La ragione dei barbari

di Marco Revelli
Il centro è cieco, la verità si vede dai margini. Quest’affermazione di metodo, propria degli studi post-coloniali e anche della più recente “antropologia di prossimità”, mi è tornata in mente la mattina del 27 giugno alla Maddalena, frazione di Chiomonte, quando visto da lassù – da quel fazzoletto di terra sulla colletta che divide il paese dall’autostrada del Frejus – il mainstream che ha segnato ossessivamente la vicenda della Tav è apparso di colpo per quello che è: vuota somma di affermazioni prive di senso reale. E si è affermata una realtà totalmente altra rispetto a quella che viene raccontata nei “luoghi che contano”, nei palazzi del potere, nelle redazioni dei giornali, dagli opinion leaders metropolitani.

Prendiamo la questione dei soldi. Il mantra che viene recitato “al centro” – e “in alto” – ripete che l’Italia rischia di perdere i 680 milioni di euro dell’Europa se non aprirà il fatidico cantiere. Qui, in questa estrema periferia, tutti sanno che, al contrario, l’Italia potrà guadagnare (o risparmiare, se si preferisce) qualcosa come una ventina di miliardi di euro se quel cantiere non aprirà. Se la follia della Tav in Val Susa non si compirà. Tanto si calcola che sarà il costo finale dell’opera per il nostro Paese, comprensivo dei quasi 11 miliardi della tratta internazionale, a cui vanno aggiunti i quasi 6 miliardi (a prezzi 2006) della tratta italiana.
Una cifra enorme, pari a quasi la metà della manovra “lacrime e sangue” che il governo sta varando per tentare di sanare il bilancio pubblico, frutto di un calcolo del tutto prudenziale (c’è chi, sulla base dell’esperienza, calcola un costo finale superiore ai 30 miliardi!), per un’opera marchianamente, spudoratamente, inutile. Un’opera concepita e progettata in un altro tempo (gli anni ’90 del turbo-capitalismo trionfante) e in un altro mondo (quello della globalizzazione mercantile e dell’interconnessione sistemica di un pianeta votato al benessere). Sulla base di previsioni di crescita dei flussi di traffico fuori misura e tendenzialmente illimitate, frutto dell’estrapolazione di un trend contingente ed eccezionale (i tardi anni ’80 e i primi anni ’90, quando effettivamente la circolazione internazionale e a medio-lungo raggio delle merci subì una brusca accelerazione), rivelatesi poi fallaci.
Si ipotizzò allora un rapido raddoppio dei circa 10 milioni di tonnellate transitate nel 1997 sulla linea ferroviaria Torino-Modane (la cosiddetta linea storica), che avrebbero portato rapidamente a saturarne la capacità (calcolata in circa 20 milioni di tonnellate) entro il 2020, con una crescita lineare ed esponenziale del flusso. Si sostenne (delirando, possiamo ben dire oggi) la necessità di garantire, con la nuova linea, una capacità di transito pari ad almeno 40 milioni di tonnellate, al fine di trasferire su rotaia buona parte dei volumi di traffico su gomma. Non si sapeva, allora, che il 1997 era stato il culmine di una curva che, esattamente dall’anno successivo, avrebbe incominciato a scendere, senza più fermarsi: era già scesa a 8,6 milioni di tonnellate nel 2000. Cadrà ancora a 6,4 nel 2004, a 4,6 nel 2008 per giungere infine al livello minimo di 2,4 milioni di tonnellate nel 2009 (anno in cui, secondo quelle proiezioni folle, avrebbe dovuto sfiorare i 15 milioni)! Oggi, la sola “linea storica” (sfruttata a meno di un terzo delle sue possibilità), sarebbe tranquillamente in grado non solo di garantire l’intero flusso di merci attraverso il confine con la Francia, ma di assorbire addirittura (cosa puramente teorica) l’intero traffico su gomma (all’incirca 10 milioni di tonnellate annue, anch’esso in costante calo), senza significativi costi aggiuntivi (se non le irrisorie cifre necessarie a realizzare il maquillage della linea esistente).

