“Rivoluzione” è femminile

di Gianni Biondillo

Forse Veltroni in Africa dovrebbe andarci per davvero, anche per evitare strafalcioni. In un suo articolo sulla Stampa, nei giorni più cruenti della repressione poliziesca, aveva scritto che in piazza erano sì tutti giovani, ma tutti maschi. “Indice di comunità che negano diritti fondamentali e protagonismo alle donne.” Ne parlo con Barbara Teresi, palermitana che vive da anni al Cairo. Dalla finestra di casa sua si vede Piazza Tahrir, il cuore pulsante della rivoluzione. “Le donne c’erano” mi dice, infervorandosi. “Donne di ogni età e di ogni estrazione sociale. Giovani, adulte, anziane, musulmane velate e non, cristiane, donne col velo integrale e ragazze alla moda occidentale, giornaliste, bloggers, attiviste, popolane analfabete, scrittrici famose, madri con bambini in braccio.”
In fondo basterebbe guardare i video su you tube girati in quei giorni dai ragazzi della piazza per rendersene conto: si vedono ragazze che protestano, sollevano cartelli e bandiere, arringano le folle armate di megafono, inventano slogan. E con un coraggio leonino ancora più ammirevole di quello maschile, specie se teniamo presente della brutale sbirraglia egiziana, solita praticare la molestia sessuale come mezzo di intimidazione. Dovremmo perciò celebrarle queste ragazze. La notte fra il 2 e il 3 febbraio, quando i cecchini sparavano indistintamente sulla folla, le donne c’erano, prosegue Barbara. “C’era anche la mia amica Nazly Hussein, insieme a sua madre” entrambe attiviste per i diritti umani. “C’erano anche madri con i loro bambini. Quella notte Nazly ha visto morire un sacco di gente e, com’è comprensibile, era sotto shock.”
La rivoluzione egiziana ha avuto le sue eroine: Asmaa Mahfouz, attivista ventiseienne, tra gli organizzatori della manifestazione del 25 gennaio che dato inizio a tutto, Amira Shahin, conduttrice del telegiornale di stato, che, come riferisce il Time, ha rifiutato di raccontare bugie progovernative dallo studio televisivo, dando le dimissioni per poi raggiungere la piazza dei rivoltosi. Mi chiedo quanti dei nostri telegiornalisti si comporterebbero così, da noi.
Dunque perché sminuire il ruolo femminile nella rivoluzione? Forse per un nostro preconcetto occidentale che ha un’idea semplificata di quel mondo in realtà complesso e incredibilmente dinamico, in divenire?
Nehal, velata guida turistica che parla un italiano commuovente, lei che l’Italia non l’ha mai vista, mi porta a visitare le meraviglie della Cairo islamica. Da sunnita convinta reputa eretico il messaggio inciso nella pietra secoli fa nel chiostro della moschea sciita di Ibn Tulun. Ma ama l’arte ed è tollerante. Molto meno, a dir la verità, nei confronti delle donne completamente avvolte di nero. “Il Corano non ci chiede di coprirci così. Non è fede questa, è fanatismo.”
La nostra ossessione, da qui, lo sappiamo, è il velo. I nostri politici sembrano sempre pronti a combattere una crociata per scoprire il capo di queste donne, per denudarle, liberarle dal giogo. Eppure mentre ora giro per il Cairo mi accorgo di incontrare ragazze vestite nei modi più differenti. “Dipende tutto dalla classe sociale, dallo stile di vita, dal grado di cultura e dal tipo di istruzione ricevuta” mi dice Barbara. “L’inspiegabile ossessione che l’occidente ha sviluppato nei confronti del velo, in realtà non è applicabile all’Egitto. Qui le musulmane possono scegliere di indossarlo o meno. E di indossarlo su una palandrana o su jeans elasticizzati e maglia aderente. Io ho amiche che lo portavano e poi hanno deciso di toglierlo e viceversa.” Concentrarci su un particolare in fondo ci serve per differenziarci da loro, crederci più moderni, più evoluti. Non che la società egiziana non sia intrisa di maschilismo, ma vogliamo forse credere che quella italiana non lo sia? Le donne in Egitto coprono ruoli pubblici, nelle università, nel mondo del lavoro, ma esattamente come da noi non raggiungono mai i vertici del potere. Ci somigliamo più di quanto vogliamo ammettere.
Tranne che in situazioni culturalmente arretrate è più il comune senso del pudore che copre le donne cairote che una oppressione coercitiva. “Le donne egiziane non accetterebbero mai, come invece le italiane, di essere considerate alla stregua di mortadelle” mi dice Barbara. “Ma in privato col maritino indossano certa biancheria intima che uno non si aspetterebbe mai.” In effetti girando per Khan el-Khalili ho visto esposta lingerie da far arrossire. Se la vendono vuol dire che qualcuno la acquista!
È sempre il corpo delle donne l’indicatore del benessere di un popolo. La sua emancipazione implica l’emancipazione dell’intera società. Lady Mubarak – forse con paternalismo, forse con lungimiranza – aveva portato avanti una battaglia meritevole, quella contro la piaga millenaria della escissione della clitoride, che ha dato i suoi frutti in una legge del 2008 che la vieta. L’usanza, è bene ricordarlo, non è di natura religiosa, la praticano, oggi di nascosto, indifferentemente islamici e copti. Però, come mi confermano le amiche cairote, negli anni la situazione sta cambiando, in positivo. La scolarizzazione (ancora troppo bassa nelle campagne) e il generale progresso sta facendo la differenza. “Io conosco una famiglia che ha fatto mutilare la figlia più grande che adesso ha una trentina d’anni” mi dice Barbara, “ma non la piccola, di circa 23 anni, perché il fratello maggiore, allora studente, si è opposto alla decisione dei genitori.”
E poi c’è internet. E il porno. Giorgia, romana giramondo, mi racconta della sua domestica, che, analfabeta e tradizionalista, ha organizzato un matrimonio al figlio per salvarlo dalla sua ossessiva visione quotidiana di video porno. Con la moglie per un po’ la cosa ha funzionato, poi il ragazzo si è rituffato nelle perversioni della rete. “Ma tu che ce l’hai” ha chiesto alla mia amica la donna, pudica, riferendosi senza citarlo all’organo del piacere, “che cosa si prova?” Il dubbio e la conseguente coscienza di una violazione perpetrata sul proprio corpo, in fondo, è il primo passo. Sembra strano dirlo, ma vuoi vedere che si può arrivare ai diritti della persona e alla democrazia, in questa nazione giovane, in bilico fra tradizione e tensioni innovative, anche passando dalla più greve pornografia?

