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London revisited

di Marco Mancassola

Ho saputo che i disordini erano scoppiati anche a Brixton quando sulla metropolitana hanno annunciato che il treno non avrebbe fermato in quella stazione: era chiusa per “vandalismo”. Nel frattempo i disordini si erano sparsi in varie parti della città e a Tottenham, a pochi passi da dove vivo, si sentiva ancora l’odore di bruciato nell’aria. Le macchine incendiate erano state rimosse in fretta, ma avevano lasciato lunghe sagome annerite sull’asfalto.

“Negli altri paesi le rivolte scoppiano per domandare democrazia o far cadere un governo, qui scoppiano per assaltare i negozi”, afferma un amico anglosassone quando infine lo raggiungo a Brixton. Joe mi accompagna a vedere il negozio di attrezzature elettriche Currys a un centinaio di metri da casa sua. Lo hanno saccheggiato poche ore prima. Non c’è molto da vedere oltre alle solite vetrine infrante, serrande abbassate ormai inutilmente, un mucchio di merce calpestata sulla soglia.

Quella sera le sirene urlanti, elemento già fin troppo tipico nel paesaggio sonoro della capitale, riempiono le strade. Le volpi del boschetto in fondo alla strada, che di solito col buio si avventurano fuori, schizzano via al passaggio di ogni convoglio di polizia. In tivù un notiziario sta facendo il punto sugli avvenimenti globali con un montaggio di immagini in diretta: a un tratto, una piccola epifania. Sullo schermo diviso in due si vede da una parte un edificio in fiamme a Croydon, Londra sud, dall’altra la campanella di chiusura della borsa di New York alla fine dell’ennesima giornata nera. Il caos per le strade e il tonfo finanziario. L’accostamento ha qualcosa di così emblematico da lasciare muta, per qualche secondo, persino la voce del loquace commentatore.

Il rapporto diretto fra speculazioni finanziarie e impoverimento delle fasce deboli, fra politiche economiche e disperazione giovanile, è un argomento lampante e viene usato da più parti, in questi giorni, per abbozzare letture politiche degli avvenimenti inglesi. Mentre i tabloid invocano la tolleranza zero, gridano allo scandalo dei baby-rivoltosi (“Un saccheggiatore di 7 anni!” era il titolo di una recente copertina) e applaudono la polizia quando usa maniere forti, l’opinione pubblica liberal si interroga sul fallimentare contesto economico-educativo in cui crescono i ragazzi dei quartieri difficili.

Gli amici politicizzati mandano link di analisi rivoluzionarie. In tutta Europa, come in occasione di altre sommosse di strada, varie voci salutano l’avanguardia della sollevazione prossima ventura. Letture a cui sfugge, forse, il carattere scivoloso dei fatti inglesi. La velocità con cui la protesta per l’uccisione da parte della polizia del giovane Mark Duggan si è trasformata in una cronaca di saccheggi, incendi e atti vandalici estranei a ogni ordine simbolico – i negozi colpiti erano a volte di grandi catene, molte altre negozietti a conduzione familiare – parla di un tipo di sommossa che si beffa delle analisi, delle letture, delle sovrastrutture politiche e degli stessi ordini simbolici.

Su Youtube, i video di Grime Report celebrano questa obliquità tra politico e non politico, tra ciò che è possibile militanza e ciò che è la semplice appartenenza a una gang. Grime è il nome del genere musicale, una forma di hip-hop, sviluppato da anni nei ghetti londinesi. I video in questione mostrano montaggi di immagini delle rivolte e dei luoghi devastati con il sottofondo di brani incalzanti. Un nuovo genere a metà tra il videogiornalismo e il videoclip. Sempre su Youtube, ha fatto scalpore il video di un ragazzo ferito durante le sommosse. Sputa sangue sull’asfalto. Alcuni dei saccheggiatori si avvicinano, sembrano volerlo aiutare, mentre altri in realtà si avvicinano da dietro, gli aprono lo zaino e lo derubano con noncuranza. Il video, nella sua banalità, ha qualcosa di disturbante: seppure riferito a un episodio isolato, sembra delineare un orizzonte di singoli all’attacco, senza molta solidarietà reciproca.

Chi vive a Londra conosce la cronaca quotidiana di omicidi, aggressioni, coltellate che hanno per protagonisti gli adolescenti della città. Gli adolescenti girano per i quartieri, sfaccendanti, con le loro scarpe da ginnastica bianchissime, assorbendo le contraddizioni di un’intera metropoli, di un’intera società. Quando l’inquietudine trova la scintilla per diventare disordine, ecco che l’evento prende forma quasi di estremo flash-mob, happening del qui e ora, sfogo febbrile a metà tra la disperazione di chi non ha nulla da perdere e il rito anarchico-liberatorio. Spaccare tutto è appagante. Questi ragazzini “senza coscienza” non fanno ciò che il nostro inconscio di adulti occidentali, di fronte agli scricchiolii macabri del sistema, sempre più spesso sogna di fare?

Croydon brucia, le borse crollano. Condannabili o meno, dotate di rivendicazioni ideali oppure occasioni di saccheggio vigliacco, le sommosse urbane – plurali, con pulsioni diverse, intrecciate tra loro e a volte indistinguibili – sembrano avere un’aria drammaticamente inevitabile. Ken Livingstone, ex sindaco di Londra, dice in tivù che questi ragazzi “non pensano di fare parte di questa società”. In fondo non siamo a casa di Margaret Thatcher? La profetessa del neoliberismo, colei che affermava: “La società non esiste.”