Sono numeri ben presenti a qualsiasi anziano valsusino seduto sull’erba del prato della Maddalena, a ogni ragazzo accampato (fino a lunedì) nelle tende del bivacco, a ogni casalinga di Bussoleno o di Venaus. Solo i “decisori” centrali, i politici di lungo corso, gli addetti all’informazione nazionale continuano a ripetere, come organetti rotti, le cifre di ieri, imbozzolati nel cavo del loro mondo scaduto, ciechi ad ogni evidenza, compresa quella mostrata dalle loro stesse statistiche ufficiali.
Oppure prendiamo un altro tema caldo, nella discussione attuale sulla Valle di Susa: il tema della legalità. Dal “centro del centro” – dal Viminale – il ministro Maroni proclama, mentre i suoi 2000 uomini si avvicinano alle barriere che difendono la Libera repubblica della Maddalena: «Di là ci possono essere i professionisti della violenza, di qua ci sono i professionisti della legalità, dell’antiviolenza, professionisti che sanno cosa fare, abituati a combattere il terrorismo, la criminalità organizzata, a combattere chi usa i kalashnikov e la lupara». Qui, invece, nella periferia delle periferie, sul ponticello della strada che da Chiomonte porta al sito archeologico sulla collina, la gente della valle guarda le ruspe che avanzano circondate – embedded – dai plotoni di agenti in assetto antisommossa, e grida «mafia». Sanno che la storia di alcune di quelle ditte che hanno messo a disposizione i propri mezzi è disseminata di vicende giudiziarie, d’indagini della magistratura e della Guardia di finanza per reati come «associazione a delinquere», «turbativa d’asta», falsa fatturazione, corruzione… Ci sono i ritagli dei giornali con le notizie degli arresti d’imprenditori, a più riprese, nei tardi anni ’80, all’inizio dello scorso decennio… Basterebbe poco ai cronisti “centrali” – uno sguardo ai propri archivi, de La Stampa, di Repubblica – per documentarsi. E se è vero che i trascorsi giudiziari non bastano per emettere una sentenza di colpevolezza attuale, è pur anche vero che l’impatto di quello strano mix di Stato e di sospetto “antistato” ha un effetto devastante sui sentimenti collettivi di una popolazione che dallo Stato vorrebbe essere protetta e non attaccata. È il mondo che appare alla rovescia. E insieme terribilmente vero.

Possiamo chiederci il perché di questa distonia ottica, che rende così cieco (e ottuso) il “centro” e così lungimirante il “margine”. Che acceca chi in teoria avrebbe tutti gli strumenti per guardare ad ampio raggio, e al contrario rende visionario chi in teoria dovrebbe essere “tagliato fuori”. Una risposta – ineccepibile – la offre la letteratura più radicale della galassia post-coloniale statunitense, quella ascrivibile al femminismo nero, capace di muoversi acrobaticamente tra esclusione estrema e inclusione letteraria, ben testimoniata da Bell Hooks con il suo Elogio del margine. Qui la capacità di aprire il tempo dello sguardo laterale è ascritta al suo carattere di “spazio di resistenza”. Alla bi-direzionalità di quello sguardo, rivolto contemporaneamente verso l’interno e l’esterno: libero dunque. Non prigioniero. E alla sua irriducibilità al mainstream e al peso falso che lo connota. Chi se ne fa portatore sa, durissimamente, chi è e cosa non intende diventare. A lui si addicono le strofe di Bob Marley: «We refuse to be what you wont us to be, we are what we are, and that’s the way it’s going to be» («rifiutiamo di essere ciò che voi volete farci essere, siamo quel che siamo e voi non ci potete fare proprio niente»). Ma è possibile affiancare a questa anche un’altra ipotesi. Ed è che il centro è cieco perché sta crollando. Perché il mondo di cui si è fatto centro sta “venendo giù”. E come nella Bisanzio cantata da Guccini – «sospesa tra due mondi e tra due ere» – sono i barbari dei confini, non i senatori del Campidoglio, a sapere già la verità.
(pubblicato su il manifesto, 3/7/2011)