[pubblicato su Vita, 1 luglio 2011]

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6 Commenti

  1. Giusto. In Italia dovremmo fare lo stesso, manifestazioni a tappeto, perché la manovra appena approvata è uno dei più violenti esempi di macelleria sociale mai apparsi in questo paese da almeno trent’anni. Pagano tutto le classi meno abbienti, dissanguate fino all’osso per arricchire i capitalisti finanziari globali e per rimediare ai loro fallimenti e alle loro truffe. Veltroni, oltre a non avere idea di cosa scrive, dovrebbe scuotersi dal torpore in cui se ne sta imbambolato, come i suoi compagni di partito, fregati come bambini tonti dal governo porno-zombie, solo perché gliel’ha imposto Napolitano.

  2. che “uolter” abbia perso la trebisonda è cosa acclarata, ormai. così come l’occidente, cui non resta che sperare in un vento nuovo che soffi da est, dal medioriente e da quel mediterraneo che fu da sempre culla di civiltà. ché noi la nostra la stiamo perdendo.
    bel pezzo, gianni.

  3. è uno dei più violenti esempi di macelleria sociale….. dissanguate fino all’osso…

    Comprendo il dover d’enfasi… ma santoiddio! E come mai le piazze italiane non sono colme di disperati tipo usa anni ’20 che hanno solo le classiche catene da perdere? E’ solo una (brutta malfatta e iniqua) manovra di destra in un paese tra i più ricchi del pianeta, e il tutto dentro un sistema (si dice ancora così?) che certo può fare schifo (a me ne fa) ma per il quale (a mio avviso) latitano alternative con gambe di massa…
    In quanto a credere ai venti mediorientali… io, vecchio, non vedrò il seguito, ma stento parecchio ad individuare in quei venti i prodromi dell’alternativa globale. Ma vabbè…
    Saluto estivo
    Mario Ardenti

  4. Posso confermare, anche per il Bahrain, il ruolo straordinario, e nuovo, delle donne nella grande mobilitazione di questa primavera, certo con le modalità particolari di questa popolazione sciita. Oltre alla mia testimonianza, foto e filmati possono dimostrare che una buona parte dei cortei e delle manifestazioni di piazza erano composti di donne, con le loro abaya nere, ma vivacissime e fitte di cartelli e bandiere. E infatti figurano numerose nelle liste di feriti e arrestati…

  5. Per quanto riguarda la rivoluzione egiziana,sarebbe ora di aprire gli occhi,visto che il potere è ancora in mano all’esercito,a proposito di democrazia.
    Mi rallegro della scoperta della condizione femminile dell’Egitto di Biondillo,ma era così pure dieci anni fa.

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gianni biondillo
gianni biondillo
GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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