Molta gente, nelle giornate clou degli scontri e dei saccheggi, è andata a mangiare nei ristorantini di Dalston: sapeva che erano aperti. E il motivo per cui erano aperti era che i ristoratori e i negozianti turchi della zona avevano chiamato amici e parenti, con mazze da baseball, a fare la guardia delle proprie vetrine. Ha funzionato. Le gang dei ragazzini sono passate per la zona ma, tranne l’assalto a un negozio della catena JD Sports, non hanno osato altro.

Basterebbe questo episodio per suggerire che negli scontri di Londra si sono intrecciati vari fattori, comprese le tensioni tra comunità diverse – comunità razziali, come del resto accade da decenni in questo paese; comunità anagrafiche, con gli adolescenti con felpa e cappuccio a formare una comunità a sé. I tre uomini di origine asiatica morti a Birmingham sono stati uccisi in questo modo, investiti da un’auto mentre facevano la guardia a una pompa di benzina.

Le autorità, d’altro canto, incoraggiano l’autodifesa: secondo il quotidiano Guardian, la polizia avrebbe distribuito istruzioni ai commercianti londinesi sull’“uso ragionevole della forza” per difendere le proprietà. Le vendite online di strumenti di autodifesa sono lievitate: Amazon.co.uk ha visto crescere a livelli esorbitanti, nelle ultime ore, le vendite di mazze “sportive”. Un clima da far west in cui i poveri, ancora una volta, sembrano pronti a massacrarsi a vicenda.

Un fondo speciale di venti milioni di sterline è stato intanto annunciato dalle autorità londinesi per i danni subiti dalle attività commerciali. Si attendono dettagli su come sarà distribuito. Ne potranno beneficiare solo i negozi indipendenti, magari privi di assicurazione, o anche quelli di grandi catene? Catene di abbigliamento sportivo come Foot Locker o JD Sports, tra le più colpite, dovrebbero forse iniziare a considerare i danni da sommosse urbane come fisiologici: sono i negozi dove gli stessi ragazzi delle periferie lavorano o provano a lavorare, comprano oppure rubano. I negozi che definiscono il loro stile, che loro adorano e che poi, a quanto pare, alla fine incendiano. Il ciclo è completo. Il cortocircuito totale.

A un paio di giorni dalla fine delle violenze, i cappucci delle felpe sono su, come sempre. Gli adolescenti camminano sotto il cielo livido di un’estate che quest’anno non è mai arrivata. Il sei per cento dei giovani londinesi sotto i 19 anni, dice una statistica del Centre for Social Justice, appartiene a una gang. Le gang di strada “censite” sono 257. In un altro articolo, assai profetico, comparso sul Guardian a fine luglio, si parlava della chiusura dei youth club nei quartieri del nord di Londra, dovuta ai tagli sociali che hanno ridotto del 75% il budget dei servizi giovanili. In molte aree, i youth club erano l’unica alternativa alla socialità delle gang. La loro chiusura, combinata con i tagli all’istruzione, avrebbe portato a grossi problemi nelle strade, annunciava un operatore sociale.

Eppure nelle strade di Londra, si sa, tutto scorre con cinica velocità. La città si scrolla di dosso la cenere dei roghi. I turisti belgi e francesi che vengono in giornata a fare shopping a Oxford Street, approfittando del cambio favorevole, sembrano non aver neppure sentito parlare delle rivolte. Business as usual, come si dice qui. Fino magari alle prossime fiammate. Fino ai prossimi roghi altrettanto veloci. Sotto il cielo livido sembra difficile, al momento, trovare il modo di immaginare qualcos’altro: roghi estemporanei, atroci e intermittenti.

articoli pubblicati su Il Manifesto, con i titoli, “Nelle borse, nelle strade” e “Business as usual”, 11 e 12 agosto 2011.

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1 commento

  1. È sicuramente diverso, ma quello che sta succedendo a Londra in questi giorni mi ricorda a quello successo in Los Angeles nel 1992 e a Parigi qualche anno fa. Quando la frustrazione e disperazione sono l’abituale nella tua vita, qualsiasi motivo fa esplodere una bomba di rabbia.

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Helena Janeczek è nata na Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca, vive in Italia da trentacinque anni. Dopo aver esordito con un libro di poesie edito da Suhrkamp, ha scelto l’italiano come lingua letteraria per opere di narrativa che spesso indagano il rapporto con la memoria storica del secolo passato. È autrice di Lezioni di tenebra (Mondadori, 1997, Guanda, 2011), Cibo (Mondadori, 2002), Le rondini di Montecassino (Guanda, 2010), che hanno vinto numerosi premi come il Premio Bagutta Opera Prima e il Premio Napoli. Co-organizza il festival letterario “SI-Scrittrici Insieme” a Somma Lombardo (VA). Il suo ultimo romanzo, La ragazza con la Leica (2017, Guanda) è stato finalista al Premio Campiello e ha vinto il Premio Bagutta e il Premio Strega 2018. Sin dalla nascita del blog, fa parte di Nazione Indiana.
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