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23 Commenti

  1. Emanuele Macaluso, una persona a mio avviso di sinistra e perbene, sostiene che questo tipo di atteggiamento ce l’aveva il Partito Comunista nei confronti dell’autostrada del sole (se è per questo, ricordo che il PCI era contro la tv a colori…).

    Io mi limito ad aggiungere che CON QUESTI ELETTORI NON VINCEREMO MAI: ve li meritate Beppe Grillo e quell’altro intrattenitore mancato al quale state portando acqua con le orecchie. E anche Nanni Moretti, vi meritate.

  2. Il fatto che Macaluso sia perbene non esclude che possa fare, come ha fatto, paragoni ad minchiam. Anche richiamarlo, perdonami, è un’argomentazione ad minchiam, visto che nell’articolo pubblicato Revelli fa alcune argomentazioni molto precise: ed eventualmente quelle sarebbero da controbattere, non credi? Dimostra che questa non è un’opera inutile, smentisci l’affermazione che le previsioni di traffico sulla cui base questa GRANDE OPERA INUTILE verrà (forse) fatta sono totalmente campate in aria (ma lo sappiamo bene, chi fa queste previsioni ha un compito molto preciso, quello di far arricchire le grandi imprese: non è ideologia, questa, basterebbe leggere un testo autobiografico come Confessioni di un sicario dell’economia). Il resto è fuffa.

  3. io, se avessi vent’anni, andrei in val di Susa e mi stenderei sulle barricate; davvero un ulteriore segno della prepotenza e dell’arroganza cieca di uno stato centrale che non capisce, non sa, non pensa. I dati portati da Revelli sono stupefacenti, come si fa a non prenderne atto, a non tenerne conto? E poi vogliamo uranio e amianto polverizzati su tutta la valle? Io confido che le popolazioni della valle non demordano fino ad ottenere quel che chiedono.

  4. Rovelli, mi sa che non ti conviene provocare… per ora ribadisco che questo movimento politico è secondo me funzionale alla ricrescita del consenso smarrito delle destre autoritarie e populiste. Non a caso il nemico principale del vostro maggior generale in campo, il comico in declino Beppe Grillo, pare essere il PD, nonché il misuratissimo Giorgio Napolitano. Invece il bersaglio dei manifestanti sono i lavoratori… il che fa abbastanza incazzare.

  5. > Ma è possibile affiancare a questa anche un’altra ipotesi. Ed è che il centro è cieco perché sta crollando. Perché il mondo di cui si è fatto centro sta “venendo giù”. E come nella Bisanzio cantata da Guccini – «sospesa tra due mondi e tra due ere» – sono i barbari dei confini, non i senatori del Campidoglio, a sapere già la verità

    Un’altra ennesima e del tutto non necessaria teorizzazione dell’apocalisse prossima ventura, lo scontato l’indulgere alla dolcezza del naufragare nella fine dei giorni, l’assunzione gratificante del ruolo del profeta biblico che annuncia la punizione distruttiva dei peccati degli empi. Basta, non se ne può più, il repertorio offre infinite altre opzioni retoriche, usatele, accidenti!

    Anche perché il crollo non guarda in faccia a nessuno, si porta dietro belli e brutti, barbari e senatori, centro e periferia, Torino e Chiomonte, non è affatto detto che sia tutto perbenino e politicamente corretto, anzi credo che quando si manifesterà allora sarà cinico, cieco e carogna come buona parte dei fenomeni storici. Poi per qualcuno il processo di palingenesi sarà galantuomo, ma temo che questa sia vero solo nelle poesie più dolciastre di De Luca.

