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20 luglio 2001

di Erri De Luca

[Dieci anni fa Genova. Uno spartiacque. Quest’anno molti scrittori hanno voluto ricordare quei giorni, e Carlo Giuliani che è diventato il “ragazzo” fratello di tutti noi, contribuendo a un libro, Per sempre ragazzo, edito da Tropea. Pubblico la poesia di Erri De Luca. mr]

*

Un proverbio persiano dice: «Se vuoi farti un nome,
viaggia o muori». Lui non voleva un nome,
quel mattino di luglio voleva andare al mare.
La strada era già un mare,
le ondate di migliaia dietro migliaia dentro le piazze,
i vicoli, nei viali, allagavano Genova città.
Pensò ch’era Venezia, liquida di canali.
Cercò di navigarla, però l’alta marea
di molta umanità se lo portava via nella corrente.
Più logico seguirla. Era lo stesso una giornata al mare.

Montava il terzo giorno di acqua alta, a Genova e di luglio,
tre giornate di onde di persone.

C’era l’appuntamento di otto presidenti
con la scorta delle gendarmerie assortite,
pure le guardie forestali e di penitenziario.
C’erano i paracadutisti e i palombari.
A parte queste frotte, Genova conteneva
la formula migliore di popolo riunito dalla rosa dei venti.
Su qualunque mezzo, compreso nave, bicicletta e a piedi:
evviva i viaggiatori, sudati, intransigenti, lieti.

Quel giorno terzo il cretino al potere, incretinito appunto dal potere, scagliò la truppa addosso all’alta marea. Era marea di quelle che non possono defluire a mare. Nella città compressa tra la collina e il porto non aveva uscita, sfogo, scappamento. Aggredita, si riformava ovunque, scossa e scombinata dal suo stesso formato innumerevole. Sbatteva contro i muri, i manganelli, i calci in faccia e gli insulti della truppa arroventata dal sole e dal cretino.

Lui si mischiò dentro l’acqua agitata.
Pensò che il mare non andava preso a calci.
Il mare quando è fatto di persone, va ascoltato e basta.
Il mare quando è pieno di sale di ragione, va in salita
scavalca dighe e moli. Oggi io sono il mare,
pensò all’ingresso del piccolo slargo di piazza Alimonda,
nome che finisce con un’onda.
Gli venne il sorriso veloce di quando scorgeva
la strizzatina d’occhio di una coincidenza.

Amava il latino, traduceva Catullo stordito d’amore,
Ovidio spedito in esilio, Virgilio col biglietto
per visitare l’aldilà, il gran museo dei morti.
Amava il latino. Nel mazzo di carte da studio un ragazzo
ci vuole vedere in qualcuna il suo settebello.
Mare: in latino al plurale fa mària.
Decise quel giorno e quell’ora che avrebbe sposato
una di nome Marìa e le avrebbe spiegato perché.

Su piazza Alimonda il sole batteva a tamburo,
la luce bruciava negli occhi.
Un carabiniere coi calci
sfondò il vetro del suo quattroruotemotrici.
Di solito i vetri si rompono da fuori.
Quello si ruppe da dentro. Il carabiniere
tolse così l’ostacolo alla mira e la sicura all’arma.
Lui pensò di dover raccogliere i vetri,
non vanno lasciati sul fondo del mare.
Chinato a levarli, un estintore gli rotolò vicino.
Lo prese, gli venne l’impulso di gettarlo via,
s’accorse del carabiniere, del vetro sfondato, del braccio,
con l’arma, col dito. Che fai disgraziato?
Non vedi che io sono il mare?

Il mare lanciò l’estintore con tutta la forza
del braccio e dell’onda di piazza Alimonda.
In volo incrociò la pallottola calibro nove.
Cadendo pensò che il mare così abbatte le sue ondate
addosso alla scogliera e quando si sollevano gli spruzzi
vengono giù e l’onda non c’è più.
Il mare nell’urto da azzurro si rompe nel bianco.
Gridarono le ali e le lenzuola stese,
gridò lo zucchero, la farina, il sale,
il marmo, la pagina e la schiuma delle onde vicine,
gridò il bianco dell’uovo e delle voci.

Pensò: non è così che sposerò Maria.
Un accento si sposta e si scombina il legittimo destino,
può darsi che c’entri il latino,
o un giorno violento di luglio, lo scambio di un mare per l’altro.
Pensò ch’era arrivato a riva,
dove il mare riabbraccia la sua onda schiantata
e la riassorbe. Pensò al respiro di sua madre, il mare.
Poi scivolò sul fondo, senza peso di vita.

Dice il proverbio persiano: «Se vuoi farti un nome,
viaggia o muori». Dieci anni più tardi il suo nome viaggia
insieme alle onde che sono la maggioranza del mondo.

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marco rovelli
Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.
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