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Biagio Cepollaro legge Giuliano Mesa

23 settembre 2011 ore 21.00.
Libreria Popolare di via Tadino, 18 Milano

Ad un mese dalla prematura scomparsa del poeta Giuliano Mesa, i suoi versi saranno letti dall’amico Biagio Cepollaro.

Giuliano Mesa (1957-2011), tra i poeti della sua generazione, è stato uno dei pochi che ha intrecciato nel suo fare poesia sia le esigenze della letteratura (la ricerca formale, la coerenza dello stile) sia quelle del pensiero critico, la necessità storica della visione etico-politica del mondo e, cosa più rara, il rigore concreto del proprio comportamento, l’incarnazione quotidiana dei propri valori senza compromessi. E’ stato uno dei pochissimi della sua generazione a sottrarsi sia ad un certa idea accademica dell’avanguardia letteraria,sia ad una sua ideologica negazione, restando immune rispetto alle trappole delle sterili opposizioni e fedele a qualsiasi costo all’esperienza diretta della storia, senza narrazioni posticce e ‘innamorate’ e senza illusioni palingenetiche.

La poesia come forma di conoscenza: per lui questo voleva dire assegnare alla poesia qualcosa di molto più importante di qualsiasi funzione decorativa, consolatoria e narcisistica a cui troppo spesso è stata ridotta e si riduce. Ma voleva anche dire sottrarre la poesia al manierismo di una tecnica fine a se stessa. La poesia di Mesa è la poesia che vive e fa vivere il presente, al di fuori di ogni conformistica e obbligata attualità, è la presenza di un’emozione legata strettamente ad un pensiero e a un giudizio. La poesia ha per oggetto la condizione umana, se è meno di questo, se è mero esercizio di stile o peggio di non stile, non può importare molto. Giuliano Mesa è stato un poeta che si è occupato appassionatamente della condizione umana, escludendo la sua biografica vicenda per usare se stesso come un sensore di linguaggio, per così dire, un radar straordinario capace di captare le voci taciute dell’umanità: dal primo libro al Tiresia, all’opera che allude tragicamente all’orrore della storia senza riscatto, la poesia è stata per lui l’unico modo per andare al di là della comprensione intellettuale e dell’indignazione, il modo per riportare un’emozione-pensiero all’alterità, alla storia non raccontabile degli altri. La musica della e nella poesia, in particolare, con l’insistenza delle assonanze e delle allitterazioni, è stata chiamata da Mesa a produrre senso guidando il tracciato delle sue figure reticenti e intense e, insieme, una sorta di lenimento, di malìa.

Biagio Cepollaro

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4 Commenti

  1. cara amica di strada,
    al momento non ho un mio blog, nel caso dovessi allestirlo, ti informerò senz’altro. Ti ringrazio dei comlpimenti, specie quelli che hanno radici profonde. ho paura che i complimenti possano far del male al poeta, anche se il poeta è un cane in cerca di carezze. io come cane vado pazzo per le carezze. molto probabilmente il poeta è un cane, altrimenti non potrebbe essere un poeta. in fondo il poeta è un metallurgico di parole che squaglia e reinventa nella loro sequenza. le parole perdono di senso quando seguono le scialbe costruzioni consunte e non dicono più nulla. le persone non comunicano perchè le parole sono solo schemi. i cani invece con il loro fiuto di metallurgici vanno a scandagliare nel buio le parole della vita, specie quelle puzzolenti e quelle che fanno male. i cani fanno tutte quelle feste perchè non parlano le parole ma le pronunciano alla loro maniera di cani fedeli. i cani sono più fedeli di una fidanzata e di un fidanzato e di una moglie e di un marito. i cani sono degli emeriti imbecilli di uno stampo che se ne fa in abbondanza, innanzitutto perchè i cani si attaccano all’uomo. anch’io sono un cane cretino, però noi cani abbiamo fatto una scelta: la scelta di non parlare. e, tra noi, quelli che ci credono, andranno di certo nel paradiso dei cani; per noi cani il parlare non è un fatto di anatomia, nel senso che non abbiamo le corde vocali e tutto l’apparato fonatorio sviluppato degli umani. semplicemente noi cani non vogliamo parlare. è un patto che facemmo tanto tempo fa, ma chiaramente questo nessuno lo sa. se parlassimo diventremmo uguali agli esseri umani e questo è davvero inaccettabile, però, qui sta la nostra grandezza e il nostro limite e quindi la nostra maggiore contraddizione: amiamo questo fottutissimo essere umano di merda. un mondo di cani!