  6. “mi sa che non ti conviene provocare”: che sei, Massino, un camorrista? Che fai, minacci? Ma per favore.
    Io ribadisco che qui si portano argomentazioni e fatti. A cui, nel merito, non si risponde.

  7. Rovelli mi riferivo alla scarsezza delle tue argomentazioni IMPAURISTICHE. Non ti scaldare… Ora non ho tempo, ma se hai voglia di discutere, domani penso di riuscire a risponderti punto per punto.

  8. Mah, mi pareva ti fossi scaldato tu. Comunque, le argomentazioni in oggetto (che faccio mie, ma che sono qui sopra esposte da Revelli, sulla base di un lavoro ventennale di puntualissima ricostruzione da parte di tutto il movimento) – definirle impauristiche e scarse – proprio per la mole del lavoro su cui poggiano – è solo pregiudizio. Domani io non sarò al computer tutto il giorno.

  9. nel brillantissimo “si spengono le luci” jay MciNerney metteva in bocca a un sarcastico personaggio un’affermazione concernente il fatto che il woddy allen adorato adorato dai radical chic di tutte le latittudini(e dalla sinistra nostrana in particolare)ambientasse la maggior parte delle sue opere in appartamenti di 200 metri quadri con vista sul central park.Il fatto che i black block siano al centro dei pensieri dei confusi epigoni di berlinguer e moro sta a significare che stanno ragionando da assicuratori.La sinistra che mi aspetto non scende in campo per parlare di bottega,e non ha paura del progresso.Ma adopera il cervello

    http://mp3.hhe.cc/Foo%20Fighters/Foo%20Fighters%20-%20Learn%20To%20Fly.mp3

  10. Signor Massino, il PCI questo atteggiamento ce lo aveva anche con altre tratte autostradali, tipo con l’A14, di cui posso testimoniare testimonianze.
    Un atteggiamento che mi pare un titino di conserva. Quindi, un titino di un’altra zona culturale che per carità ha le sue ragioni.
    Io dico solo una cosa: certa gente ha stancato, i protestanti (in senso laico). Sono lavori che portano tanti soldi, se invece di protestare fanno una proposta d’alternativa (tipo che devolvono le loro tredicesime e parte delle loro pensioni – e quelle dei figli e figli – alle famiglie operaie che devono costruire la TAV) bene, altrimenti si togliessero dal mezzo.

  11. Non amo molto peppe grillo, anzi punto, ma posto alcune sue righe perché spiegano brevemente il problema.
    Non serve rievocare il pci e gli anni Sessanta, serve capire quanto questa tratta sia utile OGGI al di là dell’avversione della val di susa che darei per scontata. I territori infatti sono sempre in continua e lenta trasformazione e sempre chi li abita protesta.

    Aspetto l’annunciata confutazione di Massino.
    Io sono piuttosto contraria per le ragioni fin qui esposte e anche perché le infrastrutture ferroviarie del sud italia e delle isole sono in uno stato penoso.
    Forse queste zone non fanno parte dell’europa e del processo di modernizzazione di cui si parla?
    maria

    Non è un treno ad alta velocità, ma un treno merci che dovrebbe trasportare in un lontano futuro carichi inesistenti e in diminuzione da un decennio sull’attuale tratta ferroviaria della Val di Susa. Esiste già, infatti, una linea merci che collega Torino a Modane completamente sottoutilizzata. Un tunnel di 57 chilometri. L’opera sarà finita tra venti anni, un periodo infinito, in cui si prevede un’ulteriore diminuzione dei trasporti europei. A che serve la Tav? Ma soprattutto a CHI serve? Chi ci guadagna? Il costo previsto è di 22 miliardi a carico della collettività. La UE ci darà solo 672 milioni (soldi nostri comunque, dato che diamo ogni anno circa 13 miliardi alla UE e ne riceviamo 9). Perché nessuno confuta questi dati?” “Tremonti ha appena annunciato una manovra di 47 miliardi di tagli e di tasse per evitare il default, ma la ennesima Grande Opera s’ha da fare, come sempre a spese degli italiani. Vedo in questo accanimento dei partiti per la Tav, che per primi sanno essere inutile, la disperazione di chi ha fallito, ma non può tornare indietro.

