolo. Il movimento anticristiano più forte è quello che fa sua e “radicalizza” la preoccupazione verso le vittime per paganizzarla. Le Potestà e i Principati si danno adesso una veste “rivoluzionaria” e rimproverano al cristianesimo di non difendere le vittime con sufficiente ardore….. Il Nuovo totalitarismo si presenta come liberatore della nuova umanità. Per usurpare il posto di Cristo, le Potestà lo imitano in maniera rivalitaria, denunciando nella compassione cristiana verso le vittime un’imitazione ipocrita ed evanescente…. Satana prende in prestito il linguaggio delle vittime. Egli imita sempre meglio il Cristo e pretende di superarlo. …Per comprendere questa espressione è necessario iniziare a sdrammatizzarla, giacche corrisponde a una realtà assai quotidiana e prosaica…) Il pezzo tra parentesi è preso dal libro di Girard “Vedo satana cadere come la folgore” delle edizioni Adelphi e sinceramente per me è chiarissimo e non vedo quindi, neanche il conflitto che le teorie di Girard possono avere ad essere inquadrate all’interno della Teologia e della tradizione della Chiesa. Ma preciso ancora che io non sono un fine intellettuale e spesso sbaglio gli accenti e le virgole.

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Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.
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