  2. Il testo di Biagio Cepolaro mi ha commossa per la sua intimità con la poesia di Giuliano Mesa, ha toccato il suo punto fragile, delicato, ma ardente: da nostro mondo ha saputo ricomponere gridi dolore di corpi bruciati, per non perdere
    questa fragilità, per colpire l’ anima- questi corpi che sembravano lontani nello spazio o nel tempo- sono in noi.
    Nel murmuro, nel frammento poetico,
    nel piccolo spazio che vogliamo creare per conoscere l’umanità.

  3. Vèronique,
    pò essere ca è comme dici tu. Ma ‘o fatto è che qui c’è stata una moria di gatti, che poi, chissà ‘o pecchè erano tutti neri come la pece, neri come la notte nera senza luna e neri comm’o petrolio. e tu ‘o ssaje ca ‘o petrolio è fonte di guerra, ma lassammo stà ca chesta è n’ata storia.

    te stevo cuntanno ca ‘e jatte ccà ce n’è rimasta una sulamente e guarda caso è nera pur’essa.

    ma dammi la mano e stammo assentì, e statte pure nu poco zitta ca tiene ‘na chiacchiera ca nun fernesce mai.

    perlomeno qui i mici e ‘e jatte nun songo dei poeti. devi sapere ca i gatti tengono la passione della luna e per guardarla bene al cento per cento, se ne vanno nottetempo sopra i tetti.

    i tetti per loro sono croce e delizia. certo da lì cìè un osservatorio naturale e limpido per guardare la luna, però … il camminare, arrischiarsi con le zampe lungo i cornicioni è cosa assai pericolosa … perciò, i gatti, qui, sono quasi tutti morti per la loro imperizia; insomma c’è stata una moria a causa di questo loro passeggiare sopra i tetti.

    in vita è rimasta soltanto Viola ‘a jatta dei nostri amici Paolo e Patrizia.
    Sia quando andiamo a casa loro a cenare o non ci andiamo Viola non fa altro che acchiappare a volo le mosche e si sa che chi dorme non piglia i pesci, ma la copsa che più mi ha colpito è che Viola, non se se a causa delle mosche o perchè ha altro per le zampe, di versi non ne ha scritti e nè vi si impegna.

    Ecco, può anche darsi che i poeti son dei gatti e non dei cani, ma … forse dalle tue parti.

    in attesa di notizie, bau bau bau.

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Helena Janeczek è nata na Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca, vive in Italia da trentacinque anni. Dopo aver esordito con un libro di poesie edito da Suhrkamp, ha scelto l’italiano come lingua letteraria per opere di narrativa che spesso indagano il rapporto con la memoria storica del secolo passato. È autrice di Lezioni di tenebra (Mondadori, 1997, Guanda, 2011), Cibo (Mondadori, 2002), Le rondini di Montecassino (Guanda, 2010), che hanno vinto numerosi premi come il Premio Bagutta Opera Prima e il Premio Napoli. Co-organizza il festival letterario “SI-Scrittrici Insieme” a Somma Lombardo (VA). Il suo ultimo romanzo, La ragazza con la Leica (2017, Guanda) è stato finalista al Premio Campiello e ha vinto il Premio Bagutta e il Premio Strega 2018. Sin dalla nascita del blog, fa parte di Nazione Indiana.
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