  12. Per celebrare queste giornate, la TAV prenderà il nome di “Eroi della Val di Susa” (O preferite CAV.?)

  13. Quel che è accaduto in Val di Susa è feroce e incivile: è barbaro.
    È barbara quella felicità eversiva. Quella gioia è il barbaro.
    È barbaro il gesto che non si limita a gettare rose nell’abisso; è barbaro il gesto di chi getta, dall’abisso, pietre contro il mostro. Il barbaro è una pietra.
    Non si comprende ciò che è barbaro: se ne ha paura.
    Lo si rincorre coi discorsi, dopo averlo rincorso per i monti.
    I discorsi non vogliono comprendere: vogliono solo evitare che il barbaro si ripresenti. I discorsi nominano ciò che non si può nominare.
    Nessuno è il nome del barbaro. Non ha nome ciò che spaventa.
    Il barbaro non partecipa a consessi di autentici intellettuali.
    Deride, distrugge, si getta nel corpo-a-corpo: senza mediazione, senza pietà, senza remore buoniste. Se sceglie, lo fa con coerenza. Il barbaro è la coerenza dell’azione. È al di là di ogni intellettuale; ed è l’intellettualità applicata.
    Crudeltà inevitabile. Il barbaro è il sorriso dell’indisciplina.
    Il barbaro non è solo, si fa accompagnare dai suoi sodali. Arrivano da Modena, da Bologna, da Parigi. Ma anche, simbolicamente, da tutte le periferie del mondo. Il barbaro, infatti, è un metalmeccanico, è un muratore, è un facchino, è un precario. Il barbaro è un proletario senza confini.
    Ogni voce che giunge dal fondo ha un suono barbaro.
    È ben oltre ogni malattia, il barbaro; ed è l’estasi del virus che attacca il corpo solido della disciplina. Meglio un disastro o il deserto?
    È un atto costitutivo, ed è la comunità futura, quella che non si piega; il barbaro è il desiderio che diventa atto. È l’atto politico che gioca mettendo tra parentesi le regole del gioco. Possiamo definirlo come l’atto che istituisce una nuova politica.
    Possiamo dire che il barbaro è la fine della depressione. La sinistra ritorna al suo concetto. E infatti, il barbaro mette fine al rituale delle false scadenze. È la sinistra nella sua esistenza minima.
    Il barbaro esce dai ranghi. Esce dalla società del poliziesco. Il barbaro è la forma che assume l’opposizione quando diventa astuzia dell’atto. È il pericolo, ma è anche ciò che apre legami nuovi.
    Che cos’è il barbaro? Il malato di verità. Non si piega all’idiozia di chi regge il moccolo. È stolto, è violento, è crudele, è ignorante, ma non è falso. Il suo gesto è la sua verità.
    Il barbaro è oltre la sorveglianza.
    Casseur che fa del corpo il proprio linguaggio, ben sapendo che prima dell’atto e dopo ogni azione il discorso è necessario; ben sapendo che il linguaggio che deve usare non può essere lo stesso di chi, in queste ore, sta gridando contro i barbari. Un linguaggio che non riposa in se stesso.
    Le bande sono pericolose. Possono costituire “un fascismo di branco”.
    Ma qual è l’alternativa? L’azione singola? L’atomismo, l’isolazionismo, lo stare dentro se stessi? Anche la libertà, in seno alle bande di barbari, è una conquista. Ma la sua irriducibile estraneità ai giochi di potere è già un principio di antidoto. Il barbaro non è amico del fascismo.
    Là dove l’obbedienza è messa a riposo, il germe del fascismo inevitabilmente auto-decade. Il barbaro non obbedisce nemmeno a se stesso.
    Quanta crudeltà nei loro sorrisi! Ma, anche, quanto amore!
    Chi è inerte, chi vive nella quiete, chi accetta, chi si decompone davanti ad un computer, chi scommette sull’inerzia, non sorride alla vita; la sua tristezza coincide con la sua morte-in-vita. Il barbaro sorride alla vita, e lo fa nello stesso istante in cui la morde. Un sorriso senza pace.
    Il barbaro è un disertore.
    È il rifiuto. È una nuova educazione sentimentale. È il disprezzo per ciò che è sovrano. È l’irresponsabilità di Gaetano Bresci. Ed è la responsabilità di chi inizia a imparare. Si esercita a diventare un altro. Affinché, dalle sue ceneri, nasca qualcosa di migliore.
    E infatti, il barbaro non basta a se stesso.
    Anche per questo, chi vuole uscire dalla gestione compiaciuta dell’esistente deve fare proprio quello scarto, per renderlo più efficace; per aprire qualcosa di grosso, qualcosa di cui far parte.
    In nome di Nessuno.

