FABIO FRANZIN

L’é stronzo co’là, e basta

Anca incùo, tre de agosto domìe e undese,
intànt che ‘e borse brusa mièri de miliardi
e tuta l’economia del mondo ‘a ghe sbrissa
via dae man sporche e sbusàdhe dei póitici,

anca incùo son qua sot el sol che vae ‘torno
fra capanóni vèrti e altri seràdhi opùra vòdhi,
son qua che vae in zherca de ‘na fabrica che
no’ son bon de catàr, Formaplast ‘a se ciama

e core vose che ghe serve operai. Son qua pa’
presentàr ‘a domanda, ‘a via la ‘é quea justa,
‘ò controeà tre volte tea carta… l’unica ‘lora
l’é provàr ‘ndo’ che i cancèi i ‘é spaeancàdhi

e no’ l’é nome tel canpanèl, ‘ndo’ che no’ i ‘à
‘ncora serà pa’e ferie. Me ‘vizhine a un de chii
capanóni co’i portóni in sfesa, òce bobine e
scafài, tasse de panèi, rulière e machinari…

da in fonde un sora el muét me fa segno co’a
man de fermarme, me varde indrìo, son ‘ncora
sol tel piazhàl, no’ò passà nissùn confìn, nissùn
accesso vietà, quel co’l muét el continua vègner

‘vanti co’a man alta come ‘a paéta de un vigie,
el me ‘riva vizhìn, e mèdho inrabià el me dise
còss’ che fae, còss’ che vui, drento là; conósse
chea vose, precisa a quea de Bairam, o de Aliù,

‘ven lavorà sète àni tel stesso reparto prima
che i serésse ‘a fabrica, ‘ò fat de chee barùfe
co’ quei un fià razisti, ‘pena che i ‘é ‘rivàdhi,
che anca ‘dèss co’ i me cata in piazha i vòl

senpre pagarme el cafè. ‘Sto qua ghe somèjia:
stessa barba longa, stessa maja smarìdha e curta,
el par squasi un só sosia, no’ fusse che no’l ride
intànt che ‘l me parla. No’a ‘é quea ‘a fabrica

che zherche, e no’l sa ‘ndo’ che ‘a sie, però
el me ricorda serio de ‘ndar fòra dai cancèi,
suìto, l’é sora un muét e ghe par de èsser sora
a un caro armato, co‘e pàe alte el me para via.

Son qua, fòra dai cancèi che lù l’à za serà su,
son qua che cète ‘a rabia inpizhàndo ‘na cica.
Sotvose me dise che ‘ò fat ben a no’ voér zhigàr
anca mì via i forèsti. L’é stronzo co’là, e basta.
È stronzo lui, e basta

Anche oggi, tre agosto duemilaundici, mentre le borse bruciano migliaia di miliardi / e l’economia del mondo intero sguscia / via dalle mani sporche e bucate dei politici, // anche oggi sono qui sotto il sole che vago / fra capannoni aperti e altri chiusi o abbandonati, / sono qui che vado in cerca di un’azienda che / non riesco a rintracciare, Formaplast si chiama // e corre voce stia assumendo personale. Sono qui per / presentare la domanda, la via è quella giusta, / ho controllato tre volte sulla carta… Non mi rimane allora / che tentare dove i cancelli sono spalancati // e non c’è nome sul campanello, dove non hanno / ancora iniziato le vacanze. Mi avvicino ad uno di quei / capannoni dai portoni accostati, intravedo bobine e / scaffali, pile di pannelli, rulliere e macchinari… // dal fondo del magazzino uno in cima a un carrello elevatore a gesti / mi intima di fermarmi, mi guardo intorno, sono ancora / soltanto nel piazzale, non ho varcato nessun confine, nessun / accesso vietato, quello sul carrello continua ad avanzare // con la mano alta come la paletta di un vigile, mi si avvicina, e con un’aria nient’affatto amichevole mi chiede / cosa ci faccia lì, di cosa sono in cerca là dentro; riconosco / quella voce, la stessa pronuncia di Bairam, o di Aliù, // abbiamo lavorato sette anni nello stesso reparto prima / che chiudessero la fabbrica, ho fatto di quelle baruffe / per difenderli da quelli un po’ razzisti appena arrivarono, / che anche adesso quando mi incontrano in piazza vogliono // sempre offrirmi il caffè. Questo qui gli assomiglia: / stessa barba incolta, stessa maglia sbiadita e troppo corta, / sembra quasi un suo sosia, non fosse che non sorride / mentre mi parla. Non è quella l’azienda // che cerco e non sa dove sia, però / mi ricorda minaccioso di uscire dai cancelli / immediatamente, guida un carrello e gli sembra di essere sopra / a un carro armato, mi spinge fuori con le staffe all’altezza del mio petto. // Sono qui, oltre il cancello che lui ha già richiuso, / sono qui che domo la rabbia accendendomi una sigaretta. / Sottovoce mi convinco che / ho fatto bene a non unirmi al coro che urlava / via da qua gli immigrati. È stronzo lui, e basta.

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4 Commenti

  1. credo che fabio franzin sia uno dei (rari) poeti italiani in grado di parlare alla pancia e alla testa del lettore; la chiusa di questa poesia è semplicemente splendida e, nonostante io non ami le poesie lunghe, non credo ci sia qualcosa da tagliare o da limare, lo stile narrativo di questa appassionante poesia civile mi intriga tanto.

  2. L’ho incontrato Franzin e ho letto alcuni suoi libri. Ho praticato quello che dice in diretta, non perché cercavo lavoro, ma perché la vita, il caso ti metta sulla pista di altri e concordo che, quello che fa la differenza, non è la razza, ma l’umanità di cui siamo o non siamo dotati, se siamo ingabbiati anche quando crediamo di essere liberi, quando crediamo di essere salvi e siamo in un mare di distanze, quando non siamo più che cose, e basta, dentro la piazza di affari sempre degli altri. f.f.

  3. […] Continua la lettura su "Nazione Indiana" >>  Condividi:emailPDFdel.icio.usGoogle BuzzTwitterFacebook Altri articoli:A Fabio Franzin il premio “Achille Marazza 2011″ Segnaliamo in anteprima che il prestigioso premio di poesia “Achille Marazza 2011”, vinto in passato da poeti come Sanguineti, Ceronetti, Ruffilli, Marcoaldi, Rondoni, mons. Ravasi, è stato assegnato all’amico e compaesano Fabio Franzin per la raccolta…… […]

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franco buffoni
franco buffonihttp://www.francobuffoni.it/
Franco Buffoni ha pubblicato raccolte di poesia per Guanda, Mondadori e Donzelli. Per Mondadori ha tradotto Poeti romantici inglesi (2005). L’ultimo suo romanzo è Zamel (Marcos y Marcos 2009). Sito personale: www.francobuffoni.it
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