  14. Non chiamamoli blak bloc, ma chi erano quei giovani con maschera antigas, mazze, caschi e cappucci che andavano e venivano dalla boscaglia?
    Comunque si voglia giudicarla non si può negare l’evidenza di una presenza estremamente aggressiva e violenta dicendo che è tutta un’invenzione dei media.

  15. non si può neppure ridurre una questione come quella del val susa agli scontri di ieri (e per altro andrebbe distinta l’azione dalla reazione). cmq scusa, in verità me la sto cavando con poco e non avrei dovuto entrare in argomento solo con qualche battuta. ma purtroppo adesso non riesco a fare altrimenti :-(

  16. @gherardo
    su questo ti dò ragione, la questione della val di susa non può essere ridotta soltanto agli scontri di ieri e proprio per questo negare i momenti di violenza o parlare di popolo pacifico e colorato guastato dagli infiltrati, come fanno alcuni, serve a poco o nulla.

  17. Maria, intanto grazie per la fiducia (anche se ti deluderò). Ma sono 20 anni che la discussione va avanti. 20.

    Non mi ero accorto che l’articolo era dell’esimio Accademico Marco Revelli. L’avevo banalmente confuso con Marco Rovelli. Con l’Accademico Revelli nonmi va di polemizzare in modo becero, perché ha una posizione a mio avviso sbagliata, ma metterglisi contro vuol dire ponderare e ponderare, che ora, per quanto mi sforzi, non mi viene.

    Soltanto riesco a dire – in più a quanto già detto sullo stesso tema a Ne.Ga nel precedente post di Marco Rovelli – che è impossibile non vedere l’antistatalismo eversivo di questa protesta. Gli intervistati che ho sentito io dicono che non si riconoscono nello Stato. Vuol dire che non credono nella dialettica politica. Vuol dire che non ritengono valido il principio della sovraterritorialità delle decisioni. Vuol dire che non ritengono la democrazia rappresentativa uno strumento che porta beneficio alla vita dei cittadini, ma la ritengono dannosa e proditoria. Vuol dire che odiano l’Europa unita. Che Marco Rovelli li ritenga un soggetto positivo della storia politica italiana, ci sta; lo stesso il barbaro qui sopra. Ma non ritengo normale che un pensatore strutturato come Marco Revelli…. non si renda conto che assecondare questo tipo di proteste localistiche significa anticipare di molto la guerra civile. Vabbè, basta che me lo dite un po’ prima, faccio in modo di non essere in Italia (perché penso che sia lo Stato che gli insorti se la rifarebbero primaditutto con i non ortodossi)

    Vi lascio con alcune chicche dal blog del comico in declino Beppe Grillo (del quale sono naturalmente invidioso, soprattutto della bella capigliatura)

    1) Aspetto il giorno che potremo andarli a prendere noi di persona questi porci, li a Roma, e poterli attaccare su, come una seconda Piazzale Loreto. Ho una grande nostalgia degli Anni Settanta……….. paolo de sanctis 04.07.11 13:14|

    2) Ma chi è l’arci-politico del peggio? Berlusconi, D’Alema, Casini, Fini, no, il peggio del politico è impersonato da Napolitano, l’arci-politico del peggio, perchè è il politico anarcoide sempre vittima, mai carnefice, perche’ tutto quello che li capita non è mai lui. Tutti i mali che lui subisce, che il Paese subisce, sono sempre colpa di altri.
    http://www.youtube.com/watch?v=5KBNeT6Dr4Y
    SI dalla base 04.07.11 11:55|

    3) Capo dello stato come al solito LEI fa SCHIFO !!!! come il suo PAESE DI MALEDETTI! PREGO che lei faccia la fine peggiore, come il Suo popolo. SPERO CHE SENTA LE PENE DELL’INFERNO
    Claudio 04.07.11 08:10|

    4) NAPOLITANO DICE:

    VIOLENZA INTOLLERABILE, INTERVENIRE CON FERMEZZA DA PARTE DELLE FORZE DELL’ORDINE. Lo stesso avrebbe detto contro i PARTIGIANI quando combattevano per la libertà contro i tedeschi ? Perchè non usa gli stessi termini contro il governo che violenta i pensionati, i giovani senza lavoro e senza futuro e i ceti meno abbienti ? Te saluto Napolità e prima di parlare, accertati che l’interruttore del cervello sia inserito su ON e non su OFF.
    Carlo Perricone 04.07.11 09:34|

    Il seguente è invece contro le proteste, cerca di descrivere la gente delle valli, non so se ci riesce:

    Sono di Torino e conosco la Val Susa nonché i suoi abitanti per averla
    frequentata sin da giovanissimo. La mia impressione è che il movimento 5
    stelle e Beppe grillo si stiano facendo strumentalizzare dagli interessi di
    una minoranza. Ricordo perfettamente che quando fu realizzata l’ autostrada
    Torino-Bardonechia le proteste dei residenti furono decisamente inferiori
    nonostante l’ autostrada avesse un impatto ambientale decisamente superiore
    a quello della TAV Torino-Lione. Le minori proteste erano la conseguenza di
    una semplice considerazione: gli abbitanti della Val Susa potevano trarre
    benefici economici da un’ autostrada che avrebbe favorito l’ afflusso
    turistico in valle cosa che invece la TAV non garantisce. Fa veramente
    specie vedere i contestatori Valsusini organizzarsi ponendo di traverso
    sulle strade i loro potenti SUV. Come brillantemente sintetizzato da una mia
    amica, il senso della loro protesta sembra potersi riassumere nello slogan
    “No TAV, si SUV!”.
    Cordialmente.”
    Daniele Caneparo 04.07.11 10:23|

  18. “L’avevo banalmente confuso con Marco Rovelli. Con l’Accademico Revelli nonmi va di polemizzare in modo becero”
    Ovviamente a Rovelli si può rispondere beceramente invece. Bontà sua.

    Peccato, attendevo ansiosamente le Sue confutazioni nel merito… Invece ancora fuffa. Ce ne faremo una ragione.

  19. @Larry Massimo
    Nutro pochissima simpatia per Beppe Grillo, ma, per quanto non manchino sue marchiane stupidaggini sulla questione TAV; non credo siano rappresentativi del suo pensiero commenti non moderati postati sul suo blog

  20. Sai cosa, Massino? Adesso chiudo i commenti. E dammi pure del fascista, fa’ pure tutti i post che vuoi sul tuo blog. Di fronte alla tua ammissione, non ho nulla da dirti. Se non che con ogni evidenza il fascista sei tu.
    (E ovviamente non sarai gradito nei miei post futuri. Addio).

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